La lotta alla ludopatia, di cui si discute in questi ultimi giorni sulle cronache cittadine e nazionali, apre un mondo di grande sofferenza. Persone insospettabili che si ritrovano ad essere, in uno stato di mortificazione e solitudine, incastrate in un vortice da cui non riescono più ad uscire. La sequenza è gioco, debiti, usura, e di nuovo gioco, pensando di fare la vincita risolutiva. Famiglie che vivono un disastro prima economico e poi familiare aggravato dalla vergogna di parlare del problema. Sono figli, figlie, sorelle, fratelli, padri e madri che, purtroppo tal volta leggiamo dalle cronache, giungono ad intravedere l’uscita solo con l’atto estremo, come accaduto con il poliziotto di genova che ha ucciso prima la moglie e le due figlie e poi si è suicidato. Se non si parla del fenomeno, se i media sono assenti per non inimicarsi i finanziatori di campagne pubblicitarie e le istituzioni non fanno nulla, che senso ha essere parte di una comunità? Che senso ha chiamarsi cittadini? Il vero tema sociale e politico del momento, non credo sia un si o un no, distante anni luce dai bisogni dei cittadini, ma l’idea di paese e di sviluppo che vogliamo. Campagne elettorali fatte sul nulla che si trasformano in azioni amministrative prive di ogni cultura, unicamente volte all’effimero, tra alberi e luminarie, con l’unica idea di reclutare consenso facendo a gara a chi fa la cosa più strabiliante. Credo, invece, che il Paese abbia tanto bisogno di normalità e solidarietà. Dopo il presidio dell’altro giorno in Piazza Dante e la chiusura della sala SLOT dedichiamo questo piccolo risultato a questa famiglia che non è più tra noi..
Il Gioco che Uccide

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