Degrado sociale, sicurezza e mancato sviluppo: Il Porto delle nebbie di Napoli in alto mare

ScoppioRaffineriaE’ un po’ di tempo che vado dicendo che il degrado sociale al quale assistiamo è strettamente connesso con il mancato sviluppo delle ex aree industriali di Napoli e che la perdita dei finanziamenti UE sono un vero e proprio crimine. Ovviamente questa condizione è maggiormente aggravata dal fatto che la criminalità organizzata nella condizione di sottosviluppo economico è assolutamente concorrenziale e ci sono famiglie intere che si reggono con i proventi dello spaccio di droga e che forse (spero una piccola percentuale) non si sognerebbero proprio di svolgere un lavoro vero.

Oggi le notizie che leggo sul Porto di Napoli e sulla perdita dei finanziamenti sono avvilenti. 154 milioni di euro, che sono solo una fetta di ciò che è rimasto, da spendere entro il 31.12.2015 che ovviamente fanno il paio con gli altri 100 milioni del Grande Progetto Centro Storico UNESCO  (clikka), e siamo a 254 milioni che avrebbero creato, se spesi bene, sviluppo e lavoro!

Come è possibile che nelle istituzioni i politici, sia di maggioranza che di opposizione, non si indignino e facciano il mea culpa? Come è possibile che non ci sia una sollevazione popolare? Come è possibile non mettere in relazione le notizie e capire che tra mancato sviluppo e degrado sociale c’è un nesso immediato e diretto?

Tutto passa in second’ordine poiché la politica è incapace ed i giornali sono distratti preferendo più inserirsi nella polemica politica e nel gossip che affrontare ed inchiodare i politici alle loro responsabilità!

Sul porto delle nebbie di napoli, inoltre, ci sono nodi che riguardano non solo il mancato sviluppo ma anche la sicurezza dei cittadini. La darsena petroli, infatti, nel progetto approvato dovrebbe essere spostata lontana dalle abitazioni su una piattaforma off shore per ragioni di sicurezza ed a carico delle compagnie petrolifere che ovviamente stanno facendo (è il caso di dire) fuoco e fiamme.

Ebbene, il Consiglio Superiore dei Lavori pubblici, dopo uno studio sui rischi commissionato all’Ing. Fiadini (ex comandante dei Vigili del Fuoco), pare abbia chiesto, conto e ragione della sicurezza visto che trattasi di petrolio e, quindi, di attività pericolose. Il risultato è che i VV.FF., smentendo il loro ex comandante, dichiarano che non c’è alcuna autorizzazione, perché l’attività non sarebbe pericolosa. Cosa che mi ha fatto saltare dalla sedia e mi ha spinto a fare una piccola ricerca in virtù della quale sul web ho trovato uno  studio della Kuwait Petroli concessionaria di una raffineria (clikka) che, invece, dice chiaramente che quelle attività sono RIR (Rischio Incidente Rilevante). Difatti, i collegamenti tra la darsena ed i serbatoi avvengono per il tramite di tubi che attraversano aree densamente abitate.

Quelli della mia età, infatti, ricorderanno gli incidenti avvenuti nelle raffinerie nel 1985 e nel 1992 (clikka). Come si possa dire che l’attività non è a rischio non me lo spiego proprio e come sia possibile che la politica si arrovelli sulle nomine anziché sulla soluzione me lo spiego eccome!

progetto UNESCO ed incapacità (clikka)

progetto UNESCO una corsa contro il tempo (clikka)

una città che crolla e la cultura della sicurezza (clikka)

non sia inutile la morte di salvatore (clikka)

napoli est porto fiorito napoli ovest bagnoli mentre l’informazione sta a zero (clikka)

Estratto da il Mattino di Napoli di oggi (25.10.2014)

Operatori spaccati sulla rivoluzione delle boe

Sfida a colpi di ricorsi sulla copertura della darsena petroli: in ballo concessioni e fondi La guerra delle boe. Per comprendere bene cosa realmente c’è alla base di tutto quello che accade in questi giorni nel porto di Napoli occorre fare un passo indietro. A giugno del 2011, per la precisione, quando Caldoro convoca il primo tavolo per il rilancio della logistica e del sistema portuale campano, mettendo insieme le Autorità Portuali, l’Unione Industriali, le Camere di Commercio, i sindacati confederali e le altre istituzioni per avviare un percorso di rilancio complessivo della logistica. Ma per fare questo si rende necessario attivare un processo di riordino e di adeguamento delle infrastrutture portuali, da troppo tempo carente. Una svolta, anche se i tempi per candidare il porto di Napoli ai finanziamenti FESR sono ridottissimi e il deficit pianificatorio enorme. Così il Comitato portuale, compulsato dalle Regione, approva le linee di indirizzo per lo sviluppo del porto di Napoli, un documento posto a sostegno della candidatura per il Grande Progetto. La Commissione UE impiega meno di 60 giorni per accettare la proposta e per dichiarare il finanziamento del porto esigibile da parte della Regione, avviando così una pesante istruttoria tecnica seguita passo passo dagli uffici di Caldoro. Tra le azioni previste vi è anche quella di mettere mano al principale strumento pianificazione del porto: il Piano regolatore portuale. Nel giro di pochi mesi l’Autorità Portuale elabora un Piano regolatore, che a giugno 2012 è approvato dal Comitato, a luglio dalla giunta comunale, ad agosto dal Consiglio comunale, per essere poi, a fine settembre, definitivamente approvato. Il piano prevede di liberare da camion e auto tutta l’area portuale a ridosso di piazza Municipio, delocalizzando a scacchiera il traffico commerciale su ruota nei pressi dello svincolo autostradale del porto (varco Bausan, ove ora sono i contenitori) e conseguentemente il traffico contenitori nell’area orientale del porto. Un disegno strategico che impatta con l’attuale posizionamento della darsena petroli, che, praticamente, spezza in due il porto. La darsena petroli ospita le navi cisterna che scaricano nel porto prodotti petroliferi diretti ai depositi costieri di Napoli Est, attraversando per diversi chilometri, con grandi tubazioni in acciaio, gli abitati dell’area orientale di Napoli. Per porre rimedio a tale incongruenza, l’unica soluzione è quella di prevedere il tombamento della darsena petroli e spostare i punti di ormeggio e di carico di prodotti petroliferi all’esterno della diga foranea, lontano dalle abitazioni, su boe off-shore in grado di trasferire i prodotti petroliferi attraverso condutture sottomarine. Un sistema molto diffuso in Italia e nel mondo. La rivoluzione non è condivisa dai concessionari dei depositi petroliferi e di gas. Cosa accade? Nel settembre 2012 il Piano regolatore viene inviato al Consiglio superiore dei lavori pubblici per acquisire il parere di competenza. Il Consiglio, a seguito dei una relazione dell’ingegner Fiadini (ex comandante del Corpo dei Vigili del fuoco) si sofferma sugli aspetti che riguardano il terminal petroli, rilevando che tali attività sono da ritenere «a rischio di incidente rilevante», trattando prodotti altamente incendiabili, e che il piano non può essere analizzato per mancanza di un rapporto sulla sicurezza (necessario quando un porto ospita attività «Rir», ovvero a rischio di incidente rilevante). Alla richiesta dei tecnici della Regione Campania di voler verificare l’autorizzazione dei Vigili del fuoco sulle attività «Rir» attualmente operate dai petrolieri nel porto di Napoli, a pochi metri dalle abitazioni, la risposta è: non c’è alcuna autorizzazione, in quanto le operazioni sono state considerate non a rischio. A questo punto viene prodotto un parere dei Vigili del fuoco, che, smentendo il Consiglio superiore dei lavori pubblici, afferma che il piano, anche con le boe esterne (ritenute preferibili in quanto allontanano il rischio dalle abitazioni) formano un impianto «non Rir» e quindi il piano può essere esaminato senza le richieste formulate dal Consiglio. I petrolieri presentano una serie di ricorsi al TAR formulati separatamente sul Grande Progetto e sul Piano regolatore dai singoli concessionari, con l’obiettivo di confermare le operazioni di travaso delle petroliere negli attuali terminal a terra. All’Autorita portuale, intanto, le richieste di integrazioni del Consiglio superiore dei lavori pubblici (che tra l’altro esprime un parere non vincolante) non sono state ancora inviate. Infine, il primo mandato di Karrer si conclude con l’annuncio della necessità di «riscrivere» il Piano Regolatore Portuale.

……

Al di là dei nomi quello che preoccupa di più è lo stato dell’arte. I numeri che emergono da uno studio dell’ufficio tecnico dell’Autorità portuale sono impietosi; dei 154 milioni di euro stanziati dall’Europa nell’agenda 2007-2013 nella migliore delle ipotesi se ne riusciranno a spendere una quarantina. E i dragaggi? Altra tegola: le prescrizioni tecniche del ministero dell’Ambiente sono tante e tali che, difficilmente, anche su questo fronte si riuscirà a fare qualcosa di concreto entro il 31 dicembre del 2015. È vero, c’è la nuova agenda, quella2014-20; è anche vero, però, che sulla nuova programmazione erano già state spostate le altre opere, quelle che richiedevano la definitiva approvazione del Piano regolatore portuale, perle quali sono in ballo altri cento milioni di euro. Ma questa era una previsione ottimistica, annunciata quando il Prp non sembrava che dovesse essere riscritto. «Due anni di gestione commissariale avrebbero paralizzato anche il porto di Rotter dam, figurarsi quello di Napoli». Gianni Punzo, l’uomo che guida il Cis-Interporto di Noia parla con la solita franchezza. «La mia è una valutazione da imprenditore e volutamente non entro nel merito della mancanza di scelte politiche che possono determinare lo sviluppo economico, constato però che intanto Napoli è ferma e

c’è da chiedersi: c’è una strategia ben precisa in tal senso? Mentre si litiga per le poltrone, il porto di Napoli affonda. Forse non saremmo arrivati a tanto se negli ultimi due anni l’Autorità Portuale avesse avuto una governance con pieni poteri. Continuiamo a discutere delle nomine lasciando senza testa la principale risorsa economica del nostro territorio».

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