Il Governo salva Napoli dal pericolo del dissesto

comuneConsiglio dei Ministri del 28 febbraio 2014 “Ecco il salvi tutti”.

ENTI LOCALI

“Per gli enti locali in difficoltà finanziaria vengono adottati alcuni provvedimenti per sanare le situazioni più gravi, dando indicazione di criteri stringenti per l’obbligo di risanamento. Vengono sospese le procedure esecutive nei confronti dei Comuni in predissesto.

Inoltre, per l’esercizio 2014 gli enti locali che abbiano presentato, nel 2013, piani di riequilibrio finanziario che non sono poi stati approvati dalla Corte dei Conti, hanno la facoltà di presentare un nuovo piano entro 90 giorni dal diniego della Corte dei Conti a condizione che sia avvenuto un miglioramento nel risultato di amministrazione registrato nell’ultimo rendiconto approvato.

Per il Comune di Napoli vengono inoltre sospese temporaneamente le procedure esecutive a carico. Per quanto riguarda il trasporto pubblico campano vengono vietate azioni esecutive verso società che gestiscono il tpl regionale fino al 30 giugno 2014“.

Poche righe per salvare i cittadini Napoletani dal Dissesto finanziario del Comune. Ora però occorrerebbe una sana politica che sia in grado di razionalizzare le spese che, per me non significa tagliare, ma fare in modo che ogni ora di lavoro dei dipendenti comunali e delle partecipate restituisca ai cittadini qualità della vita e servizi pubblici essenziali. Non possiamo pretendere di andare a Roma con il cappello in mano e poi ritrovarci sempre con le tasche bucate. In questa storia credo che i giornali dovrebbero fare in modo di far comprendere ai cittadini napoletani, con una informazione martellante a tutti i livelli, che per risanare l’amministrazione occorre che ci sia una collaborazione ed un senso civico maggiore. Vorrei vedere cittadini napoletani indignarsi nel vedere in metro uno che non ha pagato il biglietto oppure un loro giovane concittadino danneggiare monumenti, opere pubbliche ed arredo urbano. Occorre che i cittadini napoletani diano prova di saper curare il bene e l’interesse pubblico apprezzando chi rispetta le regole e non chi le viola credendosi più furbo degli altri. Spero che il Sindaco dica queste cose e non solo che è stato bravo a fare approvare un decreto che salva Napoli. Spero che il Sindaco manifesti soddisfazione ma che pretenda da tutti coloro che svolgono un ruolo nell’Amministrazione e nelle società partecipate, collaborazione e rispetto  per l’interesse pubblico. Forse spero troppe cose … e tutte insieme …

Stadio San Paolo, Calcio Napoli e Sport

sanpaolofollaEcco l’intervista che ho rilasciato qualche giorno fa per fare chiarezza su alcuni aspetti dello stadio San Paolo e del Calcio Napoli. De Laurentis tarda a fare una proposta, mi chiedo se per caso non si potrebbe fare come per il Santiago Bernabeu per il quale la Microsoft ha offerto 50 milioni di euro e la COCACOLA ne ha offerto 80 di milioni di euro. Due colossi in competizione per dare il nome all’impianto (Real Madrid e le offerte per lo stadio (clikka).

Ecco la video intervista su espresso on line (clikka)

Lo scandalo della metropolitana di Kapoor ed i giornali

kapoorOggi (26.02.2014) sui giornali ritorna la vicenda dell’opera di Kapoor prevista, pagata e non installata per la realizzazione delle stazioni della metropolitana di monte santangelo. Di questa cosa ne parlavo ad agosto 2012 (gli sprechi della metropolitana clikka) avendone anche discusso con dei tecnici del comune, i quali, mi dissero che non installare l’opera sarebbe costato più di installarla, poiché si sarebbe dovuto mettere mano alla riprogettazione delle due stazioni. La passata amministrazione non se n’è mai occupata la regione, non pervenuta, vorrei tanto chiedere se qualche consigliere regionale o comunale ha mai avuto la curiosità di interessarsi della vicenda. Evidentemente no troppo impegnati a nascondere gli sprechi della metropolitana, centinaia di milioni in alcuni casi buttati per pure manie di grandezza della vecchia classe dirigente che, in alcuni momenti, ha anche il coraggio di riproporsi. Repubblica Napoli di oggi offre ai lettori ben due articoli senza mai citare (evidentemente non avranno studiato) che noi ce ne eravamo occupati, oltre un anno fa, seppure, come al solito, inascoltati di modo da dare qualche speranza ai napoletani e non lasciare intendere che la calasse politica è tutta della stessa pasta sprecona, arruffona e clientelare. Ma si sa il lavoro viene bene solo se si distrugge la fiducia nella politica, non se si vuole dare atto che c’è qualcuno che vuole ricostruire! E’ da qualche tempo che credo sia venuto il momento di reclamare il nostro spazio affinché si crei una speranza nei cittadini napoletani. I giornali credo, per fare bene il loro lavoro, dovrebbero imparare anche a studiare per verificare semmai se qualcuno, su una questione si è pronunciato. Allo stesso modo della classe politica si potrebbe dire della classe dei giornalisti, ma noi riteniamo che ci sono giornalisti che fanno bene il loro mestiere di sentinelle della democrazia.

Da Repubblica Napoli di oggi 26.02.2014:

 Scandalo Monte Sant’Angelo e Kapoor  rivuole la sua opera

UNDICI anni per realizzare due chilometri di galleria. I cantieri sono chiusi da due anni e mezzo e, nel frattempo, si è aperto un enorme contenzioso tra l’Eav, la holding dei trasporti della Regione, e le imprese di costruzione. Questo rimane del sogno di collegare con una bretella ferroviaria il polo universitario di Monte Sant’Angelo e il rione San Paolo alle ferrovie Cumana e Circumflegrea. Lo scultore Anish Kapoor, che dieci anni fa ha disegnato la stazione universitaria, ora vuole ricomprare la sua opera sequestrata in un deposito in Olanda.

Monte Sant’Angelo, scandalo ferrovia

Cantieri chiusi, opere incomplete, scompare la stazione di Kapoor

OTTAVIO LUCARELLI

FURONO sufficienti sei anni, dal 1883 al 1889, per costruire la ferrovia Cumana da Montesanto a Torregaveta seguendo per venti chilometri la linea di costa attraverso Pozzuoli. Mezzo secolo fa ne servirono quindici per realizzare i ventisette chilometri della Circumflegrea con gli stessi siti di partenza e arrivo ma con un tracciato interno. Due gioielli dell’ingegneria dei collegamenti su ferro. Due esempi oggi però difficili da imitare. Basta vederecosa sta accadendo tra viale Kennedy e Soccavo dove l’idea di collegare le due stesse ferrovie con una semplice bretella mediana attraversando via Terracina, parco San Paolo e il polo universitario di Monte Sant’Angelo si è trasformata in un’impresa titanica che ha prodotto finora solo una montagna di contenziosi.

Il tracciato disegna sulle mappe un’intelligente e utile bretella di cinque chilometri e mezzo con un costo stimato in 350 milioni di euro attingendo inizialmente i fondi dalla legge 887 del 1984 per le aree colpite dal bradisismo. Ebbene, in undici anni sono stati realizzati due chilometri di galleria tra Soccavo e Monte Sant’Angelo e oggi il sogno di portare i binari nel polo universitario e nel popoloso rione San Paolo resta tale. Tutto fermo, nonostante il 31 luglio del 2009 il Cipe abbia stanziato 121,2 milioni di euro per la realizzazione della tratta parco San Paolo-via Terracina.

Una telenovela partita male e proseguita a “strappi”. L’idea di creare un piccolo anello tra Cumana e Circumflegrea nasce nel 1997 nel pano comunale dei trasporti, parte concretamente negli anni 2002-2003 con una gara pubblica della società Sepsa e il primo cantiere, appunto, è quello della galleria tra Soccavo e Monte Sant’Angelo. Tutto facile? Per niente. Nel 2003 la Sepsa affida ad Anish Kapoor, scultore britannico di sangue indiano e iracheno, il disegno della stazione del polo universitario ma nel 2005-2006 si sospendono i lavori. Nel 2007 si riaprono i cantieri della galleria ma l’opera va a rilento e tutto si ferma definitivamente tra l’agosto del 2010 e il dicembre2011 nonostante il sostanzioso finanziamento del Cipe.

«Tutto in realtà si è fermato — accusa il professore Ennio Cascetta, assessore regionale ai Trasporti nelle giunte targate Bassolino — quando nel 2010 la nuova amministrazione a guida Caldoro decide di sospendere i lavori su tutte le ferrovie regionali. Nella delibera si spiega che bisogna individuare le opere realmente utili e le altre da fermare, ma sono trascorsi quasi quattro anni e questo sblocconon c’è. I cantieri sono chiusi e quella scelta ha prodotto solo contenziosi per centinaia di milioni di euro tra l’Eav, la holding dei trasporti della Regione, e le imprese di costruzioni, alcune delle quali nel frattempo sono fallite».

«Tanto è vero — incalza Cascetta — che il commissario ad acta dell’Eav, Pietro Voci, inviato dal governo con il mandato specifico di evitare il fallimento, ha scritto una relazione in cui si invita la Regione a riaprire i cantieri sospesi che stanno generando spese alle casse pubbliche. E non parla solo della stazione di Monte Sant’Angelo maanche di altri interventi».

Totalmente opposta è la versione dell’attuale assessore regionale ai trasporti, Sergio Vetrella: «Il nostro obiettivo è andare avanti e stiamo operando per ripartire al più presto. Il problema l’hanno generato le giunte Bassolino che ci hanno regalato una marea di contenziosi e opere senza la necessaria copertura per poter essere completate».

L’opera dell’artista indiano è sotto sequestro in Olanda

RENATA CARAGLIANO

NUOVO colpo di scena nella storia infinita del cantiere della stazione della metropolitana di Monte Sant’Angelo fermo da novembre 2011. SulCorriere della Seradi ieri Anish Kapoor, il grande artista anglo-indiano nominato baronetto dalla regina Elisabetta, che ha disegnato e progettato la stazione, ha provocatoriamente chiesto di allestire altrove le due grandi sculture in acciaio e alluminio che dovevano accogliere i viaggiatori nel doppio ingresso di questa grande opera. Due sculture monumentali, di oltre trenta metri di lunghezza e a forma di bocca che al momento sono “prigioniere”, come scrive Kapoor, in un deposito in Olanda dove sono state realizzate. Sotto sequestro perché non sono stati pagati i lavori. C’è grande amarezza da parte dell’artista nel nonvedere portato a termine il suo progetto, in una città dove ha lavorato a più riprese. Sua la grande installazione dal titolo “Taratantara” del Natale 2000 a piazza Plebiscito, seguita dalla grande mostra al Museo Archeologico nel 2003 e nel 2005 dall’installazione permanente al Museo Madre dal nome di “Dark Brother”.

«Anish è stato sfortunato. La prima e più illustre vittima di una vendetta politica. È un bio-cidio, un vero e proprio omicidio di una opera d’arte che è una forma di vita » dichiara Eduardo Cicelyn. «Nel 2003, quando ero dirigente di staff alla presidenza della Regione — continua Cicelyn — si decise di invitare Kapoor, uno dei cinque artisti più importanti a livello internazionale, a non più decorare semplicemente le stazioni del metrò con opere d’arte, ma a far diventare la stazione di Monte Sant’Angelo un’unica vera opera d’arte. Due milioni e 500 mila euro fu il compenso pattuito a Kapoor ed allo studio di architetti Future Systems di Londra che lo affiancavano. Una cifra pagata nel 2005 quando fu consegnato il progetto definitivo e poi tra il 2005 e 2007 fu messa a gara la parte esecutiva insieme all’intera “Bretella di Monte Sant’Angelo”, la tratta ferroviaria che mette insieme questa stazione con Parco San Paolo e Terracina».

Sono circolate molte cifre sul prezzo delle due sculture di Kapoor, ci dice quanto sono costate? «Tutte e due le sculture – risponde Cicelyn – valgono 3 milioni di euro che a quello che so non sono stati pagati alla fabbricaolandese, che fu scelta perché l’unica in Europa in grado di poterle realizzare vista la complessità del trattamento dei materiali e la dimensione delle opere. A parte le sculture, che io ricordi, la valutazione di massima della costruzione dell’intera stazione all’epoca prevedeva un impegno complessivo di spesa intorno ai 20-25 milioni. Chi è mandante ed esecutore dell’ “omicidio” di questo progetto, la Regione – accusa Cicelyn – avrebbe perlomeno il dovere morale di rispondere all’artista e di favorire un’eventuale acquisto da parte sua. Che sarebbe un modo per recuperare un po’ di risorse pubbliche sprecate, ma anche l’occasione per restituire a vita due opere d’arte che meriterebbero una fruizione condivisa in qualsiasi parte del mondo, visto che Napoli non le vuole più».

Debiti fuori bilancio chi ci da’ una mano

dissestoPubblico due delibere di peso (in tutti i sensi) che offro ai cittadini lettori di buona volontà. Stiamo parlando infatti di una debitoria complessiva imprevista in bilancio di  €. 82.758.297,61. La prima è la  delibera di proposta al consiglio n. 966 del 19.12.2013, (clikka e scarica),  che prevede il riconoscimento di un debito fuori bilancio pari ad €. 18.504.863,01 da pagarsi alla UBIFACTOR Elektrica, per una questione di smaltimento di rifiuti solidi urbani in virtù di una sentenza di condanna del Consiglio di Stato del 2011. I fatti risalgono ad un contratto del 1987, sono 325 pagine con gli allegati.

La seconda è la  delibera di proposta al consiglio n. 967 del 19.12.2013 (clikka e scarica), di appena 5442 pagine con la quale si riconoscono €. 35.079.738,60 per debiti fuori bilancio derivanti da sentenze di condanna dell’amministrazione già esecutive (art. 194 lett. a. 267/2000); ed €. 29.173.695,88 per beni e servizio acquisiti dall’ente e non previsti in bilancio preventivo (art. 194 lett. e. 267/2000). Queste ultime maturate nel periodo che va dal 01.01.2013 al 31.10.2013. Come sempre se ci date una mano ne saremmo molto contenti e come al solito faccio sempre la stessa riflessione: il consigliere comunale di una città come Napoli, forse, dovrebbe fare una sorta di selezione per titoli ed esami, prima di caricarsi addosso il peso amministrativo di un milione di abitanti. Mi chiedo cosa e come abbiano fatto gli altri consiglieri delle passate consiliature e se mai abbiano riflettuto a fondo su ciò che stavano facendo. Poi con tutti questi debiti mi chiedo come si può consentire, ancora oggi, a chi possiede beni pubblici preziosi e che producono reddito privato di non pagare quanto dovuto.  Forse una mano, tenuto conto di ciò che è emerso anche dalla Corte dei Conti, ce la può dare solo il governo, sperando che non ci tenga per i piedi. BUONA LETTURA.

P.S. Le delibere può darsi che non si visualizzino ma si possono scaricare al link attraverso il relativo comando.

Classe dirigente e principio di responsabilità e merito

ricostruzioneOggi (24.02.2014) leggo su Repubblica Napoli del pressing sul governo della classe dirigente campana per avere una rappresentanza. Una semplice constatazione quanti dei nomi che si leggono hanno avuto un ruolo nel Comune di Napoli e non hanno mai sollevato alcuna delle questioni che vengono drammaticamente indicate dalla Corte dei Conti nel provvedimento (clikka) con il quale è stato bocciato il piano di riequilibrio e da cui traspare che i bilanci 2008/09/10/11 erano falsati dall’incredibile sopravvalutazione dei residui attivi non esigibili. Un’analisi profonda che parte dal 2008 ed anche più indietro. Mi chiedo cosa hanno fatto e detto coloro che siedevano sulle poltrone e poltroncine dell’Amministrazione Comunale anche con ruoli di gestione, per adempiere al loro dovere di verità e di rappresentanza. Renzi sceglierà secondo il principio del merito: la vedo difficile.  In due anni e mezzo ecco cosa abbiamo fatto noi di Ricostruzione Democratica (clikka).

Da Repubblica Napoli di oggi (24.02.2014) Governo, Campania pressing: No alle quote

Nicodemo: Renzi sceglie per competenze e meriti

DARIO DEL PORTO

LA PRATICA è sul tavolo di Luca Lotti, il braccio destro del premier Matteo Renzi che sta lavorando al completamento della squadra con la scelta di vice ministri e sottosegretari. Con una cinquantina di caselle da riempire (il tetto sarà quasi certamente 47) si fa più intenso il pressing diretto a colmare una delle lacune più evidenti della compagine governativa: l’assenza di esponenti provenienti dalla Campania e da altre regioni meridionali come la Puglia. «C’è un lavoro collettivo da parte di molti di noi per far sì che alla Campania venga riconosciuta la rappresentanza che merita un territorio così importante», spiega il segretario regionale del Pd Assunta Tartaglione. I contatti con Roma proseguiranno nella giornata di oggi, muovendo con discrezione le pedine ritenute più in linea con il profilo che il premier ha voluto dare al suo esecutivo: dunque si guarda fra personalità giovani ma possibilmente già temprate da qualche positiva esperienza amministrativa o di partito oppure impegnate nella società civile, con una quota di donne omogenea a quella degli uomini. Difficile fare previsioni sui nomi anche perché la discussione entrerà nel vivo solo fra oggi e domani, a margine del dibattito sul voto di fiducia in Parlamento.

Potrebbero rispondere all’identikit la deputata Valeria Valente, già assessore comunale con la giunta Iervolino, Pina Picierno, parlamentare e responsabile Legalità della segreteria del Pd, oppure Francesco Nicodemo, scelto da Renzi come responsabile perla Comunicazione della segreteria del Pd, che però avverte: »Mi auguro che non ci sia alcun pressing, anche perché con Renzi non funziona. Il premier sa, conosce e decide secondo la sua costruzione mentale, senza lasciarsi influenzare dalle pressioni come è già accaduto altre volte. Non ragiona per quote». Ricorda Nicodemo che il neo presidente del Consiglio «sta facendo le sue valutazioni in base alle competenze e ai meriti di ciascuno. In questo modo ha formato la squadra dei ministri e allo stesso modo selezionerà i sottosegretari». Ma in questo scenario, sottolinea il responsabile Comunicazione della segreteria democratica, «la componente territoriale non è prevalente. Contano il merito e le competenze. Se Renzi ha nominato due ministri liguri, lo ha fatto perché ritiene Roberta Pinotti e Andrea Orlando le persona giuste per occuparsi rispettivamente di Difesa e Giustizia. Allo stesso modo, non ha chiamato me e Pina Picierno a far parte della segreteria perché siamo nati in Campania. D’altra parte, i ministri che nel pas-sato si sono occupati in maniera efficace di questioni territoriale non necessariamente erano meridionali. Penso a Barca, che ha svolto un lavoro straordinario». Nicodemo sottolinea che «in Campania ci sono un sacco di competenze e di meriti, bisogna vedere adesso cosa succederà in un quadro di incastri ancora da definire. E peraltro Matteo Renzi mi ha sempre sorpreso nelle sue scelte. Ma al di là dei nomi – ragiona Nicodemo – è arrivato il momento di rovesciare il paradigma che sino ad oggi ha ispirato le politiche peril Mezzogiorno: prima l’unico filo conduttore era rappresentato dalle rivendicazioni delle classi dirigenti meridionaliche andavano a Roma, sbattevano i pugni sul tavolo e tornavano per far realizzare una strada, una piazza oppure perfar aprire un’azienda sul territorio. Così abbiamo avuto cinquant’anni di assistenzialismo che non hanno permesso al Mezzogiorno di emanciparsi ed esprimere appieno le proprie potenzialità. Ora bisogna ripartire dal gap che ci divide dal resto del Paese: la mancanza di asili nido, la povertà, la dispersione scolastica, la qualità della vita, puntando sulla questione sociale e il capitale umano, oltre che con investimenti materiali che permettano ad esempio di rivalutare la vocazione turistica del territorio».

La Classe Dirigente e l’esperienza Napoletana

ricostruzioneOggi (23.02.2014) il leitmotiv di tutti i giornali cittadini è che nel governo renzi non c’è classe dirigente Campana. Tra coloro che hanno fatto la “scoperta” c’è anche la neo segretaria regionale del partito democratico che è essa stessa il risultato del disastro politico del partito democratico, zavorrato dalla lotta tra bande per la occupazione del potere. So che può essere autoreferenziale ma lo stato attuale ci impone di intervenire anche perché sono stanco di fare solo il grillo parlante. Atti politici ed amministrativi alla mano posso dire che Ricostruzione Democratica è l’unico esempio di classe politica attualmente vivente in Campania. Siamo tre Consiglieri con il supporto di tanti amici che ci seguono e dobbiamo pur sperare di vedere una luce fuori dal tunnel. Qualche amico mi ha anche detto ma perché non mettete in risalto il fatto che voi, in molte occasioni, avete anticipato i tempi indicando come esempio la questione Bagnoli.

Parto dall’inizio rinviandovi per ogni punto alle decisioni, spesso sofferte, che abbiamo dovuto prendere durante l’attività consiliare e che sono state sempre il frutto di studio e di un confronto aperto con un gruppo che, nel corso di questi quasi tre anni, si è variamente composto intorno a noi. Forse qualche valutazione la avremmo anche sbagliata ma nelle decisioni importanti posso dire che abbiamo anticipato i tempi ogni volta. Abbiamo, infatti, avuto la capacità e la lungimiranza di capire prima cosa stava accadendo. Oggi ho solo il rammarico verso l’amministrazione che almeno avrebbe potuto esaminare con maggiore approfondimento le nostre ragioni spesso ampiamente argomentate. Forse i giornali avrebbero potuto darci maggiore spazio contribuendo a formare l’opinione pubblica e, quindi, una speranza. Sono consapevole delle nostre forze ma credo che abbiamo il dovere di parlare e di sperare fino in fondo per non lasciare spazio a coloro che sono esperti nell’arte del “riciclo”

Parto pertanto dall’inizio:

1) A giugno 2012, quando De Magistris era ancora il capo indiscusso della “rivoluzione” ed i partiti erano ancora tramortiti (lo sono tuttora) segnalammo tutte le difficoltà connesse all’amministrazione solitaria di De Magistris ed io e Carlo Iannello, non votammo il bilancio preventivo (clikka), restando isolati perché nessuno dell’allora maggioranza ed in particolare dei compagni i Napoli è Tua ci seguì, perché il capo era ancora troppo forte e mettersi contro non era “politicamente” conveniente anzi fummo attaccati e dovemmo difenderci con l’aiuto di coloro che ci seguivano, Ricordo l’assemblea del 4 luglio 2012  che volemmo (clikka);

2) il 16 ottobre 2012 proponemmo la liquidazione di Bagnoli Futura (clikka) cosa a cui siamo arrivati adesso, ma ovviamente allora i partiti non ci pensarono proprio. Forse oggi se ci avessero ascoltato avremmo già adottato delle soluzioni per le aree e per i lavoratori;

3) sulle condizioni economiche/finanziarie dell’amministrazione siamo sempre intervenuti, assumendo anche la posizione impopolare e “politicamente” non conveniente, al consiglio del 15.07.2013, dicendo che era impossibile fare nuove assunzioni votando contro la delibera 518/2013 (clikka) e censurando le agostane assunzioni dei dirigenti (clikka);

4) anche sullo Stadio San Paolo abbiamo assunto una posizione impopolare e “politicamente” non conveniente, perché contraria ai voleri del Patron, esponendoci, senza essere ascoltati né dal sindaco né da assessori chem solo aver lasciato la poltrona, hanno avuto il coraggio di dire pubblicamente ciò che noi dicevamo da oltre due anni. E’ recente il sequestro dei conti del Calcio Napoli (clikka).

5) consapevoli della necessità di formare una classe dirigente a gennaio 2013 ci siamo caricati sulle spalle la scuola di politica e di amministrazione (clikka) stanchi di essere inascoltati dai partiti che hanno sempre usato ed usano un sistema di selezione “poltronistico” e di spartizione e non sul merito. Posso dire che in politica fino ad ora non ho visto nessuno studiarsi una carta si parla per sentito dire;

6) del San Carlo parlammo pubblicamente il 2 ottobre 2013 al consiglio comunale (clikka) cercando di avvertire per tempo, restando, invece, ancora una volta inascoltati.

Tutte decisioni frutto di studio e di confronto con i cittadini e le parti sociali. Tante e tante altre cose fatte perché da persone estranee alla politica e con un ruolo professionale nella società, abbiamo messo a frutto anni di esperienza e di studi cosa assolutamente estranea ai partiti. Se mi guardo alle spalle vedo tanta strada fatta, ma se guardo avanti non vedo l’orizzonte. Non abbiamo intenzione di fermarci e faremo tutto ciò che ci è possibile per fare in modo che prevalgano le ragioni di cui noi ci siamo fatti portatori senza risparmiarci.

Dissesto del Comune di Napoli: Le motivazione della Corte dei Conti

comunePer una reale comprensione dei problemi che affliggono Napoli e la sua amministrazione ecco le motivazioni della Decisione della Corte dei Conti con la quale è stato bocciato il piano di riequilibrio del Comune di Napoli aprendo la strada al Dissesto. Il documento è corposo ci è stato notificato qualche ora fa e lo studio credo sarà faticoso. Come al solito chiedo alle anime di buona volontà di dare una mano a capire ed a collaborare. Sono 101 pagine di dati, tabelle e considerazioni. Credo sia la fotografia dello stato delle casse comunali che, voglio precisare, non sono che in minima parte attribuibili a questa amministrazione. Occorre, però, che politicamente ci sia la capacità di analizzare ciò che è accaduto affinché si sappia chi ha amministrato bene e chi ha amministrato male (forse tutti male) e si capisca quali sono le azioni di buona amministrazione che oggi sono necessarie più che mai.

Ecco il provvedimento integrale:

 Deliberazione n.12-2014 della Corte dei Conti PARTE 1 (clikka)

Deliberazione n.12-2014 della Corte dei Conti PARTE 2 (clikka). Ora l’ho finito di leggere. Per chi non ha tempo e vuole andare al nocciolo del problema può leggersi le considerazioni conclusive da pag. 104 in poi della seconda parte. La descrizione è amara, puntuale e stringente. L’analisi ci fa capire che per lo meno dal 2008 ci hanno preso in giro: capacità di riscossione ridicola, crediti inesigibili non ritenuti tali …. è da leggere con attenzione è un pezzo della storia di Napoli dalla quale nessuno si può tirare indietro perché è stata fatta da amministratori più volte riconfermati ai cittadini!

A proposito di buona amministrazione e Corte dei Conti è di oggi il sequestro dei conti correnti del Calcio Napoli per 5 milioni di €. da parte della Procura Regionale della Corte dei Conti, che ha aperto un procedimento sui rapporti tra società ed amministrazione in seguito a quanto è più volte emerso nella commissione impiantistica sportiva che presiedo ed alle numerose sollecitazioni di Ricostruzione Democratica a portare all’incasso i canoni di concessione non pagati. E’ stata una giornata faticosa!

Il Tg Campania sul sequestro al Calcio Napoli (clikka)

Operai: Chi paga il conto del dissesto del Comune di Napoli

ANMIeri (18.02.2014) c’è stata una importante iniziativa dell’USB Trasporti di Napoli a cui ho partecipato fino ad un certo punto e che mi ha suscitato le riflessioni che ho scritto ad un caro amico dell’Azienda di Mobilità che mi aveva sollecitato un intervento che non ho potuto fare per altri impegni:

Caro Ezio, ieri sono dovuto andare via senza poter intervenire nell’interessante dibattito che l’USB Trasporti ha affrontato sul pericolo dissesto del Comune di Napoli. Dico subito che è giustificata e dovuta l’apprensione dei lavoratori delle società partecipate e di tutti quelli che si trovano a lavorare per o con l’Amministrazione. Dico anche subito che sarei stata una voce fuori dal coro perché la piega che ha preso la discussione, almeno fino a quando sono stato presente, è stata quasi “elettorale” con parole d’ordine che scaldano cuori ma che a mio avviso non fanno capire i nodi dei gravi problemi che oggi ci troviamo ad affrontare e che ci vengo da anni di incapacità amministrativa e negli ultimi anni dall’Europa. La parola d’ordine è stata, infatti, poteri forti e Corte dei Conti, come se quest’ultima facesse parte dei primi. Ma a che serve? Converrai con me, che sarebbe stato più utile indicare quali sono le cause dello stato in cui ci troviamo e quali sono i poteri forti da combattere. Un allarmismo indirizzato, secondo me alla cieca, senza spiegare ai tanti operai presenti come stanno le cose. Per il rispetto che provo verso gli operai e per la categoria di quelli a cui sono particolarmente legato che, come mio padre, si sono spezzati e si spezzano la schiena alla guida di un autobus, facendo la cd. “doppia giornata” per portare il pane a casa, credo debba essere detta la verità tutta la verità spiegandola anche più volte e nei minimi particolari.

Caro Ezio, ma secondo te non siamo già in dissesto? Un comune che taglia il salario accessorio ed il ticket e paga i suoi creditori a cinque anni e che, per non dichiarare il dissesto, aderisce alla legge cd. predissesto (D.L. 174/2012) non è già in dissesto? Caro Ezio, se non capiamo come ci siamo arrivati a questa condizione non capiremo neppure come uscirne e con chi prendercela. I poteri forti si chiamano: ceto imprenditoriale pressoché assente che pretende di saccheggiare il pubblico; incapacità amministrativa; malaffare; vincoli di bilancio europei; esternalizzazione di tutti i servizi pubblici; vendita di tutto ciò che è pubblico. Si potrebbe parlare per ore e scrivere un trattato.

E’ vero sugli operai si scarica tutta la crisi di una finanza virtuale che ha spostato il lavoro in Cina ed in ASIA lasciando all’Europa l’economia astratta dello SPREAD, di BOND etc etc,  ma per restare al campo della nostra amministrazione credo che oggi la cd. lotta di classe, si debba articolare anche nella pretesa della giustizia e della sana e corretta amministrazione.

Un miliardo e 400 milione di squilibrio finanziario al Comune di Napoli si è creato anche con operazioni sbagliate. Iniziamoci a chiedere dove sono andate e quante risorse hanno assorbito e di chi è la responsabilità di: Porto Fiorito (clikka); Bagnoli (clikka); ZOO (clikka); Edenlandia; gestione Stadio San Paolo (clikka); CAAN (clikka); acquisto di Piazza Garibaldi (clikka); Lotto 14/B di Marianella; ponte di corso Novara costruito ed abbattuto; gestione del patrimonio pubblico (clikka); la questione del gestore ROMEO (clikka).

Questo per dire solo quelle che mi vengono in mente e che sono operazioni che hanno generato buchi per centinaia di milioni di euro e dei quali oggi si chiede il conto a tutti i cittadini e lacrime e sangue agli operai. La legge è chiara, la Corte dei Conti non ha fatto altro che applicarla sollevando le incongruenze del piano di riequilibrio che, Ti assicuro, è già un piano lacrime e sangue. Con ciò non voglio dire che la legge è giusta, voglio dire che l’obiettivo non è la magistratura contabile o i poteri forti genericamente indicati, ma il governo che per ragioni di giustizia sostanziale deve comportarsi con Napoli, come si è comportata con Catania e da ultimo con Roma, ma non solo. Occorre anche pretendere che ci sia una gestione oculata e credibile, non una spartizione di potere, di cariche e di posti e regali agli imprenditori amici o a quelli che si proclamano salvatori della patria.

Ti chiedo, allora, come è stato scelto l’A.D. di Napoli Holding e su quali ragionamenti o come è stato scelto l’A.D. di Napoli Servizi, quello dell’ABC, quello di Napoli Sociale, quello di Napoli Park, quello della Mostra D’Oltre Mare. Faranno gli interessi della finanza pubblica comunale e quindi in primis degli operai? Caro Ezio, mio padre dopo la cd. doppia giornata, iniziata spesso alle 5,30 del mattino rientrava a casa con la barba lunga, stanco e con il puzzo dei gas di scarico, a quelli come lui va detto tutto e spiegato tutto nei minimi particolari senza timore di fare uno sgarbo a chicchessia.

Per un’ampia analisi vedi pure gli altri articoli: Dissesto (clikka)

Il crollo della Riviera di Chiaia e la politica degli incapaci

rivieraOggi su Corriere del Mezzogiorno l’intervista al geologo Caniparoli sul disastro della riviera di chiaia dove c’è stato anche il crollo di un edificio storico. Il tema è sempre lo stesso paghiamo i danni di una politica incapace di indicare la strada agli imprenditori. Sulla metropolitana di Napoli si dovrebbe aprire una discussione su come abbia fatto la politica ad accettare soluzioni tecniche nel solo interesse dei costruttori. Sono, a mio avviso, eclatanti gli interventi su riviera di chiaia dove, una politica attenta, avrebbe dovuto pretendere, dall’impresa una soluzione di maggiore protezione dei cittadini imponendo l’attraversamento in superficie ad esempio. Non meno grave è lo sbancamento del Monte di Dio dove per fare una stazione si è scavato l’intero “monte” da piazza Santa Maria degli Angeli fino a sotto Via Chiaia mentre, invece, forse, si sarebbe potuto tutt’al più aggiungere qualche ascensore senza provocare allarmi per la vicina scuola elementare. Ancora la stazione di Monte Santangelo con l’opera dell’architetto Indiano Kapoor che giace nei depositi olandesi (gli sprerchi della metropolitana clikka).  Ebbene, oggi, occorrerebbe chiedere il conto a quei politici poco accorti che sono essi la causa del disastro e dello sperpero del danaro pubblico mentre, invece, da più parti sento voci  di riabilitazioni. I cittadini hanno la memoria corta … spero di no!

Sul crollo di Riviera di chiaia vedi anche: (il crollo alla riviera di chiaia ed i rischi della linea 6 esperti a confronto clikka)

Martedì 18 Febbraio, 2014 Vincenzo Esposito CORRIERE DEL MEZZOGIORNO – NAPOLI

Il giallo della Riviera allagata di notte Caniparoli: vi spiego il perché

NAPOLI – Il 4 marzo sarà trascorso un anno dal crollo di palazzo Guevara a Chiaia. In dodici mesi tante domande non hanno trovato risposta. Soprattutto quelle sui lavori nel sottosuolo per realizzare la linea 6 del metrò, e quelle sul reale stato idrogeologico della zona. Ieri al giornale un lettore ha inviato l’ennesima foto della Riviera allagata in una serata calda e serena. «Perché?», è la domanda. Mistero. Riccardo Caniparoli, geologo che da vent’anni studia il sottosuolo della zona, non ha dubbi. «La talpa ha perforato gli strati impermeabili che trattenevano le falde artesiane».
Ma lo sa o lo deduce?

«Non c’è altra spiegazione scientifica».

E perché l’acqua viene fuori sulla strada?

«Perché è compressa nel sottosuolo e appena trova una via d’uscita la percorre, anche se è lunga e tortuosa».
Ma pare che fuoriesca solo di notte.

«Normale, ciò accade quando le pompe dei cantieri che la scaricano direttamente nelle fogne sono spente. L’acqua non viene più aspirata e la pressione la porta in superficie».
Quando piove la Riviera diventa un fiume, perché?

«Ovvio, gli scarichi già sono pieni d’acqua e quindi non hanno la capacità di accoglierne altra».
La gente vuole sapere cosa sta accadendo?

«Ce lo chiediamo tutti. Ma le risposte non arrivano. Ce lo dovrebbe dire la magistratura. E anche l’amministrazione di Napoli. Non dimentichiamo che i lavori si stanno facendo in concessione. Il Comune ha il dovere di dire cosa accade nel sottosuolo».
Secondo lei?

«Io dico sempre che gli eventi sono naturali e solo quando l’uomo ci mette le mani diventano calamità. Qui è stato rotto un equilibrio secolare tra acqua piovana, marina e fonti artesiane. Ora la natura sta tentando di trovare nuovi equilibri».
Lei dice che la Villa comunale sta morendo e che la Riviera è in pericolo.

«Questo è sotto gli occhi di tutti. Ho fatto degli studi, ho pubblicato delle ricerche e nessuno mi ha mai smentito».
Appunto la Villa comunale. Perché l’acqua fuoriesce da lì?

«Sopra, sulla collina i buchi sono stati tappati, cementificati. Il parco borbonico è l’unico posto in cui trova una via d’uscita. E’ come un rigurgito naturale».
E’ acqua salata o dolce?

«E acqua delle fonti zuffregne. Quella di mare, invece, ormai è sotto la Villa e questo spiega perché gli alberi muoiono e più di una trentina sono stati tagliati pochi mesi fa».

La Regione Campania Indagata: Cosa dovrebbe fare la politica?

regioneLo scandalo dei presunti peculati dei consiglieri regionali di tutta Italia dovrebbe spingere la politica a fare una riflessione seria. Il leit motiv è quello del “così fan tutti” e del conseguente corollario del “salvi tutti”! Con i fondi economali, assegnati ai gruppi politici, per attività politico/istituzionale, delle assemblee elettive, le cronache di quest’anno hanno dimostrato che ci si è comprato di tutto, dalla tintura dei capelli da parte di consiglieri calvi, a caramelle, sigarette, dolciumi, mutande verdi, c’è addirittura chi si è pagato il matrimonio della figlia e chi si è pagato la TARES di casa sua, dichiarando, poi, che era sede di partito, occorrerebbe prima o poi fare un libro con tutti i casi strambi. Anche in questo caso la politica non fa ciò che avrebbe fatto in ogni altro paese civile: una indagine interna e la conseguente espulsione di coloro che sono stati pescati con le dita nella marmellata. Ciò porterebbe ad un azzeramento della intera classe politica, salvo rare eccezioni, che sono rinvenibili in ogni schieramento e, quindi, non solo nel m5s! Niente di tutto questo, si attende che l’acqua scorra sotto i ponti e che il tempo possa riabilitare chi, tutto sommato, per la politica ha commesso un peccato veniale di qualche centinaia di migliaia di euro! Il vero problema è che questo stato di cose si autoprotegge proprio perché alle spalle di ogni uomo politico c’è il vuoto pneumatico creato un po’ ad arte un po’ per il principio “io sono io e gli altri non sono un … niente“. Oggi è stato arrestato addirittura il braccio destro di caldoro in regione che dire, il presidente della regione anziché aprire una finestra e fare pulizia ha immediatamente dichiarato che metterebbe sul suo fido metterebbe la mano sul fuoco, forse non solo la mano … forse occorrerebbe mettere tutto il braccio … il destro. Sulla questione vedremo cosa farà la neo nominata assunta tartaglione nuova segretaria regionale del pd.

Il tema mi è molto caro vedi anche: scandalo in regione campania il denaro dei consiglieri (clikka)

Da Repubblica Napoli di oggi (18.02.2014) Scandalo rimborsi alla Regione gomme e tintura per i capelli 

Il consigliere regionale socialista Gennaro Salvatore fu già condannato due volte per concussione – Braccio Destro di Caldoro agli arresti domiciliari. C’È LO scontrino dell’ormai nota tintura per capelli, più «make up e toletteria », per 78 euro. C’è l’acquisto del chewingum, 1.95. E poi, ovviamente, corposi acquisti, hotel ristoranti e gioiellerie. La lista di spese personali, per 100 mila euro di fondi pubblici, manda agli arresti domiciliari Gennaro Salvatore, consigliere regionale e fedelissimo del governatore. E Caldoro va oltre il suo garantismo. «Salvatore? Serio e corretto». Non un’ombra di disagio, in apparenza. Intanto quell’aula è gremita di scandali e personaggi inquisiti.

Scandalo rimbosi alla Regione gomme e tintura per i capelli

Ai domiciliari Salvatore, uomo-ombra di Caldoro

CONCHITA SANNINO

LASCIARE la poltrona di capogruppo non lo ha salvato dalla detenzione. È quasi un ritorno al passato per Gennaro Salvatore, considerato politicamente l’uomo- ombra del presidente Stefano Caldoro, il socialista approdato a nuova vita politica, dopo le regionali del 2010, nell’aula del Centro direzionale. La sua elezione e il ruolo di presidente del gruppo “Nuovo Psi- Caldoro Presidente” arrivavano infatti dopo la controversa fase della Prima Repubblica e le sue due condanne per concussione, durante gli anni della Tangentopoli napoletana, 1991 e 1992, quand’era assessore comunale nella giunta di un altro socialista, Nello Polese sindaco.

Stavolta, per Salvatore, l’accusa è di peculato continuato. È accusato di avere prelevato poco più di 100mila euro, e di questo denaro di aver percepito indebitamente 95mila euro, tra il 2010 e il 2012. Il consigliere, stando all’indagine del pm Giancarlo Novelli coordinata dal procuratore aggiunto Francesco Greco, avrebbe però destinato quei soldi del cosiddetto Fondo istituzionale «per il funzionamento dei gruppi» a utilità e acquisti del tutto lontani dagli obiettivi previsti dalla norma. Spese che, secondo la Procura, o non sono state mai documentate, oppure sono state documentate con «pezze di appoggio» palesemente incongruenti rispetto alle finalità istituzionali in vista delle quali quel contributo veniva erogato. Nel 2010 per esempio spiccano, come si rileva dall’ordinanza del gip D’Auria, le spese per libri scolastici, articoli per la casa per oltre 2mila e 200 euro, gomme da masticare e prodotti per l’igiene della persona (toiletteria, make up donna e kit colorazione capelli, puntualizza pignolo il consulente). Poi, l’anno successivo, ecco nella lista gli occhiali da vista, le sigarette e articoli da regalo acquistati in gioielleria, ma anche accessori per motocicli e farmaci. Nel 2012, infine, sono stati rimborsati anche cialde di caffè, farmaci e dolciumi.

La primavera scorsa, esplode lo scandalo dei rimborsi, che travolge quasi per intero il consiglio regionale, con i suoi membri indagati per l’uso più che disinvolto dei cosiddetti “fondi per i gruppi”, ma la mannaia scatta per Salvatore in virtù di una condotta considerata «particolarmente grave». Lo scorso settembre, è lo stesso consigliere socialista a chiedere diessere sentito dal pm e di spiegare (esigenza che, in verità, tanti altri consiglieri del Pd e del Pdl si guardano bene dal sentire). Assistito dagli avvocati Alfonso Furgiuele e Fabio Carbonelli, Salvatore spiega che è stato uno stupido errore fare arrivare alla magistratura anche gli scontrini su tintura per capelli e giocattoli. «Gli scontrini sono il risultato di un’attività disorganizzata di raccolta che si riferiva a tutte le spese affrontate da me e dai miei collaboratori anche quando, per la loro natura chiaramente personale, ero io stesso a pagare con i miei soldi», fa mettere a verbale il consigliere. Aggiunge: «Era tutto piuttosto disorganizzato, messo in un bustone in segreteria», e tira in ballo anche qualche errore dei collaboratori.

Una tesi difensiva che il giudiceritiene «irrilevante e comunque contraddetta dal rinvenimento di documentazione univocamente connessa alla vita privata dell’indagato », anche perché alcuni scontrini sono “parlanti” e come quelli della farmacia recano il codice fiscale dello stesso Salvatore.

In serata, dopo 12 ore, ecco la presa di posizione netta del governatore a favore del suo fedelissimo. Il governatore, notoriamente garantista, stavolta va persino oltre e afferma: «Gennaro Salvatore è persona seria e corretta. Sono convinto che dimostrerà alla magistratura la sua piena innocenza, peraltro non avendo certamente ricavato alcun beneficio personale, come del resto confermato dal tenore di vita suo e della famiglia». Non si attacca un uomo se vive un dramma, spiegano nel suo entourage. Attacca invece Sel, col coordinatore regionale Salvatore Vozza. «Il consiglio regionale della Campania è oramai travolto da continui scandali ed inchieste, e la sua credibilità scivola ogni giorno di più in abissi intollerabili». Vasta la schiera degli inquisiti e condannati, in quel consiglio.

Da Massimo Ianniciello, reduce dagli arresti per un’altra truffa dei rimborsi, a Roberto Conte, condannato in primo grado per concorso esterno in associazione mafiosa. Da Corrado Gabriele e Angelo Marino, già indagati per i rimborsi e di recente colpiti anche dall’inchiesta sul ricatto sociale dei Bros, ad Angelo Polverino, arrestato nell’inchiesta sugli appalti truccati della sanità.

Il caso BROS e la Politica del Posto di Lavoro

BROSGli articoli di Sannino, Del Porto e Zagaria di ieri (15.02.2014) e la risposta di oggi di Tommaso Sodano, apparsi su Repubblica Napoli, sulla vicenda dei BROS e sulla presunta contiguità di alcuni politici agli ambienti più violenti di questa categoria di inoccupati, mi sollecitano una riflessione. Per quanto posso dire mi sembra sempre la stessa storia. La politica è ancora legata alla filosofia del posto di lavoro, come mezzo per l’acquisizione del consenso elettorale. Politici imbonitori che non riuscendo ad entrare nei problemi sociali, legislativi ed economici del paese si limitano a galleggiare in superficie trovando facile spendere promesse di assunzioni che, poi, si trasformano in veri e propri boomerang perché sollecitano aspettative inattuabili anche, per i vincoli legislativi relativi alla necessità del concorso pubblico. Eppure, basterebbe poco per capire che ogni posto di lavoro “inventato” finisce per gravare sulle spalle della collettività ed, in misura ancora più pensante, su quelle fasce di cittadini che vivono in povertà, ovvero ai suoi margini. I posti di lavoro “inventati” per creare consensi, infatti, sottraggono risorse alle vere politiche sociali di inclusione, di recupero e di sviluppo ed hanno generato l’avvitamento strutturale della pubblica amministrazione intesa in senso lato e che ha provocato i disastri che sono sotto gli occhi di tutti con società partecipate, consorzi pubblici, enti ed istituzioni tal volta inutili, tal volta elefantiaci. Qualche giorno fa un dipendente dell’azienda trasporti napoletana mi ricordava di quando i lavoratori dell’ATAN erano 8.000, mentre oggi quelli dell’ANM sono poco più di 2000, sostenendo che si dovrebbe tornare ai “vecchi fasti”. Al medesimo dipendente ho chiesto: Scusa ma quanti passeggeri porta oggi un treno della metropolitana e quanti, invece, un autobus, entrambi guidati da una sola persona? Il dipendente ha capito subito mentre è facile intuire cosa avrebbe risposto un “politico di esperienza” alla sollecitazione del lavoratore. Mi chiedo abbiamo bisogno di questa politica? Il lavoro vero è quello che produce ricchezza sociale ed economica, e compito del politico, non è quello di dare i posti di lavoro, ma quello di creare le condizioni affinché si crei sviluppo economico e veri posti di lavoro. Si potrebbe dire che il compito del politico oggi è quello di giocare da sponda alle forze economiche e sociali in campo. Un indirizzo lo si potrebbe già attuare partendo con lo sfoltimento degli assurdi passaggi burocratici che imbrigliano l’economia e che sicuramente creerebbero più posti di lavoro di quelli che si chiedono ai politici nel pubblico!

Bandi Forum delle Culture

forumPosto l’Avviso pubblico (clikka) del Forum delle Culture nonché gli estratti delle due linee progettuali: 1) Estratto_Esposizioni (clikka);  2) Estratto_Espressioni (clikka).

La scadenza per la presentazione di idee progettuali è fissata per il 17 marzo 2014. Per tutte le altre informazioni vai al link: FORUM DELLE CULTURE AVVISI E BANDI (CLIKKA).

Arrivare ai bandi pubblici per la selezione credo sia stata anche una nostra vittoria: Forum delle culture 2013 (Clikka). Speriamo bene.

Per gli articoli sul Forum delle Cluture su questo blog (clikka)

Un’altra Bagnoli a Napoli Est: Il Disastro della Politica su Porto Fiorito

Porto Fiorito corradiniL’Amministrazione De Magistris, per fare bene, si sarebbe potuta semplicemente limitare a scavare tra le carte e gli affari del comune degli ultimi venti anni, per recuperare all’interesse pubblico i beni della collettività e per fare giustizia di una classe politica inadeguata, per non dire altro. La politica sarebbe dovuta arrivare prima ed a prescindere dalla Magistratura. Credo, infatti, che non occorrono sentenze penali per dichiarare che un politico non merita la fiducia dei cittadini. Oggi si discute del dramma Bagnoli ma possiamo tranquillamente dire che nella zona orientale abbiamo un’altra Bagnoli! Sono incappato, infatti, da qualche tempo nel cd. Porto Fiorito un progetto che doveva trasformare il molo di Vigliena alle porte del quartiere di San Giovanni in una zona Turistica e di ormeggio delle barche da diporto. Nulla di tutto quello che era stato programmato è accaduto anzi! L’operazione come si può notare dagli atti che offro al Vostro esame è iniziata nel 1999 e nonostante avessimo, Comune e Regione che battevano con un sol cuore (il duo bassolino/iervolino) non si è giunti a nulla, anzi si è perso l’indotto e si sono persi 15 posti di lavoro che prima erano collocati nella Cantieri Navali Partenopei sfrattati per fare posto all’investimento! L’operazione è sempre la stessa solo che in questo caso il Comune decise di comprare per 10 miliardi di vecchie lire (tanto paga pantalone), il capannone e l’area della ex fabbrica Corradini per poi regalarla per 99 anni alla Porto Fiorito S.p.a. che avrebbe dovuta bonificarla realizzando l’investimento. Per conoscere i responsabili politici ed amministrativi della vicenda  basta leggere i nomi dei politici e degli amministratori che compaiono nelle delibere che potrete leggere. Tutti nomi conosciuti che ancora oggi i giornali magnificano ed omaggiano mentre, invece, per fare bene il loro mestiere dovrebbero chiedere il conto per offrirlo all’analisi dei cittadini su cui sono ricadute le infauste scelte (unmiliardoequattrocentomilionidieuro di deficit finanziario). Di recente ho partecipato ad una riunione con i rappresentanti degli ormai ex lavoratori ed il vicesindaco ed ho percepito tutta la inadeguatezza della politica incapace di dare risposte. A fronte di ormai 13 anni di fallimento dell’area, pare che i rappresentanti della società Porto Fiorito S.p.a. abbiano chiesto un allungamento della concessione in cambio del nulla. Per sapere cosa avrebbe dovuto rispondere l’amministrazione De Magistris a questa richiesta sarebbe bastato interpellare un medio cittadino napoletano che avrebbe sicuramente avrebbe risposto: Prendere a calci classe politica ed imprenditoriale napoletana! Se solo i giornali facessero la metà del loro dovere saremmo già ad un quarto dell’opera! Ecco i documenti e le delibere che Vi invito a leggere:

1 Portofioritodeliberadiacquisto D.G. 1947/1999 (clikka)

2PortofioritoDeliberaFinanzadiProgetto D.Consiglio n. 434/1999 (clikka)

3PortoFioritoFinanzadiprogettodeliberagiunta n. 3358/1999 (clikka)

4PortoFioritoDeliberadiproroga Consiglio 84/2000 (clikka)

5PortoFioritoDeliberadiapprovazioneprogetto G. 1525/2003 (clikka)

6PortoFioritoApprovazioneProgetto D.G. 2903/2003 (clikka)

Hanno avuto anche il coraggio di andare in TV. Ho la sensazione che ci meritiamo tutto:

Populismo e Costi della Politica

spreco-di-soldi-pubbliciIeri (13.02.2014) sul Corriere del Mezzogiorno era uscito un articolo sul costo dei consiglieri (che incollo in calce) che non faceva nessuna distinzione, mettendo tutto e tutti in un unico calderone. Oggi sempre su Corriere del Mezzogiorno è stata pubblicata la lettera che descrive la posizione di Ricostruzione Democratica. Su questo Blog molti articoli sul tema: I nostri costi della politica (clikka)

Corriere del Mezzogiorno del 13.02.2014:

Al Comune di Napoli, serve nuova trasparenza di GENNARO ESPOSITO

Caro direttore, ho letto con attenzione gli articoli di Locoratolo e Cuozzo sui costi dei consiglieri comunali e vorrei esprimere la mia amarezza come cittadino e Consigliere Comunale di Ricostruzione Democratica. Questi articoli correttamente informano la cittadinanza su prassi scorrette quanto diffuse, che generano disaffezione dalla vita pubblica. Tuttavia potrebbero rendere un servizio migliore, nell’interesse collettivo, se solo fossero più completi, mettendo cioè in luce anche i rari casi di diversità, che pure ci sono. Purtroppo però ciò che dovrebbe essere la normalità non fa notizia, mentre spesso si cerca il sensazionalismo: è notizia lo spreco dei fondi pubblici e l’uso improprio delle risorse collettive, ma non il contrario. L’effetto, tuttavia, è duplice: di far apparire marcia tutta la politica e di aumentare la disaffezione dalla vita pubblica, con un danno per tutta la collettività. Non solo il cittadino si forma la convinzione che sono tutti uguali, (confondendo quelli che hanno «rubato» con quelli onesti) ma alla fine se sono tutti uguali come dare torto a chi il voto lo vende per 50 euro? Così, inoltre, si disincentivano dall’impegno proprio coloro che utilizzano il potere correttamente, che già combattono ad armi impari con i loro avversari. Mi sorge allora il dubbio che il nostro impegno, oltre ad essere defatigante e difficile, sia anche inutile. E’ inutile essere scrupolosi con i gettoni di presenza, ciò che comporta percepire solo due o trecento euro al mese, è inutile spendere oculatamente i fondi economali per le strette esigenze, restituendone una parte, è inutile avere solo la metà dei collaboratori, perché non necessari nella quotidianità – ma utilissimi tre mesi ogni cinque anni, ossia in campagna elettorale – è inutile studiare atti e delibere cercando di dare un contributo costruttivo alla vita pubblica della città. È inutile, insomma, cercare di essere rigorosi nella misura in cui il risultato di questo impegno non viene nemmeno riconosciuto. Se dovesse essere così, allora anche ai miei occhi apparirebbe certamente più scaltro chi sfrutta la sua posizione per ottenere qualche prebenda. Sicuri che non è affatto intenzione del Corriere del Mezzogiorno dipingere un quadro in cui tutte le vacche sono nere, auspichiamo che il Suo giornale voglia seguire con attenzione una delle nostre proposte in tema di trasparenza e buona amministrazione. A maggio 2012 presentammo una proposta di regolamento per procedimentalizzare le nomine nelle società partecipate, enti o istituzioni del Comune, proposta che con grande fatica eravamo riusciti a portare all’attenzione dell’aula durante lo scorso consiglio, ma che è stata irresponsabilmente rinviata in commissione dalla maggioranza per ulteriori approfondimenti (sic!). Riuscirà il Consiglio comunale a scrivere una pagina di trasparenza sulle nomine negli enti?

 Capogruppo di Ricostruzione Democratica

 Ps. Ecco lo statino paga del consigliere “ingenuo” che nonostante sia tutto inutile ci crede ancora:

statino paga (clikka)

Corriere del Mezzogiorno del 13.02.2014

Ecco la supercasta di Napoli

Comune, record di gruppi (16). E ce ne sono 6 con un solo eletto

Una norma incredibile stabilisce che per un solo eletto al Comune di Napoli, capogruppo di se stesso, sia possibile avere fino a cinque dipendenti comunali a disposizione, oltre ovviamente ad una stanza e a tutto quanto occorre per fare politica: uno smartphone, fondi per le spese vive dell’ufficio, l’abbonamento gratuito alla rassegna stampa e così via, senza dimenticare che ai consiglieri spettano anche due biglietti per lo stadio che è di proprietà comunale. E la cosa diventa ancor più incredibile se solo si pensa che in via Verdi, sede del Consiglio comunale, siano presenti addirittura sei gruppi composti da un solo consigliere. Ma non solo. A Napoli è record italiano per la presenza di partiti in aula: ce ne sono addirittura 16, nove di centrosinistra e 7 di centrodestra.

 

Costi dei partiti, 5 dipendenti per un solo eletto

Comune in predissesto, ma spese alle stelle per i gruppi formati da un consigliere

NAPOLI — Sedici gruppi consiliari, sette di centrodestra e nove di centrosinistra, nei quali confluiscono 20 partiti o sigle per appena 48 consiglieri eletti. Ma anche sei partiti composti da un solo consigliere comunale. Se altrove c’è disaffezione per la politica, Napoli va in controtendenza. E in Consiglio comunale partiti e monopartiti si moltiplicano.
Il capoluogo campano detiene questo squallido record tra le grandi città italiane: Milano, Roma, Firenze, Torino, Bologna, Genova, Bari e Palermo non hanno assolutamente tanta frammentazione nelle assemblee cittadine, cosa che è poi alla base dell’ingovernabilità. E il fenomeno non sembra arrestarsi. In via Verdi, solo nell’ultimo mese, sono nati due gruppi di centrodestra: Forza Italia e Nuovo Centrodestra. Mentre da ieri è in arrivo un possibile nuovo «iscritto» al Gruppo Misto, cioè Marco Russo, ex capogruppo dimissionario dell’Idv che non ne ha potuto più del fatto che «nel mio partito si pensa solo alle poltrone» e si è dimesso da gruppo e partito. Russo, infatti, a meno che non confluisca in un partito esistente, non potrà far altro che iscriversi al gruppo Misto, gruppo diventato il partito grazie al quale de Magistris governa sul filo di una maggioranza che, dichiarazioni di voto alla mano, oscilla tra i 25 e i 26 consiglieri comunali. Come dire che basta nulla, un po’ di traffico o un’influenza, per far venir meno il numero legale in aula. Frammentazione che si aggiunge a frammentazione per un’assemblea che, ad appena 32 mesi dall’elezione, ha visto esplodere i due partiti del sindaco, l’Idv, partito di origine di de Magistris, passato da 15 consiglieri a 9; e «Napoli è Tua», la lista civica del primo cittadino, entrata in aula con sei eletti e oggi ridotta ad un unico consigliere. Ma perché, alla faccia del tanto sponsorizzato sistema elettorale dei sindaci, c’è tanta frammentazione? Null’altro che semplice opportunità. Perché avere un gruppo autonomo, benché composto da un solo eletto, serve, ad esempio, ad avere fino 5 dipendenti comunali distaccati: la norma consente infatti di assegnare 3 dipendenti per ogni gruppo, un altro al capogruppo ed un altro ancora per ogni consigliere eletto. Fatti due conti, se i monogruppi sono sei, si può arrivare fino a 30 dipendenti comunali distaccati al servizio di sei consiglieri. E non solo. Perché i capigruppo di se stessi, oltre a prendere parte alla conferenza dei capigruppo, quindi ad incidere nelle scelte strategiche del Consiglio, hanno ovviamente diritto alla propria quota di fondi per l’economato. Prendiamo il dato relativo al Peg, il Piano esecutivo di gestione 2013, che ha assegnato ai Gruppi per acquisti di beni di consumo, prestazioni di servizio e acquisto di beni durevoli 163.800 euro. I soldi sono stati così suddivisi: il 50 per cento, quindi 81.900 euro, tra tutti i 48 consiglieri; altri 81.900 euro per ogni gruppo politico. Va da sé che chi è capogruppo di se stesso ha diritto a molti più fondi rispetto ad un singolo consigliere di un partito ben più ampio. Immancabile, poi, il classico gettone-presenza per ogni riunione di commissione e ogni Consiglio comunale, con gli eletti che, mediamente, arrivano a percepire tra gli 800 e i 1.200 euro al mese a testa. Il consigliere, inoltre, può contare pure sull’astensione dal lavoro retribuita nelle ore in cui c’è commissione o Consiglio. Immancabili, infine, quelle che sono le dotazioni di servizio: stanza, telefono, smartphone, abbonamenti per la lettura gratuita dei giornali oltre ai classici due biglietti di tribuna Autorità per ogni gara casalinga del Napoli. Insomma, proprio male non è fare il consigliere comunale. Tanto più se si ha la fortuna che, dal tuo partito, tutti gli eletti vanno via e rimani da solo. In quel caso diventa un vero affare.
Paolo Cuozzo

Legge elettorale e Principi Costituzionali: Parla la Corte!

corte costituzionaleLa corsa alla legge elettorale mi sembra una semplice manifestazione di forza. La Ditta R & B (renzi & berlusconi) vorrebbero dimostrare agli italiani che loro sono bravi. Peccato che il cd Italicum allo stato dimostra solo una cosa che o sono ciucci, perché non hanno letto la sentenza della Consulta n. 1/2014, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del porcellum, oppure sono in mala fede! In qualunque altro posto del mondo mai nessun politico si sarebbe permesso di non tenere conto delle indicazioni del Giudice di legittimità. A questo punto se le cose andranno avanti così non resta altro che sperare in un intervento del Presidente della Repubblica, nella sua funzione di depositario dei valori della Costituzione e, quindi, si rifiuti di firmare la legge che uscirà dal parlamento se in contrasto con i principi espressi dalla Consulta. Non voglio dire altro perché è chiarissima la sentenza che vi incollo nella sua versione integrale che, per comodità, ho diviso in due sezioni Premio di Maggioranza e Liste Bloccate, evidenziandovi in grassetto le parti importanti nelle quali la Corte sancisce i principi. Saltate la prima parte se non ne avete voglia ed andate al punto 3.1 ma leggetela. Leggete anche solo le parti evidenziate, penso sia un dovere per ogni cittadino leggerla per rendersi conto che la legge elettorale è la base della democrazia.

SENTENZA N. 1

ANNO 2014

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Gaetano SILVESTRI; Giudici : Luigi MAZZELLA, Sabino CASSESE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Sergio MATTARELLA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 4, comma 2, 59 e 83, comma 1, n. 5 e comma 2 del d.P.R. 30 marzo 1957, n. 361 (Approvazione del testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati), nel testo risultante dalla legge 21 dicembre 2005, n. 270 (Modifiche alle norme per l’elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica); degli artt. 14, comma 1, e 17, commi 2 e 4, del decreto legislativo 20 dicembre 1993, n. 533 (Testo unico delle leggi recanti norme per l’elezione del Senato della Repubblica), nel testo risultante dalla legge n. 270 del 2005, promosso dalla Corte di cassazione nel giudizio civile vertente tra Aldo Bozzi ed altri e la Presidenza del Consiglio dei ministri ed altro con ordinanza del 17 maggio 2013 iscritta al n. 144 del registro ordinanze 2013 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 25, prima serie speciale, dell’anno 2013.

Visto l’atto di costituzione di Aldo Bozzi ed altri;

udito nell’udienza pubblica del 3 dicembre 2013 il Giudice relatore Giuseppe Tesauro;

uditi gli avvocati Claudio Tani, Aldo Bozzi e Felice Carlo Besostri per Aldo Bozzi ed altri.

Ritenuto in fatto

1.– Con ordinanza del 17 maggio 2013, la Corte di cassazione ha sollevato questioni di legittimità costituzionale degli artt. 4, comma 2, 59 e 83, comma 1, n. 5, e comma 2, del d.P.R. 30 marzo 1957, n. 361 (Approvazione del testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati), nel testo in vigore con le modificazioni apportate dalla legge 21 dicembre 2005, n. 270 (Modifiche alle norme per l’elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica), nonché degli artt. 14, comma 1, e 17, commi 2 e 4, del decreto legislativo 20 dicembre 1993, n. 533 (Testo unico delle leggi recanti norme per l’elezione del Senato della Repubblica), nel testo in vigore con le modificazioni apportate dalla legge n. 270 del 2005, in riferimento agli artt. 3, 48, secondo comma, 49, 56, primo comma, 58, primo comma, e 117, primo comma, della Costituzione, anche alla luce dell’art. 3, protocollo 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali firmata a Roma il 4 novembre 1950 (di seguito, CEDU), ratificata e resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848 (Ratifica ed esecuzione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali firmata a Roma il 4 novembre 1950 e del Protocollo addizionale alla Convenzione stessa, firmato a Parigi il 20 marzo 1952).

1.1.– Il rimettente premette di essere chiamato a pronunciarsi sul ricorso promosso nei confronti della sentenza della Corte d’appello di Milano, resa il 24 aprile 2012, con cui quest’ultima, confermando la sentenza di primo grado, aveva rigettato la domanda con la quale un cittadino elettore aveva chiesto che fosse accertato che il suo diritto di voto non aveva potuto e non può essere esercitato in coerenza con i principi costituzionali.

In particolare, la Corte di cassazione precisa che il suddetto cittadino elettore aveva convenuto in giudizio, dinanzi al Tribunale di Milano, la Presidenza del Consiglio dei ministri e il Ministero dell’interno, deducendo che nelle elezioni per la Camera dei deputati e per il Senato della Repubblica svoltesi successivamente all’entrata in vigore della legge n. 270 del 2005 e, specificamente, in occasione delle elezioni del 2006 e del 2008, egli aveva potuto esercitare il diritto di voto secondo modalità configurate dalla predetta legge in senso contrario ai principi costituzionali del voto «personale ed eguale, libero e segreto» (art. 48, secondo comma, Cost.) ed «a suffragio universale e diretto» (artt. 56, primo comma e 58, primo comma, Cost.). Pertanto, chiedeva fosse dichiarato che il suo diritto di voto non aveva potuto e non può essere esercitato in modo libero e diretto, secondo le modalità previste e garantite dalla Costituzione e dal protocollo 1 della CEDU, e quindi chiedeva di ripristinarlo secondo modalità conformi alla legalità costituzionale. A tal fine eccepiva l’illegittimità costituzionale di svariate disposizioni delle leggi elettorali della Camera e del Senato. Il Tribunale di Milano, dinanzi al quale svolgevano interventi ad adiuvandum venticinque cittadini elettori, con sentenza del 18 aprile 2011, rigettava le eccezioni preliminari di inammissibilità per difetto di giurisdizione e insussistenza dell’interesse ad agire e, nel merito, respingeva le domande, giudicando manifestamente infondate le proposte eccezioni di illegittimità costituzionale. Avverso tale decisione veniva proposto appello che veniva, tuttavia, anche quanto alla fondatezza dell’eccezione di illegittimità costituzionale, respinto nel merito.

1.2.– In linea preliminare, la Corte di cassazione rileva, anzitutto, che sulla questione della sussistenza dell’interesse ad agire dei ricorrenti, ai sensi dell’art. 100 del codice di procedura civile, in specie sull’interesse dei predetti a proporre un’azione di accertamento della pienezza del proprio diritto di voto, quale diritto politico di rilevanza primaria, di cui sarebbe precluso l’esercizio in modo conforme alla Costituzione dalla legge n. 270 del 2005, si è formato il giudicato, considerato che i giudici di merito avevano respinto le relative eccezioni delle amministrazioni convenute in giudizio e che queste ultime non hanno proposto ricorso incidentale.

1.3.– Il rimettente afferma, inoltre, che anche sulla questione della giurisdizione si è formato il giudicato, non essendo stata più riproposta. Un’azione di accertamento di un diritto, d’altra parte, non avrebbe potuto che essere promossa dinanzi al giudice ordinario, giudice naturale dei diritti fondamentali, non interferendo in nessun modo con la giurisdizione riservata alle Camere, tramite le rispettive Giunte parlamentari (art. 66 Cost.), in tema di operazioni elettorali.

1.4.– Quanto, poi, alla rilevanza delle questioni di legittimità costituzionale proposte, la Corte di cassazione ne ravvisa la sussistenza sulla base della considerazione che l’accertamento della pienezza del diritto di voto non può avvenire se non all’esito del controllo di costituzionalità delle norme di cui alla legge n. 270 del 2005, da cui si ritiene derivi la lesione del predetto diritto.

1.5. – Ancora preliminarmente, il rimettente rileva, infine, che, nella specie, sussiste il necessario nesso di pregiudizialità delle questioni di legittimità costituzionale proposte rispetto al giudizio principale, posto che quest’ultimo deve essere definito con una sentenza che accerti la portata del diritto azionato e lo ripristini nella pienezza della sua espansione, anche se per il tramite della sentenza della Corte costituzionale. Il petitum del giudizio principale sarebbe, pertanto, separato e distinto rispetto a quello oggetto del giudizio di legittimità costituzionale. Peraltro, nei casi di leggi che, nel momento stesso in cui entrano in vigore, creano in maniera immediata restrizioni dei poteri o doveri in capo a determinati soggetti, i quali, pertanto, si trovano per ciò stesso già pregiudicati da esse, come nel caso in esame delle leggi elettorali, l’azione di accertamento rappresenterebbe l’unica strada percorribile per la tutela giurisdizionale di diritti fondamentali di cui, altrimenti, non sarebbe possibile una tutela efficace e diretta.

1.6.– Nel merito, la Corte di cassazione, in contrasto con quanto ritenuto dai giudici di merito, premette che l’assenza di una espressa base giuridica della materia elettorale nella Costituzione non autorizza a ritenere che la relativa disciplina non debba essere coerente con i conferenti principi sanciti dalla Costituzione ed in specie con il principio di eguaglianza inteso come principio di ragionevolezza, di cui all’art. 3 Cost., e con il vincolo del voto personale, eguale, libero e diretto (artt. 48, 56 e 58 Cost.), in linea, peraltro, con una consolidata tradizione costituzionale comune a molti Stati.

Né varrebbe ad escludere la possibilità di sollevare questioni di legittimità costituzionale delle leggi elettorali l’obiezione che, rientrando queste ultime nella categoria delle leggi costituzionalmente necessarie, non ne sarebbe possibile l’espunzione dall’ordinamento nemmeno in caso di illegittimità costituzionale, poiché, in tal modo, si finirebbe col tollerare la permanente vigenza di norme incostituzionali, di rilevanza essenziale per la vita democratica di un Paese. D’altra parte, la Corte di cassazione sottolinea che le questioni di legittimità costituzionale proposte non mirano «a far caducare l’intera legge n. 270/2005, né a sostituirla con un’altra eterogenea, impingendo nella discrezionalità del legislatore», ma solo a «ripristinare nella legge elettorale contenuti costituzionalmente obbligati, senza compromettere la permanente idoneità del sistema elettorale a garantire il rinnovo degli organi costituzionali». A tal proposito la Corte di cassazione sottolinea che «tale conclusione non è contraddetta né ostacolata dalla eventualità che si renda necessaria un’opera di mera cosmesi normativa e di ripulitura del testo per la presenza di frammenti normativi residui, che può essere realizzata dalla Corte costituzionale, avvalendosi dei suoi poteri (in specie di quelli di cui all’art. 27, ultima parte, della legge n. 87 del 1953) o dal legislatore in attuazione dei principi enunciati dalla stessa Corte».

1.7.– Tanto premesso, il rimettente censura anzitutto l’art. 83, comma 1, n. 5, e comma 2, del d.P.R. n. 361 del 1957, nella parte in cui prevede che l’Ufficio elettorale nazionale verifica «se la coalizione di liste o la singola lista che ha ottenuto il maggior numero di voti validi espressi abbia conseguito almeno 340 seggi» (comma 1, n. 5) e stabilisce che, in caso negativo, ad essa viene attribuito il numero di seggi necessario per raggiungere tale consistenza.

Tali disposizioni, non subordinando l’attribuzione del premio di maggioranza al raggiungimento di una soglia minima di voti e, quindi, trasformando una maggioranza relativa di voti (potenzialmente anche molto modesta) in una maggioranza assoluta di seggi, determinerebbero irragionevolmente una oggettiva e grave alterazione della rappresentanza democratica.

Esse, inoltre, delineerebbero un meccanismo premiale manifestamente irragionevole, il quale, da un lato, incentivando il raggiungimento di accordi tra le liste al fine di accedere al premio, si porrebbe in contraddizione con l’esigenza di assicurare la governabilità, stante la possibilità che, anche immediatamente dopo le elezioni, la coalizione beneficiaria del premio si sciolga o uno o più partiti che ne facevano parte ne escano; dall’altro, provocherebbe una alterazione degli equilibri istituzionali, tenuto conto che la maggioranza beneficiaria del premio sarebbe in grado di eleggere gli organi di garanzia che, tra l’altro, restano in carica per un tempo più lungo della legislatura.

La previsione dell’attribuzione del premio di maggioranza recata dalle predette disposizioni comprometterebbe poi l’eguaglianza del voto e cioè la «parità di condizione dei cittadini nel momento in cui il voto viene espresso», in violazione dell’art. 48, secondo comma, Cost., tenuto conto che la distorsione provocata dalla predetta attribuzione del premio costituirebbe non già un mero inconveniente di fatto, ma il risultato di un meccanismo irrazionale poiché normativamente programmato per tale esito.

1.8.– Analoghe censure sono, poi, rivolte all’art. 17, commi 2 e 4, del d.lgs. n. 533 del 1993, nella parte in cui prevede che l’Ufficio elettorale regionale verifica «se la coalizione di liste o la singola lista che ha ottenuto il maggior numero di voti validi espressi nell’àmbito della circoscrizione abbia conseguito almeno il 55 per cento dei seggi assegnati alla regione, con arrotondamento all’unità superiore» (comma 2) e che, in caso negativo, «l’ufficio elettorale regionale assegna alla coalizione di liste o alla singola lista che abbia ottenuto il maggior numero di voti un numero di seggi ulteriore necessario per raggiungere il 55 per cento dei seggi assegnati alla regione, con arrotondamento all’unità superiore» (comma 4).

Anche le predette disposizioni, infatti, nella parte in cui non subordinano l’attribuzione del premio di maggioranza su scala regionale al raggiungimento di una soglia minima di voti, sarebbero tali da determinare una oggettiva e grave alterazione della rappresentanza democratica.

Esse, inoltre, recherebbero un meccanismo intrinsecamente irrazionale, che di fatto finirebbe con contraddire lo scopo di assicurare la governabilità, in quanto, essendo il premio diverso per ogni Regione, il risultato sarebbe una sommatoria casuale dei premi regionali, che potrebbero finire per elidersi tra loro e addirittura rovesciare il risultato ottenuto dalle liste o coalizioni di liste su base nazionale, favorendo la formazione di maggioranze parlamentari non coincidenti, pur in presenza di una distribuzione del voto sostanzialmente omogenea tra i due rami del Parlamento, e compromettendo sia il funzionamento della forma di governo parlamentare, nella quale il Governo deve avere la fiducia delle due Camere (art. 94, primo comma, Cost.), sia l’esercizio della funzione legislativa, che l’art. 70 Cost. attribuisce alla Camera ed al Senato.

Un’ulteriore censura è, infine, prospettata con riferimento agli artt. 3 e 48, secondo comma, Cost., in quanto, posto che l’entità del premio, in favore della lista o coalizione che ha ottenuto più voti, varia da Regione a Regione ed è maggiore nelle Regioni più grandi e popolose, il peso del voto (che dovrebbe essere uguale e contare allo stesso modo ai fini della traduzione in seggi) sarebbe diverso a seconda della collocazione geografica dei cittadini elettori.

1.9.–Vengono, infine, censurati l’art. 4, comma 2, del d.P.R. n. 361 del 1957 e, in via consequenziale, l’art. 59, comma 1, del medesimo d.P.R., nonché l’art. 14, comma 1, del d.lgs. n. 533 del 1993, nella parte in cui, rispettivamente, prevedono: l’art. 4, comma 2, del d.P.R. n. 361 del 1957, che «Ogni elettore dispone di un voto per la scelta della lista ai fini dell’attribuzione dei seggi in ragione proporzionale, da esprimere su un’unica scheda recante il contrassegno di ciascuna lista»; l’art. 59 del medesimo d.P.R. n. 361, che «Una scheda valida per la scelta della lista rappresenta un voto di lista»; nonché l’art. 14, comma 1, del d.lgs. n. 533 del 1993, che «Il voto si esprime tracciando, con la matita, sulla scheda un solo segno, comunque apposto, sul rettangolo contenente il contrassegno della lista prescelta».

Tali disposizioni violerebbero gli artt. 56, primo comma, e 58, primo comma, Cost., che stabiliscono che il suffragio è «diretto» per l’elezione dei deputati e dei senatori; l’art. 48, secondo comma, Cost. che stabilisce che il voto è personale e libero; l’art. 117, primo comma, Cost. in relazione all’art. 3 del protocollo 1 della CEDU, che riconosce al popolo il diritto alla «scelta del corpo legislativo»; e l’art. 49 Cost. Esse, infatti, non consentendo all’elettore di esprimere alcuna preferenza, ma solo di scegliere una lista di partito, cui è rimessa la designazione dei candidati, renderebbero il voto sostanzialmente “indiretto”, posto che i partiti non possono sostituirsi al corpo elettorale e che l’art. 67 Cost. presuppone l’esistenza di un mandato conferito direttamente dagli elettori. Inoltre, sottraendo all’elettore la facoltà di scegliere l’eletto, farebbero sì che il voto non sia né libero, né personale.

2.– Nel giudizio innanzi alla Corte si sono costituiti i ricorrenti nel giudizio principale, i quali, nell’atto di costituzione e nella memoria depositata nell’imminenza dell’udienza pubblica, hanno chiesto che sia dichiarata l’illegittimità costituzionale delle norme censurate con l’ordinanza di rimessione; nonché che sia dichiarata l’illegittimità costituzionale, per relationem, anche dell’art. 83, commi 1, n. 3 e 6, del d.P.R. n. 361 del 1957 e dell’art. 16, comma 1, lettera b), n. 1 e n. 2, del d.lgs. n. 533 del 1993.

In particolare, con riguardo alle norme inerenti al premio di maggioranza, i ricorrenti ne sostengono l’irrazionalità, sulla scia di quanto già evidenziato dalla dottrina ed affermato dalla giurisprudenza costituzionale, in sede di sindacato di ammissibilità del referendum abrogativo (sentenze n. 15 e n. 16 del 2008 e n. 13 del 2012), proprio in relazione al fatto che le vigenti leggi elettorali attribuiscono un enorme premio di maggioranza alla lista che ha ottenuto anche un solo voto in più delle altre, senza prevedere il raggiungimento di una soglia minima di voti.

Quanto al voto di preferenza, i ricorrenti lamentano che l’esercizio di tale diritto sia stato illegittimamente soppresso dal legislatore del 2005, in contrasto con la Costituzione, che, all’art. 48, secondo comma, stabilisce che il voto è «personale ed eguale, libero e segreto» ed agli artt. 56, primo comma, e 58, primo comma, prevede che il voto deve avvenire «a suffragio universale e diretto», assicurando in tal modo che il voto sia espresso dalla persona che vota (elettorato attivo) e ricevuto direttamente dalla persona che si è candidata (elettorato passivo). Attribuendo rilevanza esclusiva all’ordine di inserimento dei candidati nella medesima lista, già deciso dagli organi di partito, ed eliminando ogni potere dell’elettore di incidere direttamente sulla composizione dell’Assemblea, la legge avrebbe trasformato le elezioni in un procedimento di mera ratifica dell’ordine di lista deciso dagli organi di partito, conferendo a costoro l’esclusivo potere non più di designazione di una serie di nomi da sottoporre singolarmente alla scelta diretta degli elettori, ma di nomina.

3.– All’udienza pubblica, le parti costituite nel giudizio hanno insistito per l’accoglimento delle conclusioni formulate nelle difese scritte.

Considerato in diritto

1.– La Corte di cassazione dubita della legittimità costituzionale di alcune disposizioni del d.P.R. 30 marzo 1957, n. 361 (Approvazione del testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati) e del decreto legislativo 20 dicembre 1993, n. 533 (Testo unico delle leggi recanti norme per l’elezione del Senato della Repubblica), nel testo risultante dalle modifiche apportate dalla legge 21 dicembre 2005, n. 270 (Modifiche alle norme per l’elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica), relative all’attribuzione del premio di maggioranza su scala nazionale alla Camera e su scala regionale al Senato, nonché di quelle disposizioni che, disciplinando le modalità di espressione del voto come voto di lista, non consentono all’elettore di esprimere alcuna preferenza.

1.1.– In particolare, la Corte di cassazione censura, anzitutto, l’art. 83 del d.P.R. n. 361 del 1957, nella parte in cui dispone che l’Ufficio elettorale nazionale verifica «se la coalizione di liste o la singola lista che ha ottenuto il maggior numero di voti validi espressi abbia conseguito almeno 340 seggi» (comma 1, n. 5) e stabilisce che, in caso negativo, «ad essa viene ulteriormente attribuito il numero di seggi necessario per raggiungere tale consistenza» (comma 2).

Tali disposizioni violerebbero l’art. 3 Cost., congiuntamente agli artt. 1, secondo comma, e 67 Cost., in quanto, non subordinando l’attribuzione del premio di maggioranza al raggiungimento di una soglia minima di voti e, quindi, trasformando una maggioranza relativa di voti, potenzialmente anche molto modesta, in una maggioranza assoluta di seggi, determinerebbero irragionevolmente una oggettiva e grave alterazione della rappresentanza democratica.

Esse, inoltre, avrebbero stabilito un meccanismo di attribuzione del premio manifestamente irragionevole, il quale, da un lato, sarebbe in contrasto con l’esigenza di assicurare la governabilità, in quanto incentiverebbe il raggiungimento di accordi tra le liste al solo fine di accedere al premio, senza scongiurare il rischio che, anche immediatamente dopo le elezioni, la coalizione beneficiaria del premio possa sciogliersi, o uno o più partiti che ne facevano parte escano dalla stessa. Dall’altro, provocherebbe un’alterazione degli equilibri istituzionali, tenuto conto che la maggioranza beneficiaria del premio sarebbe in grado di eleggere gli organi di garanzia che restano in carica per un tempo più lungo della legislatura.

Tale modalità di attribuzione del premio di maggioranza stabilita dalle predette disposizioni comprometterebbe, inoltre, l’eguaglianza del voto e cioè la parità di condizione dei cittadini nel momento in cui il voto viene espresso, in violazione dell’art. 48, secondo comma, Cost. La distorsione che ne risulta non costituirebbe, infatti, un mero inconveniente di fatto, ma sarebbe il risultato di un meccanismo irrazionale normativamente programmato per determinare tale esito.

1.2.– Analoghe censure sono rivolte all’art. 17 del d.lgs. n. 533 del 1993 (concernente la disciplina dell’elezione del Senato della Repubblica), nella parte in cui stabilisce che l’Ufficio elettorale regionale verifica «se la coalizione di liste o la singola lista che ha ottenuto il maggior numero di voti validi espressi nell’àmbito della circoscrizione abbia conseguito almeno il 55 per cento dei seggi assegnati alla regione, con arrotondamento all’unità superiore» (comma 2) e che, in caso negativo, «l’ufficio elettorale regionale assegna alla coalizione di liste o alla singola lista che abbia ottenuto il maggior numero di voti un numero di seggi ulteriore necessario per raggiungere il 55 per cento dei seggi assegnati alla regione, con arrotondamento all’unità superiore» (comma 4).

Anche tali disposizioni, nella parte in cui non subordinano l’attribuzione del premio di maggioranza su scala regionale al raggiungimento di una soglia minima di voti, determinerebbero, irragionevolmente, una oggettiva e grave alterazione della rappresentanza democratica. Inoltre, avrebbero creato un meccanismo intrinsecamente irrazionale, in contrasto con lo scopo di assicurare la governabilità. Infatti, essendo detto premio diverso per ogni Regione, il risultato sarebbe una somma casuale dei premi regionali, che potrebbero finire per rovesciare il risultato ottenuto dalle liste o coalizioni di liste su base nazionale, favorendo la formazione di maggioranze parlamentari non coincidenti nei due rami del Parlamento, pur in presenza di una distribuzione del voto sostanzialmente omogenea, così da compromettere sia il funzionamento della forma di governo parlamentare, nella quale il Governo deve avere la fiducia delle due Camere (art. 94, primo comma, Cost.), sia l’esercizio della funzione legislativa, che l’art. 70 Cost. attribuisce alla Camera ed al Senato.

Le predette disposizioni violerebbero anche gli artt. 3 e 48, secondo comma, Cost., in quanto, posto che l’entità del premio, in favore della lista o coalizione che ha ottenuto più voti, varia da Regione a Regione ed è maggiore in quelle più grandi e popolose, il peso del voto – che dovrebbe essere uguale e contare allo stesso modo ai fini della traduzione in seggi – sarebbe diverso a seconda della collocazione geografica dei cittadini elettori.

1.3.– La Corte di cassazione censura, infine, l’art. 4, comma 2, del d.P.R. n. 361 del 1957 e, in via consequenziale, l’art. 59 del medesimo d.P.R., nonché l’art. 14, comma 1, del d.lgs. n. 533 del 1993, nella parte in cui, rispettivamente, prevedono: l’art. 4, comma 2, del d.P.R. n. 361 del 1957, che «Ogni elettore dispone di un voto per la scelta della lista ai fini dell’attribuzione dei seggi in ragione proporzionale, da esprimere su un’unica scheda recante il contrassegno di ciascuna lista»; l’art. 59 del medesimo d.P.R. n. 361, che «Una scheda valida per la scelta della lista rappresenta un voto di lista»; nonché l’art. 14, comma 1, del d.lgs. n. 533 del 1993, che «Il voto si esprime tracciando, con la matita, sulla scheda un solo segno, comunque apposto, sul rettangolo contenente il contrassegno della lista prescelta».

Tali disposizioni, ad avviso del rimettente, violerebbero gli artt. 56, primo comma, e 58, primo comma, Cost., i quali stabiliscono che il suffragio è diretto per l’elezione dei deputati e dei senatori; l’art. 48, secondo comma, Cost., in virtù del quale il voto è personale e libero; l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 3 del protocollo 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali firmata a Roma il 4 novembre 1950 (di seguito, CEDU), ratificata e resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848 (Ratifica ed esecuzione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali firmata a Roma il 4 novembre 1950 e del Protocollo addizionale alla Convenzione stessa, firmato a Parigi il 20 marzo 1952), che riconosce al popolo il diritto alla «scelta del corpo legislativo»; e l’art. 49 Cost. Dette norme, non consentendo all’elettore di esprimere alcuna preferenza per i candidati, ma solo di scegliere una lista di partito, cui è rimessa la designazione di tutti i candidati, renderebbero, infatti, il voto sostanzialmente “indiretto”, posto che i partiti non potrebbero sostituirsi al corpo elettorale e che l’art. 67 Cost. presupporrebbe l’esistenza di un mandato conferito direttamente dagli elettori. Inoltre, sottraendo all’elettore la facoltà di scegliere l’eletto, farebbero sì che il voto non sia libero, né personale.

2.– In ordine all’ammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale in esame, va premesso che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, siffatto controllo ai sensi dell’art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale) «va limitato all’adeguatezza delle motivazioni in ordine ai presupposti in base ai quali il giudizio a quo possa dirsi concretamente ed effettivamente instaurato, con un proprio oggetto, vale a dire un petitum, separato e distinto dalla questione di legittimità costituzionale, sul quale il giudice remittente sia chiamato a decidere» (tra le molte, sentenza n. 263 del 1994). Il riscontro dell’interesse ad agire e la verifica della legittimazione delle parti, nonché della giurisdizione del giudice rimettente, ai fini dell’apprezzamento della rilevanza dell’incidente di legittimità costituzionale, sono, inoltre, rimessi alla valutazione del giudice a quo e non sono suscettibili di riesame da parte di questa Corte, qualora sorretti da una motivazione non implausibile (fra le più recenti, sentenze n. 91 del 2013, n. 280 del 2012, n. 279 del 2012, n. 61 del 2012, n. 270 del 2010).

Nella specie, la Corte di cassazione, con motivazione ampia, articolata ed approfondita, ha plausibilmente argomentato in ordine sia alla pregiudizialità delle questioni di legittimità costituzionale rispetto alla definizione del giudizio principale, sia alla rilevanza delle medesime.

Essa ha affermato che nel giudizio principale è stata proposta un’azione di accertamento avente ad oggetto il diritto di voto, finalizzata – come tutte le azioni di tale natura, la cui generale ammissibilità è desunta dal principio dell’interesse ad agire – ad accertare la portata del diritto, ritenuta incerta. L’esistenza di detto interesse e della giurisdizione – ha sottolineato l’ordinanza – costituisce, peraltro, oggetto di un giudicato interno. La sussistenza dell’uno e dell’altra è stata, infatti, contestata dalle Amministrazioni nella fase di merito, con eccezione rigettata dal Tribunale e dalla Corte d’appello di Milano, e non è stata reiterata dinanzi alla Corte di cassazione mediante la proposizione di ricorso incidentale, con la conseguenza che deve ritenersi definitivamente precluso il riesame di tale profilo.

Il rimettente, con argomentazioni plausibili, ha altresì sottolineato, in ordine alla natura ed oggetto dell’azione, che gli attori hanno agito allo scopo «di rimuovere un pregiudizio», frutto di «una (già avvenuta) modificazione della realtà giuridica che postula di essere rimossa mediante un’attività ulteriore, giuridica e materiale, che consenta ai cittadini elettori di esercitare realmente il diritto di voto in modo pieno e in sintonia con i valori costituzionali». A suo avviso, gli attori hanno, quindi, chiesto al giudice ordinario – in qualità di giudice dei diritti – di accertare la portata del proprio diritto di voto, resa incerta da una normativa elettorale in ipotesi incostituzionale, previa l’eventuale proposizione della relativa questione. Pertanto, l’eventuale accoglimento delle questioni di legittimità costituzionale non esaurirebbe la tutela richiesta nel giudizio principale, che si realizzerebbe solo a seguito ed in virtù della pronuncia con la quale il giudice ordinario accerta il contenuto del diritto dell’attore, all’esito della sentenza di questa Corte.

Al riguardo, in ordine ai presupposti della rilevanza della questione di legittimità costituzionale, va ricordato che, secondo un principio enunciato da questa Corte fin dalle sue prime pronunce, «la circostanza che la dedotta incostituzionalità di una o più norme legislative costituisca l’unico motivo di ricorso innanzi al giudice a quo non impedisce di considerare sussistente il requisito della rilevanza, ogni qualvolta sia individuabile nel giudizio principale un petitum separato e distinto dalla questione (o dalle questioni) di legittimità costituzionale, sul quale il giudice rimettente sia chiamato a pronunciarsi» (sentenza n. 4 del 2000; ma analoga affermazione era già contenuta nella sentenza n. 59 del 1957), anche allo scopo di scongiurare «la esclusione di ogni garanzia e di ogni controllo» su taluni atti legislativi (nella specie le leggi-provvedimento: sentenza n. 59 del 1957).

Nel caso in esame, tale condizione è soddisfatta, perchè il petitum oggetto del giudizio principale è costituito dalla pronuncia di accertamento del diritto azionato, in ipotesi condizionata dalla decisione delle sollevate questioni di legittimità costituzionale, non risultando l’accertamento richiesto al giudice comune totalmente assorbito dalla sentenza di questa Corte, in quanto residuerebbe la verifica delle altre condizioni cui la legge fa dipendere il riconoscimento del diritto di voto. Per di più, nella fattispecie qui in esame, la questione ha ad oggetto un diritto fondamentale tutelato dalla Costituzione, il diritto di voto, che ha come connotato essenziale il collegamento ad un interesse del corpo sociale nel suo insieme, ed è proposta allo scopo di porre fine ad una situazione di incertezza sulla effettiva portata del predetto diritto determinata proprio da «una (già avvenuta) modificazione della realtà giuridica», in ipotesi frutto delle norme censurate.

L’ammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale sollevate nel corso di tale giudizio si desume precisamente dalla peculiarità e dal rilievo costituzionale, da un lato, del diritto oggetto di accertamento; dall’altro, della legge che, per il sospetto di illegittimità costituzionale, ne rende incerta la portata. Detta ammissibilità costituisce anche l’ineludibile corollario del principio che impone di assicurare la tutela del diritto inviolabile di voto, pregiudicato – secondo l’ordinanza del giudice rimettente – da una normativa elettorale non conforme ai principi costituzionali, indipendentemente da atti applicativi della stessa, in quanto già l’incertezza sulla portata del diritto costituisce una lesione giuridicamente rilevante. L’esigenza di garantire il principio di costituzionalità rende quindi imprescindibile affermare il sindacato di questa Corte – che «deve coprire nella misura più ampia possibile l’ordinamento giuridico» (sentenza n. 387 del 1996) – anche sulle leggi, come quelle relative alle elezioni della Camera e del Senato, «che più difficilmente verrebbero per altra via ad essa sottoposte» (sentenze n. 384 del 1991 e n. 226 del 1976).

Nel quadro di tali principi, le sollevate questioni di legittimità costituzionale sono ammissibili, anche in linea con l’esigenza che non siano sottratte al sindacato di costituzionalità le leggi, quali quelle concernenti le elezioni della Camera e del Senato, che definiscono le regole della composizione di organi costituzionali essenziali per il funzionamento di un sistema democratico-rappresentativo e che quindi non possono essere immuni da quel sindacato. Diversamente, si finirebbe con il creare una zona franca nel sistema di giustizia costituzionale proprio in un ambito strettamente connesso con l’assetto democratico, in quanto incide sul diritto fondamentale di voto; per ciò stesso, si determinerebbe un vulnus intollerabile per l’ordinamento costituzionale complessivamente considerato.

3.– Nel merito, la prima delle questioni in esame riguarda il premio di maggioranza assegnato per la elezione della Camera dei deputati. L’art. 83 del d.P.R. n. 361 del 1957 prevede che l’Ufficio elettorale nazionale verifichi «se la coalizione di liste o la singola lista che ha ottenuto il maggior numero di voti validi espressi abbia conseguito almeno 340 seggi» (comma 1, n. 5), sulla base dall’attribuzione di seggi in ragione proporzionale; e stabilisce, in caso negativo, che ad essa venga attribuito il numero di seggi necessario per raggiungere quella consistenza (comma 2).

Secondo la Corte di cassazione, tali disposizioni, non subordinando l’attribuzione del premio di maggioranza al raggiungimento di una soglia minima di voti e, quindi, trasformando una maggioranza relativa di voti, potenzialmente anche molto modesta, in una maggioranza assoluta di seggi, avrebbero stabilito, in violazione dell’art. 3 Cost., un meccanismo di attribuzione del premio manifestamente irragionevole, tale da determinare una oggettiva e grave alterazione della rappresentanza democratica, lesiva della stessa eguaglianza del voto, peraltro neppure idonea ad assicurare la stabilità di governo.

3.1.– La questione è fondata.

[QUI LA CORTE CI SPIEGA L’ILLEGITTIMITA’ DEL PREMIO DI MAGGIORANZA]

Questa Corte ha da tempo ricordato che l’Assemblea Costituente, «pur manifestando, con l’approvazione di un ordine del giorno, il favore per il sistema proporzionale nell’elezione dei membri della Camera dei deputati, non intese irrigidire questa materia sul piano normativo, costituzionalizzando una scelta proporzionalistica o disponendo formalmente in ordine ai sistemi elettorali, la configurazione dei quali resta affidata alla legge ordinaria» (sentenza n. 429 del 1995). Pertanto, la «determinazione delle formule e dei sistemi elettorali costituisce un ambito nel quale si esprime con un massimo di evidenza la politicità della scelta legislativa» (sentenza n. 242 del 2012; ordinanza n. 260 del 2002; sentenza n. 107 del 1996). Il principio costituzionale di eguaglianza del voto – ha inoltre rilevato questa Corte – esige che l’esercizio dell’elettorato attivo avvenga in condizione di parità, in quanto «ciascun voto contribuisce potenzialmente e con pari efficacia alla formazione degli organi elettivi» (sentenza n. 43 del 1961), ma «non si estende […] al risultato concreto della manifestazione di volontà dell’elettore […] che dipende […] esclusivamente dal sistema che il legislatore ordinario, non avendo la Costituzione disposto al riguardo, ha adottato per le elezioni politiche e amministrative, in relazione alle mutevoli esigenze che si ricollegano alle consultazioni popolari» (sentenza n. 43 del 1961).

Non c’è, in altri termini, un modello di sistema elettorale imposto dalla Carta costituzionale, in quanto quest’ultima lascia alla discrezionalità del legislatore la scelta del sistema che ritenga più idoneo ed efficace in considerazione del contesto storico.

Il sistema elettorale, tuttavia, pur costituendo espressione dell’ampia discrezionalità legislativa, non è esente da controllo, essendo sempre censurabile in sede di giudizio di costituzionalità quando risulti manifestamente irragionevole (sentenze n. 242 del 2012 e n. 107 del 1996; ordinanza n. 260 del 2002).

Nella specie, proprio con riguardo alle norme della legge elettorale della Camera qui in esame, relative all’attribuzione del premio di maggioranza in difetto del presupposto di una soglia minima di voti o di seggi, questa Corte, pur negando la possibilità di sindacare in sede di giudizio di ammissibilità del referendum abrogativo profili di illegittimità costituzionale, in particolare attinenti alla ragionevolezza delle predette norme, ha già segnalato l’esigenza che il Parlamento consideri con attenzione alcuni profili di un simile meccanismo. Alcuni aspetti problematici sono stati ravvisati nella circostanza che il meccanismo premiale è foriero di una eccessiva sovra-rappresentazione della lista di maggioranza relativa, in quanto consente ad una lista che abbia ottenuto un numero di voti anche relativamente esiguo di acquisire la maggioranza assoluta dei seggi. In tal modo si può verificare in concreto una distorsione fra voti espressi ed attribuzione di seggi che, pur essendo presente in qualsiasi sistema elettorale, nella specie assume una misura tale da comprometterne la compatibilità con il principio di eguaglianza del voto (sentenze n. 15 e n. 16 del 2008). Successivamente, questa Corte, stante l’inerzia del legislatore, ha rinnovato l’invito al Parlamento a considerare con attenzione i punti problematici della disciplina, così come risultante dalle modifiche introdotte con la legge n. 270 del 2005, ed ha nuovamente sottolineato i profili di irrazionalità segnalati nelle precedenti occasioni sopra ricordate, insiti nell’«attribuzione dei premi di maggioranza senza la previsione di alcuna soglia minima di voti e/o di seggi» (sentenza n. 13 del 2012); profili ritenuti, tuttavia, insindacabili in una sede diversa dal giudizio di legittimità costituzionale.

Gli stessi rilievi, nella perdurante inerzia del legislatore ordinario, non possono che essere ribaditi e, conseguentemente, devono ritenersi fondate le censure concernenti l’art. 83, comma 1, n. 5, e comma 2, del d.P.R. n. 361 del 1957. Tali disposizioni, infatti, non superano lo scrutinio di proporzionalità e di ragionevolezza, al quale soggiacciono anche le norme inerenti ai sistemi elettorali.

In ambiti connotati da un’ampia discrezionalità legislativa, quale quello in esame, siffatto scrutinio impone a questa Corte di verificare che il bilanciamento degli interessi costituzionalmente rilevanti non sia stato realizzato con modalità tali da determinare il sacrificio o la compressione di uno di essi in misura eccessiva e pertanto incompatibile con il dettato costituzionale. Tale giudizio deve svolgersi «attraverso ponderazioni relative alla proporzionalità dei mezzi prescelti dal legislatore nella sua insindacabile discrezionalità rispetto alle esigenze obiettive da soddisfare o alle finalità che intende perseguire, tenuto conto delle circostanze e delle limitazioni concretamente sussistenti» (sentenza n. 1130 del 1988). Il test di proporzionalità utilizzato da questa Corte come da molte delle giurisdizioni costituzionali europee, spesso insieme con quello di ragionevolezza, ed essenziale strumento della Corte di giustizia dell’Unione europea per il controllo giurisdizionale di legittimità degli atti dell’Unione e degli Stati membri, richiede di valutare se la norma oggetto di scrutinio, con la misura e le modalità di applicazione stabilite, sia necessaria e idonea al conseguimento di obiettivi legittimamente perseguiti, in quanto, tra più misure appropriate, prescriva quella meno restrittiva dei diritti a confronto e stabilisca oneri non sproporzionati rispetto al perseguimento di detti obiettivi.

Nella specie, le suddette condizioni non sono soddisfatte.

Le disposizioni censurate sono dirette ad agevolare la formazione di una adeguata maggioranza parlamentare, allo scopo di garantire la stabilità del governo del Paese e di rendere più rapido il processo decisionale, ciò che costituisce senz’altro un obiettivo costituzionalmente legittimo. Questo obiettivo è perseguito mediante un meccanismo premiale destinato ad essere attivato ogniqualvolta la votazione con il sistema proporzionale non abbia assicurato ad alcuna lista o coalizione di liste un numero di voti tale da tradursi in una maggioranza anche superiore a quella assoluta di seggi (340 su 630). Se dunque si verifica tale eventualità, il meccanismo premiale garantisce l’attribuzione di seggi aggiuntivi (fino alla soglia dei 340 seggi) a quella lista o coalizione di liste che abbia ottenuto anche un solo voto in più delle altre, e ciò pure nel caso che il numero di voti sia in assoluto molto esiguo, in difetto della previsione di una soglia minima di voti e/o di seggi.

Le disposizioni censurate non si limitano, tuttavia, ad introdurre un correttivo (ulteriore rispetto a quello già costituito dalla previsione di soglie di sbarramento all’accesso, di cui al n. 3 ed al n. 6 del medesimo comma 1 del citato art. 83, qui non censurati) al sistema di trasformazione dei voti in seggi «in ragione proporzionale», stabilito dall’art. 1, comma 2, del medesimo d.P.R. n. 361 del 1957, in vista del legittimo obiettivo di favorire la formazione di stabili maggioranze parlamentari e quindi di stabili governi, ma rovesciano la ratio della formula elettorale prescelta dallo stesso legislatore del 2005, che è quella di assicurare la rappresentatività dell’assemblea parlamentare. In tal modo, dette norme producono una eccessiva divaricazione tra la composizione dell’organo della rappresentanza politica, che è al centro del sistema di democrazia rappresentativa e della forma di governo parlamentare prefigurati dalla Costituzione, e la volontà dei cittadini espressa attraverso il voto, che costituisce il principale strumento di manifestazione della sovranità popolare, secondo l’art. 1, secondo comma, Cost.

In altri termini, le disposizioni in esame non impongono il raggiungimento di una soglia minima di voti alla lista (o coalizione di liste) di maggioranza relativa dei voti; e ad essa assegnano automaticamente un numero anche molto elevato di seggi, tale da trasformare, in ipotesi, una formazione che ha conseguito una percentuale pur molto ridotta di suffragi in quella che raggiunge la maggioranza assoluta dei componenti dell’assemblea. Risulta, pertanto, palese che in tal modo esse consentono una illimitata compressione della rappresentatività dell’assemblea parlamentare, incompatibile con i principi costituzionali in base ai quali le assemblee parlamentari sono sedi esclusive della «rappresentanza politica nazionale» (art. 67 Cost.), si fondano sull’espressione del voto e quindi della sovranità popolare, ed in virtù di ciò ad esse sono affidate funzioni fondamentali, dotate di «una caratterizzazione tipica ed infungibile» (sentenza n. 106 del 2002), fra le quali vi sono, accanto a quelle di indirizzo e controllo del governo, anche le delicate funzioni connesse alla stessa garanzia della Costituzione (art. 138 Cost.): ciò che peraltro distingue il Parlamento da altre assemblee rappresentative di enti territoriali.

Il meccanismo di attribuzione del premio di maggioranza prefigurato dalle norme censurate, inserite nel sistema proporzionale introdotto con la legge n. 270 del 2005, in quanto combinato con l’assenza di una ragionevole soglia di voti minima per competere all’assegnazione del premio, è pertanto tale da determinare un’alterazione del circuito democratico definito dalla Costituzione, basato sul principio fondamentale di eguaglianza del voto (art. 48, secondo comma, Cost.). Esso, infatti, pur non vincolando il legislatore ordinario alla scelta di un determinato sistema, esige comunque che ciascun voto contribuisca potenzialmente e con pari efficacia alla formazione degli organi elettivi (sentenza n. 43 del 1961) ed assume sfumature diverse in funzione del sistema elettorale prescelto. In ordinamenti costituzionali omogenei a quello italiano, nei quali pure è contemplato detto principio e non è costituzionalizzata la formula elettorale, il giudice costituzionale ha espressamente riconosciuto, da tempo, che, qualora il legislatore adotti il sistema proporzionale, anche solo in modo parziale, esso genera nell’elettore la legittima aspettativa che non si determini uno squilibrio sugli effetti del voto, e cioè una diseguale valutazione del “peso” del voto “in uscita”, ai fini dell’attribuzione dei seggi, che non sia necessaria ad evitare un pregiudizio per la funzionalità dell’organo parlamentare (BVerfGE, sentenza 3/11 del 25 luglio 2012; ma v. già la sentenza n. 197 del 22 maggio 1979 e la sentenza n. 1 del 5 aprile 1952).

Le norme censurate, pur perseguendo un obiettivo di rilievo costituzionale, qual è quello della stabilità del governo del Paese e dell’efficienza dei processi decisionali nell’ambito parlamentare, dettano una disciplina che non rispetta il vincolo del minor sacrificio possibile degli altri interessi e valori costituzionalmente protetti, ponendosi in contrasto con gli artt. 1, secondo comma, 3, 48, secondo comma, e 67 Cost. In definitiva, detta disciplina non è proporzionata rispetto all’obiettivo perseguito, posto che determina una compressione della funzione rappresentativa dell’assemblea, nonché dell’eguale diritto di voto, eccessiva e tale da produrre un’alterazione profonda della composizione della rappresentanza democratica, sulla quale si fonda l’intera architettura dell’ordinamento costituzionale vigente.

Deve, quindi, essere dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 83, comma 1, n. 5, e comma 2, del d.P.R. n. 361 del 1957.

4.– Le medesime argomentazioni vanno svolte anche in relazione alle censure sollevate, in relazione agli stessi parametri costituzionali, nei confronti dell’art. 17, commi 2 e 4, del d.lgs. n. 533 del 1993, che disciplina il premio di maggioranza per le elezioni del Senato della Repubblica, prevedendo che l’Ufficio elettorale regionale, qualora la coalizione di liste o la singola lista, che abbiano ottenuto il maggior numero di voti validi espressi nell’àmbito della circoscrizione, non abbiano conseguito almeno il 55 per cento dei seggi assegnati alla regione, assegni alle medesime un numero di seggi ulteriore necessario per raggiungere il 55 per cento dei seggi assegnati alla regione.

Anche queste norme, nell’attribuire in siffatto modo il premio della maggioranza assoluta, in ambito regionale, alla lista (o coalizione di liste) che abbia ottenuto semplicemente un numero maggiore di voti rispetto alle altre liste, in difetto del raggiungimento di una soglia minima, contengono una disciplina manifestamente irragionevole, che comprime la rappresentatività dell’assemblea parlamentare, attraverso la quale si esprime la sovranità popolare, in misura sproporzionata rispetto all’obiettivo perseguito (garantire la stabilità di governo e l’efficienza decisionale del sistema), incidendo anche sull’eguaglianza del voto, in violazione degli artt. 1, secondo comma, 3, 48, secondo comma, e 67 Cost.

Nella specie, il test di proporzionalità evidenzia, oltre al difetto di proporzionalità in senso stretto della disciplina censurata, anche l’inidoneità della stessa al raggiungimento dell’obiettivo perseguito, in modo più netto rispetto alla disciplina prevista per l’elezione della Camera dei deputati. Essa, infatti, stabilendo che l’attribuzione del premio di maggioranza è su scala regionale, produce l’effetto che la maggioranza in seno all’assemblea del Senato sia il risultato casuale di una somma di premi regionali, che può finire per rovesciare il risultato ottenuto dalle liste o coalizioni di liste su base nazionale, favorendo la formazione di maggioranze parlamentari non coincidenti nei due rami del Parlamento, pur in presenza di una distribuzione del voto nell’insieme sostanzialmente omogenea. Ciò rischia di compromettere sia il funzionamento della forma di governo parlamentare delineata dalla Costituzione repubblicana, nella quale il Governo deve avere la fiducia delle due Camere (art. 94, primo comma, Cost.), sia l’esercizio della funzione legislativa, che l’art. 70 Cost. attribuisce collettivamente alla Camera ed al Senato. In definitiva, rischia di vanificare il risultato che si intende conseguire con un’adeguata stabilità della maggioranza parlamentare e del governo. E benché tali profili costituiscano, in larga misura, l’oggetto di scelte politiche riservate al legislatore ordinario, questa Corte ha tuttavia il dovere di verificare se la disciplina legislativa violi manifestamente, come nella specie, i principi di proporzionalità e ragionevolezza e, pertanto, sia lesiva degli artt. 1, secondo comma, 3, 48, secondo comma, e 67 Cost.

Deve, pertanto, dichiararsi l’illegittimità costituzionale dell’art. 17, commi 2 e 4, del d.lgs. n. 533 del 1993.

[SULLE CD. LISTE BLOCCATE]

5.– Occorre, infine, esaminare le censure relative all’art. 4, comma 2, del d.P.R. n. 361 del 1957 e, in via consequenziale, all’art. 59, comma 1, del medesimo d.P.R., nonché all’art. 14, comma 1, del d.lgs. n. 533 del 1993, nella parte in cui, rispettivamente, prevedono: l’art. 4, comma 2, del d.P.R. n. 361 del 1957, che «Ogni elettore dispone di un voto per la scelta della lista ai fini dell’attribuzione dei seggi in ragione proporzionale, da esprimere su un’unica scheda recante il contrassegno di ciascuna lista»; l’art. 59 del medesimo d.P.R. n. 361, che «Una scheda valida per la scelta della lista rappresenta un voto di lista»; nonché l’art. 14, comma 1, del d.lgs. n. 533 del 1993, che «Il voto si esprime tracciando, con la matita, sulla scheda un solo segno, comunque apposto, sul rettangolo contenente il contrassegno della lista prescelta».

Secondo il rimettente, tali disposizioni, non consentendo all’elettore di esprimere alcuna preferenza, ma solo di scegliere una lista di partito, cui è rimessa la designazione e la collocazione in lista di tutti i candidati, renderebbero il voto sostanzialmente “indiretto”, posto che i partiti non possono sostituirsi al corpo elettorale e che l’art. 67 Cost. presuppone l’esistenza di un mandato conferito direttamente dagli elettori. Ciò violerebbe gli artt. 56, primo comma, e 58, primo comma, Cost., l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 3 del protocollo 1 della CEDU, che riconosce al popolo il diritto alla “scelta del corpo legislativo”, e l’art. 49 Cost. Inoltre, sottraendo all’elettore la facoltà di scegliere l’eletto, farebbero sì che il voto non sia né libero, né personale, in violazione dell’art. 48, secondo comma, Cost.

5.1.– La questione è fondata nei termini di seguito precisati.

Le norme censurate, concernenti le modalità di espressione del voto per l’elezione dei componenti, rispettivamente, della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, si inseriscono in un contesto normativo in base al quale tale voto avviene per liste concorrenti di candidati (art. 1, comma 1, del d.P.R. n. 361 del 1957; art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 533 del 1993), presentati «secondo un determinato ordine», in numero «non inferiore a un terzo e non superiore ai seggi assegnati alla circoscrizione» (art. 18-bis, comma 3, del d.P.R. n. 361 del 1957 ed art. 8, comma 4, del d.lgs. n. 533 del 1993). Le circoscrizioni elettorali, la cui disciplina non è investita dalle censure qui esaminate, corrispondono sempre, per il Senato, ai territori delle Regioni (art. 2 del d.lgs. n. 533 del 1993); per la Camera dei deputati (Allegato A alla legge n. 270 del 2005), le circoscrizioni corrispondono ai territori regionali, con l’eccezione delle Regioni di maggiori dimensioni, nelle quali sono presenti due circoscrizioni (Piemonte, Veneto, Lazio, Campania e Sicilia) o tre (Lombardia).

La ripartizione dei seggi tra le liste concorrenti è, inoltre, effettuata in ragione proporzionale, con l’eventuale attribuzione del premio di maggioranza (art. 1, comma 2, del d.P.R. n. 361 del 1957), che è definito, per il Senato, «di coalizione regionale» (art. 1, comma 2, d.lgs. n. 533 del 1993); e sono proclamati «eletti, nei limiti dei seggi ai quali ciascuna lista ha diritto, i candidati compresi nella lista medesima, secondo l’ordine di presentazione» nella lista (art. 84, comma 1, del d.P.R. n. 361 del 1957 ed art. 17, comma 7, del d.lgs. n. 533 del 1993).

In questo quadro, le disposizioni censurate, nello stabilire che il voto espresso dall’elettore, destinato a determinare per intero la composizione della Camera e del Senato, è un voto per la scelta della lista, escludono ogni facoltà dell’elettore di incidere sull’elezione dei propri rappresentanti, la quale dipende, oltre che, ovviamente, dal numero dei seggi ottenuti dalla lista di appartenenza, dall’ordine di presentazione dei candidati nella stessa, ordine di presentazione che è sostanzialmente deciso dai partiti. La scelta dell’elettore, in altri termini, si traduce in un voto di preferenza esclusivamente per la lista, che – in quanto presentata in circoscrizioni elettorali molto ampie, come si è rilevato – contiene un numero assai elevato di candidati, che può corrispondere all’intero numero dei seggi assegnati alla circoscrizione, e li rende, di conseguenza, difficilmente conoscibili dall’elettore stesso.

Una simile disciplina priva l’elettore di ogni margine di scelta dei propri rappresentanti, scelta che è totalmente rimessa ai partiti. A tal proposito, questa Corte ha chiarito che «le funzioni attribuite ai partiti politici dalla legge ordinaria al fine di eleggere le assemblee – quali la “presentazione di alternative elettorali” e la “selezione dei candidati alle cariche elettive pubbliche” – non consentono di desumere l’esistenza di attribuzioni costituzionali, ma costituiscono il modo in cui il legislatore ordinario ha ritenuto di raccordare il diritto, costituzionalmente riconosciuto ai cittadini, di associarsi in una pluralità di partiti con la rappresentanza politica, necessaria per concorrere nell’ambito del procedimento elettorale, e trovano solo un fondamento nello stesso art. 49 Cost.» (ordinanza n. 79 del 2006). Simili funzioni devono, quindi, essere preordinate ad agevolare la partecipazione alla vita politica dei cittadini ed alla realizzazione di linee programmatiche che le formazioni politiche sottopongono al corpo elettorale, al fine di consentire una scelta più chiara e consapevole anche in riferimento ai candidati.

Sulla base di analoghi argomenti, questa Corte si è già espressa, sia pure con riferimento al sistema elettorale vigente nel 1975 per i Comuni al di sotto dei 5.000 abitanti, contraddistinto anche esso dalla ripartizione dei seggi in ragione proporzionale fra liste concorrenti di candidati. In quella occasione, la Corte ha affermato che la circostanza che il legislatore abbia lasciato ai partiti il compito di indicare l’ordine di presentazione delle candidature non lede in alcun modo la libertà di voto del cittadino: a condizione che quest’ultimo sia «pur sempre libero e garantito nella sua manifestazione di volontà, sia nella scelta del raggruppamento che concorre alle elezioni, sia nel votare questo o quel candidato incluso nella lista prescelta, attraverso il voto di preferenza» (sentenza n. 203 del 1975).

Nella specie, tale libertà risulta compromessa, posto che il cittadino è chiamato a determinare l’elezione di tutti i deputati e di tutti senatori, votando un elenco spesso assai lungo (nelle circoscrizioni più popolose) di candidati, che difficilmente conosce. Questi, invero, sono individuati sulla base di scelte operate dai partiti, che si riflettono nell’ordine di presentazione, sì che anche l’aspettativa relativa all’elezione in riferimento allo stesso ordine di lista può essere delusa, tenuto conto della possibilità di candidature multiple e della facoltà dell’eletto di optare per altre circoscrizioni sulla base delle indicazioni del partito.

In definitiva, è la circostanza che alla totalità dei parlamentari eletti, senza alcuna eccezione, manca il sostegno della indicazione personale dei cittadini, che ferisce la logica della rappresentanza consegnata nella Costituzione. Simili condizioni di voto, che impongono al cittadino, scegliendo una lista, di scegliere in blocco anche tutti i numerosi candidati in essa elencati, che non ha avuto modo di conoscere e valutare e che sono automaticamente destinati, in ragione della posizione in lista, a diventare deputati o senatori, rendono la disciplina in esame non comparabile né con altri sistemi caratterizzati da liste bloccate solo per una parte dei seggi, né con altri caratterizzati da circoscrizioni elettorali di dimensioni territorialmente ridotte, nelle quali il numero dei candidati da eleggere sia talmente esiguo da garantire l’effettiva conoscibilità degli stessi e con essa l’effettività della scelta e la libertà del voto (al pari di quanto accade nel caso dei collegi uninominali).

Le condizioni stabilite dalle norme censurate sono, viceversa, tali da alterare per l’intero complesso dei parlamentari il rapporto di rappresentanza fra elettori ed eletti. Anzi, impedendo che esso si costituisca correttamente e direttamente, coartano la libertà di scelta degli elettori nell’elezione dei propri rappresentanti in Parlamento, che costituisce una delle principali espressioni della sovranità popolare, e pertanto contraddicono il principio democratico, incidendo sulla stessa libertà del voto di cui all’art. 48 Cost. (sentenza n. 16 del 1978).

Deve, pertanto, essere dichiarata l’illegittimità costituzionale degli artt. 4, comma 2, e 59 del d.P.R. n. 361 del 1957, nonché dell’art. 14, comma 1, del d.lgs. n. 533 del 1993, nella parte in cui non consentono all’elettore di esprimere una preferenza per i candidati, al fine di determinarne l’elezione.

Resta, pertanto, assorbita la questione proposta in riferimento all’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 3 del protocollo 1 della CEDU. Peraltro, nessun rilievo assume la sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo del 13 marzo 2012 (caso Saccomanno e altri contro Italia), resa a seguito di un ricorso proposto da alcuni cittadini italiani che deducevano la pretesa violazione di quel parametro precisamente dalle norme elettorali qui in esame, sentenza che ha dichiarato tutti i motivi di ricorso manifestamente infondati, sul presupposto dell’«ampio margine di discrezionalità di cui dispongono gli Stati in materia» (paragrafo 64). Spetta, in definitiva, a questa Corte di verificare la compatibilità delle norme in questione con la Costituzione.

[QUI LA CORTE CI SPIEGA CON QUALE LEGGE SI ANDREBBE A VOTARE ALO STATO ATTUALE]

6.– La normativa che resta in vigore per effetto della dichiarata illegittimità costituzionale delle disposizioni oggetto delle questioni sollevate dalla Corte di cassazione è «complessivamente idonea a garantire il rinnovo, in ogni momento, dell’organo costituzionale elettivo», così come richiesto dalla costante giurisprudenza di questa Corte (da ultimo, sentenza n. 13 del 2012). Le leggi elettorali sono, infatti, “costituzionalmente necessarie”, in quanto «indispensabili per assicurare il funzionamento e la continuità degli organi costituzionali» (sentenza n. 13 del 2012; analogamente, sentenze n. 15 e n. 16 del 2008, n. 13 del 1999, n. 26 del 1997, n. 5 del 1995, n. 32 del 1993, n. 47 del 1991, n. 29 del 1987), dovendosi inoltre scongiurare l’eventualità di «paralizzare il potere di scioglimento del Presidente della Repubblica previsto dall’art. 88 Cost.» (sentenza n. 13 del 2012).

In particolare, la normativa che rimane in vigore stabilisce un meccanismo di trasformazione dei voti in seggi che consente l’attribuzione di tutti i seggi, in relazione a circoscrizioni elettorali che rimangono immutate, sia per la Camera che per il Senato. Ciò che resta, invero, è precisamente il meccanismo in ragione proporzionale delineato dall’art. 1 del d.P.R. n. 361 del 1957 e dall’art. 1 del d.lgs. n. 533 del 1993, depurato dell’attribuzione del premio di maggioranza; e le norme censurate riguardanti l’espressione del voto risultano integrate in modo da consentire un voto di preferenza. Non rientra tra i compiti di questa Corte valutare l’opportunità e/o l’efficacia di tale meccanismo, spettando ad essa solo di verificare la conformità alla Costituzione delle specifiche norme censurate e la possibilità immediata di procedere ad elezioni con la restante normativa, condizione, quest’ultima, connessa alla natura della legge elettorale di «legge costituzionalmente necessaria» (sentenza n. 32 del 1993). D’altra parte, la rimettente Corte di cassazione aveva significativamente puntualizzato che «la proposta questione di legittimità costituzionale non mira a far caducare l’intera legge n. 270/2005 né a sostituirla con un’altra eterogenea impingendo nella discrezionalità del legislatore, ma a ripristinare nella legge elettorale contenuti costituzionalmente obbligati (concernenti la disciplina del premio di maggioranza e delle preferenze), senza compromettere la permanente idoneità del sistema elettorale a garantire il rinnovo degli organi costituzionali», fatta salva «l’eventualità che si renda necessaria un’opera di mera cosmesi normativa e di ripulitura del testo per la presenza di frammenti normativi residui, che può essere realizzata dalla Corte costituzionale, avvalendosi dei poteri che ha a disposizione».

La presente decisione non può andare al di là di quanto ipotizzato e richiesto dal giudice rimettente.

Per quanto riguarda la possibilità per l’elettore di esprimere un voto di preferenza, eventuali apparenti inconvenienti, che comunque «non incidono sull’operatività del sistema elettorale, né paralizzano la funzionalità dell’organo» (sentenza n. 32 del 1993), possono essere risolti mediante l’impiego degli ordinari criteri d’interpretazione, alla luce di una rilettura delle norme già vigenti coerente con la pronuncia di questa Corte: come, ad esempio, con riferimento alle previsioni, di cui agli artt. 84, comma 1, del d.P.R. n. 361 del 1957, e 17, comma 7, del d.lgs. n. 533 del 1993, che, nella parte in cui stabiliscono che sono proclamati eletti, nei limiti dei seggi ai quali ciascuna lista ha diritto, i candidati compresi nella lista medesima «secondo l’ordine di presentazione», non appaiono incompatibili con l’introduzione del voto di preferenza, dovendosi ritenere l’ordine di lista operante solo in assenza di espressione della preferenza; o, ancora, con riguardo alle modalità di redazione delle schede elettorali di cui all’art. 31 del d.P.R. n. 361 del 1957 ed all’art. 11, comma 3, del d.lgs n. 533 del 1993, che, nello stabilire che nella scheda devono essere riprodotti i contrassegni di tutte le liste regolarmente presentate nella circoscrizione, secondo il fac-simile di cui agli allegati, non escludono che quegli schemi siano integrati da uno spazio per l’espressione della preferenza; o, quanto alla possibilità di intendere l’espressione della preferenza come preferenza unica, in linea con quanto risultante dal referendum del 1991, ammesso con sentenza n. 47 del 1991, in relazione alle formule elettorali proporzionali. Simili eventuali inconvenienti potranno, d’altro canto, essere rimossi anche mediante interventi normativi secondari, meramente tecnici ed applicativi della presente pronuncia e delle soluzioni interpretative sopra indicate. Resta fermo ovviamente, che lo stesso legislatore ordinario, ove lo ritenga, «potrà correggere, modificare o integrare la disciplina residua» (sentenza n. 32 del 1993).

7.– È evidente, infine, che la decisione che si assume, di annullamento delle norme censurate, avendo modificato in parte qua la normativa che disciplina le elezioni per la Camera e per il Senato, produrrà i suoi effetti esclusivamente in occasione di una nuova consultazione elettorale, consultazione che si dovrà effettuare o secondo le regole contenute nella normativa che resta in vigore a seguito della presente decisione, ovvero secondo la nuova normativa elettorale eventualmente adottata dalle Camere.

Essa, pertanto, non tocca in alcun modo gli atti posti in essere in conseguenza di quanto stabilito durante il vigore delle norme annullate, compresi gli esiti delle elezioni svoltesi e gli atti adottati dal Parlamento eletto. Vale appena ricordare che il principio secondo il quale gli effetti delle sentenze di accoglimento di questa Corte, alla stregua dell’art. 136 Cost. e dell’art. 30 della legge n. 87 del 1953, risalgono fino al momento di entrata in vigore della norma annullata, principio «che suole essere enunciato con il ricorso alla formula della c.d. “retroattività” di dette sentenze, vale però soltanto per i rapporti tuttora pendenti, con conseguente esclusione di quelli esauriti, i quali rimangono regolati dalla legge dichiarata invalida» (sentenza n. 139 del 1984).

Le elezioni che si sono svolte in applicazione anche delle norme elettorali dichiarate costituzionalmente illegittime costituiscono, in definitiva, e con ogni evidenza, un fatto concluso, posto che il processo di composizione delle Camere si compie con la proclamazione degli eletti.

Del pari, non sono riguardati gli atti che le Camere adotteranno prima che si svolgano nuove consultazioni elettorali.

Rileva nella specie il principio fondamentale della continuità dello Stato, che non è un’astrazione e dunque si realizza in concreto attraverso la continuità in particolare dei suoi organi costituzionali: di tutti gli organi costituzionali, a cominciare dal Parlamento. È pertanto fuori di ogni ragionevole dubbio – è appena il caso di ribadirlo – che nessuna incidenza è in grado di spiegare la presente decisione neppure con riferimento agli atti che le Camere adotteranno prima di nuove consultazioni elettorali: le Camere sono organi costituzionalmente necessari ed indefettibili e non possono in alcun momento cessare di esistere o perdere la capacità di deliberare. Tanto ciò è vero che, proprio al fine di assicurare la continuità dello Stato, è la stessa Costituzione a prevedere, ad esempio, a seguito delle elezioni, la prorogatio dei poteri delle Camere precedenti «finchè non siano riunite le nuove Camere» (art. 61 Cost.), come anche a prescrivere che le Camere, «anche se sciolte, sono appositamente convocate e si riuniscono entro cinque giorni» per la conversione in legge di decreti-legge adottati dal Governo (art. 77, secondo comma, Cost.).

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 83, comma 1, n. 5, e comma 2, del d.P.R. 30 marzo 1957 n. 361 (Approvazione del testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati);

2) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 17, commi 2 e 4, del decreto legislativo 20 dicembre 1993, n. 533 (Testo unico delle leggi recanti norme per l’elezione del Senato della Repubblica);

3) dichiara l’illegittimità costituzionale degli artt. 4, comma 2, e 59 del d.P.R. n. 361 del 1957, nonché dell’art. 14, comma 1, del d.lgs. n. 533 del 1993, nella parte in cui non consentono all’elettore di esprimere una preferenza per i candidati.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 dicembre 2013.

F.to: Gaetano SILVESTRI, Presidente Giuseppe TESAURO, Redattore Gabriella MELATTI, Cancelliere Depositata in Cancelleria il 13 gennaio 2014.

Sequestro Corte dei Conti, Stadio San Paolo e la politica supina ai voleri del “patron”

stadioIl caso dello stadio San Paolo è il simbolo dell’atteggiamento della politica verso i potenti. Nonostante il patron non adempia ai suoi obblighi avendo maturato un debito di oltre 5.000.000,00 di €. (così come del resto hanno fatto i suoi predecessori), l’amministrazione è assolutamente piegata ai voleri del club e, pertanto, è pronta ad accontentarlo in ogni suo capriccio, spesso con le tasche dei contribuenti. Da quando presiedo la Commissione Sport ed impianti sportivi ho ingaggiato, insieme ai compagni di Ricostruzione Democratica, una vera e propria battaglia di diritti, legalità ed uguaglianza, ma niente da fare! Basta che il Padrone schiocchi le dita che subito l’amministrazione si mette in moto. Ecco le ultime determine di spesa a carico dei cittadini napoletani che ci sono costate 58.000,€. per lavori di copertura dello stadio (clikka), ed €. 101.000,00 per  lavori all’impianto antincendio (clikka); €. 63.529,14 per lavori sugli spalti (clikka); €. 131.251,56, per lavori impianti antincendio (clikka); €. 13.908,00 per lavori Impianto wi fi (clikka). Ovviamente tutti lavori a carico del Comune, per contratto, ma fatti eseguire dalla società Calcio Napoli che ha curaro anche la progettazione e che di questo passo si sta trasformando da società calcistica a società di costruzioni. Ebbene, atteso l’inadempimento del Patron alla convenzione, assolutamente vantaggiosa per il club, il Comune avrebbe potuto dire, prima mi paghi e poi vediamo per i lavori, e se non provvedi subito, non ti consegno lo stadio per la prossima partita! Sarebbe bastato far saltare anche una sola partita per rimettere a posto le cose.

Ovviamente per fare questo occorrerebbe una politica forte in grado di interloquire con il potente di turno e dire, chiaramente, che l’interesse pubblico viene prima dell’interesse particolare, compreso quello del calcio napoli. Niente di tutto ciò il Patron schiocca le dita, ancora una volta, ed ottiene dall’Amministrazione l’autorizzazione a realizzare una tribuna riservata (clikka) per le famiglie dei calciatori, per fortuna a spese sue! Ebbene con questi 366.688,70 €., ultimi di una lunga serie, si sarebbero potute mettere molte cose a posto ad esempio nel Palastadera (facendo una guaina isolante al lastrico solare), ovvero ottenere l’agibilità per gli spalti al campo di calcio Hugo Pratt di Scampia, oppure, eliminando le infiltrazioni negli spogliatoi del Campo di Calcio di Via Lieti adeguando anche gli altri due campetti di calcetto. Cose che ho visto io con i miei occhi con tre ultimi sopralluoghi per i quali ho redatto una relazione (clikka) che ho inviato ai componenti della commissione (troppo impegnati, per partecipare a questa importante attività di verifica) ed al Sindaco. Impianti sportivi che fanno fare sport a migliaia di ragazzini napoletani e dei quali l’amministrazione, a questo punto, si disinteressa ,troppo impegnata a servire il patron con le nostre tasche!

Oggi(20.02.2014) tutti i giornali cittadini danno la notizia del sequestro dei c/c della società Calcio Napoli eseguito su richiesta della Procura Regionale della Corte dei Conti. Purtroppo ancora una volta la magistratura arriva prima della politica: il Mattino di Napoli (clikka)il Mattino di Napoli (clikka)Repubblica Napoli (clikka)corriere del mezzogirno (clikka)

Da Repubblica Napoli del 9.02.2014

Una tribuna per le famiglie dei calciatori

San Paolo, proroga di un anno. Ma spunta Afragola

ALESSIO GEMMA

UNO spazio accogliente con divani e sedie per ristorarsi. E un angolo per i bambini che non seguono la partita. Il presidente del Napoli, Aurelio de Laurentiis, ha un conto aperto per il fitto dello stadio San Paolo, ma intanto il Comune lo autorizza ad allestire una mini tribuna per le famiglie dei calciatori. Il nulla osta è stato rilasciato il 14 novembre scorso con voto unanime della giunta de Magistris. Si tratta di una struttura smontabile «utilizzata per offrire comfort e sicurezza ai parenti dei giocatori con conseguente eliminazione di uno dei fattori di stress per gli atleti». Tutto a spese della società sportiva e giudicato dagli uffici tecnici di Palazzo San Giacomo in linea con la normativa edilizia. Ha le caratteristiche di uno «standfieristico, costruito con scatolari metallici e pannelli di legno». Per garantire la privacy a mogli e figli dei calciatori sarà «chiuso perimetralmente e coperto superiormente ». Per i servizi igienici sono previsti due container sanitari. Andrà a occupare lo spazio sotto la tribuna Posillipo e «contribuirà a migliorare le condizioni di fruibilità e decorodello stadio comunale». La prima richiesta per la «nuova area ospitalità» è datata 27 agosto scorso. È il direttore marketing del Napoli, Alessandro Formisano, a scrivere al capo di gabinetto Attilio Auricchio e al vicedirettore generale Giuseppe Pulli. Da piazza Municipio parte il cenno di intesa: ma prima i tecnici del Comune vogliono vedere grafici e piantina dell’allestimento. Le carte arrivano a Palazzo il 10 ottobre e il 28 dello stesso mese è pronta la delibera. Verrà approvata in giunta appena due settimane dopo, il 14 novembre scorso. Incrocio di date. Proprio due giorni prima, il 12 novembre, De Laurentiis era stato in consiglio comunale per discutere dello stadio San Paolo. E lì sfogò tutta la sua rabbia contro la giunta de Magistris. Di fronte, oltre ai consiglieri della commissione sport, aveva proprio il capo di gabinetto Auricchio: «Io non mi fido più — disse il presidente del Napoli — qualche giorno fa mi è arrivata dal Comune una nuova transazione completamente rivoluzionata rispetto all’accordo di undici mesi fa».

Già, perché sulla concessione dello stadio di proprietà di Palazzo San Giacomo, il Napoli ha debiti per circa 5 milioni con l’ente per fitti non pagati e introiti pubblicitari non versati al Comune. A dicembre 2012 fu sottoscritto un accordo bonario tra il sindaco e il presidente, rimasto carta straccia. E il 12 novembre a via Verdi De Laurentiis lamentava proprio il mancato perfezionamento di quella transazione. Il motivo?Sui rapporti tra il Napoli e Palazzo San Giacomo è in corso una indagine della Corte dei conti con l’ipotesi di danno erariale. La Guardia di Finanza è già stata al San Paolo.

Attacca il presidente della commissione sport, Gennaro Esposito: «L’amministrazione ha sempre un atteggiamento supino a ogni volere di De Laurentiis, dimenticandosi poi di curare altri importanti impianti sportivi per i quali basterebbe poco. Mentre si autorizza al San Paolo un’area accoglienza per le famiglie dei calciatori, al campo di calcio Hugo Pratt di Scampia manca ancora l’agibilità degli spalti. Non si potrà rinnovare così com’è il rapporto con il Napoli perché troppo squilibrato a favore della società sportiva».

Intanto sindaco e presidente si sono rivisti di recente e si andrebbe verso la proroga di un anno dell’attuale convenzione in scadenza a giugno. Nessuno ora riveli a de Magistris che un mese fa De Laurentiis è stato in avanscoperta ad Afragola. C’è accanto alla stazione della Tav lo spazio per realizzare un nuovo stadio e il sogno di una “cittadella del Napoli”.

Articoli sullo Stadio San Paolo (clikka)

Il Palazzo di Ingiustizia di Napoli

palazzodigiustiziaHo sempre pensato che nella inadeguatezza e nei disservizi si manifestano due tipi di dipendenti pubblici: Quelli che si mortificano e quelli che ci sguazzano aggravando lo stato di ingiustizia. A 45 anni e venti anni di professione di avvocato ho ancora la forza di indignarmi! Non so, però, quanto tempo ancora! Noi avvocati di Napoli, infatti, “abitiamo” una buona parte della nostra giornata in un inconcepibile edificio che ci costringe a fare o file estenuanti, con il cuore in gola, per il timore di arrivare tardi all’aula di udienza e vederci provveduta la causa, ovvero, estenuanti scalate, anche di oltre 20 piani, su scale di emergenza per non arrivare tardi all’udienza. Se vai in Tribunale, infatti, non fai solo le udienza ma, semmai, prima hai notificato, chiesto copie o fatto qualche altro adempimento. Noi avvocati del foro di Napoli facciamo anche la pallina di ping pong tra un piano e l’altro, scalando differenze anche di dieci/quindici piani in salita e discesa, perché è impossibile prendere un ascensore ad un piano intermedio per il semplice fatto che non si prenotano tutti ma solo due. Quando ci provo a prenderne uno, ad un piano intermedio, dopo il primo minuto, pensando agli avvocati anziani, ovvero, a quelli che, seppure giovani, hanno qualche problema, mi viene prima un senso di rabbia e poi di mortificazione e vergogna per la profonda inciviltà di un palazzo che dovrebbe essere di Giustizia ed invece è di profonda Ingiustizia. Una delle punte massime dello sconforto l’ho sperimentata, ieri (07.02.2014) con il ritiro delle produzioni, scoprendo che in Corte di Appello non c’è una sezione che abbia gli stessi giorni per il ritiro. Ovviamente mi sono rivolto al dirigente della sezione che, con grande e raro senso di dedizione si è scusato e poi mi ha chiesto di andare dal commesso per avere comunque la produzione, pur non essendo quello il giorno giusto, chiedendomi però di andare dal dirigente coordinatore per far presente il problema generale. L’impatto col commesso ovviamente è stato traumatico sin dall’inizio. L’avevo, infatti, più o meno individuato ed alla mia domanda se era il commesso egli ma ha risposto che non lavorava in un negozio e che dovevo aspettare. Stava, infatti, curando un “affare” di un collega per controllargli una causa al computer, forse in modo abusivo, per spirito di colleganza. Ero in compagnia di un altro collega e quasi quasi ci era venuta l’idea che avremmo potuto sollecitarlo, semmai, con qualche “mancetta” per poi denunciarlo, ma ovviamente avremmo perso una giornata, meglio resistere ed attendere con pazienza. Conquistate le carte, ovviamente, scendo di tre piani, a piedi, e vado dal dirigente coordinatore a cui una volta spiegato il problema ottengo solo una “allargata” di braccia ed un attestato di solidarietà di cui ovviamente non me ne faccio nulla! Il Dirigente, infatti, mi dice: “avvocato mia figlia è avvocato e la capisco bene!” Mi sovviene poi il dubbio che la figlia del dirigente forse potrebbe avere qualche accesso privilegiato ma non mi soffermo e scendo, sempre a piedi, dal 24° al 19° per chiedere all’impiegato di turno che fine avesse fatto una produzione proveniente da una sezione distaccata soppressa. L’impiegato mi manda al 5° piano, al quale ovviamente giungo a piedi sempre per le scale di emergenza, questi mi dice di andare al piano meno due e, quindi, altri sette piani a piedi. Giunto a destinazione l’impatto qui è stato traumatico perché il commesso che trovo mi riferisce che le produzioni del civile delle sezioni distaccate c’erano ma egli era addetto al penale, quindi, sarei dovuto ritornare al 5° piano e chiedere al dirigente di farmi accompagnare da un commesso perché il “poveretto” non poteva prendere anche i fascicoli del civile! Ovviamente, le strade erano due, o tentare con una mancetta, oppure avere uno scatto d’ira. Ovviamente per me c’è stato lo scatto d’ira! C’era anche un collega più giovane di me che ha cercato di calmarmi e col quale mi sono incamminato verso il 5° piano, gli ho chiesto va bene saliamo a piedi facciamo prima e questi mi dice no io salgo con l’ascensore non ce la faccio io fumo non ho fiato. Queste parole mi hanno fatto sentire tutto il peso della sconfitta. Una collega che ho incontrato (le donne sono sempre più pratiche) giustamente mi ha detto, Gennaro hai due strade (sempre le solite) o vai e mantieni il punto, ma ti sarà difficile ottenere qualcosa, oppure vai dal dipendente, gli dai la mancetta e ti risolve tutto lui. Me ne sono andato dal Palazzo di Giustizia con un profondo senso di ingiustizia!

Gennaro Esposito Avvocato di quel che resta del Foro di Napoli

Vedi anche:

Le elezioni al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Napoli 2015 (clikka)

Razzi e l’italiano del “fatti li cazzi tua”

scippoL’articolo che leggo oggi (06.02.2014) su Repubblica Napoli di Concita Sannino mi suscita un senso di disagio, spero che abbia avuto lo stesso effetto negli altri. Manca ormai lo spirito di “concittadinanza” e di quartiere. Una donna anziana scippata in pieno centro storico in via Domenico Capitelli  sotto gli occhi di altri passanti che inermi, quasi compatiscono lo scippatore che se non fosse stato per un nostro, (a questo punto a pieno titolo) concittadino africano, se la sarebbe pure squagliata indenne quasi aiutato dai passanti. Guardate il video (clikka) è allucinante. Siamo un popolo vecchio, inerme e tollerante perché ne abbiamo viste di tutti i colori e ci permettiamo pure, tal volta, di essere razzisti. Il “il fatti li cazzi tua” lo tolleriamo addirittura in Parlamento, mentre in ogni altro paese civile, razzi, l’avrebbero già cacciato a calci sull’onda dell’indignazione, ed un partito non si sarebbe mai permesso di accoglierlo tra le sue fila figuriamoci di candidarlo. Siamo arrivati al paradosso, provocato dalla malapolitica, che adesso chiunque si occupi o abbia l’aspirazione o la tensione emotiva di occuparsi del bene e dell’interesse pubblico viene guardato con sospetto, deve prima superare un esame anzi tanti esami con ogni persona che incontra. In questo, poi, i cd. grillini  sono maestri, chiunque è diverso da loro e si occupa della politica è per antonomasia un corrotto un concusso etc. etc., hanno la patente della “purezza”. Se non usciamo da questa palude difficilmente ce la faremo. L’episodio di oggi me ne fa ritornare in mente tanti altri ed uno per tutti l’omicidio di Petru il rumeno con la fisarmonica che venne freddato da un proiettile vagante nella stazione di Montesanto da una banda di cani bastardi cocainomani. Forse possiamo ringiovanire il nostro sangue con gli immigrati che forse molto più civilmente di noi sanno manifestare la loro solidarietà a prescindere dal colore della pelle ….
Da Repubblica Napoli di oggi (06.02.2014)
Una scena impietosa. Dura, in tutto, un minuto e diciannove secondi. Il filmato che
Repubblica è in grado di mostrare, allegato agli atti di un arresto per scippo, sembra un saggio sull’indifferenza contemporanea. Una storia in cui la notizia, stavolta, è soprattutto un’altra. C’è un’unica persona che assiste la vittima e si ribella al delinquente fino a cercare di scongiurarne la fuga, con le mani: più volte, e vanamente. E non è un napoletano, l’unico che sembra indignato. Ma un nordafricano, di mestiere: mendicante.
È il primo febbraio scorso. Pieno centro, via Domenico Capitelli, due passi da piazza del Gesù. Un rapinatore, al secolo Carmine Troise, 38enne, una sfilza di precedenti penali, si vede sfrecciare dal fondo in sella al suo scooter: prima costeggia la sua vittima che procede a passo lento, poi torna in direzione opposta e per strapparle la borsa, scaraventa la donna a terra con inaudita ferocia, trascinandola per la tracolla. Lei batte la testa sulla strada, vicinissima alle ruote della moto. E cade anche lui. Ma, durante il minuto e diciannove secondi dell’incredibile scena, solo il mendicante nordafricano inveisce contro l’uomo. Prima raccoglie la borsa e la restituisce alla donna, poi lo accusa dello scippo, lo indica agli altri passanti che nel frattempo si raccolgono a capannello. La donna dolorante, si appoggia intanto sul bordo di una fioriera.
L’audio non c’è, ma la scena “parla” ugualmente. L’immagisene della folla che si accalca mite e bonaria intorno al bandito, fa a pugni con la determinazione e la solitaria rabbia dell’immigrato che continua ad attaccare verbalmente Troise. Intorno, uomini che rabboniscono il rapinatore, un altro che sembra chiedergli se si è fatto male, un altro sembra dirgli “però, calmati, vai piano”. La stessa vittima del colpo, quasi sotto choc, è come inebetita. For- la donna ha paura, forse teme di avere la peggio perché il colpo è andato male. Nemmeno lei denuncerà l’accaduto. Quando Troise, il bandito, cerca di svignarsela certo di averla fatta franca, ancora una volta è l’africano senza nome a opporsi. Lo rincorre, con le mani prova a fermare il pregiudicato, vorrebbe consegnarlo alla giustizia. Addirittura, lo butta giù dalla sella: ancora unavolta è solo. Troise dà uno strattone, scappa. La sua cattura avverrà di lì a qualche ora. Le forze dell’ordine sono, e devono, essere più avanti di chi ha fatto finta di niente. Anche se è un caso minore, non ci sono clan da perseguire, e nemmeno grandi boss da catturare: ma sono le storie che incidono più di tutte nel senso di insicurezza. E un’operazione strategica vede correre in paralle-lo l’indagine lampo dei carabinieri di Napoli, guidati dal comandante provinciale Marco Minicucci e dal colonnello Francesco Rizzo, e il lavoro dell’Ufficio di prevenzione della questura (le volanti), diretto dal vicequestore Michele Spina.
La risposta arriva subito. Perché c’è un negoziante che indica agli investigatori la sua telecamera, che ha registrato tutto in viaCapitelli. E perché Troise è una faccia nota ai segugi della trincea napoletana: lo riconoscono. Gli uomini dell’Arma e dei falchi della Mobile trovano a casa di Troise sia lo scooter usato per il colpo, sia il pullover con cui il bandito copriva la targa durante i suoi colpi. Il rapinatore non reagisce, chiede solo una visita medica, ha un lancinante dolore a una spalla: lo portano in ospedale, viene assistito per una lussazione al Vecchio Pellergini, giudicato guaribile in trenta giorni, e trasferito al carcere di Poggioreale.
La sua cattura si deve anche a quel negoziante, al suo occhio elettronico che ha ripreso una scena che resterà impressa. È un cittadino che ha fatto il suo dovere, fino in fondo. Proprio come quell’immigrato che voleva, da solo, aiutare una anziana donna ad avere giustizia.

Burocrazia omicida!

burocrazia1La mia esperienza professionale e da ultima amministrativa, da tempo, mi ha fatto comprendere che nella burocrazia si annida la corruzione, la concussione ed il malaffare. Cavilli legali ed amministrativi che uccidono l’iniziativa imprenditoriale ed imbrigliano i fattori di produzione e lavoro e fanno dei cittadini dei sudditi col capo chino di cui non ci si può fidare! Inghippi burocratici talvolta creati per evitare di assumersi qualche responsabilità. Eppure formiamo laureati e professionisti a cui, come negli altri paesi più civili del nostro, potremmo attribuire  la responsabilità di certificazione globale. Il tutto si concluderebbe con un unico atto, un’assunzione di responsabilità ed una parcella pagata, nella consapevolezza che il professionista che sbaglia poi è fuori dal mercato. Nel nostro paese, invece, chi vuole mettere in piedi un’impresa o dare lavoro ad una impresa deve fare le messe scalze tra VVFF, COMUNE, COMMISSIONE PROVINCIALE, COMMISSIONE COMUNALE, SCIA, DIA, PERMESSO DI COSTRUIRE, GENIO CIVILE, SOPRINTENDENZA, CATASTO, UFFICIO URBANISTICO, con un esercito di marescialli/uscieri, marescialli/impiegati, colonnelli/funzionari e generali/dirigenti pronti a farti il piacere in cambio di qualcosa o semplicemente per il gusto di dire qui comando io, tranne che in rare circostanze nelle quali, illuminati sulla via di damasco, si calano nel problema ed ammettono l’inadeguatezza della burocrazia. A Napoli vige la minitangente del caffé la mancetta che viene data all’usciere accompagnata dal: “grazie questo è per il caffè“; poi ci si meraviglia se con tutte le mancette accumulate una del caffè si compra la fabbrica. Si parla di agevolare l’impresa ed il lavoro, più che finanziamenti, forse occorrerebbe partire da qui! Ricordo una trasmissione di REPORT sulle cd. pratiche edilizie con il raffronto tra Italia e Germania: In Germania il regolamento edilizio di una media città è scritto su un foglio, i Land tedeschi per qualsivoglia opera edile su un fabbricato si accontentano di una certificazione di un tecnico il quale verifica la compatibilità delle opere a farsi con le leggi ed i regolamenti vigenti. Il Land si disinteressa di quello che ci fai nella tua casa basta che non tocchi il prospetto ed il profilo architettonico e non rechi pregiudizio a nessuno! In Italia …. lascio i puntini sospensivi …. 

Il dissesto degli enti locali ed il Caso Napoli

comuneDopo la pronuncia della Corte dei Conti Sez. Regionale della Campania, con la quale è stato bocciato il piano di riequilibrio finanziario del Comune di Napoli, Ricostruzione Democratica, al fine di sollecitare il dibattito pubblico, si è fatta promotrice di un confronto cittadino sul tema: Il dissesto degli enti locali ed il caso Napoli. L’incontro si è svolto mercoledì 29 gennaio scorso. Ecco il video:

Blog su WordPress.com.

Su ↑

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: