La Festa del Lavoro con Giuseppe Di Vittorio

Giuseppe Di Vittorio un gigante della Politica e del Sindacalismo Italiano. Egli partì da Cerignola per la difesa dei braccianti agricoli. Oggi in parlamento una forza di sinistra (si per dire), ha portato Aboubakar Soumahoro, individuato come rappresentante dei braccianti agricoli extracomunitari sfruttati, con tutte le polemiche scatenatesi dopo la sua elezione che l’hanno fatto sparire nell’ignoto nonostante la drammatica condizione di questi lavoratori e lavoratrici che meritano di essere rappresentati, ancora oggi, da Giuseppe Di Vittorio! Ci ho pensato molto a questo accostamento ma il baratro che passa tra le due figure è tale che mi ha scioccato e mi sono convinto a pubblicarlo affinché si sappia quali sono gli uomini che devono ispirarci è da cui trarre l’esempio.

2 risposte a "La Festa del Lavoro con Giuseppe Di Vittorio"

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  1. Provo un grande debito di riconoscenza nei confronti della Destra al governo. Un debito convinto.
    Le reiterate esternazioni dei vari ducetti che siedono in Parlamento ci hanno ricordato quanto attuale e pregnante , a distanza di oltre un secolo dall’ avvento del Fascismo , debba essere una riflessione ed una memoria critica su ciò che esso fu. Non un inciampo della Storia, ma un processo politico e sociale che affonda profondamente le proprie radici nell’articolarsi contorto e sofferto delle vicende dei singoli e della comunità intera del Paese.
    Il silenzio e l’oblio non può calare su chi ha donato se stesso , su chi , non per odio o vuoto nazionalismo, ha giurato un patto di dignità e di amore per la vita, spesso al prezzo della propria, un patto di libertà e di giustizia, che volle chiamare RESISTENZA. Essa non fu un semplice atto di guerra e di liberazione dall’oppressione nazi – fascista , ma fu il portato di una lunga elaborazione ideale , di una riflessione critica di uomini liberi, volti ad immaginare un mondo diverso di solidarietà e fratellanza.
    La Resistenza, nel vissuto di chi ne fu artefice, fu, innanzitutto, una profonda riflessione morale. Questo sostanzia e differenzia la Resistenza da altre forme di lotta di liberazione dall’oppressione : essa presuppse un’altra visione del mondo e dei rapporti di civiltà , si configurò come nuovo paradigma culturale. Quella riflessione non può essere relegata negli archivi della Storia, ma deve impregnare il pensiero e l’azione di tutti gli uomini di buona volontà. Quella riflessione è ” il sol dell’avvenire “. Ricordiamo il grido di Calamandrei : ” ora e sempre Resistenza “. Esso fu il richiamo e l’incitazione di un uomo visionario ad una rivoluzione permanente, non sterilmente ideologica, ma capace di operare una radicale trasformazione antropoplogica di un Paese troppo spesso disponibile alla deriva autoritaria e regressiva.
    La Resistenza deve essere cosa viva, tensione morale, antidoto all’alienazione, prassi quotidiana. Non può essere ridotta ad un ‘anomalie della nostra Storia lasciata sedimentare sul fondo delle nostre memorie come cosa morta. Essa deve essere, come lo fu per uomini illuminati, faro dell’ azione politica .
    Con insistenza, ormai da anni, si sente parlare di ” memoria condivisa “. Non saprei cosa voglia significare tutto questo , cosa sia in realtà l’oggetto della condivisione. Forse ciò che possiamo condividere è solo un sentimento di compassione profonda per chi, nel fiore della gioventù, da opposte sponde della Storia , offrì la propria vita alla voracità di una tragedia immane. Non altro possiamo condividere, se non vogliamo cadere in una ingenerosa rimozione. Ci troviamo al cospetto di chi, con forza e determinazione , operò scelte di vita radicali, profonde e prive di compromessi, da una parte come dall’altra. E furono scelte nette , contrapposte , e per ciò stesso non condivise. La memoria della Resistenza, piaccia o meno, non può che essere divisiva , e tale deve essere nel rispetto della verità storica e nel rispetto di chi la visse.
    Il dibattito di questi giorni sulla lotta antifascista ci deve restitiure una dimensione non rievocativa , non una emozione nostalgica, non un superficiale riferimento identitario, ma una rielaborazione di valori che possano divenire un’inalienabbile dimensione interiore di un agire umano di progresso civile

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