Ieri (21.10.2014) in consiglio comunale sono intervenuto nel dichiarare la mia posizione politica rispetto ai gravi fatti accaduti nell’amministrazione. Ho sentito il dovere di richiamare la mia estrazione civica scevra da ogni condizionamento partitico ricordando che nel 2011 De Magistris ha vinto le elezioni perché i cittadini hanno, innanzitutto, voluto archiviare una esperienza politica esaurita e della quale erano stanchi. Tutti ricordano l’esperienza del ventennio Bassolino/Iervolino.
Mi sono dichiarato pronto a firmare le mie dimissioni dalla carica di consigliere comunale, purché le forze del centro sinistra indichino una strada da percorrere, dicano chiaramente qual è il progetto politico della città e quali saranno le donne e gli uomini chiamati ad attuarlo non essendo disposto alla “restaurazione”, per fedeltà al mandato politico ricevuto nel 2011.
Dico basta alla politica gridata, fatta solo per attirare l’attenzione mediatica volta solo a creare discredito alla classe politica stessa e degli show man che, poi, non hanno alcuna capacità né amministrativa né politica di fare squadra, col risultato di allontanare le menti migliori dai palazzi delle istituzioni e dai partiti.
L’esperienza De Magistris, infatti, mostra tutti i limiti della società civile nell’amministrazione della città. Se non c’è un progetto comune forte ed una condivisione non si va da nessuna parte e si finisce tutti per essere strumentalizzati.
La dimostrazione, e per questo faccio io stesso autocritica, anche se sono sempre stato in consiglio e mai nell’amministrazione, è che la società civile nella giunta De Magistris, non è riuscita a fare squadra pur avendo un numero sostanzioso di esponenti che forse avrebbero potuto maggiormente condizionare le scelte politiche se solo avessero avuto una maggiore sintonia tra loro e con i consiglieri che avevano – ed hanno – la stessa estrazione civica.
Nella Giunta Comunale di Napoli, infatti, all’inizio dell’esperienza c’erano gli assessori Narducci, Realfonzo, De Falco e Lucarelli, quattro assessori di peso e personalità nonché il vicecapogabinetto Sergio Marotta, tutti provenienti dalla stessa parte della società civile (associazioni ed accademia), eppure non sono stati capaci di fare squadra né tra loro né con i consiglieri, tanto che sono stati espulsi uno alla volta. E’ da qui che occorre partire per capire come la società civile, che tanto va di moda, possa essere al servizio dei cittadini in politica.
Napoli in questo è un vero e proprio laboratorio politico del quale occorre fare tesoro altrimenti finiremmo per commettere sempre gli stessi errori. La società civile presa in ordine sparso ed all’ultimo momento non serve perché prevalgono più i personalismi che il sentimento collettivo e lo spirito di squadra.
Il mio intervento al 03:13:32
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Il senso di amara delusione che l’amico Gennaro prova è lo stesso che tanti di noi avvertono, in modo lacerante, al cospetto dei tanti tradimenti che la politica, nelle sue varie espressioni, ha riservato al nostro Paese, come alla nostra Città.
Ciò che proviamo è una grande solitudine. Solitudine che nasce dalla consapevolezza che la deriva che viviamo, frutto dell’agire distruttivo di chi nella società è dominato dall’avidità e dalla fame di potere, non trova ostacolo nell’opera della politica, anzi questa sovente si mostra collusiva se non causa diretta del degrado.
D’altronde dobbiamo essere consapevoli che la classe politica che abbiamo, non impostasi con la forza di un golpe, è la proiezione della società che l’ha eletta ed è dal grembo di questa società che essa deriva e in essa è cresciuta trovando spazio per affermarsi . Per questo ciò che maggiormente arreca sconforto è lo spettacolo indecente di una ( cosiddetta ) società civile in buona parte adattatasi allo stato delle cose, anche nella sua compagine culturalmente più avanzata, ed incapace di alzare costruttivamente la voce e porsi come elemento di stimolo dialettico all’interno del dialogo politico e delle dinamiche sociali. Il mondo intellettuale, il mondo delle professioni e delle categorie produttive, in parte le stesse forze del lavoro e sindacali, l’ Università, la Scuola non riescono a porsi come zoccolo duro di una protesta civile, ma non per questo meno dura di quella armata. Una protesta capace di mettere alle corde una classe politica inetta ed impreparata al compito riservatole e di proporre non solo un modello di sviluppo economico, ma un progetto di vita alternativo che riconosca negl’ultimi i soggetti da emancipare e da consegnare ad una dignità di vita che la logica imperante della tutela dei privilegi dei primi sta progressivamente mortificando, avvitando tutti in una dimensione di nevrotica alienazione , pagata al prezzo di una infelicità crescente.
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