L’occupazione della Città

E’ ormai opinione comune che il centro storico di Napoli sia in una fase spinta di trasformazione urbana, a tal punto che si rischia di pregiudicarne la composizione sociale. Sul tema il dibattito sui giornali cittadini è acceso e da più parti è stato lanciato il grido di allarme contro la città “fast food” interamente “tavolinizzata”, tanto che è ormai chiaro che si debba introdurre una limitazione al rilascio delle licenze come accaduto a Firenze. In più occasioni ho avuto modo di sottolineare come questo fenomeno debba essere responsabilmente guidato affinché non si consumi un vero e proprio “assalto alla diligenza”, indicando quali sono gli organi della Pubblica Amministrazione che, proprio in questo momento, non devono far mancare la loro azione. Come Consigliere Comunale, si può dire che ho una interlocuzione quotidiana con lo sportello attività produttive, lo sportello edilizia privata e la Polizia Municipale, ivi compresi gli assessorati al Commercio ed alla Legalità del Comune di Napoli, segnalando e sollecitando interventi su indicazione dei cittadini che si vedono progressivamente erosi gli spazi pubblici, spesso in violazione di norme statali e locali. In alcuni quartieri l’impatto, non ho timore a dire, è stato un vero e proprio “tsunami commerciale” che ha coinvolto non solo i piani terra dei palazzi storici, quasi tutti trasformati in “baretti, spritzerie, pizzetterie e panzarotterie”, di vario genere e natura, ma anche i piani superiori, con il proliferare di B&B che erodono spazi abitativi ai cittadini ed agli studenti “fuori sede” che sono ormai stati cacciati dal quartiere universitario. Già qualche mese fa, ebbi modo di richiamare l’attenzione sulla competente Unità Operativa di Prevenzione Collettiva dell’ASL la quale, nelle due tre occasioni che è scesa in campo, trovando risalto sulla stampa cittadina, ha confiscato chili e chili di alimenti, non ben tenuti e chiuso alcune attività di somministrazione per la violazione di norme igienico/sanitarie. E’ bene chiarire che le norme ci sono e devono solo essere fatte rispettare a tutti i livelli se si vogliono proteggere i cittadini e si vuole conservare il tessuto storico, architettonico e monumentale napoletano. Il che non significa limitare lo sviluppo economico ma, semmai, indirizzarlo verso una direzione compatibile con i cittadini e l’uso democratico degli spazi pubblici. Ebbene, ciò che balza agli occhi dopo “il caso” di piazzetta Rodinò, nel salotto buono di Napoli, con la quasi completa occupazione di suolo pubblico, con i cd. dehors, sono da un lato la valutazione positiva espressa dalla competente Soprintendenza, dall’altro la completa assenza di qualsivoglia valutazione edilizia. Ebbene, non sfuggirà ad un attento osservatore della città che, se da un lato, una verandina su un balcone, giustamente, viene perseguita penalmente con sequestri giudiziari ed anni di causa, con tanto di ordine di abbattimento, dall’altro assistiamo alla realizzazione di vere e proprie “stanze” su suolo pubblico che, invece, non destano, da questo punto di vista, in città, alcun allarme o considerazione da parte delle competenti istituzioni amministrative e giudiziarie. Eppure, il Consiglio di Stato, con una nota recente sentenza del 13.02.2023, n. 1489, estensore Manzione, Presidente Forlenza, in linea con un ormai consolidato orientamento, fa il punto della situazione proprio sui cd. Dehors precisando, in modo cristallino, che quando il manufatto è permanente esso è da considerare un vero e proprio aumento di volumetria che richiede il permesso di costruire. Ebbene, nei casi che possiamo, ad ogni piè sospinto osservare a Napoli, senza timori di essere smentiti, si notano moltissimi manufatti realizzati con basamenti in ferro ancorati al suolo e con pilastri che si ergono, in genere di alluminio o altro materiale, che poi reggono una copertura e le pareti che per le loro fattezza è impossibile considerare precari e temporanei, sicché sorge spontanea la domanda come sia possibile che una verandina in abitazione privata, provochi un “cataclisima giuzidiario”, mentre intere stanze realizzate su suolo pubblico, sono tollerate senza alcuna considerazione dell’impatto urbano che con il loro proliferare oggi mostrano. Volendo fare tesoro delle esperienze altrui è il caso di osservare che il Comune di Milano, nel 2021 ha redatto le linee guida di progettazione dello spazio urbano, un lavoro interdisciplinare, che vede al centro il cittadino. Certo si potrà anche dire che tra teoria e pratica poi ci scorre il mare ma è sicuro che senza la teoria, una buona teoria, non ci può essere sicuramente una buona pratica.

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