Non capisco come si possa dire che la concertazione è la causa dei mali dell’Italia. Spero che la infelice frase di Monti non celi un atteggiamento, direi quasi snob, verso i sindacati che, peraltro, è il caso di ricordare sono previsti dalla nostra costituzione (art. 39). Sottolinierei, invece, che tra le tanti parti della Costituzione inapplicate figura l’art. 46 che nella sostanza prevede la partecipazione dei lavoratori alla gestione dell’impresa. Mi rendo conto che queste rappresentanze potrebbero essere facilmente aggirate attraverso partecipazioni fittizie ma con controlli seri e con “sindacati seri” la presenza di una rappresentanza di lavoratori in CDA garantirebbe i lavoratori stessi ed il mercato poiché si potrebbero forse evitare quelle scellerate operazioni esclusivamente finanziarie che spesso hanno portato le aziende al fallimento senza nessuna considerazione dei lavoratori creando, a catena, difficoltà economiche ad altre imprese in un modo in un altro collegate alle fallite. Basta affacciarci alla finestra dell’Europa per constatare che in Germania, l’auspicio lanciato sessant’anni fa dai nostri costituenti, è pienamente applicato. Difatti nel CDA della Volkswagen c’è una rappresentanza dei lavoratori. Si potrebbe, infatti, prevedere per le imprese che si vogliono quotare in borsa l’obbligo di avere nel CDA una quota di lavoratori a garanzia del buon andamento del mercato. Non nascondo e ne sono contento che mi stupisco sempre quando leggo pezzi della nostra sessantenne costituzione inapplicata.
Da Il Mattino del 12 luglio 2012
L’Italia ha intrapreso «un percorso di guerra durissimo che non è ancora finito». Nel giorno in cui «promuove» Vittorio Grilli da vice a ministro dell’Economia, Mario Monti lancia un forte richiamo a non abbassare la guardia di fronte alla crisi. Non ce l’ha con i partiti e con il Parlamento, che hanno dimostrato «responsabilità» in questo momento «drammatico», ma con le parti sociali, invitandole ad avere un atteggiamento di «collaborazione» e a considerare morta e sepolta la concertazione che «è tra le cause dei nostri mali». Poi rivela: «Berlusconi al G20 di Cannes subì pressioni fortissime per cedere sovranità fino all’umiliazione». Insorgono i sindacati con Camusso (Cgil) che attacca il premier. Temerario, coraggioso, o semplicemente realista? Mario Monti va all’attacco della concertazione, non si sa quanto consapevole di avere di fronte l’autentica Maginot sindacale. Comunque un caposaldo confederale da almeno un ventennio. E le organizzazioni dei lavoratori rispondono con un robusto fuoco di sbarramento. Per la storia, il gigantesco sistema francese di fortificazioni cadde sotto l’assalto dei tedeschi. Da noi lo scontro è appena aperto.
Il contrattacco durissimo. Susanna Camusso: «Credo che il premier non sappia di cosa stia parlando. Vorrei ricordargli che l’ultima concertazione nel nostro Paese è quella del 1993. Un accordo che salvò il Paese dalla bancarotta con una riforma delle pensioni equa, al contrario di quella fatta dal suo governo». Il leader della Cgil amplia anche il raggio dei colpi: «Le lezioni di democrazia sono sempre utili, prendere lezioni da chi è cooptato e non si è misurato con il voto e un po’ imbarazzante per il futuro democratico del Paese. Farlo poi nella platea delle banche e degli interessi bancari nella crisi meriterebbe una riflessione».
Il Patto per l’Italia del ’93 tra Ciampi e sindacati è il cardine sul quale ruotano gli obici e partono i tiri delle confederazioni. Sergio D’Antoni, che quell’intesa firmò da numero uno della Cisl, prova a dare al premier una lezione anche di tipo storico: «La concertazione ha contribuito a risolvere i problemi dell’Italia e da Monti è arrivata una cattiva ricostruzione degli avvenimenti. A spingere il Paese sull’orlo del baratro è stato invece il decennio berlusconiano». Dunque, non i sindacati e non la concertazione. Il «generale» della Cisl di oggi, Raffaele Bonanni, sottolinea come non ci sia alternativa alla concertazione in nessun Paese a democrazia matura e ad economia avanzata: «I governi per quanto autorevoli e composti da personalità di altissimo profilo, non possono guidare da soli questa difficile stagione di cambiamenti e riforme senza un ampio consenso mentre le forze sociali non devono porre veti». E aggiunge: «Proprio perché abbiamo intrapreso un percorso di guerra, come dice Monti, bisogna moderare i toni sia da parte di chi ci governa sia delle parti sociali». Infine: «Vedo troppa agitazione e troppi toni esacerbati da una parte e dall’altra. Dobbiamo tutti portare un contributo per uscire dalla crisi ed il governo deve sforzarsi di fare sintesi, leggendo e facendosi interprete di tutte le istanze del mondo sociale per il bene dei cittadini». Invito girato, certo all’esecutivo, ma anche a Camusso e Confindustria.
Per Luigi Angeletti oggi è la stessa Europa a consigliare il dialogo sociale come strumento di crescita. Come dire, il presidente del Consiglio si dovrebbe guardare un po’ intorno. «Il nostro premier – ironizza il segretario generale della Uil – è più realista del re: pensa di poter salvare l’Italia senza preoccuparsi di salvare gli italiani. Forse un ascolto più attento delle aspettative di lavoratori e pensionati ci farebbe uscire dalla crisi tutti insieme, prima e meglio. Ma, evidentemente, confonde concertazione con consociazione». Replica a Monti anche il leader dell’Ugl, Giovanni Centrella: «Riduttivo oltre che irrispettoso nei confronti dei sindacati e dei lavoratori affermare che siano stati gli esercizi di concertazione a generare i mali di cui oggi il Paese soffre».
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