Il Pensiero Unico

Paradossalmente col termine “pensiero unico” spesso si mortifica e si avvilisce la critica ed il dissenso che vanno proprio contro il pensiero unico. Lo trovo inaccettabile! Occorre, pertanto, andare alle origini per scoprire che il “pensiero unico” è figlio del neoliberismo e del liderismo ed alligna in modo particolare nei consessi in cui c’è un “capo” che non si può contestare nelle scelte e che spesso, anche inconsapevolmente, si fa portatore dei principi neoliberisti causa del mal d’Europa. Questo termine è comparso per la prima volta in Francia in un editoriale di Ignacio Ramonet, in le Monde diplomatique del 1995. Ne consiglio la lettura perché la trovo tremendamente attuale sia per ciò che sta accadendo in Europa con la Banca Centrale Europea sia per ciò che sta accadendo negli enti locali dove si annuncia il saccheggiano di beni e servizi pubblici affermando che solo i privati possono garantire efficienza ed equilibrio economico. Ecco il testo di Ramonet:

“Invischiati. Cresce, nelle attuali democrazie, il numero dei cittadini liberi che si sentono invischiati, impaniati da una specie di dottrina gelatinosa che insensibilmente avviluppa qualsiasi ragionamento ribelle, lo inibisce, lo confonde, lo paralizza fino a soffocarlo: il pensiero unico, il solo autorizzato da un’invisibile e onnipresente polizia dell’opinione. Dopo la caduta del muro di Berlino, il crollo dei regimi comunisti e la demoralizzazione del socialismo, il nuovo Vangelo ha raggiunto un tale grado di arroganza, di boria e di insolenza che di fronte a un simile furore ideologico non è esagerato parlare di dogmatismo moderno .

Che cos’è il pensiero unico? E’ la trasposizione in termini ideologici, che si pretendono universali, degli interessi di un insieme di forze economiche, e specificamente di quelle del capitale internazionale; ed è stato, per così dire, formulato e definito fin dal 1944 in occasione degli accordi di Bretton Woods. Le sue principali fonti sono le grandi istituzioni economiche e monetarie la Banca mondiale, il Fondo monetario internazionale, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, l’Accordo generale sulle tariffe doganali e sul commercio, la Commissione europea, le banche centrali ecc. che attraverso i loro finanziamenti arruolano al servizio delle loro idee, sull’intero pianeta, numerosi centri di ricerca, università e fondazioni, chiamate ad affinare e a diffondere la buona parola.

Questo discorso anonimo viene ripreso e riprodotto dai principali organi di informazione economica e in particolare dalle bibbie degli investitori e degli agenti di borsa The Wall Street Journal, Financial Times, The Economist, Far Eastern Economic Review, les Echos, l’Agenzia Reuter ecc. in buona parte di proprietà dei grandi gruppi industriali e finanziari. E infine, un po’ dovunque, docenti di economia, giornalisti, saggisti, uomini politici si richiamano ai principali comandamenti di queste nuove tavole della legge, e attraverso i grandi mezzi di comunicazione di massa li ripetono a sazietà, ben sapendo che nelle nostre società mediatizzate la ripetizione equivale alla dimostrazione.

Il fondamento del pensiero unico è il concetto del primato dell’economia sulla politica, tanto più forte in quanto un marxista distratto non lo contesterebbe. E’ in base a questo principio, ad esempio, che nel 1994 si è potuto procedere senza alcuna opposizione di rilievo a rendere indipendente uno strumento importantissimo nelle mani dell’esecutivo quale la Banca di Francia, che è stata così posta, come si è detto, al riparo dalle vicende aleatorie della politica. La Banca di Francia è indipendente, apolitica e al disopra delle parti, afferma infatti il suo governatore, Jean-Claude Trichet, il quale tuttavia aggiunge: Noi chiediamo la riduzione del deficit pubblico (e) perseguiamo una strategia di stabilità monetaria. Come se questi due obiettivi non fossero politici! All’economia si riserva il posto di comando in nome di un realismo e di un pragmatismo di cui Alain Minc ha dato la seguente formulazione: Il capitalismo non può crollare, è lo stato naturale della società. La democrazia non è lo stato naturale della società. Il mercato lo è. Un’economia ovviamente sbarazzata dall’ostacolo del sociale, considerato come una sorta di patetica ganga la cui pesantezza sarebbe causa di regresso e di crisi.

Gli altri concetti chiave del pensiero unico sono ben noti. Il mercato, idolo la cui mano invisibile corregge le asperità e le disfunzioni del capitalismo, e in particolare i mercati finanziari i cui segnali orientano e determinano il movimento generale dell’economia; la concorrenza e la competitività che stimolano e dinamizzano le imprese, conducendole a una permanente e benefica modernizzazione; il libero scambio illimitato, fattore di sviluppo ininterrotto del commercio e quindi delle società la mondializzazione sia della produzione manifatturiera che dei flussi finanziari; la divisione internazionale del lavoro che modera le rivendicazioni sindacali e abbassa il costo del lavoro; la moneta forte, fattore di stabilità la deregulation, la privatizzazione, la liberalizzazione, ecc. Sempre meno Stato, un arbitrato costante in favore dei redditi da capitale e a scapito di quelli da lavoro. E l’indifferenza nei riguardi dei costi ecologici.

La ripetizione incessante di questo catechismo attraverso tutti i media e da parte di quasi tutti gli uomini politici di destra e di sinistra gli conferisce una tale forza di intimidazione da soffocare qualsiasi tentativo di riflessione libera, e rende assai difficile la resistenza contro questo nuovo oscurantismo.

Si è quasi portati a pensare che i 17,4 milioni di disoccupati europei, il disastro urbano, la precarizzazione generale, la corruzione, la tensione nelle periferie delle città, il saccheggio ecologico, il ritorno dei razzismi, degli integralismi e degli estremismi religiosi, la marea degli esclusi non siano altro che miraggi, colpevoli allucinazioni in grave discordanza con questo migliore dei mondi, edificato dal pensiero unico per le nostre coscienze anestetizzate”.

I nuovi Italiani

ballotelliSono orgoglioso dei goal fatti da Ballotelli che non conosco come personaggio pubblico né privato (non seguo molto il calcio) ma per quello che rappresenta. Provo, difatti, un senso di soddisfazione nel vedere persone di diversa etinia che parlano un perfetto italiano o anche un perfetto napoletano pur mantenendo segni distintivi delle loro origini non italiche. Integrazione reciproca ed accettazione delle differenze come ricchezza di un popolo in evoluzione. Certo non so quando l’Italia avrà un presidente del Consiglio o della Repubblica di altra etnia ma sono sicuro che questo rappresenterà la fine di ogni popolare pregiudizio verso la diversità.

Ken Saro-Wiwa

Onore agli uomini che si sono battuti per il loro popolo e per la loro terra la loro testimonianza e forza per l’animo delle genti libere

Ken Saro Wiwa:  “…tutti noi siamo di fronte alla Storia. Io sono un uomo di pace, di idee. Provo sgomento per la vergognosa povertà del mio popolo che vive su una terra molto generosa di risorse; provo rabbia per la devastazione di questa terra; provo fretta di ottenere che il mio popolo riconquisti il suo diritto alla vita e a una vita decente. Così ho dedicato tutte le mie risorse materiali ed intellettuali a una causa nella quale credo totalmente, sulla quale non posso essere zittito. Non ho dubbi sul fatto che, alla fine, la mia causa vincerà e non importa quanti processi, quante tribolazioni io e coloro che credono con me in questa causa potremo incontrare nel corso del nostro cammino. Né la prigione né la morte potranno impedire la nostra vittoria finale…” . »

Scrittore nigeriano della comunità etnica Ogoni.

Fin dagli anni ottanta Saro-Wiwa si fa portavoce delle rivendicazioni delle popolazioni del delta del Niger, specialmente della propria etnia Ogoni maggioritaria nella regione, nei confronti delle multinazionali del petrolio responsabili di continue perdite di grazio  che danneggiano le colture di sussistenza e l’ecosistema della zona.

Nel 1990 si fa promotore del MOSOP (Movement for the Survival of the Ogoni People); il movimento ottiene risonanza internazionale con una manifestazione di 300.000 persone che Saro-Wiwa guida al suo rilascio da una detenzione di alcuni mesi comminata senza processo.

Arrestato una seconda e una terza volta nel maggio del 1994, con l’accusa di aver incitato all’omicidio di alcuni presunti oppositori del MOSOP, Ken Saro-Wiwa viene impiccato con altri 8 attivisti del MOSOP al termine di un processo che ha suscitato le più vive proteste da parte dell’opinione pubblica internazionale e delle organizzazioni per i diritti umani. Prima che venisse impiccato, Saro-Wiwa disse «Il Signore accolga la mia anima, ma la lotta continua». Nell’aprile del 1995, mentre è in carcere in attesa del processo, gli viene conferito il premio Goldman Environmental Prize, in riconoscimento della sua attività in favore dell’ambiente.

Nel 1996 Jenny Green, avvocato del Center for Constitutional Rights di New York avviò una causa contro la Shell per dimostrare il coinvolgimento della multinazionale petrolifera nell’esecuzione di Saro-Wiwa. Il processo ha poi avuto inizio nel maggio 2009, e la Shell ha subito patteggiato accettando di pagare un risarcimento di 15 milioni e mezzo di dollari (11,1 milioni di euro). La Shell ha però precisato che ha accettato di pagare il risarcimento non perché colpevole del fatto ma per aiutare il “processo di riconciliazione”. Secondo gli ambientalisti, invece, documenti confidenziali della Shell dimostrerebbero il coinvolgimento della compagnia petrolifera nelle violazioni dei diritti umani in Nigeria. Nel commentare il risarcimento, il figlio dello scrittore Ken Saro-Wiwa Jr. (Ken Wiwa), al tempo assistente speciale del Presidente della Nigeria per gli Affari Internazionali, la Pace, la Risoluzione dei Conflitti e le Riconciliazioni, dichiarò: «Penso che mio padre sarebbe felice di questo risultato», aggiungendo poi che «il fatto che la Shell sia stata costretta a patteggiare, per noi è una chiara vittoria».

 

Piero Craveri Se Napoli non è più Tua

napoli

  • Mercoledì 27 Giugno, 2012
  • da il CORRIERE DEL MEZZOGIORNO – NAPOLI

Sono d’accordo con Vittorio Vasquez, non servono, per descrivere quanto avviene oggi nel Comune di Napoli, le grandi metafore della storia, tratte dal museo delle cere del comunismo, come Stalin e Trotsky. Qui non c’è rivoluzione, c’è piuttosto continuità col passato, negli atti amministrativi e nei problemi irrisolti, e i tratti di costume politico anch’essi non differiscono da prima. Hanno solo un piglio più spregiudicato, si pensi alle proposte urbanistiche per Bagnoli e per Ponticelli, fuori da qualsiasi riferimento normativo, nonché più demagogico, adombrando uno sconnesso «populismo», nella forma più misera, quella del panem ad circenses di romana memoria, con il perseguire grandi eventi come la Coppa America ieri, domani il tennis, il ciclismo, con un’inventiva da cortometraggio, là dove al contrario il Forum delle Culture, che poteva essere una vetrina internazionale, ma richiedeva qualche competenza in più organizzativa e culturale, è ormai morto nelle mani di apprendisti incapaci. Ma i problemi di ordinaria amministrazione, scuole, trasporti, viabilità, decoro urbano, raccolta dei rifiuti, eccetera, non sembrano aver fatto un solo passo avanti.

La cosa più grave è che nulla è stato fatto per riempire il drammatico vuoto politico in cui si era paradossalmente conclusa l’avventura bassoliniana e che la destra non aveva saputo riempire, almeno in città. In fondo il successo elettorale di de Magistris aveva questa premessa e si accompagnava a una promessa di ricostruire un tessuto politico rinnovato nei metodi e nelle procedure. C’è chi ci ha creduto, certamente l’assessore Narducci, come i consiglieri Esposito e Iannello. Il dissenso è significativo, segna la fine dell’illusione di alcuni che avevano preso alla lettera i propositi della vigilia, a cui, tra l’altro, i due consiglieri dicono di voler rimanere fedeli e di non avere partecipato alla votazione del bilancio, nella speranza di un chiarimento che rinverdisca gli iniziali propositi. Vasquez , col suo assertorio considerarli ormai «fuori dai piedi», è stalinista solo per antica memoria. I suoi «fuori» dalla «maggioranza», addirittura dalla «città» declinano in realtà la logica della lotta «per bande», per cui si segue il capo e basta. Con ciò non si rende conto di affossare così, proprio lui, qualsiasi richiamo possibile alle origini del progetto di «Napoli è Tua» e di de Magistris.

Napoli torna così all’abituale logica di una politica dominata dagli interessi particolari, pur contrastanti, e dall’iniziativa personale di alcuni. Per un napoletano potrebbe essere diverso, ma de Magistris si troverà prestissimo di fronte all’alternativa di considerare la sua carica di sindaco come nient’altro che un trampolino per un altro possibile avvenire. Così il problema del vuoto politico nella città di Napoli si può riproporre secondo la formula che «Napoli è sempre di qualche altro».

Vittorio Vasquez la risposta a Scotto di Luzio

Caro direttore, come un incorreggibile vetero-comunista mi accingo a dare libero sfogo alla mia anima stalinista e pertanto ho provveduto a reclutare il Siqueiros di turno per eliminare Iannello-Trotzkij. Questo consentirà a Scotto di Luzio di vedere pienamente realizzato lo scenario da lui evocato, con l’unica differenza che — come diceva un altro vecchio comunista — quando la storia si ripete è sempre sotto la forma della farsa. Comunque ammiro la sua conoscenza dei «testi sacri» che lo portano a usare con precisione i termini «frazionismo», «concezione organistica di popolo», «servire il popolo», «condanna per apostasia», «frazione massimalista». «Ma va là!» (per usare una sua espressione). Assumendo un tono leggermente più serio, intendo segnalare al mio inquisitore che forse non sarebbe male se nel dibattito politico facesse la sua comparsa un pizzico di ideologia per aiutare a orientarci meglio in un presente privo di idee regolatrici e totalmente assoggettato a un pensiero unico che ci porta a vivere in un presente desertificato. Nel merito: la votazione sul bilancio comunale ha il valore politico di una mozione di fiducia sull’amministrazione; così come la legge finanziaria per il governo nazionale. Se il dissenso dei due consiglieri del Gruppo Net era nei confronti della delibera presentata dall’assessore Realfonzo occorreva esprimersi nel merito e soprattutto non dovevano esserci i ripetuti voti a favore di tutte le delibere collegate. Se il dissenso era nei confronti del sindaco de Magistris occorreva presentare una formale mozione di sfiducia come previsto dalla prassi consiliare. Viceversa l’uscita dall’aula si è configurata come una formale delegittimazione della Giunta, così come avviene in tutte le istituzioni elettive quando non s’intende riconoscere l’autorevolezza del proponente. Non a caso il consigliere Moretto (Pdl) ha dichiarato di restare in aula in rapporto alle dichiarazioni finali del sindaco che aveva sottolineato il valore della critica anche da parte dell’opposizione. A oggi non mi risulta che qualcuno sia stato espulso dal Gruppo Net. Discuteremo insieme le questioni di merito. Invece confermo che, se si delegittima l’amministrazione, di fatto — ma per propria scelta — ci si pone al di fuori della maggioranza. Senza ambiguità. Quanto poi alla natura minoritaria di questa Giunta sottolineo che la legge elettorale non l’ha approvata né de Magistris né qualcuno di questa maggioranza. D’altronde i marchingegni elettorali li ha prodotti la vecchia partitocrazia al punto che in tutta Italia esistono governi nazionali e locali assolutamente privi della maggioranza dei voti degli lettori aventi diritto. Che facciamo? Dichiariamo illegittime tutte le istituzioni elettive? «Ma va là!». Va a finire che chiediamo la decadenza anche del presidente degli Stati Uniti. Berlinguer e Moro erano persone serie: per piacere lasciamole rispettosamente in pace.
Vittorio Vasquez
Capogruppo di «Napoli è Tua»
al Consiglio comunale di Napoli

Iannello ed Esposito su programma, Narducci ed Asìa’ replica di Vasquez

netLa Repubblica del 23 giugno 2012 —   pagina 4   sezione: NAPOLI

PRIMA del voto finale sul bilancio, dopo oltre 25 ore di lavori, chiedono la parola i consiglieri Gennaro Esposito e Carlo Iannello di “Napoli è Tua” e annunciano che stanno per uscire dall’ aula e non votano il bilancio. Motivo della decisione, «la necessità di sciogliere alcuni nodi politicie vicende che hanno contraddetto il programma elettorale». Uno strappo all’ interno della lista civica che ha appoggiato Luigi de Magistris in Campania elettorale. Una rottura che segue una turbolenta cena di due settimane fa, in cui erano volati insulti proprio tra il sindaco e Iannello. Ma, soprattutto, una frattura che amplia la faglia aperta dall’ abbandono della giunta dell’ assessore alla Legalità Giuseppe Narducci questa settimana. Carlo Iannello, nel suo intervento, chiede al sindaco un chiarimento politico e mette in chiaro i punti: «Le dimissioni di Narducci hanno posto dei problemi politico-amministrativi. Narducci ha citato fatti amministrativi: caso Raphael Rossi, delibera di giunta di agosto sull’ Asìa per l’ assunzione dei 21 lavoratori, questione Romeoe Insula Antica Dogana». Ma le questioni politico-amministrative «in cui si svela l’ allontanamento dal programma elettorale sono anche altre – aggiunge Iannello – l’ esclusione di Bagnoli e l’ accordo con l’ unione industriali per Coppa America, il rapporto con la società Bagnoli Futura e la vendita dei suoli di Bagnoli in cui si è annunciato un sito di compostaggio, la costruzione di un nuovo stadio escludendo gli uffici competenti». Si sente tradito rispetto al programma elettorale anche Gennaro Esposito e lui pure chiede «in nome della discontinuità promessa in campagna elettorale i perché del caso Rossi, i perché del caso Asìa, i perché del caso Romeo, i perché del caso Narducci, il perché del programma elettorale a cui non si fa più cenno». CRISTINA ZAGARIA

Vasquez: ‘Formalisti e intransigenti, ma noi restiamo col sindaco’

23 giugno 2012 —   pagina 4   sezione: NAPOLI

E SE i due “dissidenti” di Napoli è tua lasciano l’ aula di via Verdi, il capogruppo, Vittorio Vasquez e gli altri esponenti restano accanto al sindaco e prendono le distanze dal gesto dei compagni di lista. «Sono e siamo rammaricati più che dell’ uscita dall’ aula di Iannello ed Esposito – commenta Vasquez – della decisone dei due amici di allontanarsi, sottovalutando il valore politico dell’ approvazione del bilancio, che non è solo un giudizio rispetto a un documento contabile, ma rispetto a un anno di amministrazione». Vasquez cerca di smorzare la rottura: «Riconosco le capacità e le qualità di entrambi e il contributo dato in quest’ anno, ma non condivido il loro atteggiamento, dettato non so se da inesperienza politica o da un formalismo giuridico molto intransigente». Per Vasquez «questo strappo» interno a “Napoli è tua” «andava avanti da un po’ di tempo, anche in virtù di un dissenso personale tra Iannelloe il sindaco, acuito poi dall’ uscita dalla giunta di Narducci per questioni anche lì personali». E aggiunge: «Credo che poi il tutto sia stato acuito dalla preoccupazione anticipata dell’ eventuale uscita di Realfonzo dalla giunta». Vasquez difende la posizione critica della lista civica: «Non solo loro, ma tutti noi abbiamo mostrato il nostro dissenso su alcuni punti, mantenendo però sempre posizioni leali. E penso a Bagnoli, alle incertezze rispetto alla Coppa America e soprattutto al punto più lacerante, ma su cui siamo stati tutti concordi, l’ accordo con Romeo e l’ idea di un intesa che possa creare un progetto come Insula». Ma non risparmia i due “dissidenti”: «Ovviamente tutto questo non ci doveva portare a una divisione. Non so che percorso seguiranno, le porte sono sempre aperte per loro, però devono capire che un gruppo è tale perché condivide una uguale impostazione politica».
CRISTINA ZAGARIA

L’epurazione di N E’ T

net(di Adolfo Scotto di Luzio da il Corriere del Mezzogiorno del 24 giugno 2012) In quella commedia dell`assurdo a cui sempre di più assomiglia la politica napoletana un nuovo capitolo è stato aggiunto dalle traversie del voto sul bilancio del Comune. Come è noto, dopo le dimissioni dell`assessore Narducci, e in conseguenza delle sue accuse, due consiglieri di un certo rilievo della lista civica che ha appoggiato l`elezione di de Magistris a sindaco della città. Napoli è Tua, Carlo Iannello e Gennaro Esposito, non hanno votato il documento contabile.

È un atto che equivale a una sfiducia politica ma senza rilevanti effetti. Per quanto infatti la maggioranza del sindaco si sia ridotta resta pur sempre la maggioranza e come ormai dovrebbe aver insegnato Berlusconi anche un solo voto di vantaggio è pur sempre un vantaggio. L`attuale presidente della Camera, Gianfranco Fini se la ricorda bene la battaglia del dicembre 2010. Il tentativo di far cadere il governo fallì e Futuro e Libertà andò in frantumi. Questo accade perché la logica della politica attuale è di tipo monocratico. Finché il capo ha un numero sufficiente di forze resta saldamente al comando.
Se dunque il caso lannello-Esposito è irrilevante per i suoi esiti sulla tenuta di de Magistris è tuttavia istruttivo in termini più generali per quello che rivela sulla cultura di questo governo rivoluzionario della città dopo la fine di tutte le ideologie novecentesche. In particolare sulla lista civica Napoli è Tua, che avrebbe dovuto apportare all`esperienza del sindaco la linfa della cosiddetta società civile e che invece proprio in questa occasione rivela tutti i tic di un piccolo partito bolscevico in seno alla maggioranza. Sulle tendenze all`interno di questa formazione marxista-leninista sotto mentite spoglie non ci giurerei, ma certo il linguaggio fa impressione. A stare alle cronache, il capogruppo della lista al Comune Vittorio Vasquez di fronte a quello che ai suoi occhi deve essere apparso come un atto intollerabile di frazionismo dei due consiglieri pare sia sbottato ammonendoli che con quel loro atto si mettevano fuori dalla maggioranza della città. Avete letto bene, Vasquez non ha detto dalla maggioranza e basta, ma «dalla maggioranza della città».
Ora a parte il fatto che evidentemente Vasquez non sa contare, essendo nota la natura minoritaria di questa giunta se proprio la vogliamo rapportare non ai voti espressi ma alla massa complessiva degli elettori, molti dei quali non hanno votato, la cosa che veramente lascia scioccati è la concezione organicistica di popolo che traspare da queste parole. Come per tutti gli eretici, il rischio in cui veramente incappano i dissenzienti è l’estraniazione rispetto al corpo dei fedeli. Uscire dal Popolo per chi ritiene ancora che il problema sia Servire il Popolo è evidentemente la più grande delle sciagure. Il tradimento massimo, quello che fa dei due dissidenti dei reietti.
Ora, di fronte a questo delirio o a questa incredibile manifestazione di ingenuità del capogruppo Vasquez, dipende da che lato vogliate considerare la faccenda, se da quello della sclerotizzazione dell` identità politica o, più bonariamente, da quello dell`incapacità di rendersi conto delle circostanze, di fronte a questa uscita, diciamo così, singolare i due reprobi invece di rispondergli con una risata, del tipo «Ma va là», l`hanno presa sul serio. E lannello, credo di ricordare, il più giovane dei due, pensa bene di tirare fuori il nome glorioso di Rosa Luxemburg, la rivoluzionaria russo-polacca uccisa nel 1919. Semplicemente, il consigliere Carlo lannello, bella speranza della società civile napoletana, era sorpreso che un uomo, formatesi sui testi della Luxemburg e della migliore tradizione della sinistra marxista non ortodossa, giuro ha detto proprio così, potesse minacciare non solo un`espulsione ma addirittura una condanna per apostasia.
Ora, la domanda che vorrei fare, a Vittorio Vasquez, a Carlo lannello e, in fondo, a tutti noi è la seguente: ma vi siete chiesti se al mondo esiste, nel 2012, un`altra assemblea elettiva in cui, non solo riecheggiano i nomi di un tempo così lontano, ma addirittura l`identità e le posizioni politiche dei rappresentanti di una città moderna e complessa si lascino definire nei termini della tradizione della III Intemazionale?
Un mio amico elettronico ha osservato spiritosamente che forse ai protagonisti di questa vicenda nessuno aveva pietosamente detto, per non turbarne le giornate affaticate evidentemente, che Berlinguer e Moro erano morti da tempo.
Mi sono permesso di fargli rilevare che forse non sapevano nemmeno che Giacinto Menotti Serrati stesse ormai poco bene. Per chi non lo sapesse, Menotti Serrati è il capo glorioso della frazione massimalista del Psi al congresso di Bologna. Correva l`anno 1918. All`epoca, Rosa Luxemburg era ancora viva, sebbene poveretta, ancora per poco.

Il nostro non voto sul bilancio

  • netSabato 23 Giugno, 2012
  • CORRIERE DEL MEZZOGIORNO – NAPOLI
Sì al bilancio ma il sindaco perde 8 voti Esposito e Iannello, scontro con Vasquez

NAPOLI — La giunta comunale ha ottenuto il via libera dell’aula al primo bilancio di previsione dell’era de Magistris. «Ora siamo più forti», ha detto il sindaco dopo un’estenuante maratona di 27 ore per votare centinaia di emendamenti e ordini del giorno. Contestualmente, però, s’è consumata anche la prima, vera frattura nella maggioranza che sostiene de Magistris con due consiglieri comunali, Iannello ed Esposito di «Napoli è Tua», che sono usciti dall’aula per non votare l’atto. Gesto che si è unito a quello di Carmine Attanasio, pure lui rimasto fuori, che già nei giorni scorsi aveva lasciato IdV per rifondare il gruppo dei Verdi al Comune. Questo mentre il sindaco ha sbottato definendo «cazzate» le cose dette «da alcuni consiglieri». Quali siano, però, esplicitamente non lo ha detto. Sull’affermazione colorita del sindaco è insorto Attanasio, che ha duramente censurato questo atteggiamento del primo cittadino. Il bilancio è stato votato da 27 consiglieri comunali, sindaco compreso. Un numero basso, tanto più se si considera che il bilancio del 2011 «incassò» 35 voti; quindi, in un anno, su quello che è il documento più importante per un Comune — il bilancio — il sindaco ha perso 8 voti. Questo perché il Pd, che pure pareva fosse a un passo dall’entrare in giunta col sindaco, si è astenuto. Stesso discorso ha fatto l’Udc, con Lebro che si è astenuto insieme a Raimondo Pasquino, che, però, da presidente, per prassi non vota mai. Si astenuto pure Ciro Borriello di Sel. Assente in aula Fli. E assente quasi in blocco, ovviamente, pure l’opposizione di centrodestra nella quale il solo Moretto ha votato «no». Ma è quella con Iannello ed Esposito la questione politica che si è consumata ieri e che ha fatto andare in frantumi parte del popolo «arancione». Il capogruppo di «NeT», Vittorio Vasquez, in un documento ha sostenuto che «si tratta di un atto politico che per la sua gravità li ha posti al di fuori della maggioranza che si riconosce nella guida amministrativa del sindaco de Magistris». Ma i due consiglieri non si sentono affatto fuori dalla maggioranza, rivendicano invece il diritto di dissentire su alcune decisioni vista «la necessità — hanno spiegato — di sciogliere nodi politici e vicende che hanno contraddetto il programma elettorale». Nel suo intervento Iannello ha ricordato che «le dimissioni di Narducci hanno posto dei problemi politico-amministrativi». «Narducci — è stato il ragionamento del consigliere di NeT — ha citato fatti amministrativi: il caso Rossi, delibera di giugno per assumere 21 lavoratori; la questione Romeo e Insula antica Dogana. E stiamo parlando di atti amministrativi, non di rapporti personali». Iannello, che ha partecipato alla stesura del programma elettorale del sindaco, ha elencato una lunga lista di cose che non gli sono andate giù: «La coppa America — ha ricordato — ci ha portato anche all’accordo con l’unione industriali, che è stato sancito in una delibera di proposta al consiglio con cui abbiamo consentito all’unione industriali di assumere la presidenza di questa società; poi l’improvvisazione che si può esemplificare con la conferenza stampa per annunciare la vendita dei suoli di Bagnoli in cui si è annunciato contemporaneamente un sito di compostaggio proprio a Bagnoli; la vicenda relativa alla costruzione di un nuovo stadio emarginando del tutto gli uffici competenti, la commissione urbanistica e quindi il consiglio comunale». «Ma ciò che lascia perplessi — ha concluso Iannello — è che in questo primo anno di amministrazione è mancata un’idea di città, o meglio l’idea di città c’è, è contenuta nel programma elettorale, forse non c’è stata la possibilità di perseguire quell’idea, quel disegno complessivo, e si è stati costretti ad andare avanti per progetti scollegati da un filo conduttore». Soddisfatto è invece l’assessore Realfonzo. Per lui, da giorni nel tan tam sul possibile rimpasto in giunta, è stata una prova di resistenza. E non è finita. Perché d’ora in poi il rimpasto terrà banco.

Rudyard Kipling “Lettera al figlio”

Se riesci a mantenere la calma quando tutti intorno a te la stan perdendo e te ne attribuiscono la colpa,
se sai aver fiducia in te stesso quando tutti dubitano di te ed essere indulgente verso chi ti dubita;

se sai aspettare e non stancartene,
e mantenerti retto se la calunnia ti circonda
e non odiare se sei odiato,
senza tuttavia apparire troppo buono né parlare troppo da saggio; se sai sognare senza abbandonarti ai sogni;
se riesci a pensare senza perderti nei pensieri,
se sai affrontare il Successo e la Sconfitta
e trattare questi due impostori nello stesso modo;
se riesci a sopportare di sentire la verità che tu hai detto
distorta da imbroglioni che ne fanno una trappola per gli ingenui;
se sai guardare le cose, per le quali hai dato la vita,
distrutte e riesci a resistere ed a ricostruirle con strumenti logori;
se sai fare un fascio di tutte le tue fortune
e giocarlo in un colpo solo a testa e croce
e sai perdere e ricominciare da capo
senza mai lasciarti sfuggire una parola su quello che hai perso;
se sai costringere il tuo cuore, i tuoi nervi, i tuoi muscoli
a sorreggerti anche quando sono esausti,
e così resistere finchè non vi sia altro in te
oltreché la volontà che dice loro: “Resistete!”;
se riesci a parlare con i disonesti senza perdere la tua onestà,
o ad avvicinare i potenti senza perdere il tuo normale atteggiamento, se nè i nemici né gli amici troppo premurosi possono ferirti,
se per te ogni persona conta, ma nessuno troppo;
se riesci a riempire l’inesorabile minuto
dando valore ad ogni istante che passa:
il mondo e tutto ciò che è in esso sarà tuo,
e, quel che conta di più, tu sarai un Uomo, figlio mio!

Consiglio Comunale del 21/22 giugno 2012 sul bilancio preventivo il mio intervento critico

Ho pensato molto alla mia dichiarazione di voto sul bilancio preventivo e voglio dire subito che non posso votarlo, preannuncio, quindi, la mia uscita dall’aula. Lo dico con amarezza e con grande sofferenza. Sofferenza proporzionata all’entusiasmo che mi ha fatto gridare nelle strade e piazze di Napoli: “contro i poteri forti di questa città vota e fai votare Luigi De Magistris. Diamo un segno di discontinuità”. L’ho gridato con il programma elettorale in mano ed i cittadini hanno premiato Luigi De Magistris perché hanno creduto alla promessa fatta ed all’impegno assunto. Al progetto ci ho creduto, e per me, il patto con gli elettori, è pianamente valido ed efficace, ma restano sul tavolo doppi nodi irrisolti, che attendono di essere sciolti, non con dichiarazioni che fanno riferimento a dispiaceri personali (qui di personale non c’è nulla!) ma con analisi politiche che devono giustificare agli occhi dei cittadini, ed in particolare dei 18.902 elettori della lista civica Napoli è Tua, i perché del caso Rossi, i perché del caso ASIA, i perché del caso Romeo, i perché del caso Narducci, il perché del programma elettorale non si fa più cenno. Ebbene, io credo che il programma elettorale, contrariamente a quanto ritenuto da qualcuno che, evidentemente non ha il coraggio di dichiararlo in pubblico, sia un vincolo morale, prima ancora che politico, se vogliamo che la politica sia qualcosa di diverso da quello che è stata fino ad ora.

Temo che si stia perdendo nell’esperienza napoletana un’occasione storica. La lista civica di cui faccio parte con onore (e per me questo termine non è caduto in disuso), e che dovrebbe costituire la punta più avanzata del nuovo modo di fare politica, deve essere un luogo dove non è consentito ritenere immodificabili distorti rapporti politico/amministrativi per il solo fatto che “vanno avanti da trent’anni”. Questo non è lo spirito di una lista civica composta da liberi cittadini muniti anche di diverse sensibilità che si sono dichiarati pronti a rendere servizio alla propria città al di fuori degli schemi di partito.  I cittadini ci hanno chiesto la discontinuità con il passato e su questo non possiamo transigere. Quello che si è verificato a Napoli, in occasione delle ultime elezioni, è il nascere di un consenso in cittadini che non hanno voluto avere niente a che fare con il vecchio. Pertanto, alle parole “abbiamo scassato” deve seguire gioco forza la ricostruzione non secondo metodi vecchi ma secondo un nuovo modo di partecipazione cittadina alle scelte della città. Il “nuovo” non deve essere la partecipazione vuota – dove l’adesione dei cittadini avviene secondo lo schema proprio del populismo e dell’acclamazione – ma la partecipazione che si realizza attraverso la condivisione della sovranità popolare con i cittadini stessi, sia nell’amministrazione della città sia nella scelta delle donne e degli uomini migliori da mettere alla guida di enti, società ed istituzioni pubbliche secondo il modello anglosassone o cagliaritano per tornare in Italia. Solo così si scassa la casta! La mediazione (a cui spesso si accompagna anche la spartizione) che, secondo qualcuno, è l’attività principale della politica, ha ridotto questo paese alle macerie politiche di cui tutti vediamo i risultati. La ricostruzione deve, quindi, avvenire gioco forza facendo leva sull’applicazione rigorosa dei principi fondamentali, sui quali non si può e non si deve mediare. L’impegno politico per me è tra i doveri, il più alto. Esso è posto al servizio dell’interesse generale, ed in particolare in questo momento storico, con i nostri comportamenti (le parole non bastano più) occorre convincere i cittadini che la politica non è quella cosa deplorevole e sporca da molti irresponsabilmente predicata con gran seguito di opinione pubblica. Oggi più che in ogni altro momento ritengo necessario credere fermamente nei principi fondamentali della democrazia per i quali non conta il dissenso né la diversità di opinione se sono espressione della intima e profonda convinzione di fare l’interesse pubblico. In questo senso lo spirito critico è linfa vitale della vita democratica e ciò ancora di più in una lista civica ove non ci sono ordini di scuderia da attuare acriticamente pena l’espulsione. Ecco oggi sospendo il mio giudizio fino a quando non avrò avuto il richiesto chiarimento che la città attende e, con programma elettorale alla mano, non avrò la certezza della rotta intrapresa.

L’intervento di Carlo Iannello:

http://carloiannello.blogspot.it/2012/06/il-mio-intervento-di-questa-mattina-in.html

Luisa Bossa il Caso Narducci e l’ingresso del PD in Giunta

 

Da La Repubblica Napoli di oggi.

La prospettiva data dall’On.le Luisa Bossa sulle dimissioni di Narducci e sull’errore che farebbe il PD ad entrare nella Giunta del Comune di Napoli

«SCELGO persone che hanno grande autonomia di giudizio, grande capacità politica, grande entusiasmo, passione, competenza». Con queste parole, il sindaco di Napoli, appena un anno fa, presentò la sua giunta comunale.Tra quegli assessori, c`era anche Giuseppe Narducci, un magistrato noto per essere intransigente e rigoroso. A dodici mesi di distanza, il sindaco scopre che Narducci non «ha dato nessun contributo, ha fallito». Lo scopre, guarda caso, subito dopo che il magistrato ha consegnato dimissioni irrevocabili e nette, con parole molto dure su temi fondamentali come legalità, trasparenza, discontinuità con il passato, democrazia intema. La sfuriata di de Magistris contro Narducci, oltre a essere una caduta di stile sorprendente, mi è sembrato un segno di grande debolezza. Se fosse vero che Narducci non ha lavorato bene, de Magistris avrebbe dovuto rimuoverlo, assumendosi la responsabilità di una scelta sbagliata. Invece il sindaco scopre che Narducci ha male operato solo quando questi — in una politica disabituata al gesto nobile delle dimissioni—rinuncia volontariamente al suo incarico e alla sua poltrona. Lo fa prendendo carta e penna, e scrivendo un j`accuse dolente e durissimo, a cui il primo cittadino non risponde nel merito, preferendo la strada della rissa e dell`insulto personale.
L’ obiettivo mi sembra chiaro: alzare una cortina di fumo sul contenuto di quella lettera, che invece va analizzata con molta attenzione. Chi conosce Narducci sa che non si tratta di un uomo sprovveduto, ne di una persona priva di senso della responsabilità, di cautela e rigore. Se il magistrato Narducci arriva a dire una cosa, è perché le ragioni sono serie e ben ponderate.
Ma che cosa dice, nello specifico, l`ex assessore, nel momento in cui rassegna le dimissioni? Fondamentalmente, tre cose. La prima riguarda la cultura della legalità. La seconda, questioni amministrative importanti come il Bilancio, la vicenda Romeo, le assunzioni nell`Asia. La terza, la denuncia di una forte mancanza di democrazia e trasparenza al Comune. Tre vicende su cui è utile che si apra un dibattito vero. Questa volta non basterà, al sindaco alzare un po’ la voce, e intonare qualche slogan, per metterle da parte.
«Ritenevo — scrive Narducci — che Napoli dovesse superare una infausta visione culturale secondo la quale i comportamenti illegali possono essere tollerati e accettati poiché sono comunque regolatori di equilibri del vivere civile e, senza di essi, si apre la strada al disordine sociale». È una frase pesante, che chiama in causa quella discontinuità rispetto al passato che viene invocata dal sindaco a ogni discorso. Certe «dinamiche — sottolinea Narducci — sembrano collocarsi su una linea di assoluta continuità con vecchie logiche del passato, logiche che ritenevo, nella nuova situazione, non potessero più riproporsi. In queste vicende, come però anche in altre di pari rilievo, non sono mancati problemi causati da una inadeguata o insufficiente, quando non del tutto assente, comunicazione di elementi informativi ai membri della giunta, con inevitabili ripercussioni sulla reale ed effettiva condivisione delle scelte nonché sulla stessa ponderatezza delle decisioni assunte». Un deficit, quindi, al tempo stesso, di legalità e democrazia interna. «L`impressione che io ne ricavo — conclude Narducci — è quella dell`affermarsi di un “clima” che appare chiaramente ostile alla libera manifestazione delle idee e delle opinioni dissenzienti».
A un anno dalla vittoria di de Magistris, e della nomina della giunta, mi sembrano parole pesanti, che svelano il volto di un progetto amministrativo con tante contraddizioni, e che interrogano profondamente anche il Pd. Si parla insistentemente, com`è noto, di un ingresso in maggioranza e in giunta di uomini vicini al Partito democratico. Io non sono d`accordo. Il Pd ha perso il primo turno alle elezioni comunali, e deve rispettare il responso del voto.
Restiamo dove siamo, senza incarichi, con le antenne dritte sui bisogni della città. Significa costruire uno spazio di azione politica nel sostegno ai progetti che vanno nell`interesse della comunità, e nella lotta ai nodi irrisolti di un`amministrazione che ama proporsi come innovatrice e che va incalzata su questo terreno senza alcun “consociativismo”. Il caso Narducci ha portato fuori elementi pesanti. A noi il compito di una vigilanza attenta, non pregiudiziale e non allineata. Ne opposizione strumentale ne maggioranza asservita. Mani libere a difesa della città.

Chi scrive è deputata del PD

Consiglio Comunale del 21 giugno 2012 di approvazione del Bilancio Preventivo

Domani il Consiglio Comunale di Napoli è chiamato all’approvazione del bilancio preventivo a cui non è preceduto quello consuntivo. Diciamo che i nodi politici e tecnici sono tanti. Quelli politici sono i temi di cui si è discusso tanto anche negli ultimissimi giorni. Quelli tecnici sono un vero macigno attesa la sentenza della Corte Costituzionale n. 70 del 2012 che fa giustizia e cancella l’uso precedentemente invalso di approvare, nelle amministrazioni pubbliche, bilanci preventivi senza consuntivi. La citata sentenza si riferisce proprio al bilancio della nostra Regione. E’ ovvio che le responsabilità connesse alla approvazione gravano su tutti i consiglieri che votano e per me sono strettamente connesse alla visione politica ed alla condivisione delle scelte amministrative che sono in primis connesse all’attuazione del programma elettorale per cui i cittadini ci hanno dato fiducia. Di seguito la sentenza della Consulta per chi volesse cimentarsi e che fa riferimento al solo aspetto tecnico giuridico della validità dell’atto e non a quello della resposnabilità contabile/erariale connessa.

SENTENZA N. 70

ANNO 2012

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Franco GALLO; Giudici : Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 1, commi da 5 a 9, 5 e 10, comma 2, come integrato dalla nota informativa allegata sub G, della legge della Regione Campania 15 marzo 2011, n. 5 (Bilancio di previsione della Regione Campania per l’anno 2011 e bilancio di previsione per il triennio 2011-2013), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 13 maggio 2011, depositato in cancelleria il 23 maggio 2011 ed iscritto al n. 50 del registro ricorsi 2011.

Visto l’atto di costituzione della Regione Campania;

udito nell’udienza pubblica del 6 marzo 2012 il Giudice relatore Aldo Carosi;

uditi l’avvocato dello Stato Maria Letizia Guida per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Beniamino Caravita di Toritto per la Regione Campania.

Ritenuto in fatto

1. — Con ricorso notificato in data 13 maggio 2011 e depositato nella cancelleria della Corte in data 23 maggio 2011, il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha sollevato, in riferimento agli artt. 81, quarto comma, 117, secondo comma, lettera e), con riguardo alla materia del sistema contabile dello Stato, e 117, terzo comma, della Costituzione, con riguardo ai principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica, questioni di legittimità costituzionale dell’articolo l, commi 5, 6, 7, 8 e 9, nonché dell’art. 5, anche in riferimento alla nota informativa di cui all’art. 10, comma 2, della legge della Regione Campania 15 marzo 2011, n. 5 (Bilancio di previsione della Regione Campania per l’anno 2011 e bilancio di previsione per il triennio 2011-2013), pubblicata nel B.U.R. n. 18 del 16 marzo 2011.

1.1. — L’art. 1, comma 5, autorizza l’iscrizione della somma complessiva di euro 260.000.000,00 nelle seguenti unità previsionali di base (UPB): 1.82.227, denominata «Contributi per concorso nell’ammortamento di mutui» per euro 200.000.000,00 e 1.1.5, denominata «Acquedotti e disinquinamenti» per euro 60.000.000,00. Per la copertura finanziaria è stabilito che si faccia fronte con quota parte del risultato di amministrazione – avanzo di amministrazione a destinazione vincolata.

L’art. 1, comma 6, autorizza l’iscrizione nella UPB 7.28.64, denominata «Fondi di riserva per spese obbligatorie e per il pagamento dei residui passivi colpiti da perenzione amministrativa e reclamati dai creditori», della somma di euro 300.000.000,00 per il pagamento degli impegni di spesa di parte corrente ed in conto capitale regolarmente assunti negli esercizi precedenti, caduti in perenzione alla chiusura dell’esercizio precedente a quello cui si riferisce la legge regionale n. 5 del 2011, e che si prevedeva di pagare nel corso dell’esercizio 2011. Per la copertura finanziaria è stabilito che si faccia fronte con quota parte del risultato di amministrazione – avanzo di amministrazione.

L’art. 1, comma 7, autorizza l’iscrizione nella UPB 6.23.57, denominata «Spese generali, legali, amministrative e diverse», della somma di euro 75.000.000,00 per il pagamento dei debiti fuori bilancio. Per la copertura finanziaria è stabilito che si faccia fronte con quota parte del risultato di amministrazione – avanzo di amministrazione.

L’art. 1, comma 8, autorizza l’iscrizione nella UPB 4.15.38, denominata «Assistenza Sanitaria», della somma di euro 25.000.000,00 per «ricapitalizzazione Aziende sanitarie locali ed Aziende ospedaliere ex art. 2, comma 1, della legge regionale 27 agosto 2002, n. 17 – piano decennale – annualità 2011». Per la copertura finanziaria è previsto che si faccia fronte con quota parte del risultato di amministrazione – avanzo di amministrazione.

L’art. 1, comma 9, autorizza l’iscrizione della somma complessiva di euro 189.000.000,00 così come da elenco allegato sotto la lettera A. Per la copertura finanziaria è previsto che si faccia fronte con quota parte delle economie di cui al precedente comma.

Con riguardo alle predette disposizioni, il Presidente del Consiglio dei ministri deduce che non era stata ancora certificata l’effettiva disponibilità dell’avanzo di amministrazione con l’approvazione del rendiconto per l’esercizio finanziario 2010, così come invece sancito dall’art. 44, comma 3, della legge della Regione Campania 30 aprile 2002, n. 7 (Ordinamento contabile della Regione Campania articolo 34, comma 1, D.Lgs. 28 marzo 2000, n. 76). Per tale ragione, lo stanziamento delle somme di cui alle disposizioni impugnate risulterebbe privo della necessaria copertura finanziaria, in violazione dell’art. 81, quarto comma, Cost. e della competenza legislativa statale in materia di ordinamento contabile dello Stato (art. 117, secondo comma, lettera e, Cost.) e di determinazione dei principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica (art. 117, terzo comma, Cost.).

L’art. 1, comma 6, della predetta legge della Regione Campania n. 5 del 2011 è ulteriormente censurato dal Presidente del Consiglio dei ministri per violazione dell’art. 81, quarto comma, Cost., in quanto si osserva che, a fronte di uno stanziamento, in esso indicato, di euro 300.000.000,00, l’ammontare dei residui perenti al 31 dicembre 2008, ultimo dato ufficiale disponibile, era stato pari a circa euro 3.700.000.000,00. In proposito, sottolinea la ricorrente che l’entità di tale stanziamento non appare improntata a criteri di prudenzialità, in quanto, così come anche sostenuto dalla Corte dei Conti, Sezione delle Autonomie (delibera n. 14/AUT/2006), per apprestare una sufficiente garanzia di assolvimento delle obbligazioni assunte, la dotazione del fondo residui perenti dovrebbe avere una consistenza tale da assicurare un margine di copertura pari al 70% degli stessi.

L’art. 5, commi 1 e 2, della legge della Regione Campania n. 5 del 2011 autorizza il ricorso al mercato finanziario per l’esercizio 2011, nel limite complessivo di euro 58.450.000,00, ai sensi e per gli effetti dei commi 4 e 5 dell’art. 3 e dell’art. 9 della legge della Regione Campania n. 7 del 2002, per la realizzazione di investimenti e per partecipare a società che svolgano attività strumentali rispetto agli obiettivi della programmazione regionale (allegato C). Il Presidente del Consiglio dei ministri censura tale norma per violazione dell’art. 81, quarto comma, Cost., in quanto, non prevedendo essa il dettaglio dei capitoli e delle unità previsionali di base (UPB), non consentirebbe di verificare se la somma derivante dal ricorso al mercato finanziario sia utilizzata effettivamente per finanziare spese di investimento, in conformità con quanto stabilito «dall’art. 3, commi da 16 a 21-bis della legge n. 350 del 2008, convertito nella legge n. 133 del 2008», [recte: dall’art. 3, commi da 16 a 21-bis, della legge 24 dicembre 2003, n. 350 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2004), nonché dall’art. 62 del decreto-legge 23 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, in legge 6 agosto 2008, n. 133], che costituiscono principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica a cui le Regioni devono attenersi.

Riguardo poi al pagamento degli oneri di ammortamento in conto interessi e in conto capitale derivanti dalle operazioni di indebitamento già realizzate dalla Regione (art. 5, comma 4), rileva la difesa erariale che gli stessi non sono quantificati e non vengono neanche indicate le correlate UPB di copertura finanziaria, sia riguardo al bilancio annuale di previsione 2011 che al bilancio pluriennale 2011-2013. Così disponendo, il legislatore regionale violerebbe l’art. 81, quarto comma, Cost., per la mancata copertura finanziaria, nonché l’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., in materia di sistema tributario e contabile dello Stato.

L’art. 10, comma 2, della legge della Regione Campania n. 5 del 2011 prevede come allegato al bilancio, ai sensi degli artt. 58, comma 1, e 62, comma 8, del citato decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, in legge n. 133 del 2008, la nota informativa sugli oneri e gli impegni finanziari derivanti dagli strumenti finanziari derivati o dai contratti di finanziamento che includono una componente derivata sottoscritti dalla Regione.

Osserva il Presidente del Consiglio dei ministri che dalla nota informativa in questione, allegata al bilancio sotto la lettera G, risulta che la Regione Campania ha assunto oneri ed impegni finanziari relativi a strumenti finanziari, anche derivati, per un ammontare stimato per l’esercizio 2011 in complessivi euro 260.000.000,00, di cui euro 200.000.000,00 da indebitamento a tasso fisso ed euro 60.000.000,00 per indebitamento a tasso variabile. Poiché la nota informativa non indica le relative UPB di pertinenza, sostiene il ricorrente che tale spesa deve ritenersi priva di copertura finanziaria in violazione dell’art. 81, quarto comma, Cost., ai sensi del quale ogni legge che importa nuove o maggiori spese deve indicare i mezzi per farvi fronte.

2. — Si è costituita la Regione Campania in data 27 giugno 2011, eccependo l’inammissibilità e l’infondatezza delle prospettate censure.

In seguito, la Regione, con memoria depositata il 14 febbraio 2012, ha illustrato i motivi per i quali ha chiesto che le censure del Governo siano dichiarate infondate.

2.1. — La difesa regionale oppone innanzi tutto di aver iscritto in bilancio l’avanzo di amministrazione presunto secondo criteri di prudenzialità, desunti dai precedenti dati “storici” formalmente accertati dalle leggi di approvazione dei rendiconti, depurati delle economie di spese di cui all’art. 44, comma 1, lettere b), c) ed e), della legge della Regione Campania n. 7 del 2002; dati che attesterebbero nell’ultimo quinquennio la presenza di avanzi molto superiori a quello presunto iscritto nel bilancio di previsione per l’esercizio finanziario 2011.

La Regione Campania evidenzia inoltre che sarebbe imminente la votazione da parte del Consiglio regionale della legge di approvazione del rendiconto generale per l’anno di esercizio 2010 e che i dati che da essa emergono, desumibili già dalla delibera della Giunta regionale 4 ottobre 2011, n. 511 (Approvazione del progetto di rendiconto generale per l’anno 2010 e relativo disegno di legge. Provvedimenti), renderebbero palese l’adeguata consistenza dell’avanzo di amministrazione a copertura delle contestate iscrizioni di risorse per le diverse unità previsionali di base. Più dettagliatamente, essi evidenzierebbero un avanzo di amministrazione al 31 dicembre 2011 ammontante ad euro 1.820.000.000,00.

Osserva ulteriormente la difesa regionale che l’iscrizione in bilancio preventivo dell’avanzo presunto di amministrazione è certamente consentita dall’art. 18, comma 6, della legge della Regione Campania n. 7 del 2002. Come inoltre prevede l’art. 44, comma 2, della medesima legge regionale, con l’approvazione del rendiconto si provvederà poi ad accertare il risultato di amministrazione (avanzo o disavanzo di amministrazione). Conseguentemente, ai sensi dell’art. 29, comma 2, lettera d), della predetta legge regionale n. 7 del 2002, con la legge di assestamento si renderanno definitivi i dati previsti in via presuntiva dalla legge di bilancio, disponendo se del caso le variazioni degli stanziamenti delle unità previsionali di base che risultassero necessarie.

Sarebbe quindi giustificabile un utilizzo, modesto e fortemente contenuto, ed in ogni caso subordinato al suo formale accertamento attraverso l’approvazione del rendiconto generale, dell’avanzo di amministrazione sussistente al 31 dicembre 2010, pensato come misura contabile di supporto per far fronte alle esigenze di spesa più impellenti. Sono richiamate in proposito, in senso conforme, le deliberazioni della Corte dei Conti, Sezione regionale di controllo per la Lombardia, 16 marzo 2011, n. 133 e n. 134.

Con particolare riguardo all’impugnato art. 1, comma 9, che recava l’autorizzazione di varie spese per complessivi euro 189.000.000,00, la difesa regionale osserva che quella previsione era originariamente volta ad assicurare copertura finanziaria a specifici interventi regionali analiticamente dettagliati nel prospetto allegato al bilancio, individuati nell’allegato A della legge della Regione Campania n. 5 del 2011.

Nondimeno, con la successiva legge della Regione Campania 4 agosto 2011, n. 15 (Variazioni al bilancio di previsione per l’anno finanziario 2011), si è proceduto alla soppressione di tale previsione di spesa, come risulterebbe dalla Tabella A allegata a tale legge, che reca una variazione di segno negativo per euro 189.000.000,00, relativa alla UPB di entrata 15.49.90, denominata «avanzo di amministrazione».

2.1.1. — Relativamente all’ulteriore censura rivolta all’art. 1, comma 6, in riferimento all’ammontare del fondo iscritto nel bilancio 2011 per il pagamento dei residui caduti in perenzione amministrativa, stimato dal ricorrente troppo esiguo rispetto a quanto sostenuto dalla Corte dei Conti, Sezione Autonomie, nella delibera n. 141/AUT/2006 (secondo la quale è necessaria la previsione nei bilanci degli Enti di un margine di copertura pari al 70% dei residui caduti in perenzione), la difesa della Regione Campania evidenzia innanzi tutto la mancanza di un’espressa previsione normativa al riguardo. Inoltre, sulla premessa che la previsione in bilancio di risorse destinate alla ricostituzione dei residui passivi perenti non possa che ancorarsi a stime relative all’analisi di dati storici, costituiti dalle richieste di pagamento da parte degli aventi diritto, e quindi ad una razionale e prudente proiezione statistica dei dati medi riscontrati, tale da assicurare una garanzia di assolvimento media, la Regione evidenzia che la somma di euro 300.000,00 stanziata nella UPB 7.28.64, denominata «Fondi di riserva per spese obbligatorie e per il pagamento dei residui passivi colpiti da perenzione amministrativa e reclamati dai creditori», è pienamente in linea con la media dei pagamenti occorsi per tali ragioni negli esercizi precedenti, pari ad euro 279.000.000,00.

2.2. — Relativamente all’impugnativa dell’art. 5 della legge della Regione Campania n. 5 del 2011, nella parte in cui autorizza il ricorso al mercato finanziario per l’esercizio 2011 entro il limite di euro 58.450.000,00 per la realizzazione di investimenti e per partecipare a società che svolgano attività strumentali rispetto agli obiettivi della programmazione regionale, poiché mancherebbe l’indicazione del dettaglio dei capitoli e delle unità previsionali di base, la Regione Campania ritiene che la censura derivi da un evidente equivoco, in quanto nell’allegato C alla impugnata legge è indicata la UPB pertinente e, precisamente, la UPB 22.84.245, denominata «2007/2013 – Fondo unico UE/Stato/Regione per spese di investimento».

2.3. — Parimenti, riguardo al comma 4 dell’art. 5 concernente il pagamento degli oneri di ammortamento in conto interessi ed in conto capitale derivanti dalle operazioni di indebitamento già realizzate dalla Regione, che secondo il Presidente del Consiglio dei ministri integrerebbe la violazione dell’art. 81, quarto comma, Cost., per la mancata copertura finanziaria, nonché dell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., in materia di sistema tributario e contabile dello Stato, in quanto detti oneri non sarebbero quantificati e non verrebbero neanche indicate le correlate UPB di copertura finanziaria, sia riguardo al bilancio di previsione annuale 2011 che al bilancio pluriennale 2011-2013, obbietta la Regione Campania che gli oneri di ammortamento di cui trattasi sono riportati in bilancio, segnatamente, alle pagine 40 e 42, rispettivamente della tabella SPESA – Bilancio annuale a legislazione vigente 2011/2013 e della tabella SPESA – Bilancio pluriennale a legislazione vigente 2011/2013, tabelle che costituiscono parti integranti della legge della Regione Campania n. 5 del 2011 e dalle quali si evincono i suddetti dati (UPB 7.25.46, denominata «Rimborso prestiti e mutui»).

2.4. — Con riguardo, infine, all’ultima questione prospettata con il di ricorso – con cui viene eccepita la violazione dell’art. 81, quarto comma, Cost. in relazione alla nota informativa allegata al bilancio di previsione per l’esercizio 2011 sotto la lettera G, come previsto dall’art. 10, comma 2, della legge della Regione Campania n. 5 del 2011, in quanto tale nota non indicherebbe le UPB di pertinenza, con la conseguenza che la spesa sarebbe priva di copertura finanziaria – osserva la difesa regionale che gli oneri per interessi derivanti dall’indebitamento a tasso fisso, stimati in circa euro 200.000.000, 00 (quinto capoverso della nota informativa di cui all’allegato G), nonché quelli per l’indebitamento a tasso variabile (sesto capoverso della medesima nota), si riferiscono a tutte le posizioni debitorie della Regione Campania.

3. — In conclusione, la Regione Campania chiede preliminarmente che la Corte accordi un rinvio della trattazione già fissata all’udienza pubblica del 6 marzo 2012, al fine di consentire il perfezionamento dell’iter approvativo del rendiconto dell’anno 2010, circostanza che priverebbe di rilevanza concreta le censure di illegittimità costituzionale mosse avverso la legge della Regione Campania n. 5 del 2011.

In subordine, la Regione eccepisce, per le ragioni esposte, l’inammissibilità e l’infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale così come prospettate dallo Stato.

Considerato in diritto

1. — Il Presidente del Consiglio dei ministri ha promosso questioni di legittimità costituzionale degli artt. 1, commi 5, 6, 7, 8 e 9, e 5, anche in riferimento alla nota informativa di cui all’art. 10, comma 2, allegato G, della legge della Regione Campania 15 marzo 2011, n. 5 (Bilancio di previsione della Regione Campania per l’anno 2011 e bilancio di previsione per il triennio 2011-2013), pubblicata nel B.U.R. n. 18 del 16 marzo 2011.

2. — I commi 5, 6, 7, 8 e 9 dell’art. 1 sono stati impugnati in relazione all’art. 81, quarto comma, della Costituzione ed ai principi generali sul sistema contabile dello Stato ricavabili dall’art. 117, secondo comma, lettera e), e terzo comma, Cost., perché dispongono che la copertura finanziaria delle somme iscritte alle UPB 1.82.277, 1.1.15, 7.28.64, 6.23.57 e 4.15.38 ammontanti ad euro 660.000.000,00, nonché l’iscrizione della somma complessiva di euro 189.000.000,00, come da allegato A della legge di bilancio 2011, sia realizzata attraverso l’utilizzazione dell’avanzo di amministrazione dell’esercizio precedente, ancora in pendenza di accertamento per effetto della mancata approvazione del rendiconto 2010.

L’art. 1, comma 6, della predetta legge regionale è ulteriormente censurato dal Presidente del Consiglio dei ministri per violazione dell’art. 81, quarto comma, Cost., in quanto l’entità di tale stanziamento non appare improntata al criterio della prudenza, tenuto conto che l’ammontare dei residui perenti al 31 dicembre 2008, ultimo dato ufficiale disponibile, era pari a circa euro 3.700.000.000,00.

In proposito, viene richiamata la delibera della Corte dei conti, Sezione delle Autonomie, n. 14/AUT/2006, secondo la quale la dotazione del fondo per il pagamento dei residui perenti, per assicurare sufficiente garanzia di assolvimento delle obbligazioni assunte, dovrebbe avere una consistenza pari ad almeno il 70% delle somme cancellate dalle scritture contabili per tale causale.

L’art. l, comma 5, autorizza l’iscrizione della somma complessiva di euro 260.000.000,00 nelle seguenti unità previsionali di base (UPB): 1.82.227, denominata «Contributi per concorso nell’ammortamento di mutui», per euro 200.000.000,00; 1.1.5, denominata «Acquedotti e disinquinamenti», per euro 60.000.000,00. La disposizione prevede altresì che alla copertura finanziaria si faccia fronte con quota parte dell’avanzo di amministrazione a destinazione vincolata. L’art. 1, comma 1, della legge della Regione Campania 6 dicembre 2011, n. 21 (Ulteriori disposizioni urgenti in materia di finanza regionale), ha modificato la copertura del concorso nell’ammortamento mutui, sostituendo il comma 246 dell’art. 1 della legge della Regione Campania 15 marzo 2011, n. 4 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale 2011 e pluriennale 2011-2013 della Regione Campania – legge finanziaria regionale 2011), nel modo seguente: «Nell’ambito della politica regionale finanziata dal fondo per le aree sottoutilizzate (FAS) all’esito dell’approvazione del programma attuativo regionale, ai sensi della Del. n. 166 del 2007, come modificata dalla Del. n. 1 del 2009, ed alla piena disponibilità delle risorse programmate, sono stanziate, per il triennio 2011-2013, risorse finanziarie, pari ad euro 200.000.000,00 per ogni annualità, per complessivi euro 600.000.000,00, per provvedere al pagamento dei contributi sui mutui contratti entro il 31 dicembre 2010 da Enti locali per la realizzazione di opere pubbliche, ai sensi della legge regionale 31 ottobre 1978, n. 51 (Normativa regionale per la programmazione, il finanziamento e la esecuzione di lavori pubblici e di opere di pubblico interesse, snellimento delle procedure amministrative, deleghe e attribuzioni agli Enti locali), della legge regionale 12 dicembre 1979, n. 42 (Interventi regionali per la costruzione, l’ampliamento, il miglioramento, il completamento e l’acquisto di impianti e attrezzature sportive per la promozione e la diffusione della pratica sportiva), della legge regionale 6 maggio 1985, n. 50 (Contributo della Regione per opere di edilizia scolastica) e della legge regionale 27 febbraio 2007, n. 3 (Disciplina dei lavori pubblici, dei servizi e delle forniture in Campania). La UPB 1.1.1. è incrementata di euro 1.100.000,00 per fronteggiare la grave situazione di dissesto idraulico idrogeologico che interessa il territorio regionale di cui euro 550.000,00 destinati al consorzio di bonifica Destra fiume Sele».

L’art. 1, comma 2, della citata legge della Regione Campania n. 21 del 2011 ha inoltre sostituito l’art. 1, comma 5, della legge della Regione Campania n. 5 del 2011, che ha conseguentemente assunto il seguente tenore: «È autorizzata l’iscrizione della somma di euro 60.000.000,00 nella UPB 1.1.5 denominata “Acquedotti e disinquinamenti”. Per la copertura finanziaria si fa fronte con quota parte del risultato di amministrazione – avanzo di amministrazione a destinazione vincolata proveniente dalle risorse liberate dal POR 2000/2006».

L’art. 1, comma 6, autorizza l’iscrizione nella UPB 7.28.64, denominata «Fondi di riserva per spese obbligatorie e per il pagamento dei residui passivi colpiti da perenzione amministrativa e reclamati dai creditori», della somma di euro 300.000.000,00 per il pagamento degli impegni di spesa di parte corrente ed in conto capitale regolarmente assunti, ma caduti in perenzione alla chiusura dell’esercizio precedente.

L’art. 1, comma 7, autorizza l’iscrizione nella UPB 6.23.57, denominata «Spese generali, legali, amministrative e diverse», della somma di euro 75.000.000,00 destinata al pagamento dei debiti fuori bilancio. La norma è stata modificata dall’art. 1, comma 5, della legge della Regione Campania 4 agosto 2011, n. 14 (Disposizioni urgenti in materia di finanza regionale), il quale ha statuito che «Le autorizzazioni di spesa di cui al bilancio per l’esercizio finanziario 2011, approvato con legge regionale 15 marzo 2011, n. 5 (Bilancio di previsione della Regione Campania per l’anno 2011 e bilancio di previsione per il triennio 2011-2013), sono ridotte in termini di competenza e cassa per complessivi euro 18.267.000,00, così come dettagliatamente indicato nell’allegato A».

In tale tabella, per effetto del rinvio operato dalla norma, sono state modificate alcune autorizzazioni di spesa, tra cui quella relativa alla predetta UPB, diminuita di euro 780.000,00 rispetto allo stanziamento iniziale.

L’art. 1, comma 8, autorizza l’iscrizione nella UPB 4.15.38, denominata «Assistenza Sanitaria», della somma di euro 25.000.000,00 per ricapitalizzazione Aziende Sanitarie Locali ed Aziende Ospedaliere ex art. 2, comma 1, della legge della Regione Campania 27 agosto 2002, n. 17 (Provvedimenti urgenti per la copertura dei disavanzi delle aziende sanitarie per l’anno 2001) – piano decennale – annualità 2011. La norma è stata modificata dall’art. 1, comma 5, della legge della Regione Campania n. 14 del 2011, il quale, attraverso il medesimo meccanismo normativo descritto con riguardo al precedente comma 7, ha modificato l’autorizzazione di spesa, di cui alla predetta UPB, riducendola di euro 1.690.000,00 rispetto allo stanziamento originario.

L’art. 1, comma 9, autorizza l’iscrizione della somma complessiva di euro 189.000.000,00 come da elenco allegato sotto la lettera A (detta tabella contempla una serie analitica di spese, di cui euro 177.373.313,39 destinate a spese correnti e obbligatorie), prevedendo che la copertura finanziaria sia assicurata con quota parte delle economie di cui al precedente comma. L’art. 1 della legge della Regione Campania 4 agosto 2011, n. 15 (Variazioni al bilancio di previsione per l’anno finanziario 2011), ha introdotto modificazioni nello stato di previsione dell’entrata, disponendo (tabella A, colonna competenza) la riduzione della UPB 15.49.90 – parte entrata – denominata «Avanzo di amministrazione», per euro 189.000.000,00.

2.1. — Le censure rivolte all’art. 1, commi 6, 7, 8 e 9, della legge regionale n. 5 del 2011 in relazione all’impiego dell’avanzo di amministrazione 2010 al bilancio 2011 sono fondate.

Non è infatti conforme ai precetti dell’art. 81, quarto comma, Cost. realizzare il pareggio di bilancio in sede preventiva attraverso la contabilizzazione di un avanzo di amministrazione non accertato e verificato a seguito della procedura di approvazione del bilancio consuntivo dell’esercizio precedente.

Neppure l’effetto delle nuove norme regionali sulle disposizioni impugnate è riuscito a sanare il vizio originario. Le norme modificative dei commi 7 e 8 hanno ridotto gli stanziamenti iniziali coperti con l’avanzo di amministrazione: quindi hanno diminuito l’entità complessiva delle poste prive di copertura, lasciando tuttavia inalterato il problema che ha dato luogo all’impugnazione del Presidente del Consiglio dei ministri.

Analogamente, la modifica introdotta dall’art. 1 della legge della Regione Campania n. 15 del 2011, ha aggravato la contraddittorietà dell’art. 1, comma 9, della legge impugnata. La norma originaria traeva la copertura della spesa di euro 189.000.000,00 dalle economie di spesa del comma precedente, il quale prevedeva uno stanziamento complessivo di euro 25.000.000,00 palesemente inferiore alla spesa programmata. La modifica intervenuta ha ridotto di pari importo l’avanzo di amministrazione presunto, lasciando immutato il comma 9 e l’allegato sub A comprendente l’originaria serie di spese, in ordine alle quali la mancata copertura permane con maggiore evidenza rispetto alla precedente situazione. Peraltro, nell’allegato A sono presenti in percentuale preponderante spese correnti ed obbligatorie (ivi comprese quelle di personale) le quali – per loro intrinseca natura – vengono attivate fin dall’inizio dell’esercizio finanziario.

La legge della Regione Campania n. 7 del 2002 stabilisce all’art. 44, commi 2 e 3, che «2. Il risultato di amministrazione è accertato con l’approvazione del rendiconto e può consistere in un avanzo o in un disavanzo di amministrazione. Esso è pari al fondo di cassa aumentato dei residui attivi e diminuito dei residui passivi. 3. L’utilizzo dell’avanzo di amministrazione può avvenire soltanto quando ne sia dimostrata l’effettiva disponibilità con l’approvazione del rendiconto dell’anno precedente»

L’art. 187, comma 3, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali), richiamato in via analogica anche dalla difesa della Regione resistente, prescrive che «Nel corso dell’esercizio al bilancio di previsione può essere applicato, con delibera di variazione, l’avanzo di amministrazione presunto derivante dall’esercizio immediatamente precedente con la finalizzazione di cui alle lettere a), b) e c) del comma 2. Per tali fondi l’attivazione delle spese può avvenire solo dopo l’approvazione del conto consuntivo dell’esercizio precedente, con eccezione dei fondi, contenuti nell’avanzo, aventi specifica destinazione e derivanti da accantonamenti effettuati con l’ultimo consuntivo approvato, i quali possono essere immediatamente attivati».

Entrambe le norme sono dunque preclusive della soluzione legislativa impugnata dal Presidente del Consiglio dei ministri. Quel che è più importante, esse sono strettamente collegate ai principi costituzionali della corretta copertura della spesa e della tutela degli equilibri di bilancio, consacrati nell’art. 81, quarto comma, Cost.

In altre parole, anche se la regola violata dalla Regione nel caso di specie non fosse codificata nella pertinente legislazione di settore, l’obbligo di copertura avrebbe dovuto essere osservato, attraverso la previa verifica di disponibilità delle risorse impiegate, per assicurare il tendenziale equilibrio tra entrate ed uscite. È costante orientamento di questa Corte, in relazione al parametro dell’art. 81, quarto comma, Cost., che la copertura deve essere credibile, sufficientemente sicura, non arbitraria o irrazionale (sentenze n. 106 del 2011, n. 68 del 2011, n. 141 e n. 100 del 2010, n. 213 del 2008, n. 384 del 1991 e n. 1 del 1966).

Nella memoria e nella discussione orale la Regione resistente ha sostenuto che l’avanzo di amministrazione, ancorché non accertato attraverso l’approvazione del rendiconto, risulterebbe del tutto attendibile, in considerazione della serie storica dei risultati di amministrazione, la quale sarebbe costante nella prevalenza delle attività sulle passività. Ciò anche alla luce della rilevante massa di residui attivi presenti nel progetto di bilancio consuntivo redatto dalla Giunta, ma non ancora approvato dal Consiglio. In particolare, la Regione ha posto l’attenzione sui diversi concetti di iscrizione ed utilizzazione dell’avanzo presunto di amministrazione, sostenendo che, nel caso di specie, si verterebbe nella prima ipotesi, la quale sarebbe consentita dall’ordinamento contabile regionale (art. 18, comma 6, della legge regionale n. 7 del 2002). A differenza dell’utilizzazione, l’iscrizione costituirebbe un dato puramente formale, improduttivo di effetti giuridici negativi per l’equilibrio del bilancio.

Le considerazioni esposte non sono fondate, né con riguardo alla pretesa di ritenere legittimo il pareggio del bilancio preventivo attraverso l’applicazione di un avanzo così stimato, né con riguardo all’invocata solidità storica del bilancio regionale.

Nell’ordinamento finanziario delle amministrazioni pubbliche i principi del pareggio e dell’equilibrio tendenziale fissati nell’art. 81, quarto comma, Cost. si realizzano attraverso due regole, una statica e l’altra dinamica: la prima consiste nella parificazione delle previsioni di entrata e spesa; la seconda, fondata sul carattere autorizzatorio del bilancio preventivo, non consente di superare in corso di esercizio gli stanziamenti dallo stesso consentiti. La loro combinazione protegge l’equilibrio tendenziale in corso di esercizio a condizione che le pertinenti risorse correlate siano effettive e congruenti.

La Regione Campania, calcolando nella quantificazione preventiva un avanzo presunto ed – in quanto tale – giuridicamente inesistente, ha ampliato in modo illegittimo il ventaglio di spesa autorizzata attraverso l’iscrizione delle partite previste nell’art. 1, commi 6, 7, 8 e 9. Né in contrario può addursi – come fa la Regione resistente – la disposizione contenuta nell’art. 18, comma 6, della legge regionale n. 7 del 2002, la quale, prevedendo che «Tra le entrate o le spese di cui alla lettera b) del comma 3 è iscritto il presunto avanzo o disavanzo di amministrazione, calcolato senza tener conto delle somme di cui al comma 5», non fa altro che ribadire il carattere formale dell’eventuale iscrizione dell’avanzo presunto di amministrazione, per sua natura inidoneo a legittimare autorizzazioni di spesa fino all’approvazione in sede di rendiconto. Una diversa interpretazione, ancorché logicamente incompatibile col già citato disposto dell’art. 44, comma 3, della stessa legge regionale, la renderebbe costituzionalmente illegittima per evidente contrasto col principio di equilibrio del bilancio contenuto nell’art. 81, quarto comma, Cost.

È bene altresì ricordare che l’avanzo di amministrazione costituisce una specie della più ampia categoria del risultato di amministrazione, il quale – per effetto della somma algebrica tra residui attivi, passivi e fondo di cassa – può avere quale esito l’avanzo, il disavanzo o il pareggio.

Il risultato non ancora riconosciuto attraverso l’approvazione del rendiconto dell’anno precedente viene denominato, secondo la prassi contabile, “risultato presunto”. Esso consiste in una stima provvisoria, priva di valore giuridico ai fini delle corrispondenti autorizzazioni di spesa.

Nessuna spesa può essere accesa in poste di bilancio correlate ad un avanzo presunto, se non quella finanziata da fondi vincolati e regolarmente stanziati nell’esercizio precedente. Il risultato di amministrazione presunto, che a sua volta può concretarsi nella stima di un avanzo, di un pareggio o di un disavanzo, consiste in una previsione ragionevole e prudente, formulata in base alla chiusura dei conti intervenuta al 31 dicembre, del definitivo esito contabile, il quale sarà stabilizzato solo in sede di approvazione del rendiconto.

Il suo ausilio in sede di impianto e gestione del bilancio di previsione – la fisiologia contabile è nel senso dell’iscrivibilità solo in corso di gestione, perché il termine per l’approvazione del bilancio di previsione è antecedente a quello di chiusura dell’esercizio precedente; tuttavia, nel caso in esame, la legge regionale di approvazione è intervenuta ad anno inoltrato – è soprattutto quello di ripristinare tempestivamente gli equilibri di bilancio nel caso di disavanzo presunto, attraverso l’applicazione del pertinente valore negativo al bilancio in corso ed il prudenziale correlato accantonamento di risorse indispensabili nel caso in cui il rendiconto palesi successivamente, ad esercizio inoltrato, un risultato negativo certo e più difficile da correggere nel residuo arco temporale annuale a disposizione.

In buona sostanza, mentre la corretta pratica contabile prescrive un atteggiamento tempestivo e prudenziale nei confronti del disavanzo presunto, il legislatore vieta tassativamente l’utilizzazione dell’avanzo presunto per costruire gli equilibri del bilancio, in quanto entità economica di incerta realizzazione e, per ciò stesso, produttiva di rischi per la sana gestione finanziaria dell’ente pubblico.

Nel caso in esame, peraltro, la situazione di pregiudizio per gli equilibri di bilancio viene aggravata dalla natura corrente e/o obbligatoria delle spese coperte con l’avanzo di amministrazione presunto. Detta categoria di passività è caratterizzata, per sua intrinseca natura, dalla doverosità e dalla scadenza obbligatoria dei pertinenti esborsi, assolutamente irriducibili ai tempi ed all’alea della procedura di verifica ed approvazione dell’avanzo di amministrazione.

La disciplina giuridicamente e temporalmente incomprimibile delle obbligazioni passive correlate alle impugnate disposizioni autorizzatorie della spesa contrasta in radice la tesi regionale della semplice iscrizione dell’avanzo, improduttiva di effetti giuridici.

Anche l’invocata solidità storica del bilancio regionale non può essere condivisa.

In relazione ai termini con cui la questione viene prospettata, occorre considerare, in direzione argomentativa opposta a quella della Regione resistente, che la Corte conti, Sezione regionale della Campania – nell’esercizio della funzione di controllo sul rendiconto generale della Regione per l’esercizio finanziario 2008 – ultimo rendiconto approvato alla data di approvazione del bilancio 2011 – ha avuto modo di accertare (delibera n. 245 del 2011) rilevanti criticità nella struttura e nell’equilibrio della situazione economico finanziaria della Regione stessa. Esse possono essere così riassunte: mancata imputazione delle risorse affluite nei conti di tesoreria, ivi conservate per lunghi periodi sì da pregiudicare il regolare accertamento delle pertinenti entrate; “superfetazione” di residui attivi e passivi attraverso un anomalo passaggio nelle partite di giro di somme per molto tempo in attesa di definitiva imputazione; mantenimento di un ingente volume di residui attivi, a fronte dei quali non esiste il correlato credito per effetto della già avvenuta riscossione nelle contabilità speciali.

L’analisi puntuale della Sezione regionale campana della Corte dei conti in ordine alla precarietà degli equilibri del bilancio consuntivo campano, unitamente al rilievo che la Regione risulta tuttora interessata agli obblighi del piano di rientro sanitario, la cui disciplina presuppone la deficitarietà strutturale di un settore di spesa il quale rappresenta una percentuale preponderante delle uscite regionali, contesta – anche sotto il profilo fattuale – la tesi difensiva della Regione Campania.

2.2. — In relazione all’insufficiente stanziamento del fondo per il pagamento dei residui perenti, la difesa della Regione ritiene inconferente il parametro indicato nel ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri per censurare la dimensione percentuale dello stanziamento destinato a fronteggiare i residui perenti rispetto al complesso delle scritture di tale natura eliminate dal bilancio consuntivo. Una pronuncia in sede di controllo della Corte dei conti (Sezione delle Autonomie – delibera n. 14/AUT/2006) non potrebbe infatti costituire riferimento normativo nel giudizio di legittimità costituzionale.

Quanto all’attendibilità della stima contenuta nel bilancio di previsione 2011, la Regione produce una serie di riferimenti storici inerenti ai pagamenti dei residui perenti, dai quali emerge che lo stanziamento di euro 300.000.000,00 si colloca in una fascia mediana rispetto a detti valori. Questo confermerebbe un comportamento diligente e prudenziale nel definire detta partita di spesa.

Infine, viene richiamata la legge della Regione Campania 27 gennaio 2012, n. 2 (Bilancio di previsione della Regione Campania per l’anno 2012 e Bilancio pluriennale per il triennio 2012-2014), nella quale il pertinente stanziamento sarebbe elevato ad euro 500.000.000,00, a dimostrazione della volontà della Regione di attenersi ai canoni di sana gestione finanziaria proposti dalla Corte dei conti.

L’assunto della difesa regionale non può essere condiviso. La perenzione amministrativa – come è noto – consiste nell’eliminazione dalla contabilità finanziaria dei residui passivi non smaltiti, decorso un breve arco temporale dall’esercizio in cui è stato assunto il relativo impegno. Essa, fino alla decorrenza dei termini per la prescrizione, non produce però alcun effetto sul diritto del creditore, la cui posizione è assolutamente intangibile da parte dei procedimenti contabili. Per questo motivo l’amministrazione debitrice deve essere sempre pronta a pagare secondo i fisiologici andamenti dell’obbligazione passiva: le somme eliminate, ma correlate a rapporti obbligatori non quiescenti, devono quindi essere reiscritte nell’esercizio successivo a quello in cui è maturata la perenzione per onorare i debiti alle relative scadenze.

L’indefettibile principio di conservazione delle risorse necessarie per onorare il debito della pubblica amministrazione si è di recente accentuato attraverso una più rigorosa disciplina dei tempi di adempimento da parte di quest’ultima (tra i provvedimenti legislativi sollecitatori è opportuno richiamare il decreto legislativo 9 ottobre 2002, n. 231, recante «Attuazione della direttiva 2000/35/CE relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali» e la direttiva 16 febbraio 2011, n. 2011/7/UE, recante «Direttiva del parlamento europeo e del Consiglio relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nella transazioni commerciali (rifusione) (Testo rilevante ai fini del SEE)».

Non può essere condivisa l’opinione della Regione resistente, la quale ricava dall’assenza di una precisa disposizione in tema di rapporti tra residui perenti e risorse destinate alla loro reiscrizione l’assoluta irrilevanza della censura formulata dal Presidente del Consiglio dei ministri.

Caratteristica fondamentale del bilancio di previsione è quella di riferirsi alle operazioni ipotizzate nell’esercizio di riferimento, le quali – proprio in base al principio costituzionale dell’equilibrio tendenziale tra spese ed entrate di cui all’art. 81, quarto comma, Cost. – dovrebbero compensarsi nel confronto tra attività e passività.

Poiché dette operazioni compensative sono collegate – nel caso dei residui perenti – a rapporti obbligatori passivi già strutturati, è di tutta evidenza che una percentuale di copertura così bassa tra risorse destinate alle reiscrizioni e somme afferenti ad obbligazioni passive pregresse orienta la futura gestione del bilancio verso un inevitabile squilibrio.

Neppure convincono i dati storici presentati dalla difesa della resistente circa i pagamenti in conto residui perenti degli anni precedenti: essi non garantiscono affatto l’avvenuta soddisfazione di tutti i creditori scaduti, i quali nei bilanci consuntivi degli anni precedenti sono stimati in misura notevolmente superiore.

Quanto al richiamato aumento dello stanziamento specifico nel bilancio di previsione 2012, l’argomento è inconferente in quanto riferito ad un esercizio successivo, condizionato da scadenze obbligatorie temporalmente differenziate. Questa Corte ha già avuto modo di ricordare che l’obbligo di copertura deve essere osservato con puntualità rigorosa nei confronti delle spese incidenti sull’esercizio in corso e che deve essere perseguito il tendenziale equilibrio tra entrate ed uscite, valutando gli oneri gravanti sui pertinenti diversi esercizi (sentenze n. 384 del 1991 e n. 1 del 1966).

2.3. — La questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 5, è fondata con riguardo sia alla denunciata formulazione originaria sia a quella risultante dalle modifiche apportate dal comma 2 dell’art. 1 della legge della Regione Campania n. 21 del 2011. In particolare, detto ius superveniens presenta gli stessi vizi censurati nel ricorso dello Stato e, pertanto, in forza del principio di effettività della tutela costituzionale delle parti nel giudizio in via di azione (ex plurimis, sentenza n. 40 del 2010), deve essere assoggettato a scrutinio e dichiarato costituzionalmente illegittimo.

La fattispecie dell’art. 1, comma 5, è diversa da quella degli altri commi impugnati: viene infatti invocato dal legislatore campano un vincolo di destinazione sia delle somme originariamente stanziate sia di quelle risultanti dalla precitata novella intervenuta nel dicembre 2011.

È necessario premettere che i vincoli di destinazione delle risorse confluenti a fine esercizio nel risultato di amministrazione permangono anche se quest’ultimo non è capiente a sufficienza o è negativo: in questi casi l’ente deve ottemperare a tali vincoli attraverso il reperimento delle risorse necessarie per finanziarie gli obiettivi, cui sono dirette le entrate vincolate rifluite nel risultato di amministrazione negativo o incapiente.

A ben vedere, questa eccezione non è riconducibile alla ratio intrinseca dell’istituto del risultato presunto (la cui disciplina è preordinata piuttosto alla prudente cautela nella gestione delle uscite), bensì alla clausola generale in materia contabile che garantisce l’esatto impiego delle risorse stanziate per specifiche finalità di legge.

Ferma restando questa regola eccezionale in ordine alla utilizzazione dell’avanzo di amministrazione presunto vincolato, la legge di approvazione del bilancio di previsione e le note a corredo dello stesso devono tuttavia individuare con esattezza le ragioni normative dei fondi vincolati, nel rispetto dei principi di chiarezza e di verificabilità dell’informazione.

Come è stato sottolineato anche dalla Corte dei conti, Sezione regionale della Campania, nella richiamata relazione al rendiconto 2008, la Regione non ha mai compilato l’apposito allegato al bilancio previsto dall’art. 18, comma 11, lettera a), della legge regionale di contabilità n. 7 del 2002 per il confronto tra entrate e spese a destinazione vincolata il quale, invece, deve costituire un indefettibile strumento di controllo per la costruzione dell’equilibrio del bilancio. All’assenza della nota prevista dalla legge di contabilità regionale si accompagna il silenzio della Regione circa i presupposti normativi dell’utilizzazione in deroga al principio generale del previo accertamento del risultato di amministrazione complessivo.

Con riguardo alla spesa in esame, non è possibile dunque ricavare da alcuna fonte informativa gli estremi delle disposizioni inerenti allo specifico vincolo di cui alla somma di euro 60.000.000,00 destinata ad acquedotti e disinquinamento, essendo stato inserito nella modifica intervenuta nel dicembre 2011 un semplice riferimento al programma operativo regionale (POR) 2000-2006. Peraltro, alcuni elementi sintomatici in senso contrario all’esistenza del vincolo si possono ricavare sia dalla tipologia delle spese finanziate con detto avanzo sia dalle osservazioni formulate dalla Corte dei conti nella relazione sul rendiconto 2008.

L’art. 1, comma 5, della legge regionale n. 5 del 2011 dispone: «è autorizzata l’iscrizione della somma complessiva di euro 260.000.000,00 nelle seguenti unità previsionali di base (UPB): 1.82.227 denominata ‘Contributi per concorso nell’ammortamento di mutui’ per euro 200.000.000,00 e 1.1.5 denominata ‘Acquedotti e disinquinamenti’ per euro 60.000.000,00. Per la copertura finanziaria si farà fronte con quota parte del risultato di amministrazione – avanzo di amministrazione a destinazione vincolata».

La norma in questione ha subito modificazioni dirette e indirette per effetto della successiva legge della Regione Campania n. 21 del 2011, il cui art. 1, commi 1 e 2, recita: «1. Il comma 246 dell’articolo 1 della legge regionale 15 marzo 2011, n. 4 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale 2011 e pluriennale 2011 – 2013 della Regione Campania – Legge finanziaria regionale 2011), è sostituito dal seguente: “246. Nell’ambito della politica regionale finanziata dal fondo per le aree sottoutilizzate (FAS) all’esito dell’approvazione del programma attuativo regionale, ai sensi della delibera CIPE n. 166 del 2007, come modificata dalla delibera CIPE n. 1 del 2009, ed alla piena disponibilità delle risorse programmate, sono stanziate, per il triennio 2011-2013, risorse finanziarie, pari ad euro 200.000.000,00 per ogni annualità, per complessivi euro 600.000.000,00, per provvedere al pagamento dei contributi sui mutui contratti entro il 31 dicembre 2010 da Enti locali per la realizzazione di opere pubbliche, ai sensi della legge regionale 31 ottobre 1978, n. 51 (Normativa regionale per la programmazione, il finanziamento e la esecuzione di lavori pubblici e di opere di pubblico interesse, snellimento delle procedure amministrative, deleghe e attribuzioni agli Enti locali), della legge regionale 12 dicembre 1979, n. 42 (Interventi regionali per la costruzione, l’ampliamento, il miglioramento, il completamento e l’acquisto di impianti e attrezzature sportive per la promozione e la diffusione della pratica sportiva), della legge regionale 6 maggio 1985, n. 50 (Contributo della Regione per opere di edilizia scolastica) e della legge regionale 27 febbraio 2007, n. 3 (Disciplina dei lavori pubblici, dei servizi e delle forniture in Campania). La UPB 1.1.1 è incrementata di euro 1.100.000,00 per fronteggiare la grave situazione di dissesto idraulico idrogeologico che interessa il territorio regionale di cui euro 550.000,00 destinati al consorzio di bonifica Destra fiume Sele. 2. Il comma 5 dell’articolo 1 della legge regionale 15 marzo 2011, n. 5 (Bilancio di previsione della Regione Campania per l’anno 2011 e bilancio di previsione per il triennio 2011-2013), è sostituito dal seguente: “5. E’ autorizzata l’iscrizione della somma di euro 60.000.000,00 nella UPB 1.1.5 denominata “Acquedotti e disinquinamenti”. Per la copertura finanziaria si fa fronte con quota parte del risultato di amministrazione – avanzo di amministrazione a destinazione vincolata proveniente dalle risorse liberate dal POR 2000/2006».

Il primo comma mira ad assicurare alla prima tipologia di spesa una nuova copertura, mentre il secondo aggiunge al precedente generico richiamo del vincolo un semplice riferimento al POR 2000-2006.

Il POR è – come noto – un programma operativo regionale, il quale definisce obiettivi specifici all’interno di “assi” prioritari su base pluriennale, per realizzare i quali è consentito far ricorso a fondi strutturali dell’Unione Europea. Nell’arco di programmazione 2000-2006 (scadente di regola nel 2008) il POR Campania avrebbe dovuto raggiungere obiettivi di sviluppo, adeguamento strutturale, riconversione socioeconomica ed ammodernamento di sistemi di istruzione, formazione e occupazione. Nella norma impugnata e in quella modificativa non v’è alcun riferimento, né all’eventuale proroga afferente all’utilizzazione dei fondi 2000-2006, né al preteso rapporto di specie tra le partite di spesa inserite nella UPB 1.1.5 ed il contenuto del vincolo normativo alla utilizzazione dei fondi. Anzi, alcune tipologie di spesa di natura corrente ed obbligatoria, comprese nel dettaglio della predetta UPB, appaiono connotate da obiettivi elementi di incompatibilità con l’esecuzione di un progetto finalizzato.

Elementi indiretti di conferma circa l’insussistenza del vincolo si ricavano anche dalla menzionata relazione al rendiconto del 2008 della Corte dei conti, Sezione regionale della Campania, ove viene censurata l’eccessiva frequenza di fenomeni di utilizzazione diversa dal pertinente scopo di fondi vincolati, poiché questa prassi espone la Regione al rischio di non poter più ricostituire i mezzi necessari a fronteggiare le finalità di legge correlate ai fondi stessi.

Anche l’art. 1, comma 2, della legge regionale n. 21 del 2011 viola dunque il principio della copertura per omessa indicazione del vincolo normativo, che legittimerebbe la deroga al divieto di utilizzazione dell’avanzo di amministrazione presunto. Conseguentemente esso produce gli stessi effetti della norma originaria.

Dalla dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 5, comma 1, deriva, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), l’illegittimità costituzionale del comma 1 dell’art. 1 di detta legge reg. Campania n. 21 del 2011, il quale, pur non incidendo direttamente sul comma 1 dell’art. 5, ne costituisce modificazione non testuale. Tale comma 1 dell’art. 1 della legge reg. Campania n. 21 del 2011 è finalizzato a sanare – al termine dell’esercizio 2011 – la copertura della spesa inerente al pagamento dei contributi sui mutui contratti entro il 31 dicembre 2010 da enti locali per la realizzazione di opere pubbliche. È evidente che per sua intrinseca natura detta spesa ha avuto già attuazione prima della novella regionale del dicembre 2011 e, per questo motivo, anche la nuova norma non appare satisfattiva del principio di copertura di cui all’art. 81, quarto comma, Cost. Peraltro, per la destinazione vincolata del fondo per le aree sottoutilizzate (FAS) si presenta analogo problema rispetto al POR, dal momento che lo stesso è uno strumento di finanziamento statale per le aree sottoutilizzate del Paese, attraverso raccolta di risorse aggiuntive da sommarsi a quelle ordinarie ed a quelle comunitarie e nazionali di cofinanziamento. Esso per sua natura ha quindi una finalità strategica e innovativa che – in assenza di apposita norma di riferimento – non appare congruente con la destinazione alla copertura di piani di ammortamento inerenti a prestiti degli enti locali già perfezionati alla data del 31 dicembre 2010 e quindi correlati ad iniziative già avviate antecedentemente alla legge della Regione Campania n. 21 del 2011.

3. — L’art. 5 è stato censurato, in riferimento agli artt. 81, quarto comma, 117, secondo comma, lettera e), e terzo comma, Cost., nella parte in cui autorizza il ricorso al mercato finanziario per l’esercizio 2011, entro il limite di euro 58.450.000,00, per la realizzazione di investimenti e per partecipare a società che svolgano attività strumentali rispetto agli obiettivi della programmazione, nonché per il pagamento degli oneri di ammortamento in conto interessi ed in conto capitale derivanti dalle operazioni di indebitamento già realizzate.

Secondo il ricorrente tale norma, non contenendo il dettaglio dei capitoli e delle unità previsionali di base (UPB), non consentirebbe di verificare se la somma derivante dal ricorso al mercato finanziario sia utilizzata effettivamente per spese di investimento e per questo sarebbe in contrasto con «l’art. 3, commi 16-21-bis, della legge statale n. 350/2003, convertito nella legge n. 133/2008, che costituiscono norme di principio di coordinamento della finanza pubblica a cui le regioni devono attenersi».

La relazione tecnica del Ministro per i rapporti con le regioni e per la coesione territoriale, assunta a supporto istruttorio della decisione del Consiglio dei Ministri, individua più correttamente il parametro interposto nell’art. 3, commi da 16 a 21-bis, della legge 24 dicembre 2003, n. 350 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2004), nonché nell’art. 62 del decreto-legge 23 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, in legge 6 agosto 2008, n. 133.

Per quel che concerne il pagamento degli oneri di ammortamento in conto interessi ed in conto capitale derivanti dalle operazioni di indebitamento già realizzate, il Presidente del Consiglio dei ministri si duole che gli stessi non siano quantificati e non vengano neanche indicate le correlate UPB di copertura finanziaria, sia in relazione al bilancio di previsione annuale 2011 che al bilancio pluriennale 2011-2013. Così disponendo, il legislatore regionale violerebbe non solo il principio di copertura di cui all’art. 81, quarto comma, Cost., ma anche l’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., in materia di sistema tributario e contabile.

La difesa della Regione eccepisce la manifesta infondatezza della questione, dal momento che la norma non disciplina oneri di ammortamento di prestiti già perfezionati.

L’art. 5 è poi censurato in correlazione all’art. 10, comma 2, ed al pertinente allegato G, ove è allocata la nota informativa che evidenzia gli oneri e gli impegni scaturenti da contratti relativi a strumenti finanziari derivati e da contratti di finanziamento comprendenti una componente derivata, secondo quanto previsto dall’art. 62, comma 8, del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito in legge n. 133 del 2008, come integrato dall’articolo 3, comma 1, della legge 22 dicembre 2008, n. 203 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2009).

Secondo il Presidente del Consiglio, gli oneri conseguenti alle posizioni debitorie relative ai contratti derivati sottoscritti nel 2003 e nel 2006 dalla Regione non sarebbero correlati ad alcuna UPB di pertinenza, rimanendo in tal modo violato il precetto costituzionale dell’art. 81, quarto comma, Cost.

3.1. — È fondata la censura inerente all’assenza del dettaglio dei capitoli e delle UPB finanziate dalle operazioni di indebitamento, in relazione all’art. 81, quarto comma, Cost. ed all’art. 117, terzo comma, Cost.

La difesa della Regione eccepisce che la tesi dell’Avvocatura sarebbe priva di fondamento e trarrebbe origine da un equivoco perché il ricorso al mercato finanziario, pari ad euro 58.450.000,00, sarebbe corredato da sufficienti informazioni nell’allegato C all’impugnata legge regionale n. 5 del 2011, ove viene indicata la UPB 22.84.245, denominata «2007/2013 – Fondo unico UE/Stato/Regione per spese di investimento».

L’eccezione non è fondata perché la sinteticità del richiamo non consente di verificare se la Regione abbia osservato le regole ed i limiti previsti dall’art. 1, commi da 16 a 19, della legge n. 350 del 2003 (legge finanziaria 2004).

Dette disposizioni – come modificate dall’art. 62, comma 9, del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, in legge n. 133 del 2008, – sono così articolate: «16. Ai sensi dell’articolo 119, sesto comma, della Costituzione, le regioni a statuto ordinario, gli enti locali, le aziende e gli organismi di cui agli articoli 2, 29 e 172, comma 1, lettera b), del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, ad eccezione delle società di capitali costituite per l’esercizio di servizi pubblici, possono ricorrere all’indebitamento solo per finanziare spese di investimento. Le regioni a statuto ordinario possono, con propria legge, disciplinare l’indebitamento delle aziende sanitarie locali ed ospedaliere e degli enti e organismi di cui all’articolo 12 del decreto legislativo 28 marzo 2000, n. 76, solo per finanziare spese di investimento. 17. Per gli enti di cui al comma 16 costituiscono indebitamento, agli effetti dell’articolo 119, sesto comma, della Costituzione, l’assunzione di mutui, l’emissione di prestiti obbligazionari, le cartolarizzazioni di flussi futuri di entrata non collegati a un’attività patrimoniale preesistente e le cartolarizzazioni con corrispettivo iniziale inferiore all’85 per cento del prezzo di mercato dell’attività oggetto di cartolarizzazione valutato da un’unità indipendente e specializzata. Costituiscono, inoltre, indebitamento le operazioni di cartolarizzazione accompagnate da garanzie fornite da amministrazioni pubbliche e le cartolarizzazioni e le cessioni di crediti vantati verso altre amministrazioni pubbliche nonché, sulla base dei criteri definiti in sede europea dall’Ufficio statistico delle Comunità europee (EUROSTAT), l’eventuale premio incassato al momento del perfezionamento delle operazioni derivate. Non costituiscono indebitamento, agli effetti del citato articolo 119, le operazioni che non comportano risorse aggiuntive, ma consentono di superare, entro il limite massimo stabilito dalla normativa statale vigente, una momentanea carenza di liquidità e di effettuare spese per le quali è già prevista idonea copertura di bilancio. 18. Ai fini di cui all’articolo 119, sesto comma, della Costituzione, costituiscono investimenti: a) l’acquisto, la costruzione, la ristrutturazione e la manutenzione straordinaria di beni immobili, costituiti da fabbricati sia residenziali che non residenziali; b) la costruzione, la demolizione, la ristrutturazione, il recupero e la manutenzione straordinaria di opere e impianti; c) l’acquisto di impianti, macchinari, attrezzature tecnico-scientifiche, mezzi di trasporto e altri beni mobili ad utilizzo pluriennale; d) gli oneri per beni immateriali ad utilizzo pluriennale; e) l’acquisizione di aree, espropri e servitù onerose; f) le partecipazioni azionarie e i conferimenti di capitale, nei limiti della facoltà di partecipazione concessa ai singoli enti mutuatari dai rispettivi ordinamenti; g) i trasferimenti in conto capitale destinati specificamente alla realizzazione degli investimenti a cura di un altro ente od organismo appartenente al settore delle pubbliche amministrazioni; h) i trasferimenti in conto capitale in favore di soggetti concessionari di lavori pubblici o di proprietari o gestori di impianti, di reti o di dotazioni funzionali all’erogazione di servizi pubblici o di soggetti che erogano servizi pubblici, le cui concessioni o contratti di servizio prevedono la retrocessione degli investimenti agli enti committenti alla loro scadenza, anche anticipata. In tale fattispecie rientra l’intervento finanziario a favore del concessionario di cui al comma 2 dell’articolo 19 della legge 11 febbraio 1994, n. 109; i) gli interventi contenuti in programmi generali relativi a piani urbanistici attuativi, esecutivi, dichiarati di preminente interesse regionale aventi finalità pubblica volti al recupero e alla valorizzazione del territorio. 19. Gli enti e gli organismi di cui al comma 16 non possono ricorrere all’indebitamento per il finanziamento di conferimenti rivolti alla ricapitalizzazione di aziende o società finalizzata al ripiano di perdite. A tale fine l’istituto finanziatore, in sede istruttoria, è tenuto ad acquisire dall’ente l’esplicazione specifica sull’investimento da finanziare e l’indicazione che il bilancio dell’azienda o della società partecipata, per la quale si effettua l’operazione, relativo all’esercizio finanziario precedente l’operazione di conferimento di capitale, non presenta una perdita di esercizio».

Il sintetico richiamo dell’allegato non garantisce, dunque, che il nuovo ricorso all’indebitamento sia esente da vizi poiché non fornisce il dettaglio delle tipologie di investimento in concreto programmate.

Queste prescrizioni costituiscono contemporaneamente norme di coordinamento della finanza pubblica ai sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost. (in quanto servono a controllare l’indebitamento complessivo delle amministrazioni nell’ambito della cosiddetta finanza allargata, nonché il rispetto dei limiti interni alla disciplina dei prestiti pubblici) e principi di salvaguardia dell’equilibrio del bilancio ai sensi dell’art. 81, quarto comma, Cost. Pertanto, la mancata dimostrazione del loro rispetto nell’impostazione del bilancio di previsione 2011 rende costituzionalmente illegittima in parte qua la legge n. 5 del 2011.

3.2. — È altresì fondata la questione inerente alla legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 5 e 10 dell’impugnata legge regionale, anche in riferimento alla nota informativa allegata al bilancio ai sensi dell’art. 62, comma 8, del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito in legge n. 133 del 2008.

Dalla nota si ricava che la Regione ha assunto oneri ed impegni relativi a strumenti finanziari, anche derivati, per un ammontare stimato, relativamente al 2011, in complessivi euro 260.000.000,00, di cui euro 200.000.000,00 per indebitamento a tasso fisso ed euro 60.000.000,00 per indebitamento a tasso variabile.

L’Avvocatura dello Stato lamenta che non sarebbero indicate le relative UPB di imputazione della spesa, risultando pertanto quest’ultima priva della copertura finanziaria richiesta dall’art. 81, quarto comma, Cost.

La questione è se l’art. 62, comma 8, del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, in legge n. 133 del 2008 sia riconducibile al parametro costituzionale invocato e se la nota corrisponda al suo dettato.

Questa Corte – sia pure con riguardo a fattispecie diversa – ha avuto modo di affermare (sentenza n. 52 del 2010) che l’art. 62 dell’evocato decreto-legge ha, tra l’altro, la finalità di garantire che le modalità di accesso ai contratti derivati da parte delle Regioni e degli enti locali siano accompagnate da cautele in grado di prevenire l’accollo da parte degli enti pubblici di oneri impropri e non prevedibili all’atto della stipulazione. Ciò in considerazione della natura di questa tipologia di contratti, aventi caratteristiche fortemente aleatorie, tanto più per le finanze di un’amministrazione pubblica.

Per questo motivo è stato affermato trattarsi di una disciplina «che, tutelando il mercato e il risparmio, assicura anche la tutela del patrimonio dei soggetti pubblici» (sentenza n. 52 del 2010).

In definitiva, proprio le peculiari caratteristiche di tali strumenti hanno indotto il legislatore statale a prevedere, limitatamente alle contrattazioni in cui siano parte le Regioni e gli enti locali, una specifica normativa non solo per l’accesso al relativo mercato mobiliare, ma anche per la loro gestione e rinegoziazione, che presentano, parimenti, ampi profili di spiccata aleatorietà in grado di pregiudicare il complesso «delle risorse finanziarie pubbliche utilizzabili dagli enti stessi per il raggiungimento di finalità di carattere, appunto, pubblico e, dunque, di generale interesse per la collettività» (sentenza n. 52 del 2010).

La censura proposta dall’Avvocatura generale dello Stato si fonda proprio sul mancato adempimento sostanziale dei precetti contenuti nella norma interposta poiché la sintetica compilazione regionale non è idonea ad assolverne le finalità di ridurre – attraverso precise ad aggiornate informazioni sulla storia, sullo stato e sugli sviluppi di tali tipologie negoziali – i rischi connessi alla gestione e alla rinegoziazione e prevenire e ridurre gli effetti negativi che possono essere prodotti da clausole contrattuali già vigenti e da altre eventualmente inserite nelle successive transazioni novative.

La norma, nel disporre che «Gli enti di cui al comma 2 allegano al bilancio di previsione e al bilancio consuntivo una nota informativa che evidenzi gli oneri e gli impegni finanziari, rispettivamente stimati e sostenuti, derivanti da contratti relativi a strumenti finanziari derivati o da contratti di finanziamento che includono una componente derivata», non si limita a richiedere un’indicazione sommaria e sintetica dei derivati stipulati dall’ente pubblico, ma pretende l’analitica definizione degli oneri già affrontati e la stima di quelli sopravvenienti sulla base delle clausole matematiche in concreto adottate con riferimento all’andamento dei mercati finanziari.

In questa prospettiva, la salvaguardia degli equilibri di bilancio ex art. 81, quarto comma, Cost. (parametro invocato) risulta inscindibilmente connessa al coordinamento della finanza pubblica perché, da un lato, i richiesti elementi, di carattere non solo finanziario ma anche economico (valore del contratto nel suo complesso), costituiscono indefettibili informazioni al fine della definizione dell’indebitamento pubblico in ambito nazionale; dall’altro – e ciò inerisce alla censura formulata – sono finalizzati a verificare che l’impostazione e la gestione del bilancio siano conformi alle regole di sana amministrazione.

Nella situazione in esame, queste consistono in un’esplicita estensione della salvaguardia dell’equilibrio tendenziale del bilancio preventivo alla gestione in corso ed agli esercizi futuri, in considerazione del forte impatto che questi contratti aleatori e pluriennali possono avere sugli elementi strutturali della finanza regionale. Ciò soprattutto in relazione alla prevenzione di possibili decisioni improprie, le quali potrebbero essere favorite dall’assenza di precisi ed invalicabili parametri di riferimento.

La forza espansiva dell’art. 81, quarto comma, Cost. nei riguardi delle fonti di spesa di carattere pluriennale, aventi componenti variabili e complesse, è frutto di un costante orientamento di questa Corte (sentenze n. 68 del 2011, n. 141 e n. 100 del 2010, n. 213 del 2008, n. 384 del 1991, n. 283 del 1991, n. 69 del 1989, n. 17 del 1968, n. 47 del 1967 e n. 1 del 1966).

Per questo motivo la redazione della nota in termini sintetici ed incompleti e la mancata indicazione analitica delle unità previsionali di base e dei capitoli, sui quali ricade materialmente la gestione dei contratti, appaiono pregiudizievoli degli equilibri dell’esercizio in corso e di quelli futuri, nella misura in cui non determinano le modalità di copertura degli oneri nascenti dallo sviluppo attuativo dei contratti derivati stipulati e non forniscono appropriate informazioni per adottare coerenti opzioni contrattuali ed efficaci procedure di verifica.

3.3. — Per effetto della dichiarazione di incostituzionalità dell’art. 5, rimane assorbita la questione inerente alla censura della predetta disposizione con riguardo alla mancata quantificazione degli oneri di ammortamento in conto interessi ed in conto capitale, derivanti da operazioni di indebitamento già realizzate dalla Regione Campania.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara l’illegittimità costituzionale degli artt. 1, commi da 5 (nel testo originario della norma) a 9, 5 e 10, comma 2, come integrato dalla nota informativa, allegata sub G, della legge della Regione Campania 15 marzo 2011, n. 5 (Bilancio di previsione della Regione Campania per l’anno 2011 e bilancio di previsione per il triennio 2011 – 2013);

2) dichiara, in via consequenziale, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 246, primo periodo, della legge della Regione Campania 15 marzo 2011, n. 4 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale 2011 e pluriennale 2011-2013 della Regione Campania – Legge finanziaria regionale 2011), come sostituito dall’art. 1, comma 1, della legge della Regione Campania 6 dicembre 2011, n. 21 (Ulteriori disposizioni urgenti in materia di finanza regionale);

3) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 5, della legge della Regione Campania n. 5 del 2011, come sostituito dall’art. 1, comma 2, della legge della Regione Campania n. 21 del 2011.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 marzo 2012.

F.to:

Franco GALLO, Presidente

Aldo CAROSI, Redattore

Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 28 marzo 2012.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: MELATTI

La lettera di dimissioni di Pino Narducci

Narducci

La memoria corta della città: Sulle polemiche relative alle retribuzioni dei Capo di Gabinetto dei Sindaci di Napoli e di Roma nessuno si è ricordato della vicenda che ha riguardato Pino Narducci che da magistrato guadagnava uno stipendio equivalente a quello della Dott.ssa Carla Romana Raineri, nominata Capo di gabinetto dalla Sindaca a 5 stelle Raggi. Mi hanno, infatti, colpito le dichiarazioni della Raineri, la quale ha affermato chiaramente che per meno di 193 mila euro all’anno (pari allo stipendio di magistrato) non avrebbe mai accettato l’incarico politico! Ebbene, a Napoli avevamo un Magistrato unanimemente riconosciuto di altissima competenza e merito che per spirito di servizio e passione politica ha accettato senza battere ciglio l’incarico di assessore ai diritti, sicurezza e trasparenza per 1/4 del suo stipendio di magistrato! Credo che Pino Narducci, anche per questa vicenda, abbia dato una bella lezione di ciò che significa la politica libera e disinteressata, svolta con spirito di servizio per il bene collettivo e l’interesse pubblico cosa, forse, sconosciuta alla Magistrata e neo capo di gabinetto della Sindaca a 5 stelle Raggi. Per chi non l’avesse ancora letta ripropongo la lettera di dimissioni di Pino Narducci, che ho conosciuto grazie alla mia esperienza amministrativa ed i cui obiettivi politici ho condiviso e cercato di attuare con umiltà, dedizione e perseveranza per tutto il mio mandato:

“HO ACCETTATO l’incarico di assessore ai diritti, trasparenza e sicurezza del Comune di Napoli per svolgerlo unicamente con lo spirito di “servitore delle istituzioni”, persuaso di poter rendere un servizio ai cittadini napoletani, nell’esclusivo interesse della collettività e senza perseguire nessun’altra finalità personale o di parte.

Non senza sacrifici personali e familiari, ho temporaneamente abbandonato la mia attività di magistrato e la Procura della Repubblica di Napoli, ufficio al quale ho dedicato, ininterrottamente, venticinque anni della mia vita, non solo professionale.

Ho ritenuto di fornire il mio apporto a un processo di cambiamento profondo della città e dell’azione amministrativa e impedire quello che appariva l’irreversibile declino della città.

Pensavo, e ancora continuo a ritenere, che la città di Napoli dovesse diventare, a pieno titolo, una moderna città europea e che questa sfida dovesse essere vinta, non solo, ma, anzitutto, sul terreno della legalità e del ripristino pieno delle regole.

In tal senso ho interpretato la mia delega di assessore alla sicurezza, sforzandomi di affermare idee e attivare nuove prassi amministrative non solo sul terreno delle “politiche antimafia”, ma anche su quello, in verità rivelatosi molto più ostico, del superamento, materiale e culturale, di tutti i variegati fenomeni che, nel corso dei decenni, hanno determinato il consolidarsi di assetti illegali della vita civile, sociale ed economica della città, mortificando e calpestando i diritti della collettività e dei singoli, a esclusivo vantaggio degli interessi, prepotenti e invadenti, solo di qualcuno, siano essi gruppi o individui.

In particolare, ritenevo che la città di Napoli dovesse finalmente superare, anzitutto, una infausta visione culturale, prima che politicoamministrativa, secondo la quale i comportamenti illegali organizzati esistenti in città possono essere tollerati e accettati poiché sono comunque regolatori di equilibri del vivere civile e, senza di essi, si apre la strada al disordine sociale. Si tratta, a mio avviso, di una concezione regressiva e subalterna allo “stato di cose presenti”, lontana da una vera idea di sviluppo della città e di emancipazione degli uomini.

Ho cercato di esercitare il mio incarico senza dimenticare che la battaglia per affermare la legalità nella società civile e nel comportamento dei napoletani esige, contemporaneamente, che il valore del primato della legge si affermi anche nell’azione politica e nella attività amministrativa. A questo compito mi sono dedicato esercitando, credo in modo non rituale o burocratico, la delega di assessore alla trasparenza.

Mi sono adoperato costantemente affinché la azione dell’ente potesse assumere rinnovato slancio e una sempre più netta e chiara fisionomia nella direzione della affermazione, rigorosa e intransigente, dei principi costituzionali di trasparenza, buon andamento e imparzialità della amministrazione.

Ho constatato l’iniziale emergere di incomprensioni e di diversità di vedute e poi, con maggiore frequenza, di divergenze, sempre più marcate, su diversi importanti aspetti della azione messa in campo dalla amministrazione nel corso degli ultimi mesi.

Si tratta di molte vicende nelle quali non ho mancato di fornire il mio contributo di idee e in ordine alle quali, infine, ho sempre assunto una posizione chiara e riconoscibile, ritenendo trattarsi di aspetti decisivi e non marginali della vita della città, aspetti che attengono, in altri termini, alle sue condizioni strutturali.

Queste divergenze sono divenute sempre più profonde soprattutto in occasione di alcuni momenti importanti della azione amministrativa: la discussione sulla utilizzazione di forme di lavoro temporaneo nel ciclo dei rifiuti e poi, in particolare, sulle assunzioni di lavoratori a tempo indeterminato (le cosiddette internalizzazioni) effettuate dalla società partecipata Asia spa; il delicato tema della corretta ed equilibrata definizione del rapporto con il privato che, ormai da moltissimi anni, gestisce il patrimonio immobiliare dell’ente, definizione poi concretizzatasi attraverso la adozione di delibere che non ho condiviso; le centrali questioni riguardanti gli assetti che, dal prossimo dicembre, dovranno essere assicurati alla gestione del nostro patrimonio per permettere all’ente di riprenderne, finalmente e pienamente, il controllo, questioni sulle quali ho manifestato opinioni che appaiono minoritarie; le tensioni, infine, che hanno accompagnato l’adozione della deliberazione inerente la ricognizione dei residui attivi nella predisposizione dei documenti contabili del Comune e le conseguenti operazioni necessarie per superare, coerentemente alle indicazioni fornite dal Collegio dei Revisori dei Conti e della Sezione Regionale della Corte dei Conti, uno degli aspetti che provocano le maggiori sofferenze economiche dell’ente.

Queste dinamiche, a mio parere, più di altre, sembrano collocarsi su una linea di assoluta continuità con vecchie logiche del passato, logiche che ritenevo, nella nuova situazione, non potessero più riproporsi.

In queste vicende, come però anche in altre di pari rilievo, non sono mancati problemi causati da una inadeguata o insufficiente, quando non del tutto assente, comunicazione di elementi informativi ai membri della giunta, con inevitabili ripercussioni sulla reale ed effettiva condivisione delle scelte nonché sulla stessa ponderatezza delle decisioni assunte.

In altri termini, non sempre le decisioni sono state adottate a seguito di un effettivo confronto tra le posizione esistenti all’interno della giunta.

Non ho omesso, in tante occasioni, di segnalarlo e non ho certamente ignorato l’emergere di una visione che riteneva che la mia posizione costituisse, in ultima analisi, un appesantimento o, addirittura, quasi un ostacolo alla efficienza della amministrazione, tanto da essere stato sollecitato a rendermi conto che, nella sfera dell’amministrazione e della politica, occorre adeguarsi a una linea di condotta ispirata alla giusta duttilità e abbandonare quella connotata, invece, dalla intransigenza dei principi.

Ho ritenuto, come è noto a tutti, di non accogliere questa sollecitazione.

Infine, a causa delle posizioni da me assunte, sono stato, nelle ultime settimane, oggetto di dichiarazioni gratuitamente aggressive, additato, in sostanza, come un “reprobo” che, insieme al collega Realfonzo, avrebbe minato la coesione e la efficacia della azione di giunta, coesione ed efficacia che sarebbero state di nuovo prontamente assicurate attraverso un energico rimpasto di deleghe e di persone.

E, mentre dette dichiarazioni continuavano, era per me veramente sorprendente apprendere, attraverso altre dichiarazioni, che le valutazioni sui problemi cagionati dalla mia presenza in giunta erano invece soltanto il frutto di invenzioni o montature giornalistiche.

L’impressione che io ne ricavo è quella dell’affermarsi di un “clima” che, a mio parere, appare chiaramente ostile alla libera manifestazione delle idee e delle opinioni dissenzienti che, anche quando non condivisibili, meritano rispetto.

Ho ricevuto, in privato, attestati di solidarietà e stima da parte di molte persone, soprattutto di tanti comuni cittadini.

Queste manifestazioni di stima mi confortano e, al tempo stesso, mi incoraggiano nel mantenere fermo un atteggiamento di coerenza ai miei principi di “servitore delle istituzioni” non ritenendo di poter proseguire nella mia attività di amministratore poiché non esiste più una comune condivisione di idee sul futuro della città e sui valori che devono orientare la azione amministrativa.

Per queste ragioni, rassegno le dimissioni dall’incarico di assessore ai diritti, trasparenza e sicurezza del Comune di Napoli.”

Il Rammarico per le dimissioni di Pino Narducci

narducciComunicato Stampa ANSA 18 giugno 2012

Le dimissioni dell’assessore alla legalità Pino Narducci ci lasciano sconcertati e scavano un solco profondo tra la città e l’amministrazione per il grave significato che assumono. Pino Narducci ha svolto il suo incarico con sincero spirito di servizio e la sua uscita dalla giunta rappresenta una gravissima perdita che appare ancora più grave dalla lettura delle motivazioni. Questione ASIA, vicende Raphael Rossi e Romeo sono state, per noi, sin dal primo momento, assolutamente inaccettabili. La decisione dell’Assessore rafforza questo nostro pensiero ed impone un chiarimento nella maggioranza che sostiene l’amministrazione ed ai cittadini che solo un anno fa, sulla base di un chiaro programma di rinnovamento, hanno dato fiducia e sostegno al Sindaco.

Consiglieri Napoli è Tua

Gennaro Esposito

Carlo Iannello

Strappo nella giunta de Magistris l’ex pm Narducci si dimette

Da RepubblicaNapoli.it del 18 giugno 2012

Strappo nella giunta de Magistris
l’ex pm Narducci si dimette
La breaking new era nell’aria: l’ex pm di Calciopoli, già autore di importanti indagini anticamorra, Giuseppe Narducci, si è dimesso. Lascia la giunta guidata dal suo ex collega di Procura, il sindaco Luigi de Magistris.

Strappo nella giunta de Magistris l’ex pm Narducci si dimette

Uno strappo, una lacerazione profonda nella compagine di Palazzo San Giacomo. L’addio di Narducci lascia un vuoto e apre un fronte. Da tempo in Comune si moltiplicano i malumori verso l’amministrazione per alcune sue scelte.

In testa, i rapporti del Comune con il top manager Alfredo Romeo, già coinvolto nel 1993 in Tangentopoli (quando ammise di pagare alcuni politici definendoli “cavallatte” a caccia di mazzette), quindi arrestato e poi scarcerato e scagionato nel tormentato procedimento Global Service. Romeo e la sua holding vantano un credito con Palazzo San Giacomo di circa 50 milioni di euro e hanno di recente stipulato nuovi accordi che prevedono anche interventi in una zona dove sorge proprio l’albergo dell’imprenditore.

Ma c’è dell’altro, come il caso di Raphael Rossi, stimato e capace consulente per l’interminabile questione rifiuti, andato via anche lui dopo essersi rifiutato di assumere circa una ventina di persone nell’Asìa, l’azianda che si occupa dello smaltimento dell’immondizia. Questo, e anche altro, hanno scatenato numerosi e malumori.

Nelle scorse settimane Narducci e de Magistris hanno “duellato” a suon di dichiarazioni poco amichevoli. Il magistrato di Calciopoli (che di recente ha dato alle stampe un libro proprio sulla vicenda giudiziaria che ha come primo imputato Luciano Moggi) in una intervista a “Repubblica” aveva già lasciato capire di essere sul punto di mollare manifestando il suo dissenso per alcune scelte adottate dal Comune.

Oggi
la conferma di quella che era una sua chiara intenzione. Ma Narducci, che ormai possiamo definire ex assessore comunale alla Legalità, non potrà tornare a fare il pm a Napoli dopo il suo impegno in politica. Se vorrà, come è probabile, rientrare in magistratura, dovrà farlo in un altro distretto giudiziario.

Intanto il Comune perde un sicuro protagonista e il suo addio, è già una certezza in queste calde giornate a Palazzo San Giacomo, non passerà inosservato. In giunta e nel consiglio comunale i mal di pancia cominciano a essere ripetuti.

Il “percorso di guerra” la spiegazione di Romeo

Alfredo-RomeoDa “La Repubblica” del 18 giugno 2012

Progetto Antica Dogana
di CRISTINA ZAGARIA

Sì, siamo pronti alla guerra, ma per Napoli e per i suoi cittadini”. L’imprenditore Alfredo Romeo dopo le lettere con il sindaco chiarisce qual è la sua guerra. “Non faccio guerra a Palazzo San Giacomo, ma la guerra è per portare avanti il difficile piano di dismissioni del patrimonio immobiliare del Comune”.

Il Comune difende Romeo

“Ho usato quella parola scrivendo al sindaco  –  spiega in una nota l’imprenditore – per descrivere solo e soltanto la gravosità del piano di dismissioni del patrimonio immobiliare del Comune di Napoli, che è a tutti gli effetti una vera e propria “missione di guerra” data la sua imponenza, la complessità tecnicoamministrativa, l’impatto sociale che attiva, e la ristrettezza dei tempi esecutivi, che vede la necessaria e massima collaborazione tra Comune di Napoli e Romeo Gestioni”.

L’espressione (siamo pronti “ad intraprendere un percorso di guerra”) è inserita in una lettera del 28 marzo in cui Alfredo Romeo esprime “sincero sconcerto perché dopo un intenso lavoro congiunto, durato oltre quattro mesi, e una precisa intesa” la giunta municipale ha approvato una delibera per l’approvazione
della transazione (che comprende anche l’esame del progetto Insula Antica Dogana) a lui non gradita, perché “emendata rispetto allo schema già siglato” con il sindaco, l’assessore al Patrimonio, Bernardino Tuccillo, e il capo di Gabinetto, Attilio Auricchio.

Una lettera dura, in cui l’amministratore delegato della Romeo Gestioni parla di “scorrettezze” e in nome “dell’interesse pubblico e della nostra città” chiede al sindaco “un riscontro formale” alle sue rimostranze, ricordando che “il presupposto di base non può che essere l’assoluta collaborazione e buona fede” (l’ultima frase è scritta in corsivo).

Romeo, ora, chiede di dire la sua verità e spiega che la “guerra” non è contro chi in giunta avrebbe emendato l’accordo, ma si riferisce all’impegnativo lavoro di dismissione del patrimonio pubblico. E a favore della sua tesi porta dei dati. “Alcuni numeri possono rendere l’idea di cosa sia questa “guerra” che vede in stretta cooperazione Palazzo San Giacomo e la Romeo Gestioni  –  scrive l’imprenditore  –  Il piano di dismissioni prevede infatti la vendita di circa tremila alloggi di edilizia popolare in poco più di 10 mesi.

Per ottenere questo risultato sono stati attivati oltre 35 mila contatti; preparate 11 mila offerte di acquisto; oltre 10 mila verifiche catastali e di titolarità; regolarizzate migliaia di posizioni; investite decine di migliaia di euro per la campagna promozionale e di informazione; creati uffici mobili di consulenza per i cittadini”.

E nella verità di Romeo c’è anche la cabina di regia, creata dal Comune come organo di valutazione autonomo. “E, novità tecnica strettamente funzionale all’obiettivo da raggiungere, è stata creata  –  spiega  –  anche la cosiddetta cabina di regia con il solo intento di affrontare con più fluidità e velocità gli eventuali ostacoli che dovessero insorgere nello svolgimento di questa “guerra” che ha il solo obiettivo di portare nella disponibilità del Comune 100 milioni di euro”. Romeo parla di 100 milioni, ma il Comune ne aveva messi a bilancio inizialmente 81, ora ridotti a 55.

“I risultati di questo “guerresco” impegno  –  continua Romeo  –  sono già clamorosamente positivi e verranno diffusi in tempi brevissimi sia in termini assoluti, sia in termini previsionali. E saranno tali da tacitare, siamo certi, chi rema contro Napoli”.

Per quanto riguarda il progetto Insula Antica Dogana, “la Romeo Gestioni non ha inviato alcun ultimatum al Comune di Napoli. Ha semplicemente proposto un progetto di bonifica urbana a titolo gratuito dell’area e aspetta doverosamente che il Comune proceda alle verifiche di legge e di compatibilità”, precisa l’imprenditore.

E sul parcheggio sotterraneo a ridosso del albergo Romeo (su cui pende un ordine di demolizione richiesto dallo stesso Comune per una serie di abusi) e sotto una strada pubblica, che rientrava nella sua offerta (con una gestione per 99 anni senza alcun bando di gara per la realizzazione e l’assegnazione), l’imprenditore da un lato precisa che “ad evitare che si possano fraintendere obiettivi e senso dell’iniziativa, la Romeo Gestioni ha anche confermato alla amministrazione che la realizzazione del tanto contestato garage sotterraneo non è dirimente”, ma dall’altro ricorda “fermo restando il fatto che ipotizzando la pedonalizzazione di un’area quale che sia, logica vorrebbe che la stessa area fosse attrezzata con un parcheggio”.

Insula di Romeo la difesa dell’Assessore Tuccillo

romeoDa “La Repubblica di Napoli” del 18 giugno 2012

IL CASO
Il Comune difende Romeo
“Da lui mai nessun ricatto”
L’assessore Tuccillo spiega il carteggio con il manager
di CRISTINA ZAGARIA

Il Comune difende Romeo “Da lui mai nessun ricatto” L’assessore Bernardino Tuccillo
“E’ tutto un grande equivoco. In giunta abbiamo anche riso per questa storia della “macchina da guerra”, perché quando Achille Occhetto parlò della “gioiosa macchina da guerra” il Pd perse le elezioni”. Bernardino Tuccillo, assessore al Patrimonio commenta così il diktat di Alfredo Romeo che, deluso dalla delibera che ha suggellato la transazione con Palazzo San Giacomo, scrive al sindaco: “Non le nascondo l’indubbia perplessità che la “scorrettezza” registrata nei comportamenti ci induce ad intraprendere un percorso di guerra”. E a quanto sembra l’espressione continua a non portare bene.

Dopo la pubblicazione su Repubblica del carteggio tra la Romeo Gestioni e il sindaco Luigi de Magistris, il Comune replica. E dà la sua versione dei fatti. A parlare è l’assessore al Patrimonio, Bernardino Tuccillo, che insieme al capo di Gabinetto, Attilio Auricchio, e al sindaco è uno dei tre destinatari a cui scrive l’imprenditore per accordarsi sulla dismissione del patrimonio immobiliare Erp e per la realizzazione del progetto di riqualificazione della zona di via Cristoforo Colombo, denominato progetto Insula Antica Dogana.

Tutto nasce da una serie di sentenze
che condannano il Comune a pagare alla Romeo circa 50 milioni per competenze arretrate a partire dal 2007 (l’ultima sentenza è dello scorso febbraio). Il Comune chiede alla Romeo di non pagare almeno gli interessi. Comincia la trattativa, in cui l’amministrazione avvia anche la dismissione del patrimonio di case popolari per ripagare il gestore.

L’imprenditore detta le sue condizioni. “L’avvocato sosteneva che la transazione avrebbe aiutato a risolvere un contenzioso e che poteva accelerare le dismissioni  –  ricostruisce Tuccillo  –  Il percorso di guerra, si riferisce agli obiettivi ambizioni: dismettere 2700 immobili”. A questo punto Romeo accetta di non incassare gli interessi. “Noi allora abbiamo chiesto a Romeo di diminuire ulteriormente il credito  –  continua Tuccillo  –  e gli abbiamo offerto di farci una proposta il più possibile vantaggiosa per l’ente. Ma l’avvocato Romeo ha detto no. Secondo lui abbassare il credito sarebbe stato come riconoscere un disservizio. Lui, invece, riteneva di aver bene operato. Ma oltre alla rinuncia agli interessi, per dimostrare la sua disponibilità al sindaco e alla città ci ha offerto la riqualificazione dell’Antica Dogana a costo zero per l’amministrazione”.

Un ricatto? “No. Un’offerta  –  replica subito Tuccillo  –  un progetto interessante e comunque separato dalla transazione. La prova è che la transazione e la dismissione del patrimonio sono state approvate dalla giunta all’unanimità, per il progetto Antica Dogana ci siamo dotati di una cabina di regia, che doverosamente si deve prendere tutto il tempo necessario per valutarne la fattibilità”.

Nel carteggio è proprio Romeo a proporre la cabina di regia. Ma Tuccillo ribadisce: “Il progetto non è mai stato proposto come condizione alla transazione”. Ma dopo la lettera di Romeo del 28 marzo, con lui irrigidito e scontento per la delibera approvata (la 206 del 28 marzo) e per i patti non rispettati, la giunta il 4 aprile vota un emendamento per rassicurare l’imprenditore: in caso di pagamento ritardato “la rinuncia al credito per interessi maturati e maturandi si intende ridotta del 10 per cento”.

Che significa? Se il Comune ritarda il pagamento di una rata, Romeo incassa ogni volta 570 mila euro in più. “Sì abbiamo accettato la sfida sul rischio di una penale  –  conclude Tuccillo  –  e votato un emendamento alla prima delibera, che tenesse conto di questa preoccupazione di Romeo, perché siamo certi di pagare in tempo”.

(18 giugno 2012)

L’insula di Romeo ed il percorso di guerra

romeoInsula di Romeo da “La Repubblica Napoli” del 17 giugno 2012

Progetto Antica Dogana
l’ultimatum di Romeo
“Pronti alla guerra se non rispettate l’accordo” si legge in una lettera dell’imprenditore a de Magistris, Tuccillo e Auricchio
di CRISTINA ZAGARIA
Progetto Antica Dogana l’ultimatum di Romeo Alfredo Romeo
Siamo pronti “a intraprendere un percorso di guerra quale quello congiuntamente ipotizzato, dati gli obiettivi estremamente ambiziosi”. Quale guerra? Contro chi? Congiuntamente con chi? A scrivere  –  nero su bianco  –  è Alfredo Romeo. I destinatari della lettera sono: il sindaco, Luigi de Magistris, l’assessore al Patrimonio, Bernardino Tuccillo, il capo di gabinetto del sindaco, Attilio Auricchio. La lettera è del 28 marzo, cinque giorni dopo la delibera (206) che ha sancito il e discusso accordo tra Comune e Romeo.

L’accordo per la dismissione del patrimonio di edilizia popolare e per il progetto Antica Dogana. Ma la delibera ha deluso Romeo, che è pronto alla guerra e sa di avere degli alleati in Comune. Ma andiamo con ordine. Esiste un carteggio della Romeo con Palazzo San Giacomo. Gli interlocutori sono sempre gli stessi. Romeo scrive a de Magistris, Tuccillo e Auricchio.

Nella prima lettera del 19 marzo scorso Romeo (scrivendo a mano all'”Egregio sindaco”) propone la realizzazione di un intervento “di valorizzazione integrata dell’area di via Cristoforo Colombo e di riqualificazione dell’Insula Antica Dogana, in attuazione del vigente contratto di servizi”. Un progetto che Romeo ha già “illustrato direttamente al sindaco”. E l’imprenditore nelle tre pagine della sua missiva usa sapientemente parole care al sindaco: l’idea “nasce da un processo di democrazia partecipata (in corsivo e sottolineato), sarà “una sfida importante sul piano della rivoluzione
che Lei auspica per dare un volto nuovo alla città”, procederemo a una “valorizzazione dei beni e delle risorse presenti sul territorio”.

E ancora: “L’impegno congiunto del Comune e della Romeo Gestioni nella bonifica territoriale dell’Insula dell’Antica Dogana, per la sua particolare collocazione, darà alla città un nuovo biglietto da visita, completando con armonia il fronte dell’intervento che sta cambiando l’area di piazza Municipio e del waterfront”.

Ovviamente “i beni immobiliari e le attività commerciali insistenti sull’Insula avrà un significativo aumento e un ritorno di crescita di valore per i proprietari”. In quell’area appunto c’è l’albergo di Romeo, su cui pende una richiesta di abbattimento per una serie di abusi. Romeo conclude la lettera augurandosi che “l’amministrazione possa, come congiuntamente auspicato, dare nel più breve tempo possibile il “via” formale a questa avventura”.

Lo stesso giorno Romeo manda alla dirigente del servizio Patrimonio, e per conoscenza ai suoi soliti tre interlocutori, la bozza di transazione del contenzioso tra amministrazione e Romeo Gestioni. I toni sono molto decisi e la transazione (per un debito di circa 50 milioni del Comune), insieme con la dismissione del patrimonio Erp sono legate a doppio filo al progetto Antica Dogana. Romeo chiarisce: “La transazione dovrà avvenire nel più breve tempo possibile e comunque non superiore ai 10 giorni dal ricevimento della presente”.

E al punto due, specifica che contestualmente “alla transazione la giunta municipale procederà all’approvazione (scritto in neretto), quale progetto di prioritario interesse comunale, della riqualificazione dell’Insula Antica Dogana, secondo la proposta progettuale già condivisa nell’ambito di un intenso lavoro con il sindaco, l’assessore al Patrimonio, il capo di gabinetto e i relativi uffici”. E Romeo indica anche l’iter: “L’amministrazione procederà all’istituzione di una cabina di regia per le valorizzazioni e le dismissioni immobiliari con compiti di affiancamento del gestore”.

Insomma tutto sembra deciso, la transazione, la dismissione del patrimonio immobiliare, il progetto Antica Dogana. Ma succede qualcosa. Il 23 marzo viene approvata la delibera. Ma la giunta si spacca. Tra gli assessori c’è chi non è convinto che questo progetto sia una priorità per il Comune.

L’assessore all’Urbanistica De Falco chiede il rispetto dei vincoli urbanistici e ha dei dubbi sul parcheggio sotterraneo che Romeo vuole costruire sotto a una strada pubblica a ridosso del suo albergo. L’assessore alla Legalità Narducci non vota la delibera.

L’assessore al Bilancio Realfonzo chiede che la transazione sia basata su dati certi e non su previsioni non di¬mostrabili di incassi. Il marzo 28 Romeo torna a scrivere al sindaco: “Con sincero sconcerto ho appreso dall’assessore al Patrimonio e dal capo di gabinetto, che dopo un intenso lavoro congiunto di quattro mesi e un’intesa, la giunta ha approvato un testo emendato, intervenendo su questioni concordate e assoluta¬mente irrinunciabili”.

Romeo è preoccupato e sottolinea che capisce che “tale circostanza si è verificata sulla base di interventi estranei alla reciproca volontà negoziale”, ma che dietro modifiche “apparentemente tecnico contabili” viene meno “ogni elemento di garanzia a tutela della Romeo” e qui Romeo annuncia “la guerra” contro chi ostacola il negoziato pattuito con il sindaco, Tuccillo e Auricchio. L’ultimo atto del Comune relativo all’accordo è la creazione (il 24 aprile) di una unità ad hoc che sta studiando la fattibilità dell’accordo e del progetto Antica Dogana.

Donne e Madri della Costituzione

madricostMaria Federici Agamben – (L’Aquila, 1899 -1984)
Laureata in lettere e insegnante, dopo l’8 settembre 1943 prese parte alla resistenza come partigiana. Il 2 giugno 1946 fu tra le 21 donne elette all’Assemblea Costituente Italiana, dove sedette come componente del gruppo parlamentare D:C Entrata a far parte della Commissione speciale divenuta nota col nome di Commissione dei 75, presieduta da Meuccio Ruini: lavorò nella Terza Sottocommissione, relativa ai diritti e doveri economico-sociali occupandosi, in particolare della famiglia, della garanzia economico-sociali per l’assistenza della famiglia, della condizione dei figli nati fuori del matrimonio. Successivamente, nel 1948, nella prima legislatura del parlamento repubblicano, fu eletta alla Camera dei deputati nel collegio di Perugia.
Fu componente della XI Commissione (Lavoro e Previdenza sociale) e della Commissione parlamentare di inchiesta sulla disoccupazione. Si è a lungo occupata dei problemi dell’emigrazione. Ha ricoperto le cariche di delegata nazionale delle ACLI e di prima  Presidente del Centro italiano femminile (CIF).
Importante l’intervento di Maria Federici, energica e indimenticabile Presidente del CIF nel periodo tra il 1944 e il 1950 che con visione lungimirante dopo aver parlato in difesa della provvidenze a favore della famiglia, ammonisce e ricorda che la tutela della madre e dei figli deve essere accordata anche quando la famiglia è irregolare perché “la maternità è cosa così fondamentale e delicata che ha bisogno di particolari cure”..

Leonilde Iotti (Reggio Emilia 1920-1999)
Rimasta orfana di padre (ferroviere e sindacalista socialista) nel 1934, si laureò in lettere
all’Università Cattolica di Milano e fu docente ma decise di abbandonare la professione quando maturò un profondo spirito anti-fascista che la convinse ad occuparsi di politica. Durante la seconda guerra mondiale si iscrive al PCI e partecipa alla resistenza. Fu presidente dell’Unione Donne Italiane a Reggio Emilia.
Nel 1946 viene candidata dal Partito Comunista Italiano prima come consigliere comunale nel paese natio e poi all’Assemblea Costituente, dove entra a far parte della Commissione dei 75 incaricata della stesura della Costituzione. Eletta nel 1948 alla Camera dei Deputati, siede tra i banchi di Montecitorio ininterrottamente sino al 1999… Leonilde Iotti è stata la prima donna politica a ricoprire la carica di Presidente della Camera dei deputati. per tre legislature, dal 1979 al 1992, conseguendo un primato finora incontrastato sia nell’Italia monarchica che repubblicana. Diede un grande contributo, fra gli altri, alla Costituente su retribuzione e figli Rileggendo gli interventi delle donne nella Commissione dei 75 (tutti appassionati e vibranti, si ricorda uno dei suoi primi interventi (8 ottobre 1946) nella I Sottocommissione nella quale formula una ferma difesa del principio della pari retribuzione tra uomo e donna. E ancora pretende adeguata e finale soluzione al problema dei figli  illegittimi, ai quali debbono essere riconosciuti gli stessi diritti dei figli legittimi. Disse “Le donne si trovarono a dover votare per la prima volta il 2 Giugno del ’46. Fu difficile insegnare loro a votare per i partiti, soprattutto per noi donne di sinistra. Bisognava
affrontare questo problema; per le democristiane era più facile, poichè le donne andando in chiesa erano abituate a parlare con il sacerdote. Decidemmo così di creare le cellule femminili nelle sezioni di partito per far parlare le donne che invece non parlavano mai in pubblico o nei luoghi della politica. Ci trovammo così ad educare la popolazione femminile!” Tutto l’associazionismo femminile, ricostruito dopo lo scioglimento imposto dal fascismo o di nuova costituzione, all’indomani della Liberazione s’impegnò nei Comitati pro-voto, specialmente le due principali aggregazioni, il Centro italiano femminile (Cif) e l’Unione Donne Italiane (Udi), eredi dell’allargata partecipazione femminile all’antifascismo e alla Resistenza, il primo delle cattoliche e il secondo delle socialiste e comuniste. Cif e Udi, agendo nell’Italia dilaniata dalla guerra e dominata dai conflitti ideologici, s’impegnarono nel sociale e seguirono attentamente il processo costitutivo, la stesura della Costituzione.

Angelina Merlin– (Pozzonovo 1887 – Padova, 1979)
Visse a Chioggia per tutta l’infanzia e la giovinezza. Diplomatasi maestra elementare presso
l’Istituto delle Suore Canossiane, si trasferisce a Grenoble, in Francia. Si laurea in francese.
Lina si sente attratta invece dagli ideali del socialismo che ritiene più vicini alla sua mentalità e alla sua morale. Si iscrive al P.S.I. collabora al periodico “La difesa delle lavoratrici”, di cui in seguito assumerà la direzione. Lina Merlin cominciava a rendersi conto delle condizioni in cui vivevano le donne del chioggiotto e del Polesine, quasi tutte mogli di pescatori o marinai lasciate spesso sole dai mariti Esse si prostituivano per qualche piccolo lusso, o semplicemente per fame, ai benestanti locali. Merlin non tollerava l’ipocrisia della morale corrente anche perché la frequenza delle prostitute ritenuto luogo dove i giovani potevano “fare esperienza” aveva come conseguenza di contagiare le loro mogli con malattie veneree. Dopo l’assassinio di Matteotti, viene arrestata cinque volte e poi . condannata a cinque anni di confino in Sardegna dove riesce a conquistarsi il rispetto
e la fiducia e soprattutto delle donne, ad alcune delle quali insegnerà a leggere e a scrivere.
Rimasta vedova a 49 anni, prende parte attivamente alla Resistenza, donando ai partigiani la strumentazione medica e i libri del marito e raccogliendo fondi e vestiario per i partigiani.
Costituisce i “Gruppi di difesa della Donna e per l’Assistenza ai Volontari della Libertà. Da
questa organizzazione nascerà l’. Nel 1946 viene eletta alla Assemblea Costituente
I suoi interventi nel dibattito costituzionale, quale membro della “Commissione dei 75”, risulteranno determinanti per la tutela dei diritti delle donne, e lasceranno un segno indelebile nella Carta Costituzionale. Degne di nota sono le parole pronunciate da Lina Merlin nella seduta del 10 maggio 1947, in relazione alla speciale protezione che la Repubblica deve concedere alla maternità e all’infanzia, recepite poi dall’art. 31. Così come sono da rileggere tutte le osservazioni formulate dalla stessa Merlin e poi da Teresa Noce nel corso della discussione sulle garanzie economico-sociali per l’assistenza alla famiglia del 18 settembre 1946. Uno dei punti cardine, se non il principale, dell’opera politica di Lina Merlin è stata la battaglia per abolire la prostituzione legalizzata in Italia,che le procurò ostilità ed inimicizie persino nell’ambito del suo stesso partito. A lei si devono, tra l’altro, l’abolizione della infamante dicitura “figlio di N.N.” che veniva apposta sugli atti anagrafici dei trovatelli, l’equiparazione dei figli naturali ai figli legittimi in materia fiscale, la legge sulle adozioni che eliminava le disparità di legge tra figli adottivi e figli propri, e la soppressione definitiva della cosiddetta “clausola di nubilato” nei contratti di lavoro, che imponeva il licenziamento alle lavoratrici che si sposavano. Nel 1961 le venne fatto sapere che il partito non intendeva ripresentare la sua candidatura nel collegio di Rovigo, e lei
reagì strappando la tessera. Nel suo discorso di commiato dichiarò che le idee sono sì importanti, ma camminano con i piedi degli uomini, e che lei non ne poteva più di «fascisti rilegittimati, analfabeti politici e servitorelli dello stalinismo».A 65 anni, nonostante le esortazioni dei suoi sostenitori che avrebbero voluto rivederla candidata anche nelle elezioni del 1963 come indipendente, Lina Merlin decise di ritirarsi dalla politica: Ricordiamo le sue parole «Sono stata coerente con la mia decisione, non ho accolto inviti né da sinistra né da destra.
Teresa Noce Longo (Torino, 1900 – Bologna, 1980)
Nata nel 1900 a Torino, da famiglia operaia e costretta ad abbandonare molto presto la  scuola, continuò a istruirsi da autodidatta, svolgendo vari mestieri. Nel 1921 fu fra le fondatrici del Partito comunista italiano; conobbe Luigi Longo con cui si sposò nel 1926 e avranno tre figli, uno dei quali morirà in tenera età. Nel gennaio 1926 i due espatriano, stabilendosi prima a Mosca e poi a Parigi, e in Spagna dove curò la redazione del giornale degli italiani combattenti nelle Brigate internazionali, Il volontario della libertà. Partecipò alla fondazione del giornale Noi donne. Nel 1943 venne arrestata e, dopo alcuni mesi di carcerazione, fu deportata in Germania, prima nel campo di concentramento di Ravensbruck, poi a Holleischen in Cecoslovacchia, dove fu adibita a lavoro forzato in una fabbrica di munizioni fino alla liberazione del campo da parte dell’esercito sovietico. Alla fine della guerra, il 2 giugno 1946 fu tra le 21 donne elette all’Assemblea costituente italiana e fu una delle cinque donne entrate a far parte della Commissione, divenuta nota col nome di Commissione dei 75. Nel 1974 pubblicò la sua autobiografia, Rivoluzionaria professionale, che racconta, insieme alla sua storia personale, la vicenda del partito comunista italiano dalla sua fondazione. A lei si devono infatti le parole dell’articolo 3: “Tutti i 15 cittadini …sono uguali davanti alla legge, senza distinzioni di sesso”, con le quali veniva posta
la base giuridica per il raggiungimento della piena parità di diritti tra uomo e donna, che fu sempre l’obiettivo principale della sua attività politica. È inoltre degna di nota l’opera di mediazione da lei esercitata tra opinioni contrapposte riguardo alla stesura dell’articolo 40, concernente il diritto di sciopero, proponendo una formulazione analoga a quella presente nel preambolo della Costituzione della IV repubblica francese

Ottavia Penna Buscemi (Caltagirone, 12 aprile 1907 – 2 dicembre 1986)
E’ una tra le 21 donne che partecipò all’Assemblea Costituente. Fu eletta,il 10 giugno 1946, nella lista del Fronte dell’Uomo Qualunque, rimane nel gruppo parlamentare, unica donna, dal 6 luglio 1946 al 15 novembre 1947. Ottavia Penna Buscemi venne candidata dal suo partito alla poltrona di Presidente della Repubblica in competizione con Enrico De Nicola(poi eletto Presidente della Repubblica). Nel candidarla, Giannini segretario dell’Uomo Qualunque la definisce «una donna colta, intelligente, una sposa, una madre».La baronessa ottiene però solo 32 voti, contro i 396 di De Nicola. Dal 19 al 24 luglio 1946 partecipa, come componente, alla Commissione per la Costituzione. Il 15 novembre 1947 lascia il Partito dell’Uomo Qualunque per entrare nell’Unione Nazionale e rimanerci fino alla conclusione dei lavori dell’Assemblea Costituente.

Angela Guidi Cingolani, (Roma, 1896-1991) la prima italiana elette nella 1^ legislatura a parlare in un’assemblea democratica. Laureata presso l’Istituto Universitario Orientale di Napoli in lingue e letterature slave fu molto attiva nel movimento cattolico, collaborò a giornali come L’Avvenire d’Italia e il Corriere d’Italia. È stata una delle prime giovani cattoliche a partecipare al Movimento nazionale pro suffragio femminile. Nel 1919 la Guidi Cingolani s’iscrive al Partito Popolare Italiano, assumendo la carica di segretaria del gruppo femminile romano fino allo scioglimento del partito nel 1926 ad opera del fascismo. Nel 1921 fonda il Comitato nazionale per il lavoro e la cooperazione femminile di cui sarà segretaria fino al 1926. Nel 1922 è nominata dal Ministero dell’Industria e commercio membro del Comitato delle piccole industrie e dell’artigianato. Nel 1925 vince il concorso per diventare Ispettore del lavoro; quattro anni dopo è tra le fondatrici dell’Associazione nazionale delle professioniste ed artiste. Alla caduta del fascismo aderisce alla Democrazia Cristiana divenendone consigliere nazionale dal 1944 al 1947. Nominata alla Consulta Nazionale nel 1945 con lo scopo di dare pareri, sui problemi generali al Governo, viene ricordato emozionante il primo intervento in assoluto svolto da una donna in un’assemblea democratica nazionale nel nostro Paese.

Le Donne nella Commissione dei 75

madricostNella Commissione dei 75 furono elette 5 donne:

Maria Federici (D.C.), Teresa Noce (P.C:I.), Angelina Merlin (PSI), Nilde Iotti (PCI) e Ottavia Penna Buscemi (UOMO QUALUNQUE) entrarono a far parte della Commissione Speciale incaricata di elaborare e proporre il progetto di Costituzione da discutere in aula, divenuta nota con il nome di Commissione dei 75.

In particolare lavorarono nella Prima Commissione (Diritti e doveri dei cittadini) Nilde Iotti, e nella Terza Sottocommissione (Diritti e doveri economici e sociali) Maria Federici, Angelina Merlin Teresa Noce Longo.

Provenienti geograficamente da tutta la penisola, erano in maggioranza sposate – 14 su 21 – ed avevano figli, a testimoniare che l’impegno politico non è un fatto solo per suffragette senza famiglia. Avevano tutte studiato – fra loro c’erano ben 14 laureate. La loro formazione politica si era svolta principalmente accanto al marito e al padre. Conquistarono il diritto alla cittadinanza  partecipando attivamente alla Resistenza. Quasi tutte laureate, molte di loro insegnanti, qualche giornalista-pubblicista, una sindacalista e una casalinga; tutte piuttosto giovani e alcune  giovanissime.

Molte avevano preso parte alla Resistenza, pagando spesso personalmente e a caro prezzo le loro scelte, come Adele Bei (condannata nel 1934 dal Tribunale speciale a 18 anni di carcere per attività antifascista), Teresa Noce (detta Estella, che dopo aver scontato un anno e mezzo di carcere perchè antifascista venne deportata in un campo di concentramento nazista in Germania dove rimase fino alla fine della guerra) e Rita Montagnana (che aveva passato la maggior parte della sua vita in esilio).

“Delle venti donne elette fu prima la on. Bianca Bianchi, socialista, professoressa di filosofia che a Firenze ha avuto 15.000 voti di preferenza Della prima delle elette si legge sulle colonne del “Risorgimento liberale” del 26 giugno: “Vestiva un abito colore vinaccia e i capelli lucenti che la onorevole porta fluenti e sciolti sulle spalle le conferivano un aspetto d’angelo. Vista sull’alto banco della presidenza dove salì con i più giovani colleghi a costituire l’ufficio provvisorio, ingentiliva l’austerità di quegli scanni. Era con lei (oltre all’Andreotti, al Matteotti e al Cicerone) Teresa Mattei, di venticinque anni e mesi due, la più giovane di tutti nella Camera, vestita in blu a pallini bianchi e con un bianco collarino. Più vistose altre colleghe: le comuniste in genere erano in vesti chiare (una in colore tuorlo d’uovo); la qualunquista Della Penna in color saponetta e complicata pettinatura (un rouleau di capelli biondi attorno alla testa); in tailleur di shantung beige la Cingolani Guidi, che era la sola democristiana in chiaro; in blu e pallini rossi la Montagnana; molto elegante, in nero signorile e con bei guanti traforati la Merlin; un’altra in veste marmorizzata su fondo rosa”.

Nel gruppo delle comuniste c’era anche la giovanissima Nilde Iotti, che era stata durante la Resistenza prima responsabile dei Gruppi di Difesa della Donna e poi porta-ordini (verrà nominata nel 1979 Presidente della Camera, prima donna nella storia della Repubblica e confermata fino al 1992); tra le democristiane Elisabetta Conci, figlia di un senatore del vecchio Partito Popolare, la partigiana Angela Gotelli che aveva partecipato alla Resistenza nel parmense e Angela Guidi Cingolani, la prima donna che sarà chiamata al governo, come sottosegretario, nel VII governo De Gasperi.

Piero Calamandrei e l’indifferentismo alla politica

calamandrei Discorso sulla Costituzione

Di Piero Calamandrei

Il discorso qui riprodotto fu pronunciato da Piero Calamandrei nel salone degli Affreschi della Società Umanitaria il 26 gennaio 1955 in occasione dell’inaugurazione di un ciclo di sette conferenze sulla Costituzione italiana organizzato da un gruppo di studenti universitari e medi per illustrare in modo accessibile a tutti i principi morali e giuridici che stanno a fondamento della nostra vita associativa.

L’art.34 dice:” I capaci e i meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi”. Eh! E se non hanno i mezzi? Allora nella nostra costituzione c’è un articolo che è il più importante di tutta la costituzione, il più impegnativo per noi che siamo al declinare, ma soprattutto per voi giovani che avete l’avvenire davanti a voi. Dice così:

E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.

E’ compito di rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana: quindi dare lavoro a tutti, dare una giusta retribuzione a tutti, dare una scuola a tutti, dare a tutti gli uomini dignità di uomo. Soltanto quando questo sarà raggiunto, si potrà veramente dire che la formula contenuta nell’art. primo- “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro “- corrisponderà alla realtà. Perché fino a che non c’è questa possibilità per ogni uomo di lavorare e di studiare e di trarre con sicurezza dal proprio lavoro i mezzi per vivere da uomo, non solo la nostra Repubblica non si potrà chiamare fondata sul lavoro, ma non si potrà chiamare neanche democratica perché una democrazia in cui non ci sia questa uguaglianza di fatto, in cui ci sia soltanto una uguaglianza di diritto, è una democrazia puramente formale, non è una democrazia in cui tutti i cittadini veramente siano messi in grado di concorrere alla vita della società, di portare il loro miglior contributo, in cui tutte le forze spirituali di tutti i cittadini siano messe a contribuire a questo cammino, a questo progresso continuo di tutta la società.

E allora voi capite da questo che la nostra costituzione è in parte una realtà, ma soltanto in parte è una realtà. In parte è ancora un programma, un ideale, una speranza, un impegno di lavoro da compiere. Quanto lavoro avete da compiere! Quanto lavoro vi sta dinanzi!

E‘ stato detto giustamente che le costituzioni sono anche delle polemiche, che negli articoli delle costituzioni c’è sempre anche se dissimulata dalla formulazione fredda delle disposizioni, una polemica. Questa polemica, di solito è una polemica contro il passato, contro il passato recente, contro il regime caduto da cui è venuto fuori il nuovo regime.

Se voi leggete la parte della costituzione che si riferisce ai rapporti civili politici, ai diritti di libertà, voi sentirete continuamente la polemica contro quella che era la situazione prima della Repubblica, quando tutte queste libertà, che oggi sono elencate e riaffermate solennemente, erano sistematicamente disconosciute. Quindi, polemica nella parte dei diritti dell’uomo e del cittadino contro il passato.

Ma c’è una parte della nostra costituzione che è una polemica contro il presente, contro la società presente. Perché quando l’art. 3 vi dice: “ E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono il pieno sviluppo della persona umana” riconosce che questi ostacoli oggi vi sono di fatto e che bisogna rimuoverli. Dà un giudizio, la costituzione, un giudizio polemico, un giudizio negativo contro l’ordinamento sociale attuale, che bisogna modificare attraverso questo strumento di legalità, di trasformazione graduale, che la costituzione ha messo a disposizione dei cittadini italiani. Ma no è una costituzione immobile che abbia fissato un punto fermo, è una costituzione che apre le vie verso l’avvenire. Non voglio dire rivoluzionaria, perché per rivoluzione nel linguaggio comune s’intende qualche cosa che sovverte violentemente, ma è una costituzione rinnovatrice, progressiva, che mira alla trasformazione di questa società n cui può accadere che, anche quando ci sono, le libertà giuridiche e politiche siano rese inutili dalle disuguaglianze economiche dalla impossibilità per molti cittadini di essere persone e di accorgersi che dentro di loro c’è una fiamma spirituale che se fosse sviluppata in un regime di perequazione economica, potrebbe anche essa contribuire al progresso della società. Quindi, polemica contro il presente in cui viviamo e impegno di fare quanto è in noi per trasformare questa situazione presente. Però, vedete, la costituzione non è una macchina che una volta messa in moto va avanti da sé. La costituzione è un pezzo di carta: la lascio cadere e non si muove. Perché si muova bisogna ogni giorno rimetterci dentro il combustibile, bisogna metterci dentro l’impegno, lo spirito, la volontà di mantenere queste promesse, la propria responsabilità. Per questo una delle offese che si fanno alla costituzione è l’indifferenza alla politica, l’indifferentismo politico che è -non qui, per fortuna, in questo uditorio, ma spesso in larghe categorie di giovani- una malattia dei giovani. ”La politica è una brutta cosa”, “che me ne importa della politica”: quando sento fare questo discorso, mi viene sempre in mente quella vecchia storiellina, che qualcheduno di voi conoscerà, di quei due emigranti, due contadini, che traversavano l’oceano su un piroscafo traballante. Uno di questi contadini dormiva nella stiva e l’altro stava sul ponte e si accorgeva che c’era una gran burrasca con delle onde altissime e il piroscafo oscillava: E allora questo contadino impaurito domanda a un marinaio: “Ma siamo in pericolo?”, e questo dice: “Se continua questo mare, il bastimento fra mezz’ora affonda”. Allora lui corre nella stiva a svegliare il compagno e dice: “Beppe, Beppe, Beppe, se continua questo mare, il bastimento fra mezz’ora affonda!”. Quello dice: ” Che me ne importa, non è mica mio!”. Questo è l’indifferentismo alla politica. E’ così bello, è così comodo: la libertà c’è. Si vive in regime di libertà, c’è altre cose da fare che interessarsi alla politica. E lo so anch’io! Il mondo è così bello, ci sono tante cose belle da vedere, da godere, oltre che occuparsi di politica. La politica non è una piacevole cosa. Però la libertà è come l’aria: ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare, quando si sente quel senso di asfissia che gli uomini della mia generazione hanno sentito per vent’anni, e che io auguro a voi, giovani, di non sentire mai, e vi auguro di non trovarvi mai a sentire questo senso di angoscia, in quanto vi auguro di riuscire a creare voi le condizioni perché questo senso di angoscia non lo dobbiate provare mai, ricordandovi ogni giorno che sulla libertà bisogna vigilare, dando il proprio contributo alla vita politica. La costituzione, vedete, è l’affermazione scritta in questi articoli, che dal punto di vista letterario non sono belli, ma è l’affermazione solenne della solidarietà sociale, della solidarietà umana, della sorte comune, che se va a fondo, va a fondo per tutti questo bastimento. E’ la carta della propria libertà, la carta per ciascuno di noi della propria dignità di uomo. Io mi ricordo le prime elezioni dopo la caduta del fascismo, il 2 giugno 1946, questo popolo che da venticinque anni non aveva goduto le libertà civili e politiche, la prima volta che andò a votare dopo un periodo di orrori – il caos, la guerra civile, le lotte le guerre, gli incendi. Ricordo – io ero a Firenze, lo stesso è capitato qui – queste file di gente disciplinata davanti alle sezioni, disciplinata e lieta perché avevano la sensazione di aver ritrovato la propria dignità, questo dare il voto, questo portare la propria opinione per contribuire a creare questa opinione della comunità, questo essere padroni di noi, del proprio paese, del nostro paese, della nostra patria, della nostra terra, disporre noi delle nostre sorti, delle sorti del nostro paese.

Quindi, voi giovani alla costituzione dovete dare il vostro spirito, la vostra gioventù, farla vivere, sentirla come cosa vostra, metterci dentro il senso civico, la coscienza civica, rendersi conto- questa è una delle gioie della vita- rendersi conto che ognuno di noi nel mondo non è solo, che siamo in più, che siamo parte di un tutto, nei limiti dell’Italia e nel mondo. Ora vedete – io ho poco altro da dirvi -, in questa costituzione, di cui sentirete fare il commento nelle prossime conferenze, c’è dentro tutta la nostra storia, tutto il nostro passato. Tutti i nostri dolori, le nostre sciagure, le nostre glorie son tutti sfociati in questi articoli. E a sapere intendere, dietro questi articoli ci si sentono delle voci lontane. Quando io leggo nell’art. 2, ”l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”, o quando leggo, nell’art. 11, “l’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli”, la patria italiana in mezzo alle alte patrie, dico: ma questo è Mazzini; o quando io leggo, nell’art. 8, “tutte le confessioni religiose sono ugualmente libere davanti alla legge”, ma questo è Cavour; quando io leggo, nell’art. 5, “la Repubblica una e indivisibile riconosce e promuove le autonomie locali”, ma questo è Cattaneo; o quando, nell’art. 52, io leggo, a proposito delle forze armate,”l’ordinamento delle forze armate si informa allo spirito democratico della Repubblica” esercito di popolo, ma questo è Garibaldi; e quando leggo,  all’art. 27, “non è ammessa la pena di morte”, ma questo, o studenti milanesi, è Beccaria. Grandi voci lontane, grandi nomi lontani. Ma ci sono anche umili nomi, voci recenti. Quanto sangue e quanto dolore per arrivare a questa costituzione! Dietro a ogni articolo di questa costituzione, o giovani, voi dovete vedere giovani come voi, caduti combattendo, fucilati, impiccati, torturati, morti di fame nei campi di concentramento, morti in Russia, morti in Africa, morti per le strade di Milano, per le strade di Firenze, che hanno dato la vita perché la libertà e la giustizia potessero essere scritte su questa carta. Quindi, quando vi ho detto che questa è una carta morta, no, non è una carta morta, questo è un testamento, un testamento di centomila morti. Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì, o giovani, col pensiero perché lì è nata la nostra costituzione.

Bozza di Regolamento di Occupazione di Suolo Pubblico e COSAP

comuneDi seguito gli emendamenti che ho elaborato:CONSIGLIO COMUNALE DI NAPOLI

del 15 giugno 2012
PROPOSTA DI EMENDAMENTO
DELIBERA DI GIUNTA DI PROPOSTA AL CONSIGLIO N. 273 del 01.03.2012
PREMESSO CHE:
I.- Con la delibera di giunta indicata in epigrafe l’Amministrazione
ha proposto l’adozione del nuovo regolamento per la occupazione di
suolo pubblico nonché la modifica del regolamento COSAP;
II.- è intenzione dell’amministrazione agevolare e tutelare il lavoro
e le attività produttive compatibilmente con il corretto uso degli
spazi pubblici in godimento di tutte le persone.
Letta la proposta di regolamento allegata alla delibera in epigrafe
intitolato “Regolamento Comunale per l’occupazione di suolo pubblico
antistante gli esercizi di somministrazione al pubblico di alimenti e
bevande” ed a mente dell’art. 44 del vigente Regolamento Consiliare si
propone l’adozione del seguente emendamento:
All’art. 1 aggiungere quale comma 1 la seguente enunciazione di
principio: “Il Comune di Napoli, a mente dell’art. 41 della
Costituzione tutela l’iniziativa economica privata che non può
svolgersi in contrasto con l’utilità sociale ed in modo da recare
danno alla sicurezza, alla libertà ed alla dignità umana, facendo si
che l’uso degli spazi pubblici sia concesso nel rispetto del
preminente interesse pubblico”.
All’art. 2 del regolamento aggiungere al primo comma lettera a) dopo
“installazione” le parole: “elementi mobili non ancorati al suolo” e
cancellare le parole: “di tavoli, sedie ed ombrelloni”.
All’art. 10 comma 1 lettera a) aggiungere dopo la parola “sedie”: “e fioriere”.
All’art. 11, comma 7, dopo la parola: “diniego,” cancellare le parole:
“il servizio competente è tenuto a rilasciare la concessione” e
sostituirle con: “la concessione di intende rilasciata valendo il
silenzio assenso”.
All’art. 12 comma 5, dopo le parole “Servizio Ambiente” aggiungere le
parole: “a cura del richiedente”.
All’art. 14, comma 2 dopo la parola “visibile” aggiungere le parole:
“in uno alla planimetria descrittiva della occupazione autorizzata”.
Dopo l’art. 14 aggiungere l’art. 15 e modificare la successiva
numerazione degli articoli con il seguente testo: Art. 15. Piccoli
esercizi commerciali da asporto. 1.- I piccoli esercizi commerciali
alimentari da asporto possono ottenere la concessione di occupazione
di suolo pubblico, nella immediata vicinanza del locale, per la
installazione di tavolini di piccole dimensioni che possano fungere da
solo appoggio per gli avventori. 2.- In tal caso il canone di
occupazione di suolo pubblico è ridotto della metà. 3.- In quanto
compatibili si applicano tutte le altre disposizioni relative al
rilascio prolungato o temporaneo di cui al presente regolamento.
all’art. 18 dopo il comma 3 aggiungere il comma 4 con il seguente testo: 4.- Il presente Regolamento costituisce disciplina speciale rispetto al “Regolamento per l’occupazione di suolo pubblico e per l’applicazione del relativo canone (C.O.S.A.P.)” il quale sarà applicabile in quanto non derogato ed in quanto compatibile”
Proponenti:
Gennaro Esposito Carlo Iannello Arnaldo Maurino

Angela Guidi Cingolani il Suo primo intervento

madricost cingolaniAngela Guidi Cingolani, (Roma, 1896-1991) la prima italiana eletta nella 1^ legislatura a parlare in un’assemblea democratica.

Laureata presso l’Istituto Universitario Orientale di Napoli in lingue e letterature slave.

Il suo primo intervento viene ricordato così dalle cronache del tempo: “Le sue dichiarazioni furono solenni; esse contenevano l’affermazione dell’impegno per la presenza femminile nella ricostruzione del Paese. Disse tra l’altro: “Vogliamo essere forza viva di ricostruzione morale e materiale, e possiamo farlo perché siamo, tutte, lavoratrici; sappiamo tutte l’oscuro sacrificio, lieto sacrificio, del lavoro per la famiglia” “Per la dignità di donne siamo contro la tirannide di ieri come contro qualunque tirannide di domani. Noi donne abbiamo la visione della nuova dignità del lavoro”. E concludeva ricordando una grande Santa, Caterina di Siena, che incitava le donne all’operosità: “Traete fuori il capo e uscite a combattere per la libertà. Venite, venite e non andate ad aspettare il tempo, che il tempo non aspetta noi”.  Il testo integrale:

“Colleghi Consultori, nel vostro applauso ravviso un saluto per la donna che per la prima volta parla in quest’aula. Non un applauso dunque per la mia persona ma per me quale rappresentante delle donne italiane che ora, per la prima volta, partecipano alla vita politica del paese.Ardisco pensare, pur parlando col cuore di democratica cristiana, di poter esprimere il sentimento, i propositi e le speranze di tanta parte di donne italiane; credo proprio di interpretare il pensiero di tutte noi Consultrici invitandovi a considerarci non come rappresentanti del solito sesso debole e gentile, oggetto di formali galanterie e di cavalleria di altri tempi, ma pregandovi di valutarci come espressione rappresentativa di quella metà del popolo italiano che ha pur qualcosa da dire, che ha lavorato con voi, con voi ha sofferto, ha resistito, ha combattuto, con voi ha vinto con armi talvolta diverse ma talvolta simili alle vostre e che ora con voi lotta per una democrazia che sia libertà politica, giustizia sociale, elevazione morale. È mia convinzione che se non ci fossero stati questi 20 anni di mezzo, la partecipazione della donna alla vita politica avrebbe già una storia. Comunque, ci contentiamo oggi di entrare nella cronaca, sperando, attraverso le nostre opere, di essere ricordate nella storia del secondo risorgimento del nostro paese. Tutti oggi siamo preoccupati dalla catastrofe morale che ha accompagnato la rovina materiale del nostro Paese: le cifre spaventose, indici del dilagare della prostituzione minorile, dell’intensificarsi della tratta delle bianche, della precoce iniziazione al male di migliaia di fanciulli, ci rendono pensose del domani così pauroso per le conseguenze di tanto disastro morale. È vero, la guerra porta sempre con sé devastazioni morali: ma credo che mai nel passato se ne sia verificata una così spaventosa, nella distruzione di tanta innocenza, di tanta promessa, invano sbocciata, di una nuova migliore generazione. Allargate le funzioni degli enti di assistenza e della maternità e infanzia; fateci essere madri rieducatrici di chi mai di un sorriso di madre ha goduto non si tema, per questo nostro intervento quasi un ritorno a un rinnovato matriarcato, seppure mai esistito! Abbiamo troppo fiuto politico per aspirare a ciò; comunque peggio di quel che nel passato hanno saputo fare gli uomini noi certo non riusciremo mai a fare!Il fascismo ha tentato di abbruttirci con la cosiddetta politica demografica considerandoci unicamente come fattrici di servi e di sgherri. La nostra lotta contro la tirannide tramontata nel fango e nel sangue, ha avuto un movente eminentemente morale, poiché la malavita politica che faceva mostra di sé nelle adunate oceaniche, fatalmente sboccava nella malavita privata. Per la stessa dignità di donne noi siamo contro la tirannide di ieri come contro qualunque possibile ritorno ad una tirannide di domani. Non so se proprio risponda a verità la definizione che della donna militante nella vita sociale e politica è stata data: “la donna è un istinto in marcia”. Ma anche così fosse, è l’istinto che ci rende capaci di far incontrare il buon senso comune, che fa essere tutrici di Pace”.

I Lavori dell’Assemblea Costituente

A75L’Assemblea costituente si riunì per la prima volta il 25 giugno 1946, ed elesse presidente, nella prima seduta, Giuseppe Saragat. Il 28 giugno Enrico De Nicola fu eletto dall’Assemblea Capo provvisorio dello Stato, con 396 voti su 501 votanti.

Prima seduta dell’Assemblea Costituente, il 25 giugno 1946

Enrico De Nicola, eletto alla carica di Capo provvisorio dello Stato, giunge a Montecitorio. E’ il 28 giugno 1946., n. L’Assemblea costituente lavorò fino al 31 gennaio 1948 in virtù della prorogatio contenuta nella XVII disposizione transitoria della Costituzione. Le sue commissioni funzionarono anche dopo tale data, fino al mese di aprile del 1948. Durante l’arco temporale dei suoi lavori, si tennero 375 sedute pubbliche, delle quali 170 dedicate alla Costituzione e 210 ad altre materie. L’Assemblea si riunì due volte in Comitato segreto per dibattere problemi interni. Il 15 luglio l’Assemblea decise l’istituzione di una Commissione speciale incaricata di elaborare e proporre il progetto di Costituzione da discutere in aula. Il 20 luglio, nella sua prima seduta, tale commissione – che divenne nota col nome di Commissione dei 75 – elesse a proprio presidente Meuccio Ruini, già presidente del Consiglio di Stato. La Commissione dei 75 lavorò fino al 1° febbraio 1947, organizzandosi in tre sottocommissioni corrispondenti alle principali sezioni previste nella nuova carta costituzionale. La prima sottocommissione, presieduta da Umberto Tupini, doveva occuparsi dei diritti e doveri dei cittadini; la seconda, presieduta da Umberto Terracini, dell’organizzazione costituzionale dello Stato; la terza, presieduta da Gustavo Ghidini, dei rapporti economici e sociali.

La discussione generale in aula sul progetto di Costituzione iniziò il 4 marzo 1947, dopo la fine del lavoro di coordinamento del testo da parte del Comitato dei 18, e proseguì durante tutto il 1947. Concluso il lavoro delle sottocommissioni, la parola passò ad un Comitato di redazione, composto di 18 membri, vero e proprio organo di raccordo tra le sottocommissioni stesse e la Commissione dei 75. Il Comitato di redazione (presieduto sempre dall’on. Ruini e del quale facevano parte i tre presidenti delle sottocommissioni) approntò il progetto di Costituzione, suddividendolo in “parti”, in “titoli” e in “sezioni”, coordinando i 217 articoli approvati in sede di sottocommissione e di sezione ed esaminando le proposte giunte dal Consiglio di Stato, dalla Corte di Cassazione e dal Ministero per la Costituente.

Il ruolo del Comitato, le cui sedute purtroppo non vennero verbalizzate, fu fondamentale. Non solo definì la struttura della Carta costituzionale, introducendo importanti innovazioni, ma rappresentò anche nel dibattito in aula l’intera Commissione, provvedendo al coordinamento finale ed alla stessa compilazione del testo definitivo dopo il dibattito finale.

La discussione del testo in Assemblea iniziò il 4 marzo e si concluse il 22 dicembre 1947. Ci vollero 170 sedute in 270 giornate di lavoro per approvare il testo definitivo. Vennero presentati ben 1.663 emendamenti sugli argomenti ritenuti più importanti, dalla potestà legislativa delle regioni alle forme di governo, dai rapporti con la Chiesa alle libertà fondamentali. Gli interventi in discussione furono 1.090 da parte di 275 oratori, 40 gli ordini del giorno votati. Fu nella seduta pomeridiana del 22 dicembre 1947 che si giunse, da parte dell’Assemblea Costituente, a scrutinio segreto, all’approvazione definitiva della nuova Carta Costituzionale con 453 voti favorevoli e 62 contrari su 515 presenti e votanti. Il momento venne accompagnato dall’intonazione dell’inno di Mameli da parte del pubblico delle tribune, imitato dai padri costituenti che si alzarono in piedi. Era nata “la Repubblica democratica fondata sul lavoro”. Fu promulgata dal Capo provvisorio dello Stato Enrico De Nicola il 27 dicembre 1947, fu pubblicata nello stesso giorno in una edizione straordinaria della Gazzetta Ufficiale.

Entrò in vigore il 1° gennaio 1948.

CRITICAL MASS

Sono per la discussione, il confronto e la critica costruttiva, sono più per il dubbio che per le certezze, quest’ultime mi spaventano, specialmente se offerte acriticamente come verbo. Cerco sempre di non appiattirmi su giudizi preconfezionati. Tutto questo è faticoso, fa sudare e macinare ma rende la vita degna di essere vissuta! La partecipazione senza diritto di critica né discussione e senza la predisposizione a cambiare idea non è partecipazione è REGIME!! Ecco perché mi piace CRITICAL MASS

Gli equilibri Costituzionali non si toccano

cingolani1 giugno 2012

Pubblico l’appello di illustri giuristi che denunciano la gravità del tentativo in atto di stravolgimento della Costituzione repubblicana:
Con una inammissibile precipitazione il Senato ha approvato in commissione un disegno di legge di riforma costituzionale che s´intende portare in aula già martedì prossimo. Ma la Costituzione non può essere profondamente mutata senza una vera discussione pubblica, senza che i cittadini adeguatamente informati possano far sentire la loro voce. E´ inaccettabile che la richiesta di partecipazione, così forte ed evidente proprio in questo momento, venga ignorata proprio quando si vuole addirittura modificare l´intero edificio costituzionale. I cittadini, che negli ultimi tempi sono tornati a guardare con fiducia alla Costituzione, non possono essere messi di fronte a fatti compiuti.
Offrendo ad una opinione pubblica offesa da prevaricazioni e prepotenze un´esigua riduzione del numero dei parlamentari, che passerebbero da 630 a 508 alla Camera e da 315 a 254 al Senato, si vuol cogliere l´occasione per alterare pericolosamente l´assetto dei poteri istituzionali (la riduzione dei parlamentari può essere affidata ad una legge costituzionale a sé stante, senza stravolgere la Costituzione). Viene attribuita una posizione assolutamente centrale al Presidente del Consiglio, mortificando il Parlamento e ridimensionando in maniera radicale la funzione di garanzia del Presidente della Repubblica. Il Parlamento è conculcato nelle sue stesse funzioni e nella sua libertà, fino a poter essere sciolto dallo stesso Presidente del Consiglio, nel caso votasse contro una sua legge sul quale fosse stata posta e negata la fiducia. L´intreccio tra sfiducia costruttiva e potere del Presidente del Consiglio di chiedere lo scioglimento delle Camere attribuisce a quest´ultimo un improprio strumento di pressione e rende marginale il ruolo del Presidente della Repubblica. I problemi del bicameralismo vengono aggravati, il procedimento legislativo complicato. Gli equilibri costituzionali sono profondamente alterati, cancellando garanzie e bilanciamenti propri di un sistema democratico. E ora si propone di passare da una repubblica parlamentare ad una presidenziale, di mutare dunque la stessa forma di governo, addirittura con un emendamento che sarà presentato in aula all´ultimo momento.
I firmatari di questo documento denunciano all´opinione pubblica la gravità di questa iniziativa per i pregiudizi che può arrecare alle istituzioni della Repubblica e si rivolgono a tutti i parlamentari perché rinuncino a portare avanti una modifica tanto pericolosa del sistema costituzionale.
Umberto Allegretti, Gaetano Azzariti, Lorenza Carlassare, Luigi Ferrajoli, Gianni Ferrara, Domenico Gallo, Raniero La Valle, Alessandro Pace, Alessandro Pizzorusso, Eligio Resta, Stefano Rodotà, Gustavo Zagrebelsky

Atto di indirizzo in materia di finanziamento strutture sportive

sportQuest’atto è stato assunto dall’amministrazione come indicazione nella redazione del bilancio

CONSIGLIO COMUNALE  DI NAPOLI

del 23 gennaio 2011

ORDINE DEL GIORNO

In relazione alla discussione sulle linee programmatiche per la predisposizione del bilancio comunale primi firmatari consiglieri Gennaro Esposito e Carlo Iannello

premesso che:

I.- Nell’ambito della discussione sulle linee programmatiche per la predisposizione del bilancio si intende dare un indirizzo di impiego degli attivi di bilancio;

II.- l’impiantistica sportiva del Comune di Napoli soffre di una grave crisi dovuta alla mancanza di fondi;

III.- l’uso degli impianti sportivi comunali determina anche un attivo per il Comune di Napoli che riscuote i relativi canoni per l’uso stesso delle strutture;

IV.- l’attività sportiva rappresenta un valore sociale per i messaggi che è in grado di trasmettere ai giovani ed a tutti coloro che praticano un’attività sportiva;

V.- occorre destinare fondi per la promozione e lo sviluppo dell’attività sportiva prevedendo un capitolo di spesa  nel bilancio legato alle entrate connesse all’uso degli impianti stessi.

Tanto premesso con il presente ordine del giorno il Consiglio Comunale impegna il Sindaco e la Giunta:

A destinare, su apposito capitolo di spesa, per lo meno il 20 % delle entrate derivanti dall’uso degli impianti sportivi da impiegare per la promozione dello sport e per l’adeguamento degli impianti sportivi.

I proponenti

Gennaro Esposito                                       Carlo Iannello

Proposta di regolamento testamento biologico

testamento-biologico

COMUNE DI NAPOLI

REGOLAMENTO COMUNALE

PER IL REGISTRO DEI TESTAMENTI BIOLOGICI

 ART. 1 Premesse e Finalità

  1. Il Comune di Napoli, in attuazione dei principi espressi dalla Corte Costituzionale nonché di quelli espressi dalla Carta dei Diritti Fondamentali della Unione Europea e dalla Convenzione di Oviedo sulla biomedicina, tutela e garantisce la piena dignità delle persone e ne promuove il pubblico rispetto anche in riferimento alla fase terminale della vita.

  2. Il Comune di Napoli garantisce l’attuazione del principio della libertà della persona e della sua autodeterminazione rispetto al diritto strettamente personale della vita, così come affermato dagli artt. 13 e 32 della Costituzione italiana, in virtù dei quali la libertà personale è inviolabile e nessuno può essere sottoposto ad un trattamento sanitario senza il suo consenso.

  3. Il “Testamento biologico” (detto anche “Testamento di vita” o “Dichiarazione anticipata di trattamento”) è la dichiarazione resa dalla persona maggiorenne con la quale si indicano in anticipo i trattamenti medici cui essere o non essere sottoposti in caso di malattie o traumatismi cerebrali che determinino una perdita di coscienza definibile come permanente ed irreversibile. La dichiarazione è un atto personalissimo, facoltativo, volontario, modificabile e revocabile. La persona che la redige nomina un Fiduciario che diviene il soggetto chiamato a far osservare la volontà così manifestata.

Art. 2 Istituzione del Registro

Il Comune di Napoli, nell’ambito della sua potestà istituzionale ed amministrativa e nel pieno rispetto delle disposizioni di leggi vigenti, istituisce il Registro dei Testamenti Biologici nel quale raccoglie le dichiarazioni anticipate di trattamento nei casi e nelle forme di cui agli articoli che seguono.

ART. 3 Registro dei Testamenti Biologici

  1. Il Registro è riservato ai cittadini residenti nel Comune di Napoli, tenuto dall’ufficio comunale competente ed ha come finalità di consentire l’iscrizione nominativa mediante autodichiarazione.

  2. L’iscrizione avviene con la consegna, effettuata personalmente dal cittadino dichiarante all’ufficio comunale competente, di una dichiarazione sottoscritta dall’interessato dinanzi al funzionario ricevente, o già recante la sottoscrizione dell’interessato, autenticata da soggetto abilitato.

  3. Ai fini dell’iscrizione nel registro e con le medesime modalità, il cittadino interessato può consegnare una dichiarazione dalla quale risulti esclusivamente il deposito presso un notaio di fiducia, identificato nella dichiarazione di trattamento anticipato.

  1. Ove il cittadino interessato sia fisicamente impossibilitato a consegnare personalmente la dichiarazione di trattamento anticipato, può incaricare della consegna il soggetto abilitato che ha provveduto all’autentica della sottoscrizione della dichiarazione stessa.

  1. Il Dichiarante nomina un Fiduciario.

  1. Il Dichiarante può nominare anche un Fiduciario supplente.

7. Il Fiduciario non ha l’obbligo della residenza nel Comune di Napoli e può chiedere in ogni momento la revoca della propria designazione che deve essere comunicata al Dichiarante.

8. Il Fiduciario è l’unico soggetto al quale l’Ufficio Comunale competente è autorizzato a consegnare la busta contenente la dichiarazione anticipata di trattamento.

9. Eventuali dichiarazioni successive si aggiungono a quelle consegnate in precedenza, ovvero le sostituiscono. In caso di contrasto tra due o più dichiarazioni avrà valore ed efficacia l’ultima regolarmente resa.

10. Il venir meno della residenza nel Comune di Napoli non comporta la cancellazione dal registro.

ART. 4 Modalità di tenuta del Registro

1. Il Registro deve riportare il numero progressivo delle dichiarazioni acquisiste agli atti dell’ufficio. Il Registro è strutturato in modo da garantire l’esatta individuazione del Dichiarante, la certezza della data e delle modalità di presentazione, la completezza e l’integrità del plico contenente la dichiarazione stessa; in caso di deposito presso soggetto abilitato, il Registro dovrà contenere i dati identificativi del Depositario.

2. Il Dichiarante dovrà rendere dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà ai sensi dell’art. 47 del D.P.R. 445/2000 nella quale darà atto di aver compilato e sottoscritto la dichiarazione anticipata di trattamento. Tale dichiarazione sarà allegata al Registro di cui al presente Regolamento.

3. Il funzionario comunale accettante ed incaricato della tenuta e dell’aggiornamento del Registro rilascerà al Dichiarante ed al Fiduciario l’attestazione relativa alla dichiarazione di avvenuta predisposizione del testamento biologico. Il funzionario accettante non conosce il contenuto del testamento biologico che è un atto strettamente personale e non risponde, pertanto, dei contenuti del testamento stesso.

4. La dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà, con la quale viene dato atto di aver compilato e sottoscritto una dichiarazione anticipata di trattamento, ha un numero progressivo ed è annotato sul Registro. Sul Registro verranno, altresì, annotati i riferimenti relativi al luogo di deposito (indirizzo del Notaio, Fiduciario/altro Depositario).

5. Al Dichiarante ed al Fiduciario è rilasciata attestazione relativa alla dichiarazione di avvenuta predisposizione del testamento biologico riportante il numero progressivo attribuito e annotato sul registro. Attraverso successiva dichiarazione, da rendere secondo le modalità sopra riportate, è in ogni momento possibile modificare o revocare le precedenti volontà.

6. Il Comune, nel rispetto della normativa di legge vigente in materia di “Privacy”, assume l’obbligo di conservare con cura il testamento biologico depositato che deve essere facilmente accessibile al personale dell’ufficio competente. Nessuna comunicazione della registrazione e dell’avvenuto deposito è effettuata da parte dell’Amministrazione Comunale ad enti pubblici e/o privati se non in forma anonima ed a semplice rilievo statistico.

  1. Il Comune di Napoli potrà adottare per la tenuta del Registro anche sistemi digitali di acquisizione e di conservazione dei dati.

Art. 5 Cancellazione dal Registro

La cancellazione dal Registro dei Testamenti Biologici avviene per volontà del Dichiarante ovvero per morte di quest’ultimo, comunicata o accertata dal medesimo ufficio.

Atto di indirizzo su contributi e nomine

comuneQuest’atto è stato assunto dall’amministrazione come indicazione nella redazione del bilancio

CONSIGLIO COMUNALE DI NAPOLI

del 23 gennaio 2011

ORDINE DEL GIORNO

In relazione alla discussione sulle linee programmatiche per la predisposizione del bilancio comunale

premesso che:

I.- Nell’ambito della discussione sulle linee programmatiche per la predisposizione del bilancio si intende

dare un indirizzo all’azione amministrativa in tema di assegnazione di contributi comunali e di conferimento di incarichi in enti, istituzioni ed aziende partecipate del Comune di Napoli;

II.- i principi costituzionali di imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione impongono l’attuazione concreta dei principi sopra enunciati anche alla luce della recente “Direttiva Generale per l’attività amministrativa e la gestione per l’anno 2012” del Sindaco di Napoli N. P.G. 2012/47584 del 19.01.2012.

Tanto premesso con il presente ordine del giorno il Consiglio Comunale impegna il Sindaco e la Giunta:

I) A prevedere per tutte le assegnazione di contributi in danaro da parte del Comune, in favore di soggetti privati e pubblici, un procedimento di evidenza pubblica affinché si possano mettere a confronto gli interessi pubblici da attuare mediante l’acquisizione di eventuali proposte volte al perseguimento dei fini istituzionali dell’Ente;

II) a prevedere un procedimento di evidenza pubblica, anche mediante acquisizione di curriculum vitea, per il conferimento di incarichi di qualsivoglia natura e tipo in enti, istituzioni e partecipate del Comune di Napoli affinché si possa valutare e giungere alla scelta migliore.

I proponenti

Gennaro Esposito

Carlo Iannello

Consiglio Comunale del 7 marzo 2012 intervento sui centri di salute mentale

mentaleCome Consigliere ieri sono stato al centro di salute mentale del distretto n. 29 nella Sanità, presso il quale ero stato invitato dalla dott.ssa Fichele. Ho incontrato medici ed operatori del settore. La cosa che mi ha colpito è stata la grande dignità con la quale sono stato accolto in via Santa Maria Antesecula, poi mi sono ricordato di una loro manifestazione in Piazza San Domenico Maggiore di qualche mese fa nella quale erano stati coinvolti i loro ospiti del centro. Ebbene, i medici con i quali ho parlato non mi hanno chiesto un intervento del Comune o un sostegno economico da parte del Comune per questo o quel paziente né l’invio di operatori OSA, ma mi hanno manifestato la loro preoccupazione per la organizzazione del servizio di emergenza notturno rimasto solo nella nostra città e non adeguato allo stesso Piano Sanitario Regionale adottato con decreto n. 32 del 27.05.2011. Per essere chiari in sostanza nei dieci centri di salute mentale sparsi sul territorio cittadino, si mantiene attivo un servizio assolutamente inutile che rappresenta uno spreco di danaro pubblico, assolutamente incomprensibile in questo periodo di crisi economica, poiché in ogni centro è prevista la presenza che va da 2 a 4 infermieri, mentre gli psichiatri sono solo reperibili. Il fatto grave è che l’impiego massiccio di personale infermieristico notturno determina una scopertura diurna che finisce per pregiudicare il lavoro vero con i pazienti, poiché i casi di emergenza notturna sono statisticamente 1,25 accessi di media a notte in tutta la Regione Campania (così riporta il Piano Sanitario Regionale). Dato peraltro confermato dalla esperienza degli Psichiatri con i quali ho avuto modo di parlare. Peraltro nei limitati casi in cui è necessario l’intervento psichiatrico urgente esso potrebbe essere assolto dal 118 come avviene in tutte le altre città italiane (Napoli a quanto pare è l’unica città ad aver mantenuto questa distorsione). E’ ovvio che la questione non è di nostra competenza come amministrazione ma ci riguarda da vicino visto che i medici del Centro si occupano di nostri concittadini meno fortunati e, quindi, mi sento di accogliere e di farmi portatore del loro appello affinché il Sindaco possa chiedere al Presidente della Regione Campania, l’immediato, adeguamento dei servizi di emergenza psichiatrica al Piano Sanitario Regionale così da liberare importanti risorse umane per utilizzarle al meglio durante l’assistenza diurna che allo stato è assolutamente pregiudicata per la scarsezza di personale infermieristico e medico.

Di seguito dati del sito Associazione Italiana Pischiatri Medici: AIPSIMED

http://www.aipsimed.org/sprechi-asl-napoli-rieti/

Da una recente indagine sui 10 centri di salute mentale di Napoli, che riportiamo nella figura allegata, è emerso che ogni centro, che serve un bacino d’utenza medio di 100mila abitanti, svolge mediamente 3 interventi, notturni o festivi, su 30 giorni. In altre parole per 27 giorni su 30 c’è un inutile impiego di personale che sottrae  risorse, già scarse, all’assistenza psichiatrica.I dati si riferiscono al numero mensile di interventi notturni e festivi urgenti, svolti tra gennaio e settembre 2011 da ogni singolo centro.Il presente è un’integrazione del recente articolo “La farsa dei centri di salute mentale aperti 24 ore“cui rimandiamo gli interessati per approfondimenti.

Questa anomalia, voluta da certa parte della  psichiatria, da certa politica e dai sindacati, vige solo in Campania. Per meglio dire, vige oggi solo a Napoli perché le altre Asl campane hanno già applicato le leggi vigenti, legge che a Napoli stenta ad essere applicata (“Riorganizzazione dell’emergenza psichiatrica in Campania” pubblicata sul BURC n° 32 del 27 maggio 2011). L’altra curiosa eccezione, invece, era Rieti fino a un anno fa.Lì è stato necessario resistere a tutto per riorganizzare l’assistenza psichiatrica: associazioni di familiari (talvolta aizzate) che hanno fatto ricorso al TAR, tutto il centrosinistra cittadino che ha diffamato e offeso professionalmente i colleghi, la CGIL che li ha attaccati in tutti i modi, accusandoli di essere fascisti ed a favore dei manicomi, il senatore Marino che ha scritto chiedendo spiegazioni, la Consulta Regionale per la salute mentale che ha bombardato di critiche, atteggiamento di guerriglia da parte di alcuni infermieri dei Csm, ecc. ecc.  Alla fine, con la chiusura dei Csm la notte, è stato dimostrato che si poteva lavorare meglio ottimizzando le risorse. Tuttavia anche a Rieti la strada è ancora lunga e c’è molto da fare, dopo 30 anni di una organizzazione utile solo agli operatori e non ai pazienti. Per giunta, dopo la chiusura dei CSM la notte, non solo non si è verificato alcun tipo di problema, ma anzi, rispetto all’anno precedente, i ricoveri in SPDC sono diminuiti.

Proposta di delibera di istituzione di due Speakers’ Corner

speakersCONSIGLIO COMUNALE DI NAPOLI
PROPOSTA DI DELIBERA DI INDIRIZZO
AI SENSI DELL’ART. 42 DEL T.U.E.L. E DELL’ART. 54 DEL
REGOLAMENTO DEL CONSIGLIO COMUNALE
di istituzione di Speakers’ Corner
(angolo degli oratori)

Premesso che:

1.- In virtù dei principi fondamentali dell’Ordinamento Italiano e dell’art. 21 della Carta Costituzionale tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione;
2.- la libertà di manifestazione del pensiero è un principio che deve trovare piena attuazione nelle amministrazione dello Stato e di quelle locali, come il Comune di Napoli, e deve essere agevolato in ogni forma e modalità;
3.- è famosa la tradizionale esperienza londinese risalente al 1872 di Hyde Park dello “Speakers’ Corner” dove hanno tenuto discorsi persone come Karl Marx, George Orwell e Lenin;
4.- l’esperienza londinese è stata ripetuta di recente anche a Berlino, ove è stato predisposto un luogo dove le persone possono manifestare liberamente il loro pensiero in pubblico e dove si tengono addirittura corsi di retorica e gare tra oratori;
5.- il Comune di Napoli ha al centro della sua azione amministrativa quella di promuovere in ogni forma la partecipazione dei cittadini alla vita politica, sociale e culturale;
6.- in attuazione del richiamato principio di libertà di manifestazione del pensiero, si ritiene utile prevedere a Napoli degli Angoli degli Oratori “Speakers’ Corner”, anche come stimolo delle persone alla partecipazione alla vita cittadina, sociale e culturale;
7.- gli Speakers’ Corner di cui al punto che precede, sarebbe utile e significativo collocarli, possibilmente in luoghi frequentati e storicamente significativi per la presenza di monumenti come nella Villa Comunale, in prossimità della statua di Gian Battista Vico nonché in Piazza Dante, in prossimità della Statua di Dante, ovvero, in ogni altro luogo ritenuto amministrativamente idoneo alla collocazione di un piccolo podio ed un cartello con la scritta “Speakers’ Corner Napoli” (Angolo degli Oratori);
8.- la modalità di attuazione del principio costituzionale richiamato, di libertà di manifestazione del pensiero, non si pone in contrasto con gli artt. 17 e ss. del T.U.L.P.S. non rientrando gli Speakers’ Corner nelle ipotesi ivi previste di riunioni o assembramenti e che gli oratori che si proporranno a parlare dovranno in ogni caso rispettare le norme a tutela dell’Ordine Pubblico e del Buon Costume e quelle previste in materia di tutela della quiete pubblica.

°°°

Tanto premesso i sottoscritti Consiglieri Comunali ai sensi e per gli effetti dell’art. 42 del T.U.E.L. e dell’art. 54 del Regolamento del Consiglio Comunale, al fine di dare attuazione ai principi sopra richiamati,
propongono alla Giunta Comunale di adottare i seguenti indirizzi politico/amministrativi affinché:
I.- sia installato in Villa Comunale in prossimità della statua di Gian Battista Vico, ovvero, in ogni altro luogo della Villa Comunale ritenuto idoneo, un piccolo podio ed un cartello recante la scritta “Speakers’ Corner Napoli (Angolo degli Oratori)” affinché tutte le persone senza distinzioni possano liberamente manifestare il loro pensiero in pubblico;
II.- sia installato in Piazza Dante, in prossimità della statua di Dante, ovvero, in ogni altro luogo della Piazza ritenuto idoneo, un piccolo podio ed un cartello recante la scritta “Speakers’ Corner (Angolo degli Oratori)” affinché tutte le persone senza distinzioni possano liberamente manifestare il loro pensiero in pubblico.
Napoli, 2 aprile 2012

…………………………………………

Cons. Gennaro Esposito
………………………………………
Cons. Carlo Iannello
………………………………………….
Cons. Arnaldo Maurino

Proposta di delibera sulla Toponomastica Cittadina

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CONSIGLIO COMUNALE DI NAPOLI

 PROPOSTA DI DELIBERA DI INDIRIZZO

 ai sensi dell’art. 42 del TUEL e dell’art. 54 del

 Regolamento del Consiglio Comunale

 in materia di

 toponomastica stradale cittadina

 Premesso che:

 1.- Da un esame della toponomastica nazionale è emerso che le strade hanno con prevalenza una denominazione maschile. Anche a Napoli, come in tante altre città, meno di un quinto dei odonimi è femminile, la metà di questo quinto è costituito da nomi di sante o dal nome della Vergine Maria, madre di Gesù, nelle forme Maria, Madonna e derivati. Il residuo di questa esigua percentuale è dedicato a donne mitologiche e immaginarie, mentre solo un 3% si riferisce finalmente a figure umane;

2.- su 3.771 strade le donne realmente esistite e significative dal punto di vista culturale e storico sono circa l’1.2% a fronte del 31% degli uomini;

3.- in molte città italiane si è aperto un dibattito sul tema della denominazione delle strade posto al centro della discussione cittadina da un gruppo di donne denominato “Toponomastica femminile di Napoli” ed al Comitato e rete “Senonoraquando” di Napoli in occasione dell’otto marzo hanno lanciato la campagna “tre donne tre strade”;

4.- l’iniziativa di ripensare alla toponomastica cittadina in modo da riequilibrare i rapporti di genere rappresenta una nuova ed imparziale prospettiva dell’azione amministrativa;

5.- con la presente delibera di indirizzo si intende avviare in vero e proprio percorso culturale che possa portare a ripensare il procedimento di assegnazione di un odonimo anche attraverso iniziative, manifestazioni e convegni culturali locali che possano avere ad oggetto l’approfondimento delle figure femminili che sono state protagoniste del nostro paese ed in particolare della città di Napoli.

° ° °

            Tanto premesso il sottoscritto Consiglio Comunale ai sensi e per gli effetti dell’art. 42 del T.U.E.L. e dell’art. 54 del Regolamento del Consiglio Comunale, al fine di dare concreta attuazione a quanto sopra premesso,

 propone

al Consiglio Comunale di adottare la presente delibera di indirizzo politico amministrativo affinché la Giunta, nell’esercizio dei suoi poteri di gestione provveda:

I.- A rivedere l’odonomastica cittadina affinché si denominino, anche in breve tempo, tre strade cittadine a tre donne;

II.- di avviare attraverso gli uffici competenti la revisione della odonomastica cittadina per verificare la percentuale di genere nella assegnazione;

III.- di far precedere l’assegnazione dell’odonimo da un dibattito cittadino nelle municipalità interessate favorendo la partecipazione al procedimento amministrativo di cittadini, enti ed associazioni;

IV.- a promuovere anche nel settore scolastico la presente iniziativa anche attraverso la indizione di concorsi di idee tra studenti che si potranno confrontare sulle scelte dei nomi di donne da assegnare alle strade cittadine;

V.- di seguire i seguenti graduali criteri nell’assegnazione degli odonimi: 1) napoletane o comunque campane; 2) Italiane o straniere che abbiano avuto un rapporto privilegiato con la città; 3) donne di cultura scientifica o letteraria per le strade e le piazze nelle vicinanze di istituti scolastici, facoltà universitarie e luoghi di formazione.

Napoli, 16 maggio 2012

Il Consigliere

Avv. Gennaro Esposito

Proposta di regolamento nomine e designazioni del Comune

Era un po’ che ci pensavo mi sono deciso stanotte (13.05.2012) perché sono stanco ed indignato! Dico subito che questo regolamento è in massima parte quello che ha adottato il Comune di Cagliari del Sindaco Zedda come al solito non mi sono invantato nulla. Non è possibile che in tutte le nomine rimesse alla politica si attui il bieco nepotismo, il familismo amorale, oppure, se va bene, il manuale cencelli (che ho conosciuto da poco per la mia recente esperienza). Basta!! Occorre che si sterilizzino i meccanismi di nomina dalla politica per dare spazio alla capacità, competenza ed imparzalità. L’Italia non ce la fa più a reggere il saccheggio del bene pubblico e l’occupazione dei partiti in violazione degli elementari principi costituzionali. Il risultato di questo stato di cose è il disagio ed il conflitto sociale. In campania si sta facendo macelleria sociale nella sanità. Oggi ho fatto la pallina di ping pong tra due ospedali per un pronto soccorso per mio figlio. La cosa che mi ha fatto riflettere è stato il comportamento di un nostro concittadino in attesa di cure urgenti (codcie verde) oculistiche che nonostante io avessi portato mio figlio di 10 anni ha protestato perché entrava prima il bambino e non lui che stava aspettando da prima. Non mi ha colpito il signore che si lamentava insensibile al dolore di un bambino ma il fatto che questo stato di cose è stato provocato dalla politica della occupazione dei posti senza alcuna considerazione delle competenze: a napoli il commissario per la sanità è un generale di corpo di armata dei carabinieri. La cosa che mi fa riflettere è che l’incompetenza di questi nominati con la loro loro azione amministrativa generano dissidio sociale. Io mi sono scusato col signore ma ho provato rabbia ed indignazione verso colui che, nominato dalla politica, è incapace di capire dove tagliare e finisce per tagliare la nostra vita e quella dei nostri figli. Non mi darò pace né voi dovrete darvene!!! Attendo eventuali Vostre proposte o modifiche migliorative. Come al solito la partecipazione prima di tutto!

 CONSIGLIO COMUNALE DI NAPOLI

 PROPOSTA DI DELIBERA DI INDIRIZZO

 AI SENSI DELL’ART. 42 DEL T.U.E.L. E DELL’ART. 54 DEL

 REGOLAMENTO DEL CONSIGLIO COMUNALE

Per la istituzione di un Regolamento relativo alle nomine, designazioni e revoche di rappresentanti del Comune presso enti, aziende, società ed istituzioni

Premesso che:

– L’art. 97 della Costituzione impone il rispetto del principio di imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione e che tale principio deve essere garantito in ogni azione amministrativa;

– corollari del principio di imparzialità e buon andamento della Pubblica Amministrazione sono la partecipazione e la trasparenza;

–  l’art. 42, comma 2, lett. m) del D. Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, prevede la competenza del Consiglio Comunale in ordine alla definizione degli indirizzi per la nomina e la designazione dei rappresentanti del comune presso Enti, Aziende ed Istituzioni;

–  l’art. 50, comma 8, del medesimo decreto, stabilisce la competenza del Sindaco, sulla base degli indirizzi stabiliti dal consiglio, a provvedere alla nomina, alla designazione e alla revoca dei rappresentanti del comune presso Enti, Aziende ed Istituzioni;

–  l’art. 41, comma 1, lettera e) dello Statuto Comunale dispone che il Sindaco “nomina, designa e revoca i rappresentanti del Comune in Aziende, istituzioni e società”;

– con deliberazione n. 134 del 26.10.1992, il Consiglio Comunale di Napoli approvava gli indirizzi per l’esercizio dei poteri del Sindaco previsti dagli artt. 15 e 13 della legge 25/3/93, n. 81, in materia di nomina e/o designazione dei rappresentanti del Comune in seno ad enti, aziende ed istituzioni che non appaiono più in linea con il mutato quadro normativo e con lo Statuto del Comune di Napoli;

– è necessario approvare un regolamento, che disciplini compiutamente la materia, tenuto conto di quanto disposto dalla vigente normativa in modo da assicurare il rispetto dei richiamati principi di buon andamento ed imparzialità della Pubblica Amministrazione e di assicurare la partecipazione, la trasparenza e la competenza professionale dei candidati nelle scelte dei rappresentanti del Comune in enti, aziende ed istituzioni.

Tanto premesso i sottoscritti Consiglieri Comunali ai sensi e per gli effetti dell’art. 42 e dell’art. 50 del T.U.E.L. e dell’art. 54 del Regolamento del Consiglio Comunale, al fine di dare attuazione ai principi sopra richiamati,

propongono

alla Giunta Comunale ed al Consiglio Comunale ciascuno secondo la propria competenza, di approvare la seguente proposta in uno all’allegato Regolamento per le nomine del Sindaco in enti, aziende ed istituzioni e pertanto

deliberare:

1) la revoca della delibera n. 134 del 26.10.1992 del Consiglio Comunale di Napoli e del relativo allegato regolamento;

2) di approvare il Regolamento relativo alle nomine, designazioni e revoche di rappresentanti del Comune presso Enti, Aziende, Società ed Istituzioni allegato al presente atto per farne parte integrante e sostanziale che viene siglato dai preponenti e che di seguito viene riportato;

3) di dare alla emananda delibera IMMEDIATA ESEGUIBILITÀ ai sensi dell’art. 134, comma 4 del D.Lgs. n. 267/2000.

Napoli, 14 maggio 2012

I Consiglieri Proponenti

………………….………………

Avv. Gennaro Esposito

……………………………….

Prof. Carlo Iannello

COMUNE DI NAPOLI

REGOLAMENTO NOMINE, DESIGNAZIONI E REVOCHE DI RAPPRESENTANTI DEL COMUNE PRESSO ENTI, AZIENDE, SOCIETÀ ED ISTITUZIONI

Art. 1 Principi

1. Ogni nomina, designazione e revoca di rappresentanti del Comune di Napoli presso Enti, Aziende, Società ed Istituzioni deve essere eseguita nel pieno ed incondizionato rispetto dei Principi Costituzionali di buon andamento, imparzialità, partecipazione e trasparenza della Pubblica Amministrazione in modo da assicurare la migliore scelta nell’interesse cittadino per capacità, competenze, integrità ed imparzialità.

ART. 2 PUBBLICITÁ

1. Il Sindaco, quarantacinque giorni prima della scadenza entro cui deve provvedere a norma di legge, di statuto o di regolamento a nomine o designazioni di rappresentanti del Comune presso enti, aziende, società e istituzioni, divulga con avviso pubblico gli incarichi da affidare e le loro caratteristiche.

2. L’avviso del Sindaco è affisso all’Albo Pretorio e pubblicato sul sito istituzionale del Comune di Napoli, è inoltre trasmesso ai Presidenti dei gruppi consiliari, delle commissioni consiliari permanenti ed agli organi di informazione.

3. Nell’avviso sono sinteticamente indicate per ciascun ente, azienda società e istituzione:

a. l’organismo e la carica cui si riferisce la nomina o la designazione;

b. i requisiti di carattere generale e specifici e le cause di incompatibilità e di esclusione;

c. gli emolumenti a qualsiasi titolo connessi alla carica;

d. gli scopi statutari dell’ente interessato.

ART. 3 REQUISITI

1. I rappresentanti del Comune negli enti, nelle aziende, nelle società e nelle istituzioni devono possedere una competenza tecnica, giuridica o amministrativa adeguata alle specifiche caratteristiche della carica.

2. A tal fine, i rappresentanti sono scelti considerando le qualità professionali e le competenze risultanti da titoli, incarichi professionali, accademici ed in istituzioni di ricerca, da pubblicazioni, da esperienza amministrativa o di direzione di strutture pubbliche e private, da impegno sociale e civile.

3. Al fine di assicurare le condizioni di pari opportunità previste dall’art. 51 della Costituzione e dall’art.1 del D.Lgs. n. 198/2006, le nomine o le designazioni dei rappresentanti del Comune negli enti, nelle aziende, nelle società e nelle istituzioni sono compiute in modo da garantire che ciascun genere sia rappresentato per almeno un terzo.

4. Per i collegi sindacali o dei revisori è necessaria l’iscrizione al Registro dei Revisori Contabili.

ART. 4CAUSE DI INCOMPATIBILITÁ E DI ESCLUSIONE

1. Salve le altre incompatibilità stabilite dalla normativa vigente, non può essere nominato o designato rappresentante del Comune presso enti, aziende, società e istituzioni:

a. chi è in stato di conflitto di interessi rispetto all’ente, azienda, società o istituzione nel quale rappresenta il Comune;

b. chi è stato dichiarato fallito;

c. chi ha un rapporto di impiego, consulenza o incarico con l’ente, l’azienda, l’istituzione presso cui dovrebbe essere nominato;

d. chi ha liti pendenti con il Comune di Napoli ovvero con l’ente, l’azienda, la società l’istituzione presso cui dovrebbe essere nominato;

e. chi è in una delle condizioni di incandidabilità, ineleggibilità, incompatibilità previste dal Titolo III, Capo II D.Lgs. 267/00;

f. i dipendenti, consulenti o incaricati del Comune di Napoli che operano in settori con compiti di controllo o indirizzo sulla attività dello specifico ente;

g. chi è stato nominato consecutivamente tre volte nello stesso ente e chi è già nominato in un altro ente anche non comunale;

h. chi è stato oggetto di revoca della nomina o designazione del Comune per motivate ragioni comportamentali;

i. chi ricopre la carica di Consigliere Comunale, Assessore, Presidente e Consigliere di Municipalità nel Comune di Napoli;

l. chi è stato candidato alle ultime due tornate elettorali al Consiglio Comunale di Napoli, alla Provincia di Napoli, alla Regione Campania ovvero al Parlamento e non è stato eletto.2. Il sopravvenire di una delle cause di incompatibilità e di esclusione nel corso del mandato comporta la decadenza automatica dalla nomina o dalla designazione.

ART. 5OBBLIGHI DEI NOMINATI E DESIGNATI

1. I rappresentanti del Comune presso enti aziende, società e istituzioni, all’atto della nomina o designazione, devono rendere pubblica la propria appartenenza ad Organismi, Associazioni o Società che hanno rapporti con il Comune.

2. I soggetti di cui al comma 1 devono, altresì, rendere pubblica la propria situazione reddituale e patrimoniale in analogia con quanto previsto per i Consiglieri Comunali.

3. I rappresentanti del Comune presso enti, aziende, società e istituzioni si impegnano formalmente a rispettare gli indirizzi programmatici stabiliti dal Consiglio per l’ente interessato anche se formulati successivamente alla nomina.

4. I rappresentanti del Comune presso enti, aziende, società e istituzioni, sono tenuti alla osservanza dei seguenti adempimenti nel rispetto di quanto previsto dalle leggi di riferimento:

a. intervenire, se richiesti, alle sedute delle Commissioni consiliari e produrre l’eventuale documentazione richiesta, ivi compresi i verbali delle assemblee; l’impossibilità ad intervenire dovrà essere comunicata con tempestività;

b. trasmettere al Sindaco, alla Presidenza del Consiglio Comunale ed ai Capigruppo consiliari l’ordine del giorno dell’assemblea ordinaria ed in particolare quello delle assemblee straordinarie;

c. trasmettere al Sindaco i programmi, i bilanci, l’ordine del giorno e le delibere degli organi;

d. presentare al Sindaco e alla Presidenza del Consiglio una relazione quadrimestrale sulle attività dell’ente, azienda, società e istituzione per la quale sono stati nominati o designati;

e. presentare al Sindaco e alla Presidenza del Consiglio Comunale, entro due mesi dalla conclusione dell’esercizio, la relazione informativa annuale, prevista dallo Statuto comunale, sullo stato dell’ente e sull’attività da essi svolta sulla base degli indirizzi avuti. Le relazioni sono portate tempestivamente a conoscenza dei gruppi consiliari e sono oggetto di verifica nelle commissioni competenti;

f. riferire al Sindaco eventuali procedure in atto ritenute in contrasto o non compatibili con gli indirizzi programmatici approvati dal Consiglio Comunale ed eventuali gravi carenze nell’attività o nella gestione aziendale.

5. Il Presidente del Consiglio comunale, su segnalazione del Presidente della Commissione Permanente competente per materia, comunica al Sindaco i mancati adempimenti di cui al comma 4, lett. a), per l’adozione dei provvedimenti di cui al comma successivo.

6. Il Sindaco contesta ai rappresentanti del Comune il mancato adempimento degli obblighi previsti dal presente articolo e, in caso di grave inadempienza, attiva la procedura di revoca.

ART. 6 PRESENTAZIONE DELLE CANDIDATURE

1. La disponibilità a ricoprire una specifica carica è espressa direttamente al Sindaco mediante candidatura redatta secondo i moduli predisposti dal Comune e corredata, a pena d’inammissibilità:

a. da un curriculum in cui si dà atto del possesso dei requisiti richiesti;

b. dalla sottoscrizione di una dichiarazione di osservanza degli adempimenti ed obblighi previsti dal presente Regolamento e dal Codice etico del Comune di Napoli;

c. dalla dichiarazione di non sussistenza delle cause di incompatibilità ed esclusione previste dall’art. 4 del presente Regolamento.

2. Il termine per la presentazione delle candidature è stabilito nell’avviso di cui all’art. 2 del presente regolamento e non è inferiore a venti giorni.

ART.7 PUBBLICITÀ DELLE CANDIDATURE

1. Non oltre due giorni dalla chiusura del termine di cui all’art. 6, comma 2 del presente Regolamento, l’elenco delle candidature pervenute (con allegato curriculum vitae nel rispetto dei dati sensibili in base al decreto legislativo 196 del 2003) è affisso all’Albo Pretorio e pubblicato sul sito istituzionale del Comune di Napoli, è inoltre trasmesso ai Presidenti dei gruppi consiliari, ai Presidenti delle commissioni consiliari permanenti nonché agli organi di informazione.

ART. 8 INFORMATIVA DEL SINDACO

1. Il Sindaco, effettuata la scelta, deposita presso il proprio Gabinetto i nominativi dei soggetti nominati e designati, dandone notizia scritta al Presidente del Consiglio per l’immediata informazione ai Consiglieri comunali.

2. Il Sindaco, in apertura della prima seduta utile, comunica al Consiglio comunale le nomine e le designazioni effettuate, dandone adeguata motivazione precisando quali sono stati i criteri che hanno determinato la scelta con particolare riferimento alle capacità professionali.

3. Entro due mesi dall’incarico, i soggetti nominati e designati dal Sindaco presentano alla Commissione consiliare competente per materia una relazione programmatica sulla base degli indirizzi avuti.

4. Il Sindaco dispone l’immediata pubblicazione sul sito istituzionale del Comune delle nomine e delle designazioni effettuate con le relative motivazioni.

ART. 9 REVOCA

1. Il Sindaco procede con proprio atto alla revoca delle nomine e delle designazioni del Comune in caso di sopraggiunta incompatibilità, di motivate gravi ragioni relative a comportamenti contraddittori od omissivi o a reiterate inottemperanze alle direttive espresse dall’Amministrazione Comunale, di inosservanza degli obblighi e delle norme stabilite dal presente Regolamento nonché in caso di reiterate assenze ingiustificate. Della revoca è tempestivamente informato il Consiglio Comunale.

ART. 10 TRASPARENZA

1. Il Comune di Napoli garantisce la trasparenza delle nomine e delle designazioni presso enti, aziende, società e istituzioni mediante un apposito Albo pubblicato sul proprio sito istituzionale ed accessibile a tutti gli interessati, in cui sono raccolti i dati relativi agli enti, alle aziende, alle società e istituzioni cui partecipa ed ai soggetti in essi nominati o designati.

Commissione del 12 dicembre 2011 sullo Stadio San Paolo

sanpaoloCOMUNI: NAPOLI;STADIO E CONVENZIONE,CONFRONTO IN COMMISSIONE

(ANSA) – NAPOLI, 12 DIC – La Commissione Sport, presieduta

da Gennaro Esposito, ha affrontato oggi la questione della

convenzione con la Società Calcio Napoli nel contesto delle

problematiche dei grandi impianti sportivi comunali e nella

prospettiva delle decisioni che dovranno esser prese in vista

della scadenza del 2014. In quella data scadrà definitivamente

il contratto tra Comune e Società Calcio Napoli per lo stadio

San Paolo.

La riunione è stata introdotta dal presidente della

Commissione Esposito il quale ha esposto dubbi sulla disciplina

del rapporto contrattuale; sulla sproporzione tra gli oneri del

Comune per la manutenzione ordinaria e straordinaria e la

percentuale di entrate derivanti dalle sponsorizzazioni e dagli

incassi al netto delle spese. Dati, costi e risorse impegnate

dal Comune per lo Stadio sono stati riassunti dal Dirigente del

Servizio Grandi impianti sportivi Arzillo.

L’orientamento dell’amministrazione è quello di procedere ad

un miglioramento della struttura dal punto di vista estetico,

nel contesto di una riqualificazione del territorio, dal momento

che lo stadio S.Paolo è una grande struttura polivalente che

risponde ai bisogni del territorio, anche oltre i confini

comunali. Dal punto di vista dei rapporti con la Società Calcio

Napoli, si legge in una nota del Comune, “si sta lavorando a

ristabilire un clima di comunicazione e di relazioni frequenti,

efficaci e produttive, partendo dagli aspetti gestionali

correnti”. Sollecitato dalle domande dei commissari, il

dirigente dei Grandi impianti, ha precisato “i costi a carico

del Comune della manutenzione ordinaria e straordinaria, che nel

corso degli ultimi dieci anni, sono stati di circa dieci milione

di euro e la consistenza delle risorse umane impegnate

nell’impianto che, tra dipendenti comunali, addetti della Napoli

Servizi per guardiania e pulizia, soci cooperatori impegnati

nella vigilanza presso le palestre, ammonta a un totale di

ottanta unità”.

Gli interventi dei consiglieri hanno affrontato i diversi

aspetti contingenti e di prospettiva. In particolare il problema

di avere in futuro uno stadio del Calcio Napoli. Il consigliere

Moxedano, già consigliere comunale al tempo della stipula della

convenzione ha spiegato le ragioni che nel 2004 spinsero il

Consiglio ad adottare quel tipo di strumento, cioé aiutare la

Società in un momento di grave difficoltà del calcio a Napoli

e in prospettiva ha detto che sarebbe auspicabile che la stessa

società possa disporre di un proprio impianto di valenza

europea. Sullo stesso problema il consigliere Ciro Borriello per

il quale è da prendere in considerazione l’ipotesi di un nuovo

stadio, anche in Provincia, come avviene in altre grandi città.

Altro problema sollevato nel corso della riunione (dal

consigliere Aniello Esposito) è quello della presenza dei

venditori abusivi sullo stadio, problema sul quale il

responsabile del marketing della Società, Formisano, ha

auspicato maggiori controlli da parte del Comune ed i commissari

hanno suggerito di affrontare anche con interventi di

comunicazione volti agli utenti.

La Commissione continuerà il suo approfondimento nelle

prossime settimane, con l’intervento dell’Assessora Tommasielli

(oggi impossibilitata a partecipare) considerando

importantissima la questione, come ha sottolineato il presidente

Esposito, per i risvolti che ha, soprattutto dal punto di vista
dell’impatto sociale.(ANSA).

Vincenzo Cuoco Gli Eroi

 

TALUNI PATRIOTI

Dopo la caduta della repubblica, Napoli non presentò che l’immagine dello squallore. Tutto ciò che vi era di buono, di grande, d’industrioso, fu distrutto; ed appena pochi avanzi de’ suoi uomini illustri si possono contare, scampati quasi per miracolo dal naufragio, erranti, senza famiglia e senza patria, sull’immensa superficie della terra.

Si può valutare a piú di ottanta milioni di ducati la perdita che la nazione ha fatto in industrie; quasi altrettanto ha perduto in mobili, in argenti, in beni confiscati: il prodotto di quattro secoli è stato distrutto in un momento. Si son veduti de’ monopolisti inglesi mercanteggiare i nostri capi d’opera di pittura, che il saccheggio avea fatti passare dagli antichi proprietari nelle mani del popolaccio, il quale non ne conosceva né il merito né il prezzo.

La rovina della parte attiva della nazione ha strascinata seco la rovina della nazione intera: tutto il popolo restò senza sussistenza, perché estinti furono o dispersi coloro che ne mantenevano o che ne animavano l’industria; e gli stessi controrivoluzionari piangono ora la perdita di coloro che essi stessi hanno spinti a morte.

Aggiungete a questi danni la perdita di tutt’i princípi, la corruzione di ogni costume, funeste ed inevitabili conseguenze delle vicende di una rivoluzione; una corte che da oggi in avanti riguarda la nazione come estranea e crede ritrovar nella di lei miseria e nella di lei ignoranza la sicurezza sua; e l’uomo che pensa vedrá con dolore una gran nazione respinta nel suo corso politico allo stato infelice in cui era due secoli fa.

Salviamo da tanta rovina taluni esempi di virtú: la memoria di coloro che abbiamo perduti è l’unico bene che ci resta, è l’unico bene che possiamo trasmettere alla posteritá. Vivono ancora le grandi anime di coloro che Speziale ha tentato invano di distruggere; e vedranno con gioia i loro nomi, trasmessi da noi a quella posteritá che essi tanto amavano, servir di sprone all’emulazione di quella virtú che era l’unico oggetto de’ loro voti.

Noi abbiamo sofferti gravissimi mali; ma abbiam dati anche grandissimi esempi di virtú. La giusta posteritá obblierá gli errori che, come uomini, han potuto commettere coloro a cui la repubblica era affidata: tra essi però ricercherá invano un vile, un traditore. Ecco ciò che si deve aspettare dall’uomo, ed ecco ciò che forma la loro gloria.

In faccia alla morte nessuno ha dato un segno di viltá. Tutti l’han guardata con quell’istessa fronte con cui avrebbero condannati i giudici del loro destino. Manthoné, interrogato da Speziale di ciò che avesse fatto nella repubblica, non rispose altro che: – Ho capitolato. – Ad ogni interrogazione non dava altra risposta. Gli fu detto che preparasse la sua difesa: – Se non basta la capitolazione, arrossirei di ogni altra. –

Cirillo, interrogato qual fosse la sua professione in tempo del re, rispose: – Medico. – Nella repubblica? – Rappresentante del popolo. – Ma in faccia a me che sei? – riprese Speziale, che pensava cosí avvilirlo[1]. – In faccia a te? Un eroe. –

Quando fu annunziata a Vitagliani la sua sentenza, egli suonava la chitarra; continuò a suonarla ed a cantare finché venne l’ora di avviarsi al suo destino. Uscendo dalle carceri, disse al custode: – Ti raccomando i miei compagni: essi sono uomini, e tu potresti esser infelice un giorno al pari di loro. –

Carlomagno, montato giá sulla scala del patibolo, si rivolse al popolo e gli disse: – Popolo stupido! tu godi adesso della mia morte. Verrá un giorno, e tu mi piangerai: il mio sangue giá si rovescia sul vostro capo e, se voi avrete la fortuna di non esser vivi, sul capo de’ vostri figli. –

Granalè dall’istesso luogo guardò la folla spettatrice: – Vi ci riconosco – disse – molti miei amici: vendicatemi! –

Nicola Palomba era giá sotto al patibolo: il commesso del fisco gli dice che ancora era a tempo di rivelare de’ complici. – Vile schiavo! – risponde Palomba – io non ho saputo comprar mai la vita coll’infamia. –

– Io ti manderò a morte – diceva Speziale a Velasco. – Tu?… Io morirò, ma tu non mi ci manderai. – Cosí dicendo, misura coll’occhio l’altezza di una finestra che era nella stanza del giudice, vi si slancia sotto i suoi occhi, e lascia lo scellerato sbalordito alla vista di tanto coraggio ed indispettito per aver perduto la vittima sua.

Ma, se vi vuole del coraggio per darsi la morte, non se ne richiede uno minore per non darsela, quando si è certo di averla da altri. A Baffa[2], giá certo del suo destino, fu offerto dell’oppio. Egli lo ricusò; e, morendo, dimostrò che non l’avea ricusato per viltá. Era egli, al pari di Socrate, persuaso che l’uomo sia posto in questo mondo come un soldato in fazione e che sia delitto l’abbandonar la vita, non altrimenti che lo sarebbe l’abbandonare il posto.

Questo sangue freddo, tanto superiore allo stesso coraggio, giunse all’estremo nella persona di Grimaldi. Era giá condannato a morte; era stato trattenuto dopo la condanna piú di un mese tra’ ferri; finalmente l’ora fatale arriva: di notte, una compagnia di russi ed un’altra di soldati napolitani lo trasportano dalla custodia al luogo dell’esecuzione. Egli ha il coraggio di svincolarsi dalle guardie; si difende da tutti i soldati, si libera, si salva. La truppa lo insiegue invano per quasi un miglio; né lo avrebbe al certo raggiunto, se, invece di fuggire, non avesse creduto miglior consiglio nascondersi in una casa, di cui trovò la porta aperta. La notte era oscura e tempestosa; un lampo lo tradí e lo scoperse ad un soldato, che l’inseguiva da lontano. Fu raggiunto. Disarmò due soldati, si difese, né lo potettero prendere se non quando, per tante ferite, era giá caduto semivivo.

Quante perdite dovrá piangere, e per lungo tempo, la nostra nazione! Io vorrei poter rendere ai nomi di tutti quell’onore che meritano, e spargere sul loro cenere quei fiori che forse chi sa se essi avranno giammai! Ma chi potrebbe rammentarli tutti?

Io non posso render a tutti quella giustizia che meritano, tra perché non ho potuto sapere tutto ciò ch’è avvenuto ne’ diversi luoghi del Regno, tra perché nella mia emigrazione non ho avuta altra guida che la mia memoria, la quale non ha potuto tutto ritenere. Mi sia perciò permesso trattenermi un momento sopra taluni piú noti.

Caracciolo Francesco. Era, senza contraddizione, uno de’ primi geni che avesse l’Europa. La nazione lo stimava, il re lo amava; ma che poteva il re? Egli fu invidiato da Acton, odiato dalla regina, e perciò sempre perseguitato. Non vi fu alcuna specie di mortificazione a cui Acton non lo avesse assoggettato; si vide ogni giorno posposto… Caracciolo era uno di quei pochi che al piú gran genio riuniva la piú pura virtú. Chi piú di lui amava la patria? Che non avrebbe fatto per lei? Diceva che la nazione napolitana era fatta dalla natura per avere una gran marina, e che questa si avrebbe potuto far sorgere in pochissimo tempo; avea in grandissima stima i nostri marinari. Egli morí vittima dell’antica gelosia di Thurn e della viltá di Nelson… Quando gli fu annunziata la morte, egli passeggiava sul cassero, ragionando della costruzione di un legno inglese che era dirimpetto, e proseguí tranquillamente il suo ragionamento. Intanto un marinaro avea avuto l’ordine di preparargli il capestro: la pietá glielo impediva… Egli piangeva sulla sorte di quel generale, sotto i di cui ordini aveva tante volte militato. – Sbrigati – gli disse Caracciolo: – è ben grazioso che, mentre io debbo morire, tu debbi piangere. – Si vide Caracciolo sospeso come un infame all’antenna della fregata «Minerva»; il suo cadavere fu gittato in mare. Il re era ad Ischia, e venne nel giorno susseguente, stabilendo la sua dimora nel vascello dell’ammiraglio Nelson. Dopo due giorni il cadavere di Caracciolo apparve sotto il vascello, sotto gli occhi del re… Fu raccolto dai marinari, che tanto l’amavano, e gli furono resi gli ultimi offici nella chiesa di Santa Lucia, che era prossima alla sua abitazione; offici tanto piú pomposi quantoché senza fasto veruno e quasi a dispetto di chi allora poteva tutto, furono accompagnati dalle lagrime sincere di tutt’i poveri abitanti di quel quartiere, che lo riguardavano come il loro amico ed il loro padre.

Simile a Caracciolo era Ettore Carafa. Quest’eroe, unitamente al suo bravo aiutante Ginevra, sostenne Pescara anche dopo le capitolazioni di Capua, Gaeta e Sant’Elmo. Caduto nelle mani di Speziale, mostrògli qual fosse il suo coraggio, ed andò a morte con intrepidezza e disinvoltura.

Cirillo Domenico. Era uno de’ primi tra i medici di una cittá ove la medicina era benissimo intesa e coltivata; ma la medicina formava la minor parte delle sue cognizioni, e le sue cognizioni formavano la minor parte del suo merito. Chi può lodare abbastanza la sua morale? Dotato di molti beni di fortuna, con un nome superiore all’invidia, amico della tranquillitá e della pace, senza veruna ambizione, Cirillo è uno di quei pochi, pochi sempre, pochi in ogni luogo, che in mezzo ad una rivoluzione non amano che il bene pubblico. Non è questo il piú sublime elogio che si possa formare di un cittadino e di un uomo? Io era seco lui nelle carceri; Hamilton e lo stesso Nelson, a’ quali avea piú volte prestato i soccorsi della sua scienza, volevano salvarlo. Egli ricusò una grazia che gli sarebbe costata una viltá.

Conforti Francesco. Si è giá detto il tratto di perfidia che gli usò Speziale. A questo si aggiunga che Conforti in tutto il corso della sua vita avea reso de’ servigi importanti alla corte; avea difesi i diritti della sovranitá contro le pretensioni di Roma; avea fissati i nuovi princípi per i beni ecclesiastici, princípi che riportavano la ricchezza nello Stato e la felicitá nella nazione; molte utili riforme erano nate per suo consiglio; la corte per sua opera avea rivendicati piú di cinquanta milioni di ducati in fondi… Conforti era il Giannone, era il Sarpi della nostra etá; ma avea fatto piú di essi, istruendo dalla cattedra e formando, per cosí dire, una gioventú nuova. Pochi sono i napolitani che sanno leggere, che non lo abbiano avuto a maestro. E quest’uomo, senza verun delitto, si mandò a morire! Egli riuniva eminentemente tutto ciò che formava l’uomo di lettere e l’uomo di Stato.

Pagano Francesco Mario. Il suo nome vale un elogio. Il suo Processo criminale è tradotto in tutte le lingue, ed è ancora uno delli migliori libri che si abbia su tale oggetto. Nella carriera sublime della storia eterna del genere umano voi non rinvenite che l’orme di Pagano, che vi possano servir di guida per raggiugnere i voli di Vico.

Pimentel Eleonora Fonseca. «Audet viris concurrere virgo». Ma essa si spinse nella rivoluzione, come Camilla nella guerra, per solo amor della patria. Giovinetta ancora, questa donna avea meritata l’approvazione di Metastasio per i suoi versi. Ma la poesia formava una piccola parte delle tante cognizioni che l’adornavano. Nell’epoca della repubblica scrisse il Monitore napolitano, da cui spira il piú puro ed il piú ardente amor di patria. Questo foglio le costò la vita, ed essa affrontò la morte con un’indifferenza eguale al suo coraggio. Prima di avviarsi al patibolo, volle bevere il caffè, e le sue parole furono: – «Forsan haec olim meminisse iuvabit». –

Russo Vincenzio. È impossibile spinger piú avanti di quello che egli lo spinse l’amore della patria e della virtú. La sua opera de’ Pensieri politici è una delle piú forti che si possano leggere. Egli ne preparava una seconda edizione, e l’avrebbe resa anche migliore, rendendola piú moderata. La sua eloquenza popolare era sublime, straordinaria… Egli tuonava, fulminava: nulla poteva resistere alla forza delle sue parole… Sarebbe stato utile che si fossero raccolte delle memorie sulla sua condotta nel carcere. Egli fu sempre un eroe. Giunto al luogo del supplizio, parlò lungamente con un tuono di voce e con un calore di sentimento, il quale ben mostrava che la morte potea distruggerlo, non mai però il suo aspetto poteva avvilirlo. Quasi cinque mesi dopo, ho inteso raccontarmi il suo discorso dagli uffiziali che vi assistevano, con quella forte impressione che gli spiriti sublimi lascian perpetua in noi, e con quella specie di dispetto con cui gli spiriti vili risentono le irresistibili impressioni degli spiriti troppo sublimi… Oh! se la tua ombra si aggira ancora intorno a coloro che ti furono cari, rimira me, fin dalla piú tenera nostra adolescenza tuo amico, che piango, non te (a te che servirebbe il pianto?), ma la patria per cui inutilmente tu sei morto.

Federici Francesco. Era maresciallo in tempo del re; fu generale in tempo della repubblica. Il ministro di guerra lo rese inutile, mentre avrebbe potuto esser utilissimo. La stessa ragione lo avea reso inutile in tempo del re. Egli sapeva profondamente l’arte della guerra; ma insieme coll’arte della guerra egli sapeva mille altre cose, che per lo piú ignorano coloro che sanno l’arte della guerra. Il suo coraggio nel punto della morte fu sorprendente.

Scotti Marcello. È difficile immaginare un cuore piú evangelico. Egli era l’autore del Catechismo nautico, opera destinata all’istruzione de’ marinai dell’isola di Procida, sua patria, che meriterebbe di esser universale. Nella disputa sulla «chinea» scrisse, sebben senza suo nome, l’opera della Monarchia papale, di cui non si era veduta l’eguale dopo Sarpi e Giannone. Nella repubblica fu rappresentante. Morí vittima dell’invidia di taluni suoi compatrioti.

Parlando di Scotti, la mia memoria mi rammenta il virtuoso vescovo di Vico, il rispettabile prelato Troise, e chi no? Figli della patria! La vostra memoria è cara, perché è la memoria della virtú. Verrá, spero, quel giorno in cui, nel luogo istesso nobilitato dal vostro martirio, la posteritá, piú giusta, vi potrá dare quelle lodi che ora sono costretto a chiudere nel profondo del cuore e, piú felice, vi potrá elevare un monumento piú durevole della debole mia voce[3].

Consiglio del 28 maggio 2012 sul tema mobilità riassunto

Oggi in consiglio comunale abbiamo discusso della mobilità, dei trasporti e della ZTL il mio intervento è stato incentrato sulla partecipazione e sulla condivisione delle scelte amministrative sottolineando che occorreva ed occorre istituire una unità di ascolto e di interazione permanente con le municipalità, con le associazioni anche di operatori commerciali e con i cittadini. Ho anche sottolineato che sarebbe stato il caso di istituire un gruppo di lavoro con il compito di svolgere l’attività di collegamento tra gli assessorati allo sviluppo, alla cultura, alla mobilità ed alla partecipazione perché credo che occorra una sinergia che è mancata e che occorre recuperare. La mia idea è che non si può adottare un provvedimento di questa portata senza mettere in piedi una organizzazione amministrativa ad hoc. Se poi pensiamo che i dipendenti del Comune di Napoli sono più di diecimila allora credo che non avremmo avuto difficoltà a fare un interpello interno per la costituzione di questi organi. Credo, infine, e l’ho detto in consiglio, che la vera sfida con l’azione amministrativa posta in essere, con la istituzione delle ZTL, non sia tanto quella connaturata ai risultati tangibili prefissi ma al processo di partecipazione democratica che è in brado di generare e che supera per valore gli stessi risultati previsti. Partecipazione, condivisione delle scelte e bene comune questa è la vera rivoluzione culturale che dobbiamo pretendere se vogliamo riappropriarci del paese.

Consiglio 14 maggio 2012 sull’energia solare

Inizio col citare ciò che ha scritto uno dei promotori della leggere regionale: “Naturalmente, il fuoco esisteva ed era conosciuto e temuto nella preistoria dell’uomo: dove fu la vera rivoluzione? Nella capacità di produrlo autonomamente, di conservarlo e soprattutto di usarlo”.  Ringrazio la Consigliera Elena Coccia che si è fatta promotrice della delibera oggi al nostro esame ed i liberi cittadini che si sono fatti carico di promuovere l’approvazione di un testo di legge regionale teso all’incremento della produzione di energia e della cultura del solare. Un chiaro esempio di partecipazione cosciente di ciò che sta accadendo nel nostro pianeta, non solo da un punto di vista ecologico ma, io direi, anche da un punto di vista economico. Si economico perché le fonti rinnovabili saranno, ed in parte già lo sono, il settore imprenditoriale che avrà il massimo sviluppo industriale ed occupazionale. Siamo all’alba di una rivoluzione energetica che si farà sentire in ogni campo, non possiamo non governarla. L’Italia purtroppo anche questa volta è il fanalino di coda e non poco tempo fa, in una nota trasmissione, sentii una intervista del nostro tecnico ministro Clini che riferiva, con un mezzo sorrisetto, difficoltà nel continuare a finanziare il solare per le pressione degli industriali del petrolio. Ebbene, come cittadino mi indigno e constato che anche i tecnici, come i politicanti, fino ad ora seguono l’economia. Questo mi fa capire che abbiamo un sistema da rifondare sia da un punto di vista politico che economico. In questa prospettiva non ho timore di dire che la crisi è benvenuta se farà “piazza pulita” di coloro che occupando cariche istituzionali sviando l’interesse pubblico. Mentre la Germania investe in ricerca ed incrementa la produzione dell’energia solare noi non possiamo stare a guardare. Noi in un sud, pieno di sole non possiamo rimanere indietro! Da recenti studi, che con fatica sto facendo, ho scoperto un mondo per me assolutamente dove, le parole più usate, per citarne solo alcune, sono: SAVE, ALTENER, STEER, LIFE PLUS, NER 300. Ebbene, sono i nomi di alcuni soltanto dei programmi di finanziamento europeo 2007/2013, in materia di energia e di riduzione della produzione del CO2 che vedono quali destinatari le autonomie locali e moltissimi sono i bandi di finanziamento europeo diretto, per intenderci quelli che non devono passare per la regione. Mi piacerebbe sapere quanti di queste linee di finanziamento il Comune di Napoli è riuscito a sfruttare tra la precedente e la nuova amministrazione.  Inoltre, il programma Europa 2020 è alle porte e prevede tre macroobiettivi: 1) Occupazione, 2) Ricerca e Svilippo e 3) Cambiamenti climatici/energia e non v’è chi non veda che l’ultimo macroobiettivo contiene i primi due. Le linee di finanziamento che si attiveranno saranno di notevole entità economica ed a noi come amministrazione spetta il compito di progettare, partecipare ed aggiudicarci i finanziamenti per essere da Napoli la punta più avanzata del settore delle energie rinnovabili. Abbiamo tutti gli strumenti per farlo dobbiamo solo fare in modo che funzionino. Ho scoperto, infatti, che la nostra amministrazione è dotata di ben due uffici per finanziamenti europei il CEICC, con sede vicino al mare, su via partenope, nello splendido edificio di quello che fu la facoltà di economia e commercio, che svolge la funzione di Europe Direct ed un altro presso il gabinetto del Sindaco di nuova istituzione. Manifesto però qualche perplessità perché rispetto a quello che ho appreso dai responsabili della Commissione Europea da me interpellati, l’Europe Direct a Napoli svolge, mi pare, tutt’altre funzioni che sinceramente non ho neppure ben capito ed assolutamente residuali e che non servono allo scopo più importante: reperire fondi e finanziare le idee in questo caso nel settore delle rinnovabili. Credo e spero che dovremmo essere in ogni caso fortunati nel carpire le occasioni visto che il nostro Sindaco è stato parlamentare europeo e quindi sa di cosa stiamo parlando. Mi è parso però di capire che i singoli assessorati da questo punto di vista sono troppo ingolfati dall’ordinario per poter pensare alla progettazione europea che oggi rappresenta l’unica fonte di investimento. Nella nostra amministrazione manca un centro unico di rendicontazione, attività delicata che dovrebbe essere accentrata in unico grande ufficio mentre presso ogni assessorato ci dovrebbe essere un referente che raccolga le idee progettuali da elaborare insieme agli uffici dell’Europe Direct. Siamo, quindi, nel solito circolo vizioso che ci impedisce di guardare più in la del nostro naso. Dobbiamo trovare al più presto una soluzione. Se poi pensiamo che la Campania riesce a spendere molto poco dei finanziamenti europei di cui potrebbe usufruire (sui giornali si è addirittura parlato di circa il 9%) e che i finanziamenti europei sono in ogni caso soldi nostri, allora l’obbligo per noi di rendere conto ai cittadini sui finanziamenti europei si fa più stringente. In questo grave momento di crisi l’Italia, con un saldo assolutamente negativo tra quello che conferisce e quello che riceve dall’Europa, non si può permettere assolutamente di sbagliare ed il Comune di Napoli deve fare il possibile per ricercare ed ottenere i finanziamenti europei. Ecco, forse, più che cercare improbabili privati che mettano soldi in aziende pubbliche per loro natura in perdita occorrerebbe impegnarsi di più sulle risorse europee. Per finanziare il trasporto pubblico, infatti, mi piacerebbe di più partecipare ad un Comune che elabora idee progettuali finanziate dall’UE sul trasporto ecosostenibile anziché pensare alla improbabile scorciatoia  dell’ingresso dei privati capaci solo di assumersi i profitti ed incapaci di accollarsi costi sociali connaturali al servizio. Spero, pertanto, che prima che ce lo imponga la legge regionale che oggi è al nostro esame, noi spontaneamente adottiamo il PESC (piano energia solare comunale) e non dovremo dire: “Vattela a PESC”.

Consiglio del 27 febbraio 2012 sulla Coppa America

Coppa AmericaNel Consiglio Comunale ci siamo occupati di quest’evento il 28 settembre scorso, quando abbiamo varato (e credo che il termine in questo caso è appropriato)  la società di scopo ACN. Rileggendo i verbali della seduta, è lampante che il tema principale del dibattito è stato Bagnoli e la bonifica, non l’evento in sé. Anche questa volta, spostato l’evento, almeno fino ad ora, il tema principale che è apparso sui giornali è stato quello di Via Caracciolo e la scogliera che si sta realizzando tra mille preoccupazioni e polemiche. Fino a qualche giorno fa non si diceva neanche che a gareggiare c’era un team italiano, Luna Rossa, tanto che molti non lo sanno e non sanno neppure che abbiamo rischiato di avere ben due team perché ad un certo punto si è ritirato il secondo equipaggio italiano, anzi napoletano, Mascalzone Latino, che ha dovuto rinunciare per mancanza di fondi. Non so se avete presente la barca che si trova a Via Acton in esposizione all’uscita della galleria. Era il challenger of record, cioè il team che ha lanciato la sfida al defender della 34 edizione della America’s Cup il Golden Gate Yacht Club di San Francisco. Ebbene, con amarezza devo constatare che mi sarei aspettato un maggiore impegno della Unione Industriale di Napoli che avrebbe potuto trovare gli sponsor per far gareggiare il Team napoletano di Mascalzone Latino all’ombra del Vesuvio, avendo l’Unione, questa volta anche un ruolo nella organizzazione della manifestazione ma, evidentemente il Presidente Graziano non ha trovato nessun gruppo di imprenditori Napoletani in grado di fare da sponsor al Team, questo mi preoccupa per la qualità dell’impegno dei nostri imprenditori e credo faccia il paio con la partecipazione simbolica di 1.000,00 €. nella ACN a fronte di ben altre somme versate da Comune, Provincia e Regione. Spero che l’unione industriale recuperi.

Ad ogni buon conto credo che noi italiani ed in particolare noi napoletani siamo influenzati dalla paura dello scempio urbanistico e da una connaturale sfiducia verso le scelte delle istituzioni. Confesso che in un certo qual modo, anche su di me ho constatato un certa diffidenza quando, a pochi mesi dalla campagna elettorale, ho visto seduto ad un unico tavolo Cesaro ed il nostro Sindaco. Mi sono impressionato, poi, ho metabolizzato la cosa con la necessaria collaborazione istituzionale che il Comune di Napoli deve ovviamente avere con gli altri enti. Orbene, su quest’evento abbiamo una città spaccata perché da un lato c’è chi è per la politica delle “buche per strada” (per intenderci non per quella degli eventi), o per il mantenimento della bellezza monumentale e dall’altro chi, invece, ritiene che l’evento sia un’occasione da non perdere. Ebbene, voglio sottolineare che quest’evento rappresenta la voglia di riscattare, Bagnoli, per come è nato, sbloccando i fondi, e Napoli nella sua interezza dalla mortificazione della “munnezza”. L’America’s Cup rappresenta la necessità e devo dire anche l’ansia di mostrare al mondo che Napoli è altro dopo uno dei periodi più bui che abbiamo vissuto. Non so voi ma io il periodo che abbiamo di recente vissuto lo associo a quando da bambino ho percepito lo stato di pericolo del colera del 1973.

Noi di Napoli è Tua abbiamo discusso molto della Coppa America pesando, sin dall’inizio, ogni parola, sia di quelli che sono a favore, sia di quelli che sono contro l’evento ed abbiamo avuto, sin dal primo momento, la fortuna di avere l’esperienza ambientalista e giuridica di Carlo Iannello. Per la prossima tappa del 2013 della Vitton Cup, noi di Napoli è Tua auspichiamo, come pure ci ha illustrato il nostro Sindaco, che la regata si svolga al molo San Vincenzo, luogo già inserito nel piano regolatore del Porto tra quelli oggetto di riqualificazione ed intervento. In questo modo con le risorse disponibili per l’evento potremo realizzare opere stabili di riqualificazione e dare un senso maggiormente pregnante all’evento velico. Ci siamo, inoltre, confrontati a lungo valutando attentamente anche il ruolo che ha svolto la Sovraintendenza che, assolvendo il suo compito, non si è limitata solo a dare un parere ma ha dato degli indirizzi concreti entrando nel merito delle opere da eseguire alla Rotonda Diaz. Oggi, devo constatare che si è innescato un meccanismo sinergico tra istituzioni che, credo, debba essere oleato e collaudato affinché si dia la possibilità di elaborare meccanismi semplificati che consentano anche ai cittadini di poter svolgere agevolmente il loro ruolo. Resto, infatti, perplesso quando un’attività imprenditoriale, anche di poco conto, subisce ritardi in carte bollate per i tempi dei pareri della Sovraintendenza che, spesso, costringono i malcapitati a pagare a vuoto canoni per mesi improduttivi, perché l’attività non può essere iniziata.

Ad ogni buon conto oggi ci troviamo a bordo del treno che abbiamo preso il 28 settembre scorso; a noi tocca solo fare in modo che la giunta lavori bene in uno spirito di partecipazione cittadina, di condivisione tra assessorati e con il Consiglio. Non è, infatti, possibile che parti importanti dell’amministrazione non abbiano un ruolo nella organizzazione di un grande evento. Nella mia professione di avvocato mi sono incontrato, e spesso scontrato, con istituzione la cui mano destra non sa quello che fa la sinistra. Ebbene, non credo che nel Comune di Napoli debba accadere questo. Non è, infatti, per me concepibile che nella Coppa America non abbia un ruolo fondamentale la programmazione e la promozione della cultura e dello sport napoletani né che ad un evento come questo non partecipi la scuola (fosse anche per far vedere da un posto privilegiato le regate ai nostri bambini) né che non si attivi l’intero terzo settore con il coinvolgimento delle associazioni di volontariato. Giovedì scorso nei Vergini ho partecipato ad un incontro tra le associazioni della Sanità, cinque assessori di questa giunta, ed i vertici della III Municipalità. Ebbene, da giovedì scorso mi sto chiedendo come trovare il modo di utilizzare, per quest’evento, quelle energie che si dedicano da anni alla valorizzazione dei tesori preziosi che ci sono nella Sanità, tra cui le catacombe, i palazzi antichi, la casa di Totò. Luoghi, come sappiamo, patrimonio dell’UNESCO. Mi piacerebbe, quindi, che a quest’evento avessero un qualche ruolo quelle associazioni che da anni lavorano sui territori del centro storico e degli altri quartieri. Per capire di cosa sto parlando basta pensare alle recenti manifestazioni di carnevale che si sono svolte in molti quartieri di Napoli organizzate con la buona volontà dei napoletani che vogliono il cambiamento. E’ su queste persone che dobbiamo contare! Non posso pensare che quest’evento non venga utilizzato per fare promozione ad esempio di Castel Sant’Elmo e del largo di San Martino, dove sono stato la settimana scorsa invitato da un cittadino/commerciante che lamenta il completo abbandono di quel luogo dagli itinerari turistici. Senza meravigliarmi, ho scoperto che il fossato del Castello è in sostanza un parcheggio, così come lo è lo spazio antistante il museo nazionale mentre, invece, l’intero palazzo del largo San Martino, in proprietà della Regione e gestito dalla Sovraintendenza, è completamente abbandonato. Mi meraviglia molto che la Sovraintendenza non intervenga su tali scempi che sono sotto la sua diretta percezione.

A New York i turisti salgono su grattacieli di 380 mt pagando un biglietto. Per Napoli, invece, mi chiedo come sia possibile questo stato e mi piacerebbe capire come sbloccare una così assurda condizione. Basterebbe semplicemente saper comunicare il pregio della risorsa Napoli e fare in modo che tutti i bellissimi luoghi, che noi stessi non valorizziamo, siano inseriti nei circuiti turistici.

L’America’s Cup, quindi, deve essere un banco di prova facendo in modo, da un lato di far avvicinare i napoletani all’evento ed alla risorsa mare e dall’altro di far scoprire ai turisti gli itinerari napoletani abbandonati. L’evento che tra poco si realizzerà a Napoli è, quindi un’occasione per mostrare Napoli e per ripensare anche la possibilità di restituire il mare ai Napoletani facendo in modo che la Villa Comunale si congiunga con la battigia. Voglio, infine, sottolineare che l’America’s Cup e la Luis Vitton Cup sono i più antichi eventi sportivi di rilievo internazionale, la prima, infatti, è nata nel 1851 e la seconda nel 1854, addirittura prima delle Olimpiadi moderne, la cui prima edizione è del 1896 e che le regate della Vitton Cup sono le semifinali per accedere alla America’s Cup, quindi, una vera e propria gara. Mi piacerebbe vedere Napoli, e concludo, non acquirente di marchi ed insegne di eventi ma centro di elaborazione di progetti da trasferire agli altri. Occorrere solo mettere insieme le migliori energie di questa città!

Consiglio del 13 febbraio 2012 il mio intervento sulla delibera unioni civili

400249_3197931917510_758598574_nTutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge. Inizio da qui per capire che oggi ci sintonizziamo con la Carta Costituzionale scritta nel 1948! Non si può, infatti, esprimere con parole migliori il principio ed il sentimento di uguaglianza posto al centro della nostra Carta Costituzionale. La delibera oggi al nostro esame risponde ad una esigenza sempre più avvertita nella società, volta ad assicurare parità di trattamento si badi, non solo alle coppie di omosessuali, come comunemente e in senso restrittivo si intende, ma a tutti. Il Comune, titolare di funzioni proprie, con l’istituzione di detto registro, che è su base volontaria e non obbligatorio come i registri anagrafici, si pone nel pieno rispetto sia dei principi generali testé enunciati sia delle leggi dello Stato. Difatti, la nozione di “unione civile” o ” unione di fatto” pur non avendo una esplicita definizione giuridica, può essere definita come: a) quella della coppia di eterosessuali che non vuole o non può (in presenza di un precedente matrimonio) legarsi con il vincolo matrimoniale o quella della coppia di stranieri che in ragione della loro religione possono essere legati da più vincoli matrimoniali (c.d. “convivenza more uxorio”); b) quella di persone che, per varie ragioni (età, ristrettezze economiche) decidono di stare insieme per motivi di mutua assistenza e solidarietà; c) quella, infine, delle coppie di omosessuali conviventi, legate da vincoli affettivi e di mutuo aiuto. Per sgombrare il campo da dubbi, voglio dire subito che il fenomeno delle unioni civili non si pone in contrasto con l’istituto della “famiglia” riconosciuto dall’art. 29 della Costituzione; tale norma, infatti, nel sottolineare il valore della famiglia naturale fondata sul matrimonio, non esclude che possano esistere altre formazioni sociali, espressamente tutelate dall’art. 2 della Costituzione, le cui finalità e caratteristiche non siano in contrasto con i principi costituzionali. Ebbene, mi sento di condividere la tesi, costante nelle sentenze che ho avuto modo di leggere, che non ogni forma di convivenza, per ricevere una qualche tutela, deve essere organizzata secondo lo schema della famiglia legittima, perché ciò rappresenterebbe una illegittima compressione dei valori della persona umana e della sua dignità, a prescindere dalle sue convinzioni politiche o religiose e dalle scelte di vita, purché costituzionalmente lecite. La Corte Costituzionale, infatti, con più pronunce (nn. 237/86, 281/94, 8/96), pur non affrontando ancora lo specifico problema delle coppie di omosessuali, ha comunque riconosciuto l’ambito di operatività dell’art. 2 della Cost., a termine del quale anche un consolidato rapporto di fatto può essere tutelato come espressione del principio solidaristico del quale è permeato l’ordinamento giuridico, e il principio di eguaglianza espresso nell’art. 3 Cost. impone a tutti i soggetti istituzionali della “Repubblica”, e quindi anche ai Comuni (arg. ex art. 5 Cost.), di eliminare qualsiasi ostacolo che si frapponga al rispetto della persona umana da tutelarla anche nella sua diversità. Tale assunto trova peraltro pieno riscontro anche nel nostro vigente ordinamento (civile, amministrativo e penale) il quale ha riconosciuto, a determinati fini, la convivenza di fatto o more uxorio ed altri tipi di convivenza. Il Parlamento nazionale, infatti, con l’art. 199 c.p.p. e l’art. 362 novellato c.p.p., ha esteso la facoltà di astensione dal prestare testimonianza anche alla persona che conviva o abbia convissuto con l’imputato, con rilevanti conseguenze anche di carattere penale circa il reato di falsa testimonianza e di favoreggiamento. Che dire poi della risoluzione del Parlamento europeo sul rispetto dei diritti umani dell’Unione europea (1998-1999) che “chiede agli Stati membri di garantire alle famiglie monoparentali, alle coppie non sposate e alle coppie dello stesso sesso parità di diritti rispetto alle coppie e alle famiglie tradizionali, in particolare in materia di … diritti sociali“, sollecitando gli Stati che non vi abbiano ancora provveduto ad “adeguare le proprie legislazioni per introdurre la convivenza registrata tra persone dello stesso sesso riconoscendo loro gli stessi diritti e doveri previsti dalla convivenza registrata tra uomini e donne” ed eliminando discriminazioni e pregiudizi sulla vita privata delle persone in relazione al loro orientamento sessuale. Orbene, il registro comunale sulle unioni civili non è diretto a creare un nuovo status, ma ad assicurare a siffatte formazioni sociali, che sono un dato di fatto che non può essere ignorato, parità di trattamento rispetto alle tradizionali coppie di fatto o alle convivenze di varia natura (si pensi a due amici dello stesso o di diverso sesso che decidano di coabitare per dividere le spese di mantenimento, o ad un anziano che coabiti con una persona, dello stesso o di diverso sesso, che gli presti assistenza morale o sanitaria o economica) già riconosciute dall’ordinamento, per le finalità esclusivamente di competenza propria del Comune (partecipazione a procedimenti, benefici, opportunità). Possiamo, quindi, dire che l’azione politico/sociale che compiamo con quest’atto amministrativo non si pone in contradizione con l’istituto della famiglia né (e di questo ne sono convinto) è in contraddizione con il sentimento religioso, personale o diffuso nel nostro paese. Con l’approvazione di questa delibera ci poniamo, infatti, nella doverosa posizione dell’amministratore pubblico laico che, scevro delle sue personali convinzioni religiose, deve curare gli interessi ed i diritti di tutti i cittadini. Credo, fermamente, che il ruolo di testimonianza e di catechesi dell’autorità religiosa è nell’esempio e nella conquista delle anime (per restare in tema) e non certo nella scorciatoia della imposizione né nella pretesa che il potere Statale, ed in questo caso della comunità locale, non riconosca istanze di pari dignità dei cittadini liberi di manifestare il loro pensiero e di essere come essi vogliono essere e vivere, a prescindere dal loro credo religioso o posizione morale. Mi piace ricordare, al riguardo, il pensiero di un religioso, Don Andrea Gallo Prete di Genova che, a quanto mi consta, non è mai stato scomunicato. Per questo ho serie difficoltà a comprendere il pensiero del nostro Cardinale, che pur rispetto nel suo ruolo, quando dice che a Napoli abbiamo esigenze ben più importanti da risolvere che non il registro delle unioni civili. Credo, infatti, che questo sia uno slogan quasi elettorale, senz’altro negativo, perché genera diffidenza e manipola le coscienze dei semplici ed è molto simile a quello che si sentiva qualche tempo secondo cui “con la cultura non si mangia”. Devo confessare che un argomento così elementare non me lo aspettavo dal Cardinale! Ebbene, a queste affermazioni, credo che questo Consiglio, possa e debba rispondere che quando si tratta di libertà e di dignità della persona umana non c’è tozzo di pane che tenga e che ci sono persone che hanno sacrificato il bene supremo della vita per difendere la loro dignità di esseri umani. E’ fuori da ogni dubbio, quindi, che questo Consiglio è pronto a compiere ogni battaglia per la libertà e per affermare i principi costituzionali. Chi afferma il contrario è perché ha più a cuore che si parli del tema a mero scopo propagandistico. Siamo già in ritardo rispetto ad altri paesi e la politica, quando non coglie i mutamenti sociali, fallisce il suo scopo.

Per far comprendere bene il valore dei diritti di cui stiamo parlano, voglio chiudere questo mio intervento ricordando le vittime omosessuali del nazifascismo che vennero deportate nei campi di sterminio, esseri umani che venivano marchiati con un triangolo rosa cucito sulla divisa degli internati per omosessualità in base al paragrafo 175 del codice penale tedesco. Alle lesbiche internate di cui si ha notizia fu imposto, invece, il triangolo nero delle “asociali“. Vi erano poi i gay ebrei che portavano una stella gialla. Coloro che portavano il triangolo rosa si stimano tra i 5.000 ed i 15.000. Coloro che furono imprigionati con il triangolo rosa non sono mai stati risarciti dal governo tedesco. Anzi, alcuni di loro, se rimasero apertamente gay, furono di nuovo imprigionati anche dopo il nazismo, come Heinz Dörmer, che subì complessivamente 20 anni di reclusione, prima nei campi di concentramento nazisti e poi nelle carceri della Repubblica Federale Tedesca, o come Helmut Corsini, che dal campo di Buchenwald passò direttamente alle carceri nazionali. L’emendamento nazista al paragrafo 175, che trasformava l’omosessualità da un reato minore a un vero e proprio delitto, non fu mutato nel Codice penale della Repubblica Federale Tedesca per 24 anni dopo la fine della guerra. Ad Amsterdam c’è l’Homomonument composto da tre grandi triangoli di granito rosa in ricordo di tutte le vittime omosessuali del nazismo che qualche mese fa ho visitato insieme ai miei bambini ed a cui ho spiegato il significato, nella consapevolezza che la memoria ci rende liberi; mi ha fatto piacere vedere nei loro occhi il velo della compassione.

Consiglio del 18 ottobre 2011 sul tema Lavoro

lavoroL’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro, questo è il primo articolo della nostra costituzione è il nostro biglietto di presentazione, è l’accordo su cui si è fondato il nostro paese. In campagna elettorale ho gridato il lavoro non è una merce! Il lavoro non si compra! Questo mi è capitato di dirlo ad una giovane vigilessa appena assunta con il concorso FORMEZ, stupendomi per la sua reazione di meraviglia e per la sua espressione di riconoscenza verso la vecchia amministrazione che comunque l’aveva assunta ed alla quale io mi contrapponevo. Sembrerà strano ma enunciare i nostri diritti ci sorprende quando, invece, dovrebbero essere vivi nel nostro intimo convincimento. Il tema è complicato e difficile da sviscerare, in tutte le sue articolazioni sicuramente ci saranno degli aspetti che non saranno trattati, sicuramente ci saranno delle aspettative di cittadini deluse da questo consiglio. Eppure, celebrare un consiglio monotematico sul lavoro è un atto di coraggio, una formale presa di coscienza che manifesta l’interesse di questa Amministrazione al tema che resta centrale per la nostra città. Credo, però, che siamo in ritardo, si è andati da una legislazione degli anni settanta di tutela del lavoro subordinato classico, con una giurisprudenza del pari sensibile al tema, ad una modernità diciamocela tutta deludente, da questo punto di vista, fondata su cococo, cocopro, contratti a termine e cool center, spesso molto spesso utilizzati anche dalla stessa Pubblica Aministrazione, quando va bene (ci sono, infatti, anche finti master ministeriali non retribuiti), che rappresentano formule non in grado di creare una vita serena al lavoratore, anzi, dico io, una vita! L’esperienza, per mia fortuna, per l’arricchimento che ho ricevuto, l’ho vissuta in prima persona, sia come figlio di operaio, quest’ultimo avvilito dalla consapevolezza della raccomandazione come unico mezzo per trovare lavoro per il proprio figlio, sia come avvocato, schiacciato tra la compressione di diritti minimi dei lavoratori e la cronica inadeguatezza della macchina giudiziaria, non in grado di dare sollecite risposte e quindi in grado di indirizzare l’imprenditoria al rispetto delle regole. Ebbene, la trasparenza di cui è capace questo comune è in grado di lanciare un messaggio di speranza. La risposta del comune, infatti, deve essere trasparenza, legalità, imparzialità e concrete azioni in grado di creare sviluppo e, quindi, lavoro eliminando burocrazie inutili che sono, spesso, occasioni di sacche di illegalità. Dobbiamo agire con modalità diverse da quelle classiche e le direttrici devono essere da un lato una maggiore collaborazione con coloro che impegnano le loro risorse, quindi, non solo quelle pubbliche, in attività economiche, dall’altro la corretta valutazione degli attori coinvolti nei processi economici. Allo scorso consiglio comunale, su Bagnoli, ho, difatti, sottolineato la inadeguatezza di una società di persone che al registro delle imprese ha zero dipendenti a gestire per dieci anni una struttura come il parco dello sport di 17 ettari, con strutture dal valore di diversi milioni di euro ed in grado di dare risposte concrete in termini di posti di lavoro. Ebbene, nei limiti che ci competono, noi abbiamo l’obbligo di selezionare innanzitutto la classe imprenditoriale con la quale interloquire, dobbiamo fare in modo che finanziamenti pubblici o azioni imprenditoriali non siano indirizzate verso coloro che non sono in grado di mettere in piedi azioni imprenditoriali o che hanno come unico obiettivo la percezione del finanziamento e basta e gli esempi di imprese, per lo più del nord, sorte solo per percepire finanziamenti ne abbiamo, purtroppo sul nostro territorio! Non posso credere, infatti, che nel nostro comune un parco di divertimento l’Edenlandia, primo ad essere realizzato in Europa, sia in stato di fallimento, per l’inadeguatezza di una classe imprenditoriale che non è stata in grado di creare sviluppo ed ammodernamento. Non posso credere che bagnoli sia nello stato in cui è, mentre in Germania nella Ruhr in dieci anni con un investimento di 300.000.000 €. (a bagnoli ne abbiamo spesi altrettanti senza risultati), in un’area egualmente inquinata, in seguito alla bonifica, si siano creati circa 10.000 posti di lavoro, con duemilioni e duecentomila visitatori all’anno, mentre a Napoli nulla. Cosa è successo mi sono chiesto. Noi abbiamo l’obbligo di cercare la verità e fare chiarezza per aggiustare il tiro. Ebbene, devo constatare che abbiamo avuto una politica miope che si è fatta accompagnare per mano dalla imprenditoria. Noi, invece, abbiamo l’obbligo di creare sviluppo laddove possiamo intervenire direttamente indirizzando noi l’economia e non viceversa.

Gli Operai non esistono più

operaiUna delle frasi che mi irritano di più è: “Gli operai non esistono più”. Mi chiedo allora cosa sono i lavoratori della FIAT, i metalmeccanici delle altre fabbriche, gli autisti degli autobus, i braccianti agricoli (sia quelli italiani che quelli stranieri ultrasfruttati), gli operatiori ecologici delle città e le altre migliaia di lavoratori operai e non che, pur svolgendo un lavoro di concetto, sono stati ridotti alla medesima condizione degli operai degli anni settanta. Io sono figlio di un operaio degli anni ’70, che ha avuto la forza di laureare cinque figli con uno stipendio di operaio, mentre, oggi, due impegati di concetto non sono neppure in grado di pagare gli studi a più di un figlio. Non posso sopportare questa affermazione che talvolta, in un moto di rassegnazione, è pronunciata anche dagli stessi operai. Credo che ciò che è accaduto sia il risultato di una grande operazione di condizionamento psicologico sociale, volta a tenere a bada le masse costituite da singoli che non si riconoscono neppure più come operai. “Dividi et impera” è stato il motto. Lo stato sociale in questi anni è stato massacrato con lo scopo di creare divisioni, di creare individui solitari che non si riconoscono più in una classe sociale ma in una condizione che costituisce, per loro stessi, una gabbia dalla quale non poter uscire. Spesso mi capita di parlare con giovani dei quartieri popolari che manifestano, all’età di 14 anni, la loro intenzione di vivere con la pensione dei genitori nella consapevolezza che non avranno mai la possibilità di migliorarsi e, quindi, migliorare la società. Ciò mi provoca un moto di tristezza e di rabbia io, come tanti altri, ho avuto la possibilità di avere una evoluzione culturale e credo che di questo ne abbia beneficiato anche la società. Non posso sopportare che ragazzi, con tutti i numeri nel loro cervello, siano scoraggiati ad intraprendere ogni possibile evoluzione della loro condizione ingrassando il più delle volte le fila della malavita. Da bambino mi riconoscevo quale figlio di operaio e sapevo cosa ciò volesse dire perché c’erano momenti di socialità tra gli operai e le loro famiglie. Via via tutto questo è stato distrutto e non credo per motivi economici. La strada è lunga e vale la pena percorrerla tutti insieme …

L’Indignazione

indignazioneMi fa piacere di riportare l’analisi fatta da un mio caro amico, girata sulla lista e-mail dell’associazione che presiedo, sul perché la gente non si indigna nonostante tutto. Vale la pena fermarsi un attimo e leggere:

Cara Paola, se sapessimo perché tutti subiscono senza dir nulla – con pochissimi che dicono qualcosa – saremmo già a metà dell’opera, come si usa dire. Ovviamente anche a me viene la domanda: ma come è possibile che proprio le vittime sembrano consenzienti, o per lo meno inerti? Ci sono varie cause di questo comportamento, la più importante (ma non la sola), per trovarla, basta eseguire il seguente esperimento: per una o due settimane, leggete solo giornali e settimanali del gruppo di Berlusconi, guardate solo le sue TV, confrontatevi solo con le persone che lo sostengono (non è difficile individuarle), sforzatevi di pensare e di vivere in questo milieu simbolico. Se lo stomaco regge, alla fine sarete in grado di vedere il mondo come una vittima consenziente. Dopo questa full immersion, consultate gli indicatori per capire qual è la percentuale della popolazione italiana che vive la comunicazione nel modo che avete appena sperimentato. Et voilà: avete compreso il primo perché, quello macroscopico.

Un altro perché, meno evidente, lo si deve cercare suddividendo la popolazione in gruppi, in modo da selezionare vari tipi di ‘ambienti’ – non solo quelli di lavoro. Quelli che ci sono familiari sono la scuola e l’università. Qui dovremmo innanzitutto stabilire qual è la frazione di persone che vivono la comunicazione nel modo indicato sopra, ma la cosa non è tanto semplice perché pensiamo che queste persone hanno una cultura mediamente superiore al ‘campione brutale’ preso in considerazione sopra. E quindi, capace di critica, diremmo. Ma forse è qui che ci sbagliamo: avere cultura non implica avere senso critico… Ovviamente ci sono, nel nostro ambiente, anche persone che sono ben consapevoli di quanto accade, e che favoriscono quel processo che a noi appare un imbarbarimento, e che a loro appare come un’opportunità per aumentare il potere (reale o semplicemente simbolico) che possiedono o sperano di possedere.

Penso a qualche dirigente scolastico, a qualche insegnante, ad una (credo assoluta) maggioranza di professori ordinari. Quelli che a novembre e dicembre appoggiavano le proteste contro la legge Gelmini, e che ora sembra abbiano dimenticato che ci si può continuare ad opporre in mille modi, e sono diventati complici attivi: gestiscono la premialità fondata sui progetti, riscrivono gli statuti, preparano i criteri di valutazione…

Queste persone, però, sono una minoranza, sia nella scuola che nell’università. Sono gli altri a preoccuparci. Quelli che subiscono in silenzio, e che sono certamente consapevoli. E anche gli studenti, che sembrano volatilizzati. Alla manifestazione dei precari non mi sembrava che ci fossero poi tante persone (e così pure a quella contro la privatizzazione dell’acqua). Mi sconforta e mi addolora in particolare l’assenza degli studenti, e delle persone, diciamo, dai 45 anni in giù. Quelli che formano, in altre parole, il futuro: il loro ed anche il nostro futuro. Quelli che non vedono nessun orizzonte per la loro vita. Non so come valutare questa assenza, se non come stanchezza, disillusione, come l’aggrapparsi a quel poco che si ha in questo momento: un contratto a termine, una promessa…

Ma al fondo di questo percorso c’è anche un ultimo livello. Quello fondamentale, direbbe un fisico teorico. E’ la stessa capacità di adattamento, che ci accomuna come specie vivente, ad essere la causa. Voglio citare il seguente passo, dal Diario di Bergen-Belsen, di Hanna Lévy-Hass (la madre della giornalista del quotidiano progressista israeliano Haaretz):

B.B., 20.11.1944 – C’è qualcosa di strano, di spaventoso nella capacità dell’essere umano di adattarsi a tutto: all’umiliazione, alla fame più vergognosa, alla mancanza di spazio vitale, all’aria fetida, all’infezione, al bagno in comune… […] E ci adattiamo – come del resto al terrore crescente, alla brutalità più cinica, agli allarmi e alle minacce, alle malattie di massa, alla morte moltiplicata, collettiva, lenta ma sicura. Si adatta, l’uomo. Immobile, miserabile, terribile… si adatta! Cade sempre più in basso, sprofonda. E quando non si adatta più, allora muore. E’ l’unica risposta che sa dare. E anche noi continuiamo a trascinarci e a sprofondare sempre più in basso. Che orrore! Questa morte senza morire, viva, prolungata…

Vi chiedo scusa, perché questa pagina è veramente spaventosa. Anche e soprattutto per la sua forza evocativa. Ma non riesco a dimenticarla. Come non riesco a dimenticare il capitolo intitolato L’ultimo, di Se questo è un uomo. La nostra natura, il nostro hardware, è fatto in funzione dell’adattamento. Un adattamento che è come un contenitore vuoto. Ora, nella nostra società, che è profondamente incrinata, vi è una forza distruttrice che ha riempito quel vuoto. Alla quale, semplicemente, ci adattiamo. Per sopravvivere.

Ma per fortuna noi non ci riduciamo completamente a questo hardware. Siamo anche capaci di guardare alla nostra condizione dall’esterno. Come hanno fatto Hanna Lévy-Hass e Primo Levi, e tanti altri in tante altre situazioni di sofferenza collettiva. Un’operazione in certa misura contraria all’istinto, di produzione di una coscienza autonoma, propriamente umana. E’ in questa operazione che dobbiamo riporre la nostra fiducia, la nostra speranza e la nostra azione. E restare coscienti.

Con grande affetto verso tutti. Ermenegildo

Adotta un articolo della Costituzione Italiana copialo ed incollalo sulla tua bacheca

costituzionePRINCIPI FONDAMENTALI

Art. 1.L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.

Art. 2. La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.

Art. 3. Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

Art. 4. La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.

Art. 5. La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento.

Art. 6. La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche.

Art. 7. Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani. I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi. Le modificazioni dei Patti accettate dalle due parti, non richiedono procedimento di revisione costituzionale.

Art. 8. Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge. Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano. I loro rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze.

Art. 9. La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione.

Art. 10. L’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute. La condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali. Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica secondo le condizioni stabilite dalla legge. Non è ammessa l’estradizione dello straniero per reati politici.

Art. 11. L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.

Art. 12 La bandiera della Repubblica è il tricolore italiano: verde, bianco e rosso, a tre bande verticali di eguali dimensioni.

RAPPORTI CIVILI

Art. 13. La libertà personale è inviolabile. Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell’autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge. In casi eccezionali di necessità ed urgenza, indicati tassativamente dalla legge, l’autorità di pubblica sicurezza può adottare provvedimenti provvisori, che devono essere comunicati entro quarantotto ore all’autorità giudiziaria e, se questa non li convalida nelle successive quarantotto ore, si intendono revocati e restano privi di ogni effetto. È punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà. La legge stabilisce i limiti massimi della carcerazione preventiva.

Art. 14. Il domicilio è inviolabile. Non vi si possono eseguire ispezioni o perquisizioni o sequestri, se non nei casi e modi stabiliti dalla legge secondo le garanzie prescritte per la tutela della libertà personale. Gli accertamenti e le ispezioni per motivi di sanità e di incolumità pubblica o a fini economici e fiscali sono regolati da leggi speciali.

Art. 15. La libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono inviolabili. La loro limitazione può avvenire soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge.

Art. 16. Ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, salvo le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o di sicurezza. Nessuna restrizione può essere determinata da ragioni politiche. Ogni cittadino è libero di uscire dal territorio della Repubblica e di rientrarvi, salvo gli obblighi di legge.

Art. 17. I cittadini hanno diritto di riunirsi pacificamente e senz’armi. Per le riunioni, anche in luogo aperto al pubblico, non è richiesto preavviso. Delle riunioni in luogo pubblico deve essere dato preavviso alle autorità, che possono vietarle soltanto per comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica.

Art. 18.

I cittadini hanno diritto di associarsi liberamente, senza autorizzazione, per fini che non sono vietati ai singoli dalla legge penale. Sono proibite le associazioni segrete e quelle che perseguono, anche indirettamente, scopi politici mediante organizzazioni di carattere militare.

Art. 19. Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume.

Art. 20. Il carattere ecclesiastico e il fine di religione o di culto d’una associazione od istituzione non possono essere causa di speciali limitazioni legislative, né di speciali gravami fiscali per la sua costituzione, capacità giuridica e ogni forma di attività.

Art. 21. Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure. Si può procedere a sequestro soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria nel caso di delitti, per i quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi, o nel caso di violazione delle norme che la legge stessa prescriva per l’indicazione dei responsabili. In tali casi, quando vi sia assoluta urgenza e non sia possibile il tempestivo intervento dell’autorità giudiziaria, il sequestro della stampa periodica può essere eseguito da ufficiali di polizia giudiziaria, che devono immediatamente, e non mai oltre ventiquattro ore, fare denunzia all’autorità giudiziaria. Se questa non lo convalida nelle ventiquattro ore successive, il sequestro s’intende revocato e privo di ogni effetto. La legge può stabilire, con norme di carattere generale, che siano resi noti i mezzi di finanziamento della stampa periodica. Sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume. La legge stabilisce provvedimenti adeguati a prevenire e a reprimere le violazioni.

Art. 22. Nessuno può essere privato, per motivi politici, della capacità giuridica, della cittadinanza, del nome.

Art. 23. Nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge.

Art. 24. Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi. La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento. Sono assicurati ai non abbienti, con appositi istituti, i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione. La legge determina le condizioni e i modi per la riparazione degli errori giudiziari.

Art. 25. Nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge. Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso. Nessuno può essere sottoposto a misure di  sicurezza se non nei casi previsti dalla legge.

Art. 26. L’estradizione del cittadino può essere consentita soltanto ove sia espressamente prevista dalle convenzioni internazionali. Non può in alcun caso essere ammessa per reati politici.

Art. 27. La responsabilità penale è personale. L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva. Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. Non è ammessa la pena di morte.

Art. 28. I funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in violazione di diritti. In tali casi la responsabilità civile si estende allo Stato e agli enti pubblici.

RAPPORTI ETICO-SOCIALI

Art. 29. La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. Il matrimonio è ordinato sull’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità familiare.

Art. 30. È dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio. Nei casi di incapacità dei genitori, la legge provvede a che siano assolti i loro compiti. La legge assicura ai figli nati fuori del matrimonio ogni tutela giuridica e sociale, compatibile con i diritti dei membri della famiglia legittima. La legge detta le norme e i limiti per la ricerca della paternità.

Art. 31. La Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l’adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose. Protegge la maternità, l’infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo.

Art. 32. La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.

Art. 33. L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento. La Repubblica detta le norme generali sull’istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi. Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato. La legge, nel fissare i diritti e gli obblighi delle scuole non statali che chiedono la parità, deve assicurare ad esse piena libertà e ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni di scuole statali. È prescritto un esame di Stato per l’ammissione ai vari ordini e gradi di scuole o per la conclusione di essi e per l’abilitazione all’esercizio professionale. Le istituzioni di alta cultura, università ed accademie, hanno il diritto di darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato.

Art. 34. La scuola è aperta a tutti. L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita. I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi. La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso.

RAPPORTI ECONOMICI

Art. 35. La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni. Cura la formazione e l’elevazione professionale dei lavoratori. Promuove e favorisce gli accordi e le organizzazioni internazionali intesi ad affermare e regolare i diritti del lavoro. Riconosce la libertà di emigrazione, salvo gli obblighi stabiliti dalla legge nell’interesse generale, e tutela il lavoro italiano all’estero.

Art. 36. Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa. La durata massima della giornata lavorativa è stabilita dalla legge. Il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi.

Art. 37. La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l’adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione. La legge stabilisce il limite minimo di età per il lavoro salariato. La Repubblica tutela il lavoro dei minori con speciali norme e garantisce ad essi, a parità di lavoro, il diritto alla parità di retribuzione.

Art. 38. Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e  all’assistenza sociale. I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria. Gli inabili ed i minorati hanno diritto all’educazione e all’avviamento professionale. Ai compiti previsti in questo articolo provvedono organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato. L’assistenza privata è libera.

Art. 39. L’organizzazione sindacale è libera. Ai sindacati non può essere imposto altro obbligo se non la loro registrazione presso uffici locali o centrali, secondo le norme di legge. È condizione per la registrazione che gli statuti dei sindacati sanciscano un ordinamento interno a base democratica. I sindacati registrati hanno personalità giuridica. Possono, rappresentati unitariamente in proporzione dei loro iscritti, stipulare contratti collettivi di lavoro con efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categorie alle quali il contratto si riferisce.

Art. 40. Il diritto di sciopero si esercita nell’ambito delle leggi che lo regolano.

Art. 41. L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali.

Art. 42. La proprietà è pubblica o privata. I beni economici appartengono allo Stato, ad enti o a privati. La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti. La proprietà privata può essere, nei casi preveduti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi d’interesse generale. La legge stabilisce le norme ed i limiti della successione legittima e testamentaria e i diritti dello Stato sulle eredità.

Art. 43. A fini di utilità generale la legge può riservare originariamente o trasferire, mediante espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti determinate imprese o categorie di imprese, che si riferiscano a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio ed abbiano carattere di preminente interesse generale.

Art. 44. Al fine di conseguire il razionale sfruttamento del suolo e di stabilire equi rapporti sociali, la legge impone obblighi e vincoli alla proprietà terriera privata, fissa limiti alla sua estensione secondo le regioni e le zone agrarie, promuove ed impone la bonifica delle terre, la trasformazione del latifondo e la ricostituzione delle unità produttive; aiuta la piccola e la media proprietà. La legge dispone provvedimenti a favore delle zone montane.

Art. 45. La Repubblica riconosce la funzione sociale della cooperazione a carattere di mutualità e senza fini di speculazione privata. La legge ne promuove e favorisce l’incremento con i mezzi più idonei e ne assicura, con gli opportuni controlli, il carattere e le finalità. La legge provvede alla tutela e allo sviluppo dell’artigianato.

Art. 46. Ai fini della elevazione economica e sociale del lavoro in armonia con le esigenze della produzione, la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende.

Art. 47. La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina, coordina e controlla l’esercizio del credito. Favorisce l’accesso del risparmio popolare alla proprietà dell’abitazione, alla proprietà diretta coltivatrice e al diretto e indiretto investimento azionario nei grandi complessi produttivi del Paese.

RAPPORTI POLITICI

Art. 48. Sono elettori tutti i cittadini, uomini e donne, che hanno raggiunto la maggiore età. Il voto è personale ed eguale, libero e segreto. Il suo esercizio è dovere civico.  La legge stabilisce requisiti e modalità per l’esercizio del diritto di voto dei cittadini residenti all’estero e ne assicura l’effettività. A tal fine è istituita una circoscrizione Estero per l’elezione delle Camere, alla quale sono assegnati seggi nel numero stabilito da norma costituzionale e secondo criteri determinati dalla legge. Il diritto di voto non può essere limitato se non per incapacità civile o per effetto di sentenza penale irrevocabile o nei casi di indegnità morale indicati dalla legge.

Art. 49. Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale.

Art. 50. Tutti i cittadini possono rivolgere petizioni alle Camere per chiedere provvedimenti legislativi o esporre comuni necessità.

Art. 51. Tutti i cittadini dell’uno o dell’altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge. A tale fine la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini. La legge può, per l’ammissione ai pubblici uffici e alle cariche elettive, parificare ai cittadini gli italiani non appartenenti alla Repubblica. Chi è chiamato a funzioni pubbliche elettive ha diritto di disporre del tempo necessario al loro adempimento e di conservare il suo posto di lavoro.

Art. 52. La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino. Il servizio militare è obbligatorio nei limiti e modi stabiliti dalla legge. Il suo adempimento non pregiudica la posizione di lavoro del cittadino, né l’esercizio dei diritti politici. L’ordinamento delle Forze armate si informa allo spirito democratico della Repubblica.

Art. 53. Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività.

Art. 54. Tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi. I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge.

 

IL PARLAMENTO

Le Camere.

Art. 55. Il Parlamento si compone della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Il Parlamento si riunisce in seduta comune dei membri delle due Camere nei soli casi stabiliti dalla Costituzione.

Art. 56. La Camera dei deputati è eletta a suffragio universale e diretto. Il numero dei deputati è di seicentotrenta, dodici dei quali eletti nella circoscrizione Estero. Sono eleggibili a deputati tutti gli elettori che nel giorno delle elezioni hanno compiuto i venticinque anni di età. La ripartizione dei seggi tra le circoscrizioni, fatto salvo il numero dei seggi assegnati alla circoscrizione Estero, si effettua dividendo il numero degli abitanti della Repubblica, quale risulta dall’ultimo censimento generale della popolazione, per seicentodiciotto e distribuendo i seggi in proporzione alla popolazione di ogni circoscrizione, sulla base dei quozienti interi e dei più alti resti.

Art. 57. Il Senato della Repubblica è eletto a base regionale, salvi i seggi assegnati alla circoscrizione Estero. Il numero dei senatori elettivi è di trecentoquindici, sei dei quali eletti nella circoscrizione Estero. Nessuna Regione può avere un numero di senatori inferiore a sette; il Molise ne ha due, la Valle d’Aosta uno. La ripartizione dei seggi tra le Regioni, fatto salvo il numero dei seggi assegnati alla circoscrizione Estero, previa applicazione delle disposizioni del precedente comma, si effettua in proporzione alla popolazione delle Regioni, quale risulta dall’ultimo censimento generale, sulla base dei quozienti interi e dei più alti resti.

Art. 58. I senatori sono eletti a suffragio universale e diretto dagli elettori che hanno superato il venticinquesimo anno di età. Sono eleggibili a senatori gli elettori che hanno compiuto il quarantesimo anno.

Art. 59. È senatore di diritto e a vita, salvo rinunzia, chi è stato Presidente della Repubblica. Il Presidente della Repubblica può nominare senatori a vita cinque cittadini che hanno illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario.

Art. 60. La Camera dei deputati e il Senato della Repubblica sono eletti per cinque anni. La durata di ciascuna Camera non può essere prorogata se non per legge e soltanto in caso di guerra.

Art. 61. Le elezioni delle nuove Camere hanno luogo entro settanta giorni dalla fine delle precedenti. La prima riunione ha luogo non oltre il ventesimo giorno dalle elezioni.  Finché non siano riunite le nuove Camere sono prorogati i poteri delle precedenti.

Art. 62.  Le Camere si riuniscono di diritto il primo giorno non festivo di febbraio e di ottobre. Ciascuna Camera può essere convocata in via straordinaria per iniziativa del suo Presidente o del Presidente della Repubblica o di un terzo dei suoi componenti. Quando si riunisce in via straordinaria una Camera, è convocata di diritto anche l’altra.

Art. 63.  Ciascuna Camera elegge fra i suoi componenti il Presidente e l’Ufficio di presidenza. Quando il Parlamento si riunisce in seduta comune, il Presidente e l’Ufficio di presidenza sono quelli della Camera dei deputati.

Art. 64. Ciascuna Camera adotta il proprio regolamento a maggioranza assoluta dei suoi componenti. Le sedute sono pubbliche; tuttavia ciascuna delle due Camere e il Parlamento a Camere riunite possono deliberare di adunarsi in seduta segreta. Le deliberazioni di ciascuna Camera e del Parlamento non sono valide se non è presente la maggioranza dei loro componenti, e se non sono adottate a maggioranza dei presenti, salvo che la Costituzione prescriva una maggioranza speciale. I membri del Governo, anche se non fanno parte delle Camere, hanno diritto, e se richiesti obbligo, di assistere alle sedute. Devono essere sentiti ogni volta che lo richiedono.

Art. 65. La legge determina i casi di ineleggibilità e di incompatibilità con l’ufficio di deputato o di senatore. Nessuno può appartenere contemporaneamente alle due Camere.

Art. 66. Ciascuna Camera giudica dei titoli di ammissione dei suoi componenti e delle cause sopraggiunte di ineleggibilità e di incompatibilità.

Art. 67. Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato.

Art. 68. I membri del Parlamento non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati  nell’esercizio delle loro funzioni. Senza autorizzazione della Camera alla quale appartiene, nessun membro del Parlamento può essere sottoposto a perquisizione personale o domiciliare, né può essere arrestato o altrimenti privato della libertà  personale, o mantenuto in detenzione, salvo che in esecuzione di una sentenza irrevocabile di condanna, ovvero se sia colto nell’atto di commettere un delitto per il quale è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza. Analoga autorizzazione è richiesta per sottoporre i membri del Parlamento ad intercettazioni, in qualsiasi forma, di conversazioni o comunicazioni e a sequestro di corrispondenza.

Art. 69. I membri del Parlamento ricevono un’indennità stabilita dalla legge.

OMISSIS

LA MAGISTRATURA

Ordinamento giurisdizionale.

Art. 101. La giustizia è amministrata in nome del popolo. I giudici sono soggetti soltanto alla legge.

Art. 102. La funzione giurisdizionale è esercitata da magistrati ordinari istituiti e regolati dalle norme sull’ordinamento giudiziario. Non possono essere istituiti giudici straordinari o giudici speciali. Possono soltanto istituirsi presso gli organi giudiziari ordinari sezioni specializzate per determinate materie, anche con la partecipazione di cittadini idonei estranei alla magistratura. La legge regola i casi e le forme della partecipazione diretta del popolo all’amministrazione della giustizia.

Art. 103. Il Consiglio di Stato e gli altri organi di giustizia amministrativa hanno giurisdizione per la tutela nei confronti della pubblica amministrazione degli interessi legittimi e, in particolari materie indicate dalla legge, anche dei diritti soggettivi. La Corte dei conti ha giurisdizione nelle materie di contabilità pubblica e nelle altre specificate dalla legge. I tribunali militari in tempo di guerra hanno la giurisdizione stabilita dalla legge. In tempo di pace hanno giurisdizione soltanto per i reati militari commessi da appartenenti alle Forze armate.

Art. 104.  La magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere. Il Consiglio superiore della magistratura è presieduto dal Presidente della Repubblica. Ne fanno parte di diritto il primo presidente e il procuratore generale della Corte di cassazione. Gli altri componenti sono eletti per due terzi da tutti i magistrati ordinari tra gli appartenenti alle varie categorie, e per un terzo dal Parlamento in seduta comune tra professori ordinari di università in materie giuridiche ed avvocati dopo quindici anni di esercizio. Il Consiglio elegge un vice presidente fra i componenti designati dal Parlamento. I membri elettivi del Consiglio durano in carica quattro anni e non sono immediatamente rieleggibili. Non possono, finché sono in carica, essere iscritti negli albi professionali, né far parte del Parlamento o di un Consiglio regionale.

Art. 105.  Spettano al Consiglio superiore della magistratura, secondo le norme dell’ordinamento giudiziario, le assunzioni, le assegnazioni ed i trasferimenti, le promozioni e i provvedimenti disciplinari nei riguardi dei magistrati.

Art. 106. Le nomine dei magistrati hanno luogo per concorso. La legge sull’ordinamento giudiziario può ammettere la nomina, anche elettiva, di magistrati onorari per tutte le funzioni attribuite a giudici singoli. Su designazione del Consiglio superiore della magistratura possono essere chiamati all’ufficio di consiglieri di cassazione, per meriti insigni, professori ordinari di università in materie giuridiche e avvocati che abbiano quindici anni d’esercizio e siano iscritti negli albi speciali per le giurisdizioni superiori.

Art. 107. I magistrati sono inamovibili. Non possono essere dispensati o sospesi dal servizio né destinati ad altre sedi o funzioni se non in seguito a decisione del Consiglio superiore della magistratura, adottata o per i motivi e con le garanzie di difesa stabilite dall’ordinamento giudiziario o con il loro consenso. Il Ministro della giustizia ha facoltà di promuovere l’azione disciplinare. I magistrati si distinguono fra loro soltanto per diversità di funzioni.Il pubblico ministero gode delle garanzie stabilite nei suoi riguardi dalle norme sull’ordinamento giudiziario.

Art. 108. Le norme sull’ordinamento giudiziario e su ogni magistratura sono stabilite con legge. La legge assicura l’indipendenza dei giudici delle giurisdizioni speciali, del pubblico ministero presso di esse, e degli estranei che partecipano all’amministrazione della giustizia.

Art. 109. L’autorità giudiziaria dispone direttamente della polizia giudiziaria.

Art. 110. Ferme le competenze del Consiglio superiore della magistratura, spettano al Ministro della giustizia l’organizzazione e il funzionamento dei servizi relativi alla giustizia.

Norme sulla giurisdizione.

Art. 111. La giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge. Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale. La legge ne assicura la ragionevole durata. Nel processo penale, la legge assicura che la persona accusata di un reato sia, nel più breve tempo possibile, informata riservatamente della natura e dei motivi dell’accusa elevata a suo carico; disponga del tempo e delle condizioni necessari per preparare la sua difesa; abbia la facoltà, davanti al giudice, di interrogare o di far interrogare le persone che rendono dichiarazioni a suo carico, di ottenere la convocazione e l’interrogatorio di persone a sua difesa nelle stesse condizioni dell’accusa e l’acquisizione di ogni altro mezzo di prova a suo favore; sia assistita da un interprete se non comprende o non parla la lingua impiegata nel processo. Il processo penale è regolato dal principio del contraddittorio nella formazione della prova. La colpevolezza dell’imputato non può essere provata sulla base di dichiarazioni rese da chi, per libera scelta, si è sempre volontariamente sottratto all’interrogatorio da parte dell’imputato o del suo difensore. La legge regola i casi in cui la formazione della prova non ha luogo in contraddittorio per consenso dell’imputato o per accertata impossibilità di natura oggettiva o per effetto di provata condotta illecita. Tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati.Contro le sentenze e contro i provvedimenti sulla libertà personale, pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari o speciali, è sempre ammesso ricorso in Cassazione per violazione di legge. Si può derogare a tale norma soltanto per le sentenze dei tribunali militari in tempo di guerra. Contro le decisioni del Consiglio di Stato e della Corte dei conti il ricorso in Cassazione è ammesso per i soli motivi inerenti alla giurisdizione.

Art. 112. Il pubblico ministero ha l’obbligo di esercitare l’azione penale.

Art. 113. Contro gli atti della pubblica amministrazione è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria o amministrativa. Tale tutela giurisdizionale non può essere esclusa o limitata a particolari mezzi di impugnazione o per determinate categorie di atti. La legge determina quali organi di giurisdizione possono annullare gli atti della pubblica amministrazione nei casi e con gli effetti previsti dalla legge stessa.

OMISSIS

Art. 134.  La Corte costituzionale giudica: sulle controversie relative alla legittimità costituzionale delle leggi e degli atti, aventi forza di legge, dello Stato e delle Regioni; sui conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato e su quelli tra lo Stato e le Regioni, e tra le Regioni; sulle accuse promosse contro il Presidente della Repubblica, a norma della Costituzione.

Art. 135. La Corte costituzionale è composta di quindici giudici nominati per un terzo dal Presidente della Repubblica, per un terzo dal Parlamento in seduta comune e per un terzo dalle supreme magistrature ordinaria ed amministrative. I giudici della Corte costituzionale sono scelti tra i magistrati anche a riposo delle giurisdizioni superiori ordinaria ed amministrative, i professori ordinari di università in materie giuridiche e gli avvocati dopo venti anni d’esercizio. I giudici della Corte costituzionale sono nominati per nove anni, decorrenti per ciascuno di essi dal giorno del giuramento, e non possono essere nuovamente nominati. Alla scadenza del termine il giudice costituzionale cessa dalla carica e dall’esercizio delle funzioni. La Corte elegge tra i suoi componenti, secondo le norme stabilite dalla legge, il Presidente, che rimane in carica per un triennio, ed è rieleggibile, fermi in ogni caso i termini di scadenza dall’ufficio di giudice. L’ufficio di giudice della Corte è incompatibile con quello di membro del Parlamento, di un Consiglio regionale, con l’esercizio della professione di avvocato e con ogni carica ed ufficio indicati dalla legge. Nei giudizi d’accusa contro il Presidente della Repubblica, intervengono, oltre i giudici ordinari della Corte, sedici membri tratti a sorte da un elenco di cittadini aventi i requisiti per l’eleggibilità a senatore, che il Parlamento compila ogni nove anni mediante elezione con le stesse modalità stabilite per la nomina dei giudici ordinari.

Art. 136. Quando la Corte dichiara l’illegittimità costituzionale di una norma di legge o di atto avente forza di legge, la norma cessa di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione. La decisione della Corte è pubblicata e comunicata alle Camere ed ai Consigli regionali interessati, affinché, ove lo ritengano necessario, provvedano nelle forme costituzionali.

Art. 137. Una legge costituzionale stabilisce le condizioni, le forme, i termini di proponibilità dei giudizi di legittimità costituzionale, e le garanzie d’indipendenza dei giudici della Corte. Con legge ordinaria sono stabilite le altre norme necessarie per la costituzione e il funzionamento della Corte. Contro le decisioni della Corte costituzionale non è ammessa alcuna impugnazione.

Revisione della Costituzione. Leggi costituzionali.

Art. 138. Le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali sono adottate da ciascuna Camera con due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi, e sono approvate a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione. Le leggi stesse sono sottoposte a referendum popolare quando, entro tre mesi dalla loro pubblicazione, ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali. La legge sottoposta a referendum non è promulgata, se non è approvata dalla maggioranza dei voti validi. Non si fa luogo a referendum se la legge è stata approvata nella seconda votazione da ciascuna delle Camere a maggioranza di due terzi dei suoi componenti.

Art. 139. La forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale.

Riforma della giustizia – L’idea che non muore

CassazioneNon occorre aggiungere altro! Dall’editoriale L’idea che non muore, in La Magistratura, 15 gennaio 1926: “L’Associazione dei Magistrati si è sciolta. Questo era il suo dovere dopo l’approvazione della legge sui sindacati alla Camera dei Deputati. Con questo numero. La Magistratura sospende le sue pubblicazioni. È un passo che compiamo con tristezza profonda: non si spendono 15 anni in un’opera di sacrificio, senza che questa divenga, alla fine, parte integrante della nostra persona e della nostra vita e si leghi a noi, fibra a fibra, in piena solidarietà di fortuna; non si vive anni ed anni in intima consuetudine di pensiero e di opere con tanti amici e collaboratori, senza avvertire, al distacco improvviso, lo strappo doloroso dei tessuti giovani e vitali, non logorati dal tempo e refrattari per prova a qualsiasi bacillo di dissoluzione. Noi siano dunque tristi, come, certo, tutti coloro che, non senza qualche sacrificio e qualche degna prova di coraggio, ci hanno seguiti nel faticoso cammino, perché noi tutti amammo l’Associazione nostra come si amano gli ideali in cui davvero si crede: per se stessa, per quello che essa rappresentava nel rinnovamento della giustizia italiana, al di sopra delle persone e dei loro interessi. La nostra tristezza è grande: ma serena. Non rancori, non rimpianti, non il morso di inquietitudine morale. È un placido tramonto primaverile che chiude una feconda giornata: l’operaio raccoglie con mano ancora vigorosa gli strumenti di lavoro, guarda tutt’intorno il suo campo, come ad accarezzare, nell’attimo del commiato, ogni fil d’erba germogliato dal suo sudore e, sulla via del ritorno, dimentica gli stenti e l’aspra fatica del giorno nella anticipata visione delle rigogliose messi che verranno. È questo il suo premio, questo il miracolo delle sue forze che ogni giorno si rinnovano, delle sue speranze che rinascono ad ogni colpo della delusione; della sua fede nella vittoria all’indomani stesso della sconfitta più disperante. Il lavoro è la sua croce e la sua gioia, la fede è la sua forza e tutto il suo premio. Quest’operaio è come il Giusto del Vangelo: sempre pronto al combattimento, come alla morte, eguale alle gioie ed al dolore, ai trionfi come alle sconfitte; perché, a rigore, sconfitte e trionfi non sono che l’apparenza, quando tutta la storia e tutto il progresso dell’umanità dimostrano che non una sola goccia di sudore cadde mai invano dalla fronte dell’uomo e che neppure una volta sola le opere della fede furono destinate alla sterilità ed alla morte. L’una cosa che davvero uccide è la grettezza morale ed il disonore; è l’egoismo degli uomini che profana la santità delle idee e prostituisce la fede nel compromesso. Ma noi non conoscemmo queste ombre di umanità crepuscolare: la nostra fine ne è il documento indiscutibile. Forse, con un po’ più di “comprensione” – come eufemisticamente suol dirsi – non ci sarebbe stato impossibile organizzarci una piccola vita senza gravi dilemmi e senza rischi: una piccola vita soffusa di tepide burette, al sicuro dalle intemperie e protetta dalla nobiltà di qualche satrapia. Forse si poteva  non morire, od anche vivacchiare non inutilmente come agenzia di collocamento per gli affamati di nuovi posti o come sanatorio per gli affetti da “onorite” cronica. Ma, per divenire eremita, persino il diavolo aspettò ad invecchiare: ci si consentirà che, per divenire diavoli, sia egualmente necessaria una certa dose di decrepitezza morale, e cioè un certo progressivo allenamento a giocare con la propria anima come si fa con le vesciche di majale aggrinzite: il che non è affare di un giorno, di un mese o di un anno. L’Associazione era troppo giovane, vegeta ed assetata di vita, per trasformarsi in un’agenzia o in un sanatorioLa mezzafede non è il nostro forte; la “vita a comando” è troppo complessa per spiriti semplici come i nostri. Ecco perché abbiamo preferito morire. Era la sola maniera per tramandare intatta l’eredità morale della nostra Associazione. Perché questa eredità c’è, è vistosissima e nessuno ha il potere di distruggerla. L’edificio edificato in quindici anni occupa nell’anima della giovane magistratura un posto infinitamente più largo ed importante di quello, per verità modestissimo, che la povertà dei nostri mezzi e l’avversità delle vicende consentirono di occupare esteriormente nella vita italiana. Questo edificio è racchiuso tutto in una parola: l’indipendenza della magistratura, come base d’indipendenza della giustizia. È di quelle parole semplici, che una volta penetrate nell’animo di un uomo o di un popolo, sono destinate a trasformarsi in una forza dominante ed incoercibile. Or noi non ci illudiamo di avere radicato nello spirito italiano l’esigenza di una giustizia indipendente; ma siamo sicuri che di questa esigenza vive ormai la giovane magistratura la quale fu sempre la forza vera del nostro sodalizio e tra noi educò una fierezza nuova nell’esercizio della funzione giudiziaria e diede, nonostante i tempi e gli ordinamenti, esempi indimenticabili di dirittura e di indipendenza. È un’esigenza, che nessuno potrebbe sradicare, tanto essa è legata fibra a fibra con tutte le aspirazioni, i propositi e gli studi vigorosi, che rendono feconda e bella la giovinezza: è tutta una vita, tutta una conquista. Nessuno ha il potere di addormentare mai più anime, su cui sia caduto il raggio di una tal luce. È come il biblico frutto proibito: “qui en a touchè, en touchera”. La nostra fine consacra questa grande eredità morale, nella quale è, per noi, tutta la consolazione e tutto il premio di quest’ora triste. L’Italia avrà giorni felici, come noi speriamo, o tristi: la giustizia italiana rifulgerà di nuova luce o decadrà nel politicantismo. Nessun può far prognostici. Ma una fede ferma ci sorregge in fondo all’animo: che tutto ciò che è saldamente edificato nel cuore degli uomini è inviolabile ed indistruttibile.

Regio decreto 16 dicembre 1926*

Vittorio Emanuele III

Re d’Italia

PER GRAZIA DI DIO E PER VOLONTÀ DELLA NAZIONE

Ritenuto che il Consigliere della Corte di Cassazione, Saverio Brigante, il Sostituto Procuratore Generale di Corte di Appello Roberto Cirillo, i giudici Occhiuto  Filippo Alfredo e Chieppa Vincenzo ed il Sostituto Procuratore del Re Macaluso Giovanni sono stati i principali e più attivi dirigenti dell’Associazione Generale tra i Magistrati Italiani; 

Ritenuto che ad opera di essi l’Associazione assunse un indirizzo antistatale, sovvertitore della disciplina e della dignità dell’Ordine giudiziario, che fu propagandato a mezzo del periodico di classe “La Magistratura” dai medesimi redatto e

pubblicato;

Ritenuto che tale indirizzo sostanzialmente venne mantenuto anche dopo l’avvento del Governo Nazionale, che essi avversarono criticandone astiosamente gli atti, nonché facendo insinuazioni ed affermazioni di pretese ingiustizie e persecuzioni personali tanto da incorrere in reiterate diffide ufficiali;

Ritenuto che solo per normale ossequio alla Legge sui sindacati essi deliberarono lo scioglimento dell’Associazione, la soppressione del periodico e la liquidazione della Cooperativa (a suo tempo creata per fornire stabile sede all’Associazione), ma in sostanza mantennero saldi i vincoli associativi mediante atti simulati continuando, tra l’altro: la pubblicazione del giornale sotto il nuovo titolo “La Giustizia Italiana” da essi ugualmente redatto, che si ostinò nell’avversione al Governo sino ad incorrere nel novembre scorso, dopo reiterate diffide, nella soppressione ordinata dall’autorità politica;

Ritenuto che per le manifestazioni compiute i magistrati suddetti non offrono garanzie di un fedele adempimento nei loro doveri di ufficio e si sono posti in

condizioni di incompatibilità con le generali direttive politiche del Governo;

Viste le giustificazioni presentate dagli interessati;

Visto l’art. I° della legge 24 dicembre 1925 n. 2300;

Sentito il Consiglio dei Ministri;

Sulla proposta del Nostro Guardasigilli Ministro Segretario di Stato per la Giustizia e gli Affari di Culto;

Abbiamo decretato e decretiamo

Chieppa Vincenzo – giudice – ed altri

sono dispensati dal servizio, a decorrere dal 31 dicembre 1926, ai sensi dell’art.

I° della Legge 24 dicembre 1925 n. 2300.

Il Nostro Guardasigilli Ministro anzidetto è incaricato dell’esecuzione del presente

Decreto.

Dato in Roma addì 16 dicembre 1926

F.to Vittorio Emanuele

Controfirmato: Mussolini

“ : Rocco

Napoli e la crisi dei rifiuti una riflessione

piazza_plebiscito_napoliElenco che si sarebbe potuto leggere in una nota trasmissione:

Napoletani, che scavalcano la monnezza;

Napoletani che volgono lo sguardo dall’altra parte, pur’essa colma di monnezza;

Napoletani e topi; topi che escono dalle fogne trovando altre fogne;

Napoletani traditi dall’olfatto;

Napoletani tutti uguali nella monnezza;

Napoletani rassegnati, neri, sporchi, inanimati, fermi;

Napoletani con i figli in braccio, morti di colera.

….

Napoletani pizza e mandolino;

Napoletani totò, peppino e la malafemmina;

Napoletani babbà e sfugliatella;

Napoletani o sole e o mare;

Napoletani posillipo e mergellina;

Napoletani cuorno e san gennaro.

….

Napoletani con il Vesuvio, vigile e purificatore!

Consiglio sul tema della violenza sulle donne del 25 novembre 2011

La giornata di oggi nasce nel 1981 quando, in seguito ad un incontro Femminista Latinoamericano e dei Caraibi a Bogotà, si accettò la richiesta della delegazione della Repubblica Dominicana di rendere omaggio alle sorelle Mirabal, tre dissidenti politiche Dominicane, brutalmente torturate ed assassinate nel 1960 per ordine del dittatore Raphael Trujillo. Con la risoluzione 54/134 del 17 dicembre 1999, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha dichiarato il 25 novembre Giornata Mondiale per l’Eliminazione delle Violenza sulle Donne, invitando governi, organizzazioni internazionali e ONG ad organizzare attività ed eventi per accrescere la consapevolezza dell’opinione pubblica su questo tema. Questa circostanza mi ha colpito, in quanto, il fatto violento che si ricorda non è una violenza sessuale o una violenza consumata all’interno di una famiglia (secondo ciò che più ricorre) ma una brutale violenza commessa contro tre donne che manifestavano il loro dissenso politico verso il regime; ciò a significare il ruolo centrale della donna nella società e nella politica. Questa singolare circostanza mi ha fatto ricordare la manifestazione delle donne del 13 febbraio scorso, che ha rappresentato anch’essa la contrarietà delle donne ad una certa politica, che fa delle donne stesse un oggetto (per usare un termine degli anni ’60) piuttosto che un soggetto. Ciò emerge chiaramente dalle raccomandazioni del Comitato dell’ONU del 2011 emesse in seguito alla presentazione del cd. rapporto ombra, dalle attiviste lavori in corsa,  sullo stato di attuazione della Convenzione per l’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne (sottoscritta anche dall’Italia) con le quali si è stigmatizzato il fatto che nel nostro paese (scritto nero su bianco e senza mezzi termini) “le donne sono rappresentate come oggetti sessuali”. Ebbene ciò, come cittadino mi indigna (per usare una parola ricorrente, purtroppo, in questo periodo), perché riscontro ogni giorno la verità di questa contestazione dell’ONU al nostro paese. Ritengo, infatti, che l’uso consumistico della donna, sia una degenerazione della nostra società, che impone un modello unico fondato su canoni errati che mortificano la donna generando violenza. Occorre, quindi, che il nostro paese adotti dei correttivi che, con amarezza, devo constatare sono assolutamente estranei alla nostra politica nazionale ed alla nostra cultura. Dobbiamo, quindi, sperare nel futuro. Nel Regno Unito ed in Spagna (sicuramente paesi democratici), ad esempio, vi è una valutazione sulla pubblicità, da parte di un organo terzo, volta ad evitare l’uso strumentale del corpo della donna quando non è connesso al prodotto pubblicizzato. Ciò significa, utilizzare degli strumenti volti a combattere un modello psicologico sociale che vede nella attrazione sessuale uno strumento di mercificazione delle merci e, di qui, dico io, a considerare la donna stessamerce, il passo è breve! Cosa pensare dei gravissimi fatti di stupro commessi da adolescenti in gruppo contro loro coetanee. Ebbene questi, sono il risultato dell’assorbimento di questi modelli da parte di coloro che sono maggiormente esposti al bombardamento mediatico/sociale. Di recente abbiamo assistito a meccanismi di reclutamento della classe politica donna fondati, non sul valore e sulla capacità, ma sulla disponibilità sessuale o semplicemente sulla immagine sessuale. Cosa è accaduto lo sappiamo tutti e questo di certo non agevola la lotta contro la violenza sulle donne. I dati statistici sono allarmanti, anche se poco diffusi e rilevati, in uno studio dell’ISTAT del 2009 si parla, infatti, di circa il 51,8% delle donne italiane (tra i 14 ed i 65 anni), circa dieci milioni di donne, che hanno subito una violenza sessuale nell’arco della loro vita e la capacità delle istituzioni a fronteggiare questo fenomeno deve essere indirizzata non solo con l’approntamento di mezzi idonei al recupero ed all’emersione dalla violenza, statisticamente maggiormente perpetrata dall’uomo che ha le chiavi di casa ma, anche e di più, con l’adozione di modelli di riferimento diversi da quelli che subiamo passivamente. Da Napoli deve partire un riflessione culturale sul abbattimento degli stereotipi che inducono alla violenza. Da Napoli, questo deve essere l’impegno dell’amministrazione, deve partire una continua formazione verso coloro che si occupano di fatti gravissimi che vedono famiglie intere travolte, poiché la stragrande maggioranza dei fatti violenti contro le donne si svolgono tra le mura domestica ed in presenza dei figli spesso minori. Non poche volte, purtroppo, mi è capitato di interloquire, per la professione di avvocato che svolgo, con forze dell’ordine poco preparate a fronteggiare drammi familiari, liquidati sbrigativamente e sterilmente su verbali, come “liti in famiglia”. E’ chiaro che la scarsezza delle risorse e la inadeguatezza degli strumenti con i quali ci misuriamo è enorme ma la consapevolezza del problema e la conoscenza delle sacche di inefficienza ci deve spingere al miglioramento ed all’ascolto.

Consiglio su Bagnoli del 10 ottobre 2011 – Il Parco dello Sport

bagnoliOggi intervengo su una questione specifica di bagnoli, il parco dello sport, la prima cosa che ho fatto per capire di cosa si trattava è stato un sopralluogo e dei rilievi fotografici, con l’aiuto di un cittadino di bagnoli, in virtù dei quali ho sostanzialmente appurato che gli impianti sono in stato avanzato di completamento se non ultimati ed oggi, in stato di abbandono e, quindi, in via di deterioramento. Mancano per lo più le infrastrutture, gli assi viari di collegamento per intenderci. Ebbene, in seno alla commissione consiliare ho avuto modo di apprendere, dal Presidente di Bagnoli Futura, che l’intero parco dello sport è già stato affidato con una gara che si è conclusa nel settembre 2010. Per tale singolare informazione, opera non ancora compiuta o utilizzabile ed affidamento già avvenuto, ho chiesto spiegazioni scritte alla società che ho avuto, in parte, solo venerdì con l’invio del solo capitolato di gara, ma non della convenzione che, poi, mi è stato detto non ancora sottoscritta, in quanto, il parco non è ancora consegnabile e volevo vedere! A dire il vero, nella mia carriera di avvocato è la prima volta che mi capita di imbattermi in una tale singolare condizione, opera non finita ciò nonostante già affidata, col rischio di incorrere in inadempimenti anche gravi, sia per il tempo, sia per il deterioramento degli impianti stessi per i quali la società aggiudicataria potrà all’atto della consegna far riserva di agire in danno. Ho insistito ho chiesto con detreminazione il verbale di aggiudicazione, l’ho avuta solo pochi minuti fa, a mezzo e-mail, diciamo che rispetto agli altri colleghi consiglieri che hanno chiesto informazioni a Bagnoli Futura, sono stato più fortunato, ma solo per la mia tenacia. L’unico dato che posso dare, da una superficialissima visione dell’offerta, è che l’intera area di 17 ettari (170.000,00 mq.) è stata affidata per la somma annuale di 60.000,00 €. a spanne e per dare un’idea 35 cent al mq. Ma su tutti gli altri termini non so dare risposte. Mi sono allora preoccupato di andare a verificare chi fosse l’aggiudicatario indicatomi come la Soccer Club Colli Aminei S.a.s. di Simone Francesco avendo prima, chiesto quante siano state le società a partecipare alla gara. Mi è stato comunicato che sono state 4. Il che apre, ovviamente, una seria riflessione su come sia stata pubblicizzata una gara che riguarda un parco di 17 ettari del valore di diverse decine di milioni di euro. Mi chiedo, e chiedo al Consiglio, se forse non era meglio dare le singole strutture a diversi concessionari in modo da favorire sicuramente una maggiore vivacità, frazionando anche il rischio, invece, si è aggiudicata l’intera struttura per 10 lunghi anni ad una società di persona che, sempre per mia esperienza professionale, in banca avrebbe serie difficoltà anche ricevere un finanziamento di 10.000,00 euro. Ho, quindi, fatto qualche verifica presso il registro delle imprese ed ho scoperto che l’amministratore di questa società ha una quota di circa 1.000,00 €. sul capitale sociale di appena 50.000,00 €. (rispetto al valore delle opere concesse) della sas e che ha partecipazioni a vario titolo in circa 10 altre società di persona, un mago della società di persone, quindi, di cui alcune chiuse, che operano dal settore dai parcheggi a quello alberghiero e della ristorazione. Nella offerta ho avuto modo di leggere velocemente che dal 2003 la detta società ha svolto importanti azioni imprenditoriali presso la sede dei Colli Aminei, mi chiedo con quale personale visto che al registro delle imprese risultano un numero di dipendenti pari a zero. Sono, pertanto, preoccupato non comprendendo come si possa affidare un’opera di decine di milioni di euro così alla leggera e per un così lungo tempo concedendo spazi di importanza vitale per l’area di bagnoli tra cui aree ludiche, sportive, di ristorazione, di parcheggio nonché l’utilizzo degli spazi pubblicitari. Un affare a fronte del quale abbiamo una società di persone con una struttura forse non proprio in linea con lo sforzo che si richiede. Non mi meraviglierei se tra dieci anni, avendo affidato una struttura così complessa ad un soggetto che sulla carta appare così debole, dovremmo affidare anche questa struttura alla cura della curia, seguendo, così, l’orientamento della Regione e di recente anche di quest’amministrazione. Mi si consenta una breve digressione faccio, infatti, fatica a comprendere questa gara alla conquista della benevolenza del Cardinale pur essendo io, battezzato, comunicato, cresimato e sposato in chiesa. Possibile che pensiamo ancora che i cittadini cattolici che a milioni hanno manifestato la loro indignazione per le agevolazioni fiscali della chiesa si lascino influenzare da queste cose? ma questo, come ho detto, è un altro capitolo! Dobbiamo, allora, correggere il tiro e questo consiglio è pronto per farlo! Dobbiamo introdurre in questa città un modello “rivoluzionario”, copiando, si copiando, ciò che accade nelle moderne democrazie del nord europa, un modello rivoluzionario che ci porti alla normalità, sembra una contraddizione in termini ma, purtroppo per noi, non lo è! quindi: gare trasparenti e pubblicizzate a giusto dovere, affidamenti sicuri, scelta degli uomini di direzione ed amministrazione secondo un meccanismo trasparente ed indipendente dalle correnti politiche! Non possiamo non fare questo e poi lamentarci che le nostre migliori intelligenze, giovani e meno giovani, vadano all’estero, basta impiegarle in Italia iniziando da Napoli!

Consiglio sul tema rifiuti del 2 agosto 2011

ricicloLa crisi dei rifiuti a Napoli ha assunto dimensioni tali da far diventare la munnezza una questione sociale che non può trovare soluzioni solo in ambito tecnocratico. Le passate esperienze ci hanno insegnato che fino a quando non saremo indipendenti, o metteremo in campo misure diverse, ci troveremo sempre schiacciati tra le lobby politiche/affaristiche e quelle malavitose. Numerose sono state le iniziative della magistratura anche di recente. La crisi di questi ultimi giorni è stata a vario modo imputata agli STIR intasati, alle direttive della Regione e della Provincia, mai risolutorie, e da ultimo alle ditte appaltatrici dell’ASIA tra cui la Lavajet che, con un atteggiamento ostruzionistico ha impedito la raccolta in alcuni quartieri nevralgici della nostra città. Ebbene, da una verifica che ho potuto fare presso il  registro delle imprese la Lavajet, che abbiamo ereditato dalla precedente amministrazione, addirittura risulta essere partecipata da due società, una avente sede negli Emirati Arabi e l’altra nel Principato di Monaco. In sostanza non si riesce neppure a sapere con certezza chi siano i proprietari di una società che si occupa di un servizio pubblico così importante come quello della raccolta dei rifiuti.     Sono allora convito che fino a quando non avvieremo il nuovo piano rifiuti dobbiamo adottare una modalità di intervento diversa da quella adottata dalle precedenti amministrazioni, dobbiamo aspirare da subito ad un modello che non ci imponga più di aspettare che ci comunichino i cd. flussi, mentre tonnellate di munnezza stanno in mezzo alle nostre strade. Non possiamo sottostare alle decisioni della provincia né disiteressarci del successivo trattamento dei rifiuti, una volta raccolti, se poi la provincia, la munnezza ce la sversa a chiaiano, dove l’altro giorno una geyser alto 15 metri ha mostrato tutta la criticità della grave condizione in cui versano i nostri concittadini. Credo allora che il Sindaco, la Giunta e questo Consiglio Comunale hanno l’autorità morale, culturale e politica per chiedere ai cittadini di collaborare. Sono, infatti, convinto che la cittadinanza napoletana, ci ha dato fiducia perché vuole legalità, trasparenza, ordine e partecipazione anche, ed in particolare, nel trattamento dei rifiuti. Credo, allora che questa Giunta possa chiedere di più ai propri cittadini imponendo il rispetto incondizionato delle ordinanza fino ad ora emesse, inasprendole anche, se è il caso, vietando incondizionatamente la distribuzione di bibite e monouso in plastica così come era stato fatto nella prima versione della ordinanza sindacale.  Non credo, infatti, che i commercianti siano contrari a questa modalità. Il turismo è fortemente calato e le vendite sono calate proprio per la munnezza. In questa fase allora, possiamo e dobbiamo, chiedere uno sforzo ai nostri concittadini ma ancora di più ai dipendenti del nostro comune che devono oggi, più che in ogni altro momento, essere d’esempio nello svolgimento delle loro mansioni a tutti i livelli. Credo, infatti, che possiamo e dobbiamo chiedere di più, ai nostri VV.UU., nel controllo della rigida applicazione dei provvedimenti normativi emessi, non possiamo tollerare un atteggiamento timido o non collaborativo verso i cittadini attivi (clean up friarieli ribelli) che in molte occasioni mi hanno segnalato la disapplicazione della normativa di emergenza per ignoranza proprio di coloro che avrebbero dovuto controllarne l’applicazione. Non è più possibile tollerare la disapplicazione dei detti provvedimenti negli edifici pubblici, noi abbiamo l’obbligo di pretenderne il rispetto. Non è possibile, infatti, che un minuto dopo l’emissione di provvedimenti così importanti i bar adiacenti Palazzo San Giacomo non ne sappiano nulla. Ebbene, e concludo, questo era quello che chiedevano i cittadini del monte Tarsia, in un documento ormai risalente, che così recitava:

“Iniziamo  col chiedere ai negozianti ed ai supermercati della zona:

di ridurre gli imballaggi (vaschette e buste di plastica) dalla nostra spesa quotidiana

di rispettare le norme che regolano lo smaltimento dei cartoni e dei residui alimentari

di iniziare a introdurre sistemi più economici di riutilizzo dei contenitori per alcuni prodotti come il latte e i detersivi

Differenziata subito

Avviamento dell’umido ALLE AZIENDE AGRARIE DELLA CITTA’ CHE DOTATE DI IDONEE COMPOSTIERE POTREBBERO UTILIZZARE IL RIFIUTO ORGANICO PER PRODURRE COMPOST PER I PROPRI TERRENI (esperimenti del genere sono stati fatti nel comune di BACOLI)

BASTA CON IL DEGRADO!  RISCOPRIAMO LA BELLEZZA DELLE NOSTRE STRADE !

Noi Siamo

 

Noi siamo quelli che sono stanchi della politica fine a se stessa;

Noi siamo quelli che credono che tra capitale e lavoro valga di più il lavoro;

Noi siamo quelli che credono di poter cambiare il paese iniziando a cambiare se stessi;

Noi siamo quelli che si sono sempre “fatti il mazzo”;

Noi siamo quelli che non hanno bisogno della politica per campare;

Noi siamo quelli che credono che sul bene del paese non debba prevalere l’economia;

Noi siamo quelli che credono nella possibilità di realizzare dei sogni;

Noi siamo quelli che sono stanchi di sentirsi dire che i soldi non ci sono perché il vero valore siamo noi;

Noi siamo quelli che amano le diversità, perché costituiscono ricchezza;

Noi siamo quelli che credono in una società multiraziale;

Noi siamo quelli che pretendono il rispetto delle regole;

Noi siamo quelli che non vogliono più sentirsi dire: “noi questo ci meritiamo”;

Noi siamo quelli che non hanno paura della crisi;

Noi siamo quelli che vogliono una società libera senza classi chiuse;

Noi siamo quelli che vogliono la scuola pubblica;

Noi siamo quelli che vogliono la sanità pubblica;

Noi siamo quelli che vogliono i beni e servizi essenziali pubblici;

Noi siamo quelli che lottano contro ogni forma di privilegio;

Noi siamo quelli che credono nella libertà individuale e di coscienza;

Noi siamo quelli che credono in uno stato laico libero da condizionamenti;

Noi siamo quelli che vogliono crescere in questo paese;

Noi siamo quelli che hanno i figli da far crescere in questo paese;

Noi siamo quelli che vogliono salvaguardare le risorse di questo paese;

Noi siamo quelli che vogliono la terra, l’acqua, l’aria pulite;

Noi siamo quelli che amano la trasparenza;

Noi siamo la forza delle parole che pronunciamo….

C.A. Ciampi: A un giovane Italiano

Di questo libro mi ha colpito il sentimento di umiltà che traspare dalla lettura. Ad un certo punto, infatti, è lo stesso Ciampi a dichiarare che i suoi successi li ha sempre attribuiti al caso ed alla fortuna per paura di esaltare le sue doti ed i risultati raggiunti. Sono convinto che l’umiltà è un sentimento che solo i veri grandi conoscono.

Per chi ne sente il richiamo, la vocazione, direi, tra i doveri più alti c’è l’impegno politico, perché esso è posto al servizio dell’interesse generale, di tutti i cittadini. I problemi e le difficoltà del presente, le molte delusioni riservateci dal carattere assunto dalla nostra vita pubblica hanno generato un diffuso sentimento di diffidenza, se non di disprezzo, per la politica e le sue istituzioni. Credo sia giunto il momento di dismettere questo abito mentale. La politica non è quella cosa sporca da molti irresponsabilmente predicata con gran seguito di opinione pubblica. Certamente, il virus che causa questa ripulsa si annida nella condotta di troppi uomini politici. E’ solo l’indegnità degli uomini, infatti, che sporca la politica, quando questa viene piegata a interessi personali o particolari, piuttosto che a quello generale. Servire l’interesse generale non richiede – non dovrebbe richiedere – di essere persone eccezionali, santi, eroi o anacoreti. E’ necessario credere fermamente nei valori portanti della democrazia; è importante porsi obiettivi realisticamente perseguibili per lo sviluppo della società; è sufficiente essere uomini e donne probi, competenti, coerenti nel praticare valori e convinzioni professati a parole e, se non è troppo ingenuo da parte mia, sentire l’incarico assunto prima di tutto come un dovere civico. Non conta il dissenso, non conta la diversità di opinione e di valutazione , di fronte a un disinteressato e faticoso impegno a servire con la parola, con l’ammonimento, con le decisioni, con le scelte le idee in cui si crede. In questo senso la politica è linfa della vita democratica; se viene accantonata come attrezzo ormai inservibile la democrazia ne patisce alla lunga menomazioni gravi, irreversibili. Quanto più ci si disinteressa della vita pubblica, per attendere esclusivamente alla cura dei propri pur legittimi interessi, tanto più si indeboliscono lo spirito di solidarietà e la stessa capacità di immedesimarsi e comprendere le condizioni dei nostri simili … Novant’anni sono molti anche per continuare a nutrire fiducia; eppure nonostante tutto, non posso dirmi pessimista. Non sto cercando, però di indurti, giovane amico, a coltivare un ottimismo consolatorio, quel sentimento dal sapore dolciastro e quasi sincero. Desidero invitarti ad aguzzare lo sguardo, lo sguardo acuto dell’intelletto e del cuore, affinché tu non perda di vista il segno di quella strada che tu stesso dovrai provvedere a tracciare, senza superbia, ma senza troppi timori. Come diceva Seneca nelle sue lettere a Lucillo: Continua nei tuoi progressi e capirai che sono meno da temere proprio quelle cose che fanno più paura”.

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