Una Cappella abusiva nel rione Traiano per Davide

cappelladavideLa vicenda del povero Davide ha delle caratteristiche che andrebbero studiate poiché rappresenta un forma mentis assolutamente radicata e diffusa sul territorio cittadino in alcune strade o quartieri.

Ci sono, infatti, gruppi di cittadini che si isolano dallo Stato inteso come collettività, manifestando chiaramente di non accettare né sopportare alcuna regola che non sia quella che, nel ristretto cerchio, gli stessi componenti del “clan” si sono dati. Regole non scritte che nascono dalla pervicace volontà di non riconoscere alcuna autorità e di sopportare quella diciamo costituita di mal grado. Una affermazione di forza che si manifesta in ogni momento, dalle bancarelle abusive di ogni cosa che nascono in occasioni di eventi, alla stabile occupazione di pezzi del territorio. Tanto che non molto tempo fa mi chiedevo quale fosse il rapporto tra i napoletani e l’ordine costituito (clikka).

Oggi leggo della realizzazione della cappella abusiva in favore del povero Davide in corso di realizzazione, ma a buon punto (come si vede dalla foto) ed oggi stesso, leggo anche la notizia dell’avvenuto sequestro del manufatto che, molto probabilmente sarà stato eseguito anche con denuncia contro ignoti.

Bene si potrebbe dire lo Stato c’è! Ma a riflettere, io sarei pronto a giocarmi tutto, che tutti i cittadini del quartiere sanno benissimo chi la stava realizzando, ma nessuno si è indignato né ha protestato né ha chiesto lumi ritenendo assolutamente normale il modo di agire. Probabilmente fra  qualche giorno sarà eliminato anche il nastro bianco e rosso, la scritta del sequestro e molto probabilmente anche la municipalità provvederà a dare il suo benestare perché sarà assediata da una massa di cittadini (minoritaria ma agguerrita) che pretendono di avere la cappella! Attenzione la mia non è una critica ma una constatazione che nei territori lo Stato non può intervenire solo con azioni repressive ma deve essere presente con programmi di sviluppo di solidarietà e sopratutto con la buona politica volta unicamente a far intendere ai cittadini con fatti concreti che se lo Stato esiste è meglio per tutti.

i cittadini del rione traiano abbandonati dalle istituzioni (clikka)

Davide una morte di Stato o della Politica (clikka)

Mario Messi (che non conosco) mi ha linkato questo suo video che mi ha fatto riflettere e che ringrazio:

Si nun tien sem nun può fa radici:

Da Repubblca Napoli di oggi 17.09.2014

Un Casotto di cemento tirato su in ventiquattr’ore “Ma il questore e il prefetto cosa dicono?”

ROBERTO FUCCILLO

«MA QUALCUNO l’ha autorizzata?». Domanda oziosa forse, ma è quella che si è posto ieri un sacerdote come don Aniello Manganiello, parroco a Scampia, di fronte alle immagini della minicappella che sta sorgendo al rione Traiano sul luogo dove è stato ucciso Davide Bifolco. Un casotto di cemento, eretto nei giardinetti lungo il viale, in quattro e quattr’otto come una qualsiasi palazzina abusiva. Non a caso Manganiello si chiede se l’opera «è stata autorizzata oppure ci troviamo dinanzi a un abuso». Di fatto i lavori sono iniziati l’altro ieri, con la gittata di un’ampia base di cemento armato, e sono proseguiti ieri con la elevazione di un muro, tre pareti a nicchia, destinato a far da ossatura alla “cappella” su cui campeggia per ora il megastriscione intitolato a Davide. La pietà per il ragazzo ucciso è fuori discussione. L’interrogativo è sul come possa essere tirato su un immobile di questo tipo, dichiaratamente destinato a non dimenticare la sorte la Davide, senza che nessuna autorità ne sappia nulla.

«QUEL tipo di cappelle ovviamente non dipendono dalla parrocchia — dice seccamente don Lorenzo Manca, il parroco del Rione che celebrò i funerali di Davide — se il Comune l’ha autorizzata, va bene». Il Comune però ne è all’oscuro. A Palazzo San Giacomo non risulta nulla, e gli uffici notano che la tipologia di intervento sarebbe di competenza della Municipalità.

«Non mi risulta sia pervenuta nessuna domanda — rimpalla il presidente di Municipalità Maurizio Lezzi — peraltro non ho mai saputo che sia compito della Municipalità rilasciare concessioni edilizie». D’altro canto Lezzi non esita a concludere che «se qualcuno ha fatto una simile costruzione, è chiauffici. ro che con tutta probabilità è abusiva. A me però non risulta nulla. Neanche i vigili mi hanno riferito nulla di rilevante, se non una parete, una specie di “murales” con una foto del ragazzo, nessuna cappella».

Risultato: l’autorità è ormai definitivamente espulsa da Rione Traiano. Costretta a chinare il cappello, poi a rinunciare alla divisa, infine a constatare che il governo del territorio da quelle parti risiede in altri «Se nessuno ha autorizzato quest’opera — nota Manganiello — e chi di dovere decide di non intervenire, allora davvero dobbiamo constatare con dolore che a Rione Traiano lo Stato e anche il minimo rispetto di qualsiasi forma di legalità sono definitivamente scomparsi. Oppure il questore e il prefetto per questa vicenda hanno deciso di dare un lasciapassare straordinario per cui tutto è consentito?». Polemica avvelenata. Alla quale si aggiunge la notazione del dirigente Verde Francesco Borrelli: «Gran parte di quelle lapidi contengono ritratti di morti ammazzati, di vittime di raid e di conflitti a fuoco compiuti durante le varie guerre di camorra a Napoli. Sono in prevalenza gestite e realizzate dalla camorra per presidiare e circoscrivere il territorio. Sono costruite abusivamente, ma nessuno ha il coraggio di abbatterle. Anche in questo modo la criminalità mostra la sua forza e il controllo di pezzi importanti della città».

Un modo insomma per impossessarsi della vecchia tradizione delle edicole votive dedicate a santi o immagini sacre, oggi spesso sostituite dagli “eroi” delle guerra di malavita. O, come nel caso di Davide, dal ragazzo di un quartiere che non riconosce più lo Stato.

Una risposta a "Una Cappella abusiva nel rione Traiano per Davide"

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  1. I tragici avvenimenti accaduti a Napoli in questi giorni, nella loro complessità, sollevano numerose questioni e riflessioni su cui una comunità dovrebbe interrogarsi.
    La morte del giovane Davide evoca un sentimento di “ pietas “ poiché va oltre il semplice fatto di cronaca e ci ricorda il dramma più ampio di tutti coloro che hanno visto espropriata la propria vita prima di essere vissuta. Se la morte è stata data da un colpo di pistola, a quel tragico appuntamento Davide è stato accompagnato dall’irresponsabilità di altri. Vittima e “ carnefice “ hanno recitato l’atto di una tragedia che non hanno scritto con le proprie mani , ma che hanno solo maledettamente subito : secondo modalità diverse, la vita è stata loro rubata.
    Ma altre considerazioni dovrebbero sollecitarci
    La prima è quella che investe il concetto di responsabilità.
    Da più parti, con motivata ragione, l’insufficienza e la latitanza dello Stato, e delle Istituzioni più in generale, sono stati gli elementi ritenuti maggiormente responsabili di un degrado ambientale e culturale dall’esito scontato. E’ un discorso, questo, incontestabile e che, ormai storicamente, inchioda una intera classe politica ed imprenditoriale ad una serie di responsabilità con cui deve fare i conti.
    Tuttavia il discorso, se si fermasse qui, sarebbe riduttivo poiché quell’immonda classe dirigente, responsabile di tante sciagure abbattutesi sulla nostra città, è pur sempre proiezione della società civile che l’ha eletta. Negarlo non ci aiuterebbe a comprendere quell’ intreccio di fattori che hanno concorso, concorrono e concorreranno a far sì che tragedie come quella di Davide possano avvenire.
    La storia e gli eventi sono fatti da uomini, ognuno dei quali ha una propria personalità che è frutto del tipo di relazioni interpersonali avute nel corso dell’esistenza. Fra queste relazioni, la più importante è senza dubbio quella con le figure parentali. La famiglia, volano di trasmissione di una morale collettiva, è il primo contesto sociale in cui si sperimentano valori, sensibilità, si maturano desideri, si trasmettono modalità di relazioni . E’ in questo contesto che si formano, inconsapevolmente, precoci acquisizioni interne , canoni comportamentali e dimensioni culturali che entrano a far parte di una mentalità. Il lessico familiare sarà il lessico con cui ci si esprimerà.
    In opposizione a questo assunto, un pericoloso gioco di deresponsabilizzazione sta scaricando su altre figure istituzionali , vedi ad es. la scuola, tutto il peso di un percorso educativo che, per la sua complessità, non può che essere collaborativo e, come tale, attuato secondo una ridistribuzione di responsabilità differenziate, fra loro in dialettico confronto. Da questo percorso non ci si può chiamare fuori, lavarsene le mani, e comodamente aspettare passivamente che altri facciano ciò che come adulti e genitori siamo chiamati a fare in prima persona. Questo perverso meccanismo di delega ed attesa passiva, nel suo perpetrarsi, rischia di concorrere, peraltro, a minare uno dei fondamenti del vivere democratico, minando quel diritto \ dovere alla partecipazione che è alla base di una cittadinanza attiva.
    L’individualizzazione del concetto di dovere, aspetto speculare della rivendicazione dei propri diritti, inevitabilmente passa attraverso un rafforzamento del senso personale di responsabilità, intesa non solo come capacità previsionale circa l’esito delle proprie azioni, ma anche come capacità di risposta alle istanze che la società e l’altro ci propongono.
    Il progressivo decadimento del senso di responsabilità personale, espressione fenomenica di una società narcisista, tante volte alimentato dalla convinzione che la <> e che comunque <> , è alla base di quella deriva verso la corruzione politica, l’indifferenza, l’esasperato interesse personale che tanto affliggono la nostra Società, ormai in progressiva trasformazione in una cleptocrazia.
    L’altro aspetto della vicenda, che giustamente Gennaro Esposito ha posto all’attenzione, è quello del rapporto fra i napoletani, una certa parte di essi, e le istituzioni.
    Non può essere sfuggito che della tragica fine della vita di Davide ci si è impossessati per spettacolarizzare un rapporto di forze che vige in città.
    In un momento di ridefinizione della leadership criminale nel territorio metropolitano, scandita a colpi di kalashnikov , la camorra in questi giorni ha mostrato alle Istituzioni tutta quanta la sua potenza, che non è solo militare, ma si avvale di un’arma potentissima : il consenso sociale.
    Il basso profilo, le cautele, le manifestazioni di solidarietà ( del tutto assenti quando le vittime dello Stato – quelle sì – erano inoffensive ) che le Istituzioni, talora anche in modo un po’ ridicolo, hanno mostrato in questi giorni, risponde a questa presa d’atto di debolezza e fragilità : la criminalità organizzata, nei nostri territori, accresce e consolida la propria forza in virtù di una dimensione corale. La capacità di scontro è aumentata. Di questo le Istituzioni hanno paura.
    Secoli di amministrazione rapace e di gestione del potere per il potere, hanno concorso alla nascita di fasce di popolazione del tutto estranee ai valori di una moderna democrazia , rinchiuse negli arcaici limiti di una cultura ove la dimensione del clan costituisce il nucleo ove si organizza l’esistenza , rendendo tutto ciò che è fuori estraneo. Lo Stato e le sue Istituzioni non gli appartengono. In questa dimensione, legale ed illegale non possono far riferimento ad alcuna categoria di etica civile, sono termini che perdono di significato, assumendo rilievo solo rispetto a ciò che è utile o meno ai propri interessi. La camorra ha fatto propria questa dimensione, essendone in parte figlia, divenendo, nel tempo, punto organizzato di naturale riferimento di vasta parte della popolazione ed occupando tutti quegli spazi che l’assenza di uno Stato illuminato ha lasciato disponibili. Si è venuta così formando progressivamente una frattura all’interno della comunità in cui una parte della cittadinanza convive con l’altra in una dimensione di reciproca emarginazione ed in cui un clima di ricatto paralizza il progresso civile e la fruibilità di un sano diritto di cittadinanza.
    Il Sud vive un dramma che non fa parte di alcuna agenda politica. L’estendersi tentacolare del potere criminale ed il coinvolgimento di una compagine significativa della popolazione in pratiche di diffusa illegalità non fa parte di alcuna emergenza nazionale. Fin quando l’acquisto di un bombardiere o la presenza militare del nostro Paese in territori di guerra per presunte missioni di Pace, saranno obiettivi strategici rispetto alla costruzione di una scuola, il risanamento ambientale di un quartiere, la promozione sociale delle nostre desolate periferie, nessuna speranza abbiamo di poter fronteggiare un nemico che si sta impossessando, lentamente ma inesorabilmente, di territorio, economia reale, ipotesi di sviluppo. Offrendoci in cambio un’ unica certezza : quella che torneremo a piangere altre vite.

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