Il Palazzo di Ingiustizia di Napoli

palazzodigiustiziaHo sempre pensato che nella inadeguatezza e nei disservizi si manifestano due tipi di dipendenti pubblici: Quelli che si mortificano e quelli che ci sguazzano aggravando lo stato di ingiustizia. A 45 anni e venti anni di professione di avvocato ho ancora la forza di indignarmi! Non so, però, quanto tempo ancora! Noi avvocati di Napoli, infatti, “abitiamo” una buona parte della nostra giornata in un inconcepibile edificio che ci costringe a fare o file estenuanti, con il cuore in gola, per il timore di arrivare tardi all’aula di udienza e vederci provveduta la causa, ovvero, estenuanti scalate, anche di oltre 20 piani, su scale di emergenza per non arrivare tardi all’udienza. Se vai in Tribunale, infatti, non fai solo le udienza ma, semmai, prima hai notificato, chiesto copie o fatto qualche altro adempimento. Noi avvocati del foro di Napoli facciamo anche la pallina di ping pong tra un piano e l’altro, scalando differenze anche di dieci/quindici piani in salita e discesa, perché è impossibile prendere un ascensore ad un piano intermedio per il semplice fatto che non si prenotano tutti ma solo due. Quando ci provo a prenderne uno, ad un piano intermedio, dopo il primo minuto, pensando agli avvocati anziani, ovvero, a quelli che, seppure giovani, hanno qualche problema, mi viene prima un senso di rabbia e poi di mortificazione e vergogna per la profonda inciviltà di un palazzo che dovrebbe essere di Giustizia ed invece è di profonda Ingiustizia. Una delle punte massime dello sconforto l’ho sperimentata, ieri (07.02.2014) con il ritiro delle produzioni, scoprendo che in Corte di Appello non c’è una sezione che abbia gli stessi giorni per il ritiro. Ovviamente mi sono rivolto al dirigente della sezione che, con grande e raro senso di dedizione si è scusato e poi mi ha chiesto di andare dal commesso per avere comunque la produzione, pur non essendo quello il giorno giusto, chiedendomi però di andare dal dirigente coordinatore per far presente il problema generale. L’impatto col commesso ovviamente è stato traumatico sin dall’inizio. L’avevo, infatti, più o meno individuato ed alla mia domanda se era il commesso egli ma ha risposto che non lavorava in un negozio e che dovevo aspettare. Stava, infatti, curando un “affare” di un collega per controllargli una causa al computer, forse in modo abusivo, per spirito di colleganza. Ero in compagnia di un altro collega e quasi quasi ci era venuta l’idea che avremmo potuto sollecitarlo, semmai, con qualche “mancetta” per poi denunciarlo, ma ovviamente avremmo perso una giornata, meglio resistere ed attendere con pazienza. Conquistate le carte, ovviamente, scendo di tre piani, a piedi, e vado dal dirigente coordinatore a cui una volta spiegato il problema ottengo solo una “allargata” di braccia ed un attestato di solidarietà di cui ovviamente non me ne faccio nulla! Il Dirigente, infatti, mi dice: “avvocato mia figlia è avvocato e la capisco bene!” Mi sovviene poi il dubbio che la figlia del dirigente forse potrebbe avere qualche accesso privilegiato ma non mi soffermo e scendo, sempre a piedi, dal 24° al 19° per chiedere all’impiegato di turno che fine avesse fatto una produzione proveniente da una sezione distaccata soppressa. L’impiegato mi manda al 5° piano, al quale ovviamente giungo a piedi sempre per le scale di emergenza, questi mi dice di andare al piano meno due e, quindi, altri sette piani a piedi. Giunto a destinazione l’impatto qui è stato traumatico perché il commesso che trovo mi riferisce che le produzioni del civile delle sezioni distaccate c’erano ma egli era addetto al penale, quindi, sarei dovuto ritornare al 5° piano e chiedere al dirigente di farmi accompagnare da un commesso perché il “poveretto” non poteva prendere anche i fascicoli del civile! Ovviamente, le strade erano due, o tentare con una mancetta, oppure avere uno scatto d’ira. Ovviamente per me c’è stato lo scatto d’ira! C’era anche un collega più giovane di me che ha cercato di calmarmi e col quale mi sono incamminato verso il 5° piano, gli ho chiesto va bene saliamo a piedi facciamo prima e questi mi dice no io salgo con l’ascensore non ce la faccio io fumo non ho fiato. Queste parole mi hanno fatto sentire tutto il peso della sconfitta. Una collega che ho incontrato (le donne sono sempre più pratiche) giustamente mi ha detto, Gennaro hai due strade (sempre le solite) o vai e mantieni il punto, ma ti sarà difficile ottenere qualcosa, oppure vai dal dipendente, gli dai la mancetta e ti risolve tutto lui. Me ne sono andato dal Palazzo di Giustizia con un profondo senso di ingiustizia!

Gennaro Esposito Avvocato di quel che resta del Foro di Napoli

Vedi anche:

Le elezioni al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Napoli 2015 (clikka)

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