Legge elettorale e la fiducia nei partiti

Il tema della legge elettorale sembra tenere banco tra i banchi del parlamento, sarà vero oppure è il solito teatrino dei partiti ? In proposito oggi leggo su  corsera la tesi sostenuta da un alto e stimato magistrato, Raffaele Cantone, il quale in virtù della sua esperienza sostiene che, introdurre le preferenze nel sistema elettorale, significherebbe dare una mano alla criminalità organizzata che potrebbe condizionare l’esito delle consultazioni attraverso la vendita dei voti, oppure, infiltrando propri uomini nelle fila dei parlamentari. Secondo me questa tesi potrebbe valere se i partiti fossero in grado di selezionare una classe politica seria, onesta, competente ed in grado i rinnovarsi. Cosa assolutamente sconfessata dagli accadimenti a cui passivamente assistiamo. Nei partiti possiamo, infatti, parlare di gerontocrazia legata a doppio filo sia all’età dei leader sia alla inconcepibile durata della occupazione del potere sempre da parte delle stesse facce intente solo alla affermazione della propria immagine. In definitiva concordo con Pennasilico (altro alto magistrato) e tra i partiti ed i cittadini io preferisco fidarmi dei cittadini almeno così ognuno avrà il candidato che si merita!

dal Corriere della Sera del 13.10.2012

La nuova legge elettorale che prevede il ritorno alle preferenze è un «pericolo», perché «favorisce il voto di scambio politico-mafioso». Nel giorno in cui al Senato si inizia la discussione sulla nuova legge, magistrati e politici lanciano l’allarme. Raffaele Cantone dice che «il meccanismo delle preferenze rischia di diventare pericolosissimo, perché se a Milano i voti si comprano con 50 euro, nel Mezzogiorno ne bastano 10». Paolo Mancuso: «C’è il rischio di una recrudescenza dei fenomeni di voto di scambio politico-mafioso». Andrea Orlando (Pd): «Così si consegnano pezzi di istituzioni alla criminalità». Giuseppe Calderisi (Pdl): «Rischio infiltrazioni? Un eufemismo». E il sindaco di Salerno Vincenzo De Luca attacca: «Sarà il mercato dei voti». La soluzione, per tutti, è unica: «Non certo il Porcellum, ma il ritorno ai collegi uninominali».Le domande, alla fine, si riducono a due. È meglio un rappresentante politico scelto/imposto dal partito (sistema elettorale cosiddetto Porcellum) o uno eletto con voti che rischiano concretamente di essere inquinati da infiltrazioni mafiose (nuova proposta di legge che reintroduce le preferenze)? E, non volendo correre nessuno dei due rischi, è praticabile una terza via (ritorno al collegio uninominale)? L’arresto dell’assessore regionale della Lombardia Domenico Zambetti — innocente fino a sentenza definitiva ma per il momento accusato di aver comprato voti dalla ‘ndrangheta — pone nuovi interrogativi, svelando scenari che fino ad ora sembravano erroneamente essere riconducibili solo al Sud, e s’intreccia inevitabilmente con il dibattito in corso sulla nuova legge elettorale, proprio nelle ore in cui la Commissione affari costituzionali del Senato inizia la discussione adottando come testo base la proposta (votata da Pdl, Udc, Lega e Coesione nazionale) che prevede la reintroduzione del voto di preferenza. «Considero positiva la proposizione formale di un concreto progetto di nuova legge elettorale», ha detto ieri il Capo dello Stato Giorgio Napolitano. Come dev’essere, questa nuova legge elettorale, è materia che però divide gli addetti ai lavori. E che, soprattutto, suscita l’allarme dei magistrati.

Raffaele Cantone, ex pm antimafia impegnato in prima linea contro i Casalesi e oggi giudice al Massimario della Cassazione, rileva che «mai come in questo momento il meccanismo delle preferenze rischia di diventare pericolosissimo», perché «se a Milano i voti si comprano con 50 euro, con la crisi economica nel Mezzogiorno potrebbero essere sufficienti anche 10 euro per acquistarne uno». È per questo che il nesso tra preferenze e voto di scambio politico-mafioso, più che un pericolo astratto, viene letto dal magistrato quasi come «una certezza». Ciò detto, non che il Porcellum sia meglio: «Lo dico, in questo caso, da cittadino. È un sistema elettorale che ha di fatto cancellato il rapporto tra territorio ed eletto, tra comunità e suo rappresentante. Beninteso, queste sono valutazioni che spettano alla politica, ma dal mio punto di vista il sistema migliore era quello rappresentato dal collegio uninominale, dove il candidato è sì proposto dal partito, ma è poi sottoposto al vaglio dei cittadini. Che, in questo modo, sanno qual è il loro punto di riferimento». Paolo Mancuso, procuratore di Nola ed ex capo del pool antimafia di Napoli, la pensa allo stesso modo: «Sono nemico della mafia ma amico della democrazia. E credo che il Porcellum, con il suo tagliare i cordoni tra eletto ed elettore, sia una delle cause del distacco dei cittadini dalla politica. È chiaro, allo stesso tempo, che il ritorno alle preferenze provoca il rischio di una recrudescenza dei fenomeni di voto di scambio politico-mafioso. Io però non sono disposto a rinunciare alla selezione del mio rappresentante, e per questo ritengo che il sistema migliore sia quello che prevede il collegio uninominale, perché lì ho la possibilità di scegliere riducendo sensibilmente il rischio di uno scambio di voti tra candidato e clan».

A supporto delle perplessità dei magistrati c’è la casistica. Praticamente scomparsa dallo scenario delle elezioni politiche nazionali, la contestazione dello «scambio elettorale politico-mafioso» si ritrova — in particolar modo al Sud, ma da qualche tempo anche in Liguria e Lombardia — nelle inchieste che fanno riferimento alle elezioni regionali, provinciali e comunali. Quelle, cioè, dove c’è ancora il voto di preferenza. È sufficiente una rapida ricerca negli archivi per ricordare le inchieste, a cominciare da quelle in Campania che negli ultimi anni hanno coinvolto nomi di primo piano della politica nazionale e regionale: tra gli altri, Nicola Cosentino, Roberto Conte, Alberico Gambino, Enrico Fabozzi. Se possibile, va ancora peggio in Calabria, dove nel 2010 sarebbe stato «accertato il condizionamento del boss Giuseppe Pelle», che «assicurava» voti agli indagati (tra cui figurava Sante Zappalà) «in cambio della garanzia dell’assegnazione di appalti pubblici». Tre anni prima un altro consigliere regionale — Franco la Rupa — era stato coinvolto in un’inchiesta per voto di scambio. Scenari analoghi in Sicilia (ipotesi di reato a carico di Raffaele Lombardo e Antonello Antinoro) e Puglia (dove il boss Vincenzo Stranieri prometteva voti in cambio di posti di lavoro).

Regioni, Province e Comuni, enti locali grandi e piccoli, partiti di maggioranza e opposizione. Ci sono gli esponenti di ogni colore e ogni realtà, tra quelli che si sono assicurati i voti ricorrendo ai «pacchetti in vendita» della criminalità organizzata. Ed è per questo che oggi il ritorno alle preferenze agita la stessa politica. Andrea Orlando, responsabile giustizia del Pd, non ha dubbi: «Una legge che preveda il ritorno alle preferenze consegna di fatto pezzi di istituzioni nelle mani della criminalità organizzata. Già prima delle elezioni regionali del 2010 in Liguria, io e l’allora senatore del Pdl Enrico Musso lanciammo un appello bipartisan per sollecitare i candidati a stare attenti alle preferenze della ‘ndrangheta. Il voto di scambio è un fenomeno virulento, l’unico modo per arginarlo è ipotizzare il ripristino dei collegi uninominali. E, piuttosto che pensare di introdurre nuovamente le preferenze per le elezioni politiche, bisogna chiedersi se non sia il caso si eliminarle anche alle elezioni regionali». Durissimo anche Vincenzo De Luca, sindaco di Salerno: «La reintroduzione delle preferenze è una grande palla, significa il mercato dei voti, significa mettere l’Italia nelle mani della delinquenza organizzata. Se si vuole davvero far scegliere ai cittadini si fanno i collegi uninominali, come si fa in Francia e Gran Bretagna». La pensa così anche Giuseppe Calderisi, deputato del Pdl, nonostante la linea «ufficiale» del partito. E l’ha messo nero su bianco, firmando una lettera sottoscritta da quaranta parlamentari e inviata a Silvio Berlusconi e Angelino Alfano «per evidenziare le controindicazioni di questa legge elettorale, tra cui il voto di scambio e il rischio, uso un eufemismo, di infiltrazioni della criminalità organizzata».

Chi invece sul ritorno alle preferenze nutre decisamente meno timori è Alessandro Pennasilico, capo del pool antimafia di Napoli: «Non me ne preoccuperei troppo. È importante che venga restituita la scelta democratica ai cittadini, pensare all’aspetto patologico del caso rischia di far impantanare la legge».

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