Venerdì scorso si è svolta la La Tavola Rotonda sulla Rete dell’Emergenza-Urgenza nella sanità campana (clikka) e per capire la gravità della situazione basta leggere i titoli dei giornali di oggi (02.11.2014):
REPUBBLICA NAPOLI. Ospedale Cardarelli di Napoli. Far West al pronto soccorso picchiati gli infermieri. Ospedale Cardarelli botte agli infermieri del pronto soccorso. Attese lunghe, due raid contro il personale in servizio. Interviene una guardia giurata e viene pestata. Il Mattino di Napoli. San Giovanni Bosco. La protesta. C’è la possibilità che i turni ordinari non vengano garantiti. Manca il personale, il San Giovanni Bosco rischia lo stop. CORRIERE DEL MEZZOGIORNO NAPOLI E CAMPANIA. «Per noi lavorare al Cardarelli è come andare sul campo di battaglia». Ancora infermieri aggrediti al Pronto soccorso. La denuncia del commissario Caputo. «Per noi lavorare al Cardarelli è come andare sul campo di battaglia» Ancora infermieri aggrediti al Pronto soccorso. ROMA del 02-11-2014 – Autore: Redazione. Non vogliono aspettare il turno per la visita, i parenti aggrediscono a calci e pugni infermieri e guardie giurate – Cardarelli, ore d`attesa: scoppia la rissa.
Venerdì ho avuto la fortuna di sentire come stanno le cose nella sanità campana per quanto concerne la rete dell’emergenza-urgenza, in una parola come è messo il nostro sistema dei pronto soccorso. A parlare sono stati i medici che ogni giorno sono impegnati a salvare la vita dei nostri concittadini. Hanno partecipato cittadini ed abbiamo avuto anche il contributo di idee del Prof. Fernando Schilardi, un luminare di fama internazionale e primario dell’Ospedale San Paolo di Napoli, che ci ha confermato che la migliore organizzazione della rete del primo soccorso non solo sarebbe a costo zero ma, per alcuni versi, ci farebbe addirittura risparmiare risorse economiche. Si parla, infatti, spesso della cd. demedicalizzazione delle ambulanze con la sostituzione dei medici a bordo con infermieri specializzati con laurea breve, ovvero, della organizzazione delle cd. Unità Complesse di cure primarie al fine di ridurre al minimo i codici verdi e gialli.
Brillanti ed approfondite sono state le relazioni del Dott. Salvatore Cuomo, Maurizio Postiglione, Giuseppe Russo e Emanuele Durante Mangoni, dalle quali abbiamo capito che occorrerebbe una vera e propria educazione al pronto soccorso sin dalla prima telefonata al 118.
E’ curioso, infatti, sapere che spessissimo si perdono minuti preziosi perché chi telefona non sa neppure dove si trova ed allora è capace che chi chiama da San Giorgio dicendo che è al Corso Vittorio Emanuale pensi di essere al corso Vittorio Emanuele di Napoli e che tale difficoltà potrebbe essere banalmente superata con la cd. geolocalizzazione del numero chiamante, come accade in ogni altro paese civile del mondo ma, ovviamente, la politica si occupa di posti di strategie, di chi farà il governatore, il sindaco o l’assessore, senza neppure pensare minimamente che per ricoprire questi ruoli occorrono capacità di ascolto, studio, sensibilità e sopratutto spirito di servizio!
Al termine della tavola rotonda alla quale non ha potuto partecipare il Prof. Raffaele Calabrò, per un sopraggiunto impegno, abbiamo capito che questo evento lo dovremmo ripetere nelle scuole al fine di educare i cittadini nella comunicazione e nelle prime cure di emergenza nell’attesa che arrivi il pronto soccorso.
Una curiosità a Napoli le Ambulanze in servizio sono solo 20, mentre a Roma ed a Milano sono oltre 80, fate voi i conti e diteci se Caldoro ha fatto qualcosa per la sanità campana in questi cinque anni.
Thomas Sankara diceva che la politica si deve occupare della felicità delle persone. Dopo più di tre anni, da quando è iniziata la mia prima esperienza politica al Comune di Napoli, posso dire che la politica in concreto si occupa solo ed esclusivamente della strategia per occupare posti di potere, senza neppure pensare per un momento che al potere è strettamente connessa la responsabilità e più potere hai maggiore è la responsabilità che devi avere nell’esercizio del potere. Basta leggere i giornali di oggi, di ieri e di domani per capire che pochi sono i politici che per migliorare il paese fanno proposte la maggior parte di loro è concentrata a distruggere ed a criticare per la loro naturale incapacità di avere una visione.
Al Roma di Napoli il merito di aver parlato della nostra tavola rotonda dalla quale sono emerse non solo le criticità ma anche le soluzioni per risolverla.
Estratto da pagina 2 di ROMA del 02-11-2014 – Autore: Redazione
Non vogliono aspettare il turno per la visita, i parenti aggrediscono a calci e pugni infermieri e guardie giurate
Cardarelli, ore d`attesa: scoppia la rissa
SANITÀ Non vogliono aspettare il turno per la visita, i parenti aggrediscono a calci e pugni infermieri e guardie giure Cardarelli, ore d’attesa: scoppia la rissi NAPOLI. Tempi di attesa troppo lunghi e al Pronto Soccorso del Cardarelli si scatena l’ennesima rissa. Questa volta a fame le spese sono due infermieri di passaggio e una guardia giurata, aggrediti dalla furia di un parente che accompagnava un degente, infastiditosi per l’attesa troppo lunga per la visita. L’accompagnatore, andato m escandescenze, ha tempestato di calci e pugni i malcapitati. Una rabbia irrefrenabile che ha contagiato inspiegabilmente anche un accompagnatore di un altro paziente, del tutto estraneo al primo, e che è sfociata alla fine in una maxi-rissa, con una massa di persone del tutte estranee ai due pazienti che ha aggredito infermieri e guardie giurate accorse per riportare l’ordine. A denunciare l’episodio, il sindacalista della Uil, Renato Rivelli, che ha spiegato l’accaduto in una nota congiunta con Cgil e Cisl. «Una violenza inaudita e per di più ingiustificata — racconta Rivelli – visto che il paziente non era in gravi condizioni, ma dopo aver ricevuto le prime analisi, gli era stato assegnato un codice verde, tra i meno gravi». «La dinamica dei fatti è a dir poco inverosimile – spiega il sindacalista -, i colleghi sono stati aggrediti e picchiati come è successo in altre circostanze dal parente di un paziente. Al quale, già noto ai sanitari del pronto soccorso, erano tempestivamente stati rilevati i parametri vitali, effettuato l’elettrocardiogramma ed attribuito un codice “verde”. Il parente per il solo fatto di non voler aspettare il turno per la visita, ha aggredito il malcapitato infermiere di turno. Una persona estranea, accompagnatrice di un altro paziente in attesa di visita.ha a sua volta aggredito senza ulteriore motivo un’altra Infermiera presente. La guardia giurata, prontamente intervenuta pure è stata raggiunta da calci e pugni da parte dei malviventi. A questo punto succede l’inimmaginabile, dopo essere riusciti a fermare e bloccare il rissoso parente, una massa di persone del tutto estranee al paziente si riversa sugli infermieri e sulle guardie giurate di turno e solo grazie al senso di responsabilità che lentamente il personale è riuscito a portare la tranquillità calmando gli animi esagitati degli accompagnatori dei pazienti». Episodi di violenza che, purtroppo, sono sempre più frequenti nel nosocomio napoletano, sempre a corto di personale per poter far fronte all’elevato numero di accessi al Pronto Soccorso. «Chi ha avuto la sfortuna di essere ricoverato o di avere ricoverato un prossimo congiunto nell’Ospedale Cardarelli di Napoli commenta il consigliere comunale Gennaro Esposito, di Ricostruzione Democratica, che ve- nerdi ha partecipato ad un convegno proprio sullo stato di difficoltà in cui versa la rete dell’emergenza campana, accanto a Raffaele Calabrò, Giuseppe Galano, Giuseppe Russo, Maurizio Postiglione, Emaunele Durante Mangoni, Angela Cortese – ha, infatti, toccato con mano la vera e propria indecenza e mortificazione di vedere il proprio anziano genitore, figlio, fratello o sorella sistemato su una barella in un corridoio della medicina di urgenza o m altro reparto con medici ed infermieri che, fortunatamente, mostrano essi stessi un senso di mortificazione ed indignazione per lo stato nel quale sono costretti ad operare. Indignazione e mortificazione che si accrescono se gli stessi medici impegnati quotidianamente al Cardarelli, a ferragosto, denunciano che al vicino Nuovo Policlinico ci sono strutture e posti letto inutilizzati».
Guardate come arriva il defibrillatore in questo filmato. Ci arriveremo mai con la nostra sanità?
Aggiornamento:
Da il Mattino di Napoli del 03.11.2014
«Noi nella trincea del Cardarelli tra violenti e odiosi prepotenti»; «Unico pronto soccorso aperto qui è come andare in trincea»
Davide Gerbone. Al Cardarelli, raccontano gli infermieri del Pronto soccorso, l’aggressività corre su un doppio binario: «Ci sono persone che sembrano per bene e invece si comportano uno schifo. E sinceramente preferisco lo schiaffo di un povero Cristo all’abuso di potere di uno altolocato». Viaggio nell’emergenza Cardarelli «Unico pronto soccorso aperto qui è come andare in trincea» Sotto la pensilina del pronto soccorso, amici e parenti si radunano a parlottare in piccoli capannelli. Qualcuno, più in là, sfumacchia in solitudine, mentre un ragazzo consuma le suole delle sue scarpe sportive ricalcando cento volte i suoi stessi passi. Combattono tutti, ciascuno a modo proprio, lo stesso avversario: l’attesa. Una nemica che qui è seconda solo alla paura. È una tranquilla domenica, al Cardarelli. Tranquilla, sì. Fino a prova contraria. Che anche nel giorno consacrato ai morti arriva puntuale. Stavolta l’alterco si consuma nella sala dell’accettazione, a pochi passi dai malati parcheggiati sulle barelle nell’atrio in attesa di essere visitati. Oggi sono una decina, poca roba a confronto dei giorni caldi. Eppure. «Eppure pochi minuti fa un esponente delle forze dell’ordine è venuto qui ad alzare la voce, pretendendo che sua madre fosse vista subito. Ma questa prepotenza e questa confidenza se la concedono solo con noi, con i medici non si permettono. Ed è ancora più mortificante». Il racconto è di un’infermiera che, vinta un’iniziale reticenza, sgrana il rosario delle vessazioni. Il quadro che ne viene fuori è più composito di quanto si possa immaginare. Sono diversi, infatti, i paramedici a descrivere un doppio binario dell’aggressività. «Qui le aggressioni verbali sono all’ordine del giorno – racconta l’infermiera -. Certo, tanti sono terra terra, ma ci sono anche persone che sembrano per bene e invece si comportano uno schifo. E sinceramente preferisco lo schiaffo di un povero Cristo che non sa che pesci prendere al “lei non sa chi sono io” o all’abuso di potere di un altolocato». La sua collega di turno annuisce, e la sua conferma l’affida alla forza espressiva del dialetto: «II pronto soccorso per loro significa “mo’ mo’»: tutti pretendono il servizio subito, senza capire che c’è una differenza tra casi più e meno urgenti. «Io confida – a luglio sono stata aggredita físicamente da una signora che non voleva darmi le generalità. Ti pago e devi fare quello che dico io mi ha minacciato. Se mi sento in pericolo? Certo, vengo a lavorare con la paura addosso. Da un anno a questa parte ancora di più». Una condizione portata più volte all’attenzione del primario del pronto soccorso. «Che cosa ci ha risposto? Neanche lei può farci niente. Purtroppo hanno chiuso gli altri pronto soccorso in città e si riversano tutti qui». Una lettura ampiamente condivisa dal personale del più grande ospedale del Mezzogiorno. «Abbiamo l’unico policlinico d’Italia senza pronto soccorso e in pochi mesi solo a Napoli ne hanno chiusi tré. In qualsiasi altra città la gente si sarebbe ribellata. Qui invece stanno zitti con le istituzioni e se la prendono con noi», dice un chirurgo di guardia, mostrando le piaghe di un’assistenza che deve fare tutto con poco. Sono in molti a sostenere che l’aumento della tensione è il risultato inevitabile dei tagli. Argomento confortato col racconto di una quotidiana resistenza: «Non sappiamo dove mettere la gente – aggiunge un altro medico – spesso finiscono le barelle e gli ammalati dobbiamo sistemarli sulle poltroncine. Anche sulla mia: io mi accomodo su un bidone». In ambulatorio, intanto, i pazienti vengono visitati senza alcun riguardo per la privacy. «Si sa che è così, che dobbiamo fare?», sospira rassegnata una signora coi capelli bianchi che attende il proprio turno su una barella nel grande corridoio che fa da sala d’attesa. «Siamo in 13, divisi in tré turni: 8-14.14-20 e 20-8. Molte volte siamo in sottonumero: 10, perfino 9 – racconta un altro infermiere. Ovviamente il servizio è più lento e la gente si irrita. In accettazione, poi, i posti sono pochissimi: 35 a fronte di circa 300 accessi al giorno. Il posto letto qui dentro è la barella». E allora non c’è da meravigliarsi se questo luogo in cui la sofferenza cerca riparo finisce col diventare il catalizzatore di opposte frustrazioni. All’attesa logorante delle cure corrisponde la pressione insostenibile cui sono sottoposti gli operatori, presi d’assalto e non sempre per metafora. L’invito di Mena Cirillo, che al Cardarelli fa l’internista, è di quelli che non si possono rifiutare: «Venga il lunedì o il martedì: a inizio settimana: siamo presi d’assedio, la tensione è altissima». Medici e infermieri accusano «Presi d’assedio, colpa dei tagli e l’attesa fa salire la tensione».
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