Razzi e l’italiano del “fatti li cazzi tua”

scippoL’articolo che leggo oggi (06.02.2014) su Repubblica Napoli di Concita Sannino mi suscita un senso di disagio, spero che abbia avuto lo stesso effetto negli altri. Manca ormai lo spirito di “concittadinanza” e di quartiere. Una donna anziana scippata in pieno centro storico in via Domenico Capitelli  sotto gli occhi di altri passanti che inermi, quasi compatiscono lo scippatore che se non fosse stato per un nostro, (a questo punto a pieno titolo) concittadino africano, se la sarebbe pure squagliata indenne quasi aiutato dai passanti. Guardate il video (clikka) è allucinante. Siamo un popolo vecchio, inerme e tollerante perché ne abbiamo viste di tutti i colori e ci permettiamo pure, tal volta, di essere razzisti. Il “il fatti li cazzi tua” lo tolleriamo addirittura in Parlamento, mentre in ogni altro paese civile, razzi, l’avrebbero già cacciato a calci sull’onda dell’indignazione, ed un partito non si sarebbe mai permesso di accoglierlo tra le sue fila figuriamoci di candidarlo. Siamo arrivati al paradosso, provocato dalla malapolitica, che adesso chiunque si occupi o abbia l’aspirazione o la tensione emotiva di occuparsi del bene e dell’interesse pubblico viene guardato con sospetto, deve prima superare un esame anzi tanti esami con ogni persona che incontra. In questo, poi, i cd. grillini  sono maestri, chiunque è diverso da loro e si occupa della politica è per antonomasia un corrotto un concusso etc. etc., hanno la patente della “purezza”. Se non usciamo da questa palude difficilmente ce la faremo. L’episodio di oggi me ne fa ritornare in mente tanti altri ed uno per tutti l’omicidio di Petru il rumeno con la fisarmonica che venne freddato da un proiettile vagante nella stazione di Montesanto da una banda di cani bastardi cocainomani. Forse possiamo ringiovanire il nostro sangue con gli immigrati che forse molto più civilmente di noi sanno manifestare la loro solidarietà a prescindere dal colore della pelle ….
Da Repubblica Napoli di oggi (06.02.2014)
Una scena impietosa. Dura, in tutto, un minuto e diciannove secondi. Il filmato che
Repubblica è in grado di mostrare, allegato agli atti di un arresto per scippo, sembra un saggio sull’indifferenza contemporanea. Una storia in cui la notizia, stavolta, è soprattutto un’altra. C’è un’unica persona che assiste la vittima e si ribella al delinquente fino a cercare di scongiurarne la fuga, con le mani: più volte, e vanamente. E non è un napoletano, l’unico che sembra indignato. Ma un nordafricano, di mestiere: mendicante.
È il primo febbraio scorso. Pieno centro, via Domenico Capitelli, due passi da piazza del Gesù. Un rapinatore, al secolo Carmine Troise, 38enne, una sfilza di precedenti penali, si vede sfrecciare dal fondo in sella al suo scooter: prima costeggia la sua vittima che procede a passo lento, poi torna in direzione opposta e per strapparle la borsa, scaraventa la donna a terra con inaudita ferocia, trascinandola per la tracolla. Lei batte la testa sulla strada, vicinissima alle ruote della moto. E cade anche lui. Ma, durante il minuto e diciannove secondi dell’incredibile scena, solo il mendicante nordafricano inveisce contro l’uomo. Prima raccoglie la borsa e la restituisce alla donna, poi lo accusa dello scippo, lo indica agli altri passanti che nel frattempo si raccolgono a capannello. La donna dolorante, si appoggia intanto sul bordo di una fioriera.
L’audio non c’è, ma la scena “parla” ugualmente. L’immagisene della folla che si accalca mite e bonaria intorno al bandito, fa a pugni con la determinazione e la solitaria rabbia dell’immigrato che continua ad attaccare verbalmente Troise. Intorno, uomini che rabboniscono il rapinatore, un altro che sembra chiedergli se si è fatto male, un altro sembra dirgli “però, calmati, vai piano”. La stessa vittima del colpo, quasi sotto choc, è come inebetita. For- la donna ha paura, forse teme di avere la peggio perché il colpo è andato male. Nemmeno lei denuncerà l’accaduto. Quando Troise, il bandito, cerca di svignarsela certo di averla fatta franca, ancora una volta è l’africano senza nome a opporsi. Lo rincorre, con le mani prova a fermare il pregiudicato, vorrebbe consegnarlo alla giustizia. Addirittura, lo butta giù dalla sella: ancora unavolta è solo. Troise dà uno strattone, scappa. La sua cattura avverrà di lì a qualche ora. Le forze dell’ordine sono, e devono, essere più avanti di chi ha fatto finta di niente. Anche se è un caso minore, non ci sono clan da perseguire, e nemmeno grandi boss da catturare: ma sono le storie che incidono più di tutte nel senso di insicurezza. E un’operazione strategica vede correre in paralle-lo l’indagine lampo dei carabinieri di Napoli, guidati dal comandante provinciale Marco Minicucci e dal colonnello Francesco Rizzo, e il lavoro dell’Ufficio di prevenzione della questura (le volanti), diretto dal vicequestore Michele Spina.
La risposta arriva subito. Perché c’è un negoziante che indica agli investigatori la sua telecamera, che ha registrato tutto in viaCapitelli. E perché Troise è una faccia nota ai segugi della trincea napoletana: lo riconoscono. Gli uomini dell’Arma e dei falchi della Mobile trovano a casa di Troise sia lo scooter usato per il colpo, sia il pullover con cui il bandito copriva la targa durante i suoi colpi. Il rapinatore non reagisce, chiede solo una visita medica, ha un lancinante dolore a una spalla: lo portano in ospedale, viene assistito per una lussazione al Vecchio Pellergini, giudicato guaribile in trenta giorni, e trasferito al carcere di Poggioreale.
La sua cattura si deve anche a quel negoziante, al suo occhio elettronico che ha ripreso una scena che resterà impressa. È un cittadino che ha fatto il suo dovere, fino in fondo. Proprio come quell’immigrato che voleva, da solo, aiutare una anziana donna ad avere giustizia.

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