La giornata di oggi nasce nel 1981 quando, in seguito ad un incontro Femminista Latinoamericano e dei Caraibi a Bogotà, si accettò la richiesta della delegazione della Repubblica Dominicana di rendere omaggio alle sorelle Mirabal, tre dissidenti politiche Dominicane, brutalmente torturate ed assassinate nel 1960 per ordine del dittatore Raphael Trujillo. Con la risoluzione 54/134 del 17 dicembre 1999, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha dichiarato il 25 novembre Giornata Mondiale per l’Eliminazione delle Violenza sulle Donne, invitando governi, organizzazioni internazionali e ONG ad organizzare attività ed eventi per accrescere la consapevolezza dell’opinione pubblica su questo tema. Questa circostanza mi ha colpito, in quanto, il fatto violento che si ricorda non è una violenza sessuale o una violenza consumata all’interno di una famiglia (secondo ciò che più ricorre) ma una brutale violenza commessa contro tre donne che manifestavano il loro dissenso politico verso il regime; ciò a significare il ruolo centrale della donna nella società e nella politica. Questa singolare circostanza mi ha fatto ricordare la manifestazione delle donne del 13 febbraio scorso, che ha rappresentato anch’essa la contrarietà delle donne ad una certa politica, che fa delle donne stesse un oggetto (per usare un termine degli anni ’60) piuttosto che un soggetto. Ciò emerge chiaramente dalle raccomandazioni del Comitato dell’ONU del 2011 emesse in seguito alla presentazione del cd. rapporto ombra, dalle attiviste lavori in corsa, sullo stato di attuazione della Convenzione per l’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne (sottoscritta anche dall’Italia) con le quali si è stigmatizzato il fatto che nel nostro paese (scritto nero su bianco e senza mezzi termini) “le donne sono rappresentate come oggetti sessuali”. Ebbene ciò, come cittadino mi indigna (per usare una parola ricorrente, purtroppo, in questo periodo), perché riscontro ogni giorno la verità di questa contestazione dell’ONU al nostro paese. Ritengo, infatti, che l’uso consumistico della donna, sia una degenerazione della nostra società, che impone un modello unico fondato su canoni errati che mortificano la donna generando violenza. Occorre, quindi, che il nostro paese adotti dei correttivi che, con amarezza, devo constatare sono assolutamente estranei alla nostra politica nazionale ed alla nostra cultura. Dobbiamo, quindi, sperare nel futuro. Nel Regno Unito ed in Spagna (sicuramente paesi democratici), ad esempio, vi è una valutazione sulla pubblicità, da parte di un organo terzo, volta ad evitare l’uso strumentale del corpo della donna quando non è connesso al prodotto pubblicizzato. Ciò significa, utilizzare degli strumenti volti a combattere un modello psicologico sociale che vede nella attrazione sessuale uno strumento di mercificazione delle merci e, di qui, dico io, a considerare la donna stessamerce, il passo è breve! Cosa pensare dei gravissimi fatti di stupro commessi da adolescenti in gruppo contro loro coetanee. Ebbene questi, sono il risultato dell’assorbimento di questi modelli da parte di coloro che sono maggiormente esposti al bombardamento mediatico/sociale. Di recente abbiamo assistito a meccanismi di reclutamento della classe politica donna fondati, non sul valore e sulla capacità, ma sulla disponibilità sessuale o semplicemente sulla immagine sessuale. Cosa è accaduto lo sappiamo tutti e questo di certo non agevola la lotta contro la violenza sulle donne. I dati statistici sono allarmanti, anche se poco diffusi e rilevati, in uno studio dell’ISTAT del 2009 si parla, infatti, di circa il 51,8% delle donne italiane (tra i 14 ed i 65 anni), circa dieci milioni di donne, che hanno subito una violenza sessuale nell’arco della loro vita e la capacità delle istituzioni a fronteggiare questo fenomeno deve essere indirizzata non solo con l’approntamento di mezzi idonei al recupero ed all’emersione dalla violenza, statisticamente maggiormente perpetrata dall’uomo che ha le chiavi di casa ma, anche e di più, con l’adozione di modelli di riferimento diversi da quelli che subiamo passivamente. Da Napoli deve partire un riflessione culturale sul abbattimento degli stereotipi che inducono alla violenza. Da Napoli, questo deve essere l’impegno dell’amministrazione, deve partire una continua formazione verso coloro che si occupano di fatti gravissimi che vedono famiglie intere travolte, poiché la stragrande maggioranza dei fatti violenti contro le donne si svolgono tra le mura domestica ed in presenza dei figli spesso minori. Non poche volte, purtroppo, mi è capitato di interloquire, per la professione di avvocato che svolgo, con forze dell’ordine poco preparate a fronteggiare drammi familiari, liquidati sbrigativamente e sterilmente su verbali, come “liti in famiglia”. E’ chiaro che la scarsezza delle risorse e la inadeguatezza degli strumenti con i quali ci misuriamo è enorme ma la consapevolezza del problema e la conoscenza delle sacche di inefficienza ci deve spingere al miglioramento ed all’ascolto.
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