Non abbiamo ancora finito di alzare il lenzuolo dall’EXPO di Milano che il caso MOSE in Veneto mostra uno spaccato per alcuni versi più preoccupante. Lì, infatti, il “sistema” pare consentisse anche l’acquisto delle sentenze del TAR e del Consiglio di Stato. A trattare era Corrado Crialese ex presidente di Fintecna con tanto di tariffario che andava dagli 80 mila ai 120 mila euro.
Oggi a guidare la FINTECNA, società di Stato, che ha fatto fallire Bagnoli Futura, ed alla quale, molto probabilmente, sarà affidato il compito di portare avanti la bonifica di Bagnoli e la realizzazione del progetto di vendita dei suoli c’è Maurizio Prato per il quale per ragioni di trasparenza occorrerebbe sapere in virtù di quali logiche è stato nominato …. non resta che affidarci al “FUORI I LADRI DAI PARTITI” pronunciato da Renzi a Napoli . Spero che inizi presto e le prossime elezioni regionali saranno il banco di prova atteso che la pressoché totalità dei consiglieri regionali uscenti sono sottoposti ad indagine per aver distratto i fondi economali per centinaia di migliaia di euro… Aspettiamoci una bella pulizia …. altrimenti prevarranno le solite logiche spartitorie al ribasso dei capibastone buoni a far vincere le primarie ma non determinanti alle elezioni … così da passare dalla Repubblica delle Idee alla repubblica delle banane di berlusconiana memoria
Da Repubblica di oggi (08.06.2014)
Giudici comprati al Consiglio di Stato
Gli imprenditori del Mose compravano le sentenze. E per farlo si affidavano ad un avvocato cassazionista, Corrado Crialese, ex presidente di Fintecna (la finanziaria pubblica per il settore industriale). Si occupava solo di questo Crialese, pagare i giudici. Sia quelli del Tribunale amministrativo regionale, sia quelli del Consiglio di Stato. Agiva per conto delle ditte del Consorzio Venezia Nuova.
È QUANTO mettono a verbale Claudia Minutillo, ex segretaria di Giancarlo Galan (onorevole di Forza Italia ed ex governatore del Veneto) e Piergiorgio Baita, ex presidente della Mantovani, primo socio del Consorzio Venezia Nuova. Una sentenza costava tra gli 80 e 120mila euro. Ma non è tutto. Durante due interrogatori- confessione spunta anche un nome: quello del presidente del Tribunale amministrativo del Veneto Bruno Amoroso. È la Minutillo la prima a parlarne, quando i tre magistrati Paola Tonini, Stefano Ancilotto e Stefano Buccini il 19 marzo 2013 le chiedono conto di una mazzetta di 20mila euro.
IL TARIFFARIO
“Poi, signora, a un certo punto registriamo all’interno del suo ufficio la consegna di una somma di denaro che lei dà a un suo dipendente, da portare a Roma. Siamo nel febbraio del 2013… Insomma, qualche settimana fa, poco prima del suo arresto” dice il pm Buccini. “Sì lo ricordo – risponde la Minutillo – quel giorno, venne in ufficio da noi Corrado Crialese che ha una serie di rapporti importanti, tant’è che lui proprio lui una volta mi disse: sai, forse adesso viene il mio amico Amato, forse lo fanno Presidente della Repubblica. Fu il giorno della grandissima nevicata. E io dissi a Piergiorgio Baita: guarda che forse questo qua viene perché vuole qualcosa. E infatti era così. Bisognava corrispondergli 20mila euro che lui avrebbe fatto avere, diceva, al suo amico presidente del Tar del Veneto, Amoroso”.
“CONDIZIONARE I RICORSI”
Chiede il pm Tonini: “Perché essere consegnata questa somma?”. “Così si poteva influire sui ricorsi – risponde la Minutillo – su alcuni che erano in atto, in particolare quelli sull’Autostrada del Mare. E vincemmo noi. Ma ce n’erano stati anche altri. Maltauro aveva fatto ricorso contro di noi sulla Valsugana, e so che era anche in crisi per questo. Perché (il giudice, ndr) era amico sia di Mantovani (attraverso Crialese) che di Maltauro. Alla fine Maltauro ritirò il ricorso e si misero d’accordo Mantovani e Maltauro. In realtà i ricorsi servivano proprio a questo: un concorrente li fa per costringerti poi a tirarlo dentro. Funziona quasi sempre”. La interrompe il pm Ancilotto: “Ecco, ma allora perché pagare?”. “Perché questo è un sistema consolidato, nel senso che avviene anche ai più alti livelli oltre che al Tar…” risponde l’ex segretaria di Galan. “Senta, è l’unico pagamento fatto ad Amoroso o in passato ne vennero fatti altri dal Baita?” chiede ancora uno dei tre inquirenti. “Ce ne furono altri, come questo cui ho appena accennato: il ricorso della Valsugana, che infatti vincemmo”. Anche Baita, nell’interrogatorio del 28 maggio 2013 conferma tutto. E va oltre. “Conosco Crialese quando come vicepresidente di Fintecna si offre di fare il mediatore nell’acquisto dell’area ex Alumix, dove avevamo un progetto di piattaforma logistica presso il Porto di Venezia. Per favorire la vendita lui chiede una parte in nero, credo 160mila euro. Gli affidiamo poi degli incarichi anche come avvocato per le cause amministrative e oltre al pagamento della parcella ci chiede sempre una parte in nero”. “E come la giustifica questa parte in nero?” chie- dono i magistrati. “Che lui ha i suoi rapporti da…pagare ”.
LA LISTA
E poi fa la lista delle mazzette per i giudici: “Abbiamo pagato sia per alcune sentenze del Consiglio di Stato che del Tar del Veneto. Per la sentenza sulla Pedemontana Veneta 120 mila euro. Per vincere il ricorso contro Sacyr che poi, però, abbiamo perso, 100mila euro… In quel caso qualcun altro deve dato di più. Poi anche per un ricorso contro Maltauro sulla Valsugana. E contro Net Engineering credo altri 80 o 100mila euro. E ancora per la vicenda Jesolo Mare al Consiglio di Stato. Pagavamo sempre, perché Crialese diceva che se non glieli davamo avremmo perso…”. Crialese ora per lo scandalo del Mose è agli arresti domiciliari con la sola accusa di millantato credito.
La super mazzetta per Tremonti
COSA sapeva l’ex ministro Giulio Tremonti delle manovre del suo braccio destro Marco Milanese, affaccendato — scoprono i pm veneziani — per far arrivare 400 milioni di euro al Mose? Come faceva Milanese a garantire al presidente del Consorzio Venezia Nuova, «in cambio di 500mila euro», che il parere positivo del dicastero dell’Economia, necessario per sbloccare i fondi del Cipe, sarebbe arrivato?
VENEZIA
SONO domande a cui manca ancora una risposta, e i pm veneti stanno pensando di ascoltare Tremonti come persona informata dei fatti. Potrebbe essere chiamato già nelle prossime settimane. Lui, e solo lui, può spiegare.
LA VERITÀ DELLA DOGESSA
C’è in particolare una dichiarazione, messa a verbale nell’interrogatorio del 14 luglio 2013 da Claudia Minutillo, la “Dogessa”, l’ex segretaria di Giancarlo Galan, che ha bisogno di un qualche approfondimento. «Tra i destinatari delle somme raccolte da Mazzacurati (Giovanni, il presidente del Consorzio Venezia Nuova che costruisce il Mose, ndr) vi erano… omissis… e Marco Milanese, uomo di fiducia di Tremonti. A quest’ultimo era destinata la somma di 500mila euro che l’ingegner Neri (stretto collaboratore di Mazzacurati, ndr) conservava nel suo ufficio al momento dell’ispezione della Guardia di Finanza».
La Minutillo, dunque, il testimone chiave dell’inchiesta ritenuta attendibile dai pm, è sicura. Quei bigliettoni, dice, erano per Tremonti. A scanso di equivoci lo ripete anche in un altro passaggio: «Neri li aveva nel cassetto, da consegnare a Marco Milanese per Tremonti, e li buttò dietro l’armadio. La Finanza sigillò l’armadio ma la sera andarono a recuperarli e furono poi consegnati a Milanese il 7 giugno del 2010». Non c’è traccia né prova, nelle 700 pagine dell’ordinanza di custodia cautelare, di un successivo approdo della somma nelle mani dell’ex ministro, che non è indagato.
Milanese, «il nostro amico», come lo definiscono gli uomini della cupola del Mose, «l’uomo con le mani in pasta in questa storia», come lo presenta Mazzacurati ai magistrati, ha la bocca chiusa, non parla. Il suo nome è nell’elenco dei cento indagati dell’inchiesta sulle tangenti veneziane ma una ventina di giorni fa, pochi giorni prima che scattassero gli arresti, la procura ne ha revocato la richiesta di custodia cautelare, non si sa se in carcere o ai domiciliari.
L’INCONTRO DELLA SVOLTA
Tremonti viene tirato in ballo anche da Piergiorgio Baita, l’ex presidente della Mantovani, quando gli viene chiesto di raccontare come avessero fatto a ottenere lo sblocco nel 2010 dei soldi del Comitato interministeriale per la programmazione economica. Gianni Letta aveva consigliato a Mazzacurati di «trovare una strada» per rivolgersi a Tremonti. Quella strada si chiama Roberto Meneguzzo, è il direttore dell’azienda vicentina Palladio. Costui fissa a Milano un appuntamento tra Tremonti e il presidente del Consorzio. «Quando ritorna a Venezia — spiega Baita in un verbale — Mazzacurati fa una convocazione d’emergenza dei soci e dice: “Se volete sbloccare il Cipe ci sono 500 mila euro da consegnare all’onorevole Milanese, almeno una settimana prima della delibera”».
La “pratica Milanese”, quindi, pare avviarsi subito dopo l’incontro faccia a faccia con Tremonti. Cosa si sono detti in quell’appuntamento? Perché tanta fretta, da parte di Mazzacurati, nel convocare i sodali che siedono nel Consorzio? Sarà poi Mazzacurati stesso ad ammettere di avere consegnato «in una scatola» il denaro al consigliere politico di Tremonti nella sede della Palladio Finanziaria, a Milano. Quell’incontro, di pochi minuti, lo lascia perplesso. «Mi dice che si adopererà e che pensa di riuscire… poi mi ha detto solo grazie, mi ha sorpreso questa cosa, perché è un po’ imbarazzante anche, ma insomma, non importa… lui mi ha detto grazie».
IL VIA LIBERA DA ROMA
L’impegno porta i frutti sperati. Il 13 maggio 2010 il Cipe approva la delibera n. 31 per la «continuità funzionale di opere di difesa idraulica». Tradotto, significa che dopo molti mesi di stallo per le ditte del Mose stanno arrivando 400 milioni di euro dal governo Berlusconi. Scrive il gip veneziano nell’ordinanza di custodia cautelare: «L’intervento di Milanese è stato determinante per l’introduzione di una norma ad hoc», l’ex finanziere è riuscito a contattare e a parlare «con Ercole Incalza e con Claudio Iafolla». Sono persone che contano, sono il capo della struttura tecnica e il capo di gabinetto del ministero delle Infrastrutture. E però — annota il gip — Milanese è stato «efficace» anche sul “fronte interno”, su chi cioè reggeva in quel momento il dicastero dell’Economia, Giulio Tremonti, il quale — secondo gli imprenditori veneziani arrestati — non era mai stato troppo favorevole allo sblocco.
Quello stesso 13 maggio, alle 16.15, Paolo Emilio Signorini, il capo dipartimento delle Politiche Economiche della presidenza del Consiglio, chiama Mazzacurati al telefono: «Non abbiamo potuto già oggi dare la destinazione di 400 miloni al Mose, ma il ministero dell’Economia sta predisponendo una norma che dà direttamente l’assegnazione…». E poi, rassicura il presidente del Consorzio: «Mi sentirei abbastanza tranquillo perché l’Economia mi è sembrata decisissima su questo, ora fanno la norma… sarà molto rapido, li ho visti veramente molto molto decisi».
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