I Cittadini Responsabili del Fallimento del Porto di Napoli

porto-di-napoliOggi il Mattino di Napoli descrive la situazione raccapricciante del Porto di Napoli (clikka). Compagnie in fuga ed un calo degli attracchi del 40%, con compagnie come MSC e Costa in fuga. Ovviamente molti di Voi diranno è normale in città non si è mai saputo amministrare niente, la politica è incapace, tutti rubano e fanno i loro affari.

Io ovviamente non sono d’accordo con questo modo di pensare che ha portato i Cittadini Napoletani a chinare la testa ed a non pensare neppure più di poterla rialzare essendosi abituati a tutto.

Parole che ho sentito in un servizio de Le Iene di Giulio Golia (clikka) che ha intervistato dei ragazzi di Scampia ed Alex Zanotelli che alla fine del servizio dice chiaramente: “questo è un popolo che deve alzare la testa e dire basta!”

Ebbene il Porto è uno degli esempi ma ce ne sono tanti, come Napoli Ovest, Napoli Est, l’edenlandia, lo Stadio, le vele di Scampia o i Topi Giganti sugli alberi del Parco Verde di Secondigliano (clikka).

La crisi del Porto di Napoli che, invece, dovrebbe essere la vera porta dell’Italia e dell’Europa sul Mediterraneo, anziché farci abbassare la testa ce la dovrebbe far alzare per gridare forte la nostra indignazione! Ci dovrebbe far chiedere la “testa” dei responsabili così come accade ovunque nell’Europa civile: Chi sbaglia o non è in grado di amministrare viene messo da parte dal sistema e non vi può più rientrare. Altrimenti cosa possiamo dire a quei ragazzi di Scampia che conoscono solo il linguaggio delle “stese” con pistole in pugno a cavallo di motociclette a terrorizzare i loro concittadini.

Noi, invece, abbiamo come esempio Antonio Razzi e Luigi Cesaro e tanti altri che, meno conosciuti, svolgono il medesimo insignificante e deleterio ruolo pubblico!

Non c’è che dire se non vogliamo essere noi i responsabili di tutto ciò che accade in città occorre un moto di indignazione civile che ci faccia aprire gli occhi ed alzare la testa e chi dice che la città è uno splendore, che ci sono i turisti e va tutto bene è un vero criminale ….

Nel articolo si accenna anche di Porto Fiorito per chi volesse  approfondire clikka

3 risposte a "I Cittadini Responsabili del Fallimento del Porto di Napoli"

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  1. Per molte persone animate da buona volontà, la rassegnazione, il chinare la testa, spesso non è espressione di indifferenza, o peggio ancora di viltà.
    Il ripiegamento su se stessi può essere frutto della percezione di uno stato di solitudine rispetto ad un deficit di “ societas “ frantumata nella sua “ liquidita’ ”, priva di punti di riferimento ideali, espropriata di ogni prospettiva di speranza.
    Al di là della storia individuale che concorre a comporre la propria dimensione esistenziale, ad arricchire un senso di intimo disagio cospira la distanza da quella irrinunciabile dimensione “politica “ che definisce non solo il proprio ruolo nel contesto in cui si vive, ma che fa sentire partecipi di una costruzione storica in evoluzione.
    E’ lo spettro della rassegnazione che incombe su chi, storicamente, subisce la frustrazione dei tradimenti vissuti nel succedersi di avvenimenti che pure, tante volte, hanno aperto il cuore alla speranza, per poi rilevarsi fallace illusione.
    La vita della nostra realtà, di quella del Meridione intero, testimonia del fallimento della costruzione di una classe dirigente illuminata e capace di figurarsi un futuro, anche lontano, fatto di partecipazione attiva alla costruzione di una società includente ed operosa, ove l’interesse del particolare si fonda con quello generale. E’ mancata, e tutt’ora manca, la figura di una classe dirigente egemone rispetto ad un processo culturale che avesse la capacità di guardare oltre lo steccato degli egoismi di casta o di stantie mistificazioni narcisistiche e celebrative. Una classe dirigente, politica, economica e culturale, che facesse del potere qualcosa non da gestire, ma da esercitare come strumento di emancipazione.
    Al momento, come altre volte nella nostra travagliata storia, ci troviamo a confortare con il vuoto che, come un muro di gomma, respinge ogni nostra velleità partecipativa, ogni tentativo, per quanto discreto, di operosità diligente.
    La Politica è destinata a fallire se non si cala ad operare all’ interno di un contesto sociale, economico e culturale coeso , non cristallizzato in miopi interessi di casta. Un contesto sociale ove prima attrice sia una classe egemone ( in senso gramsciano ) con cui stringere virtuose alleanze e da cui ricevere forza propulsiva. Ma la qualità del contesto sociale non può crescere se viene meno la forza di indirizzo di una politica riformatrice coraggiosa, non legata alla gestione del consenso, ma impegnata in un’ opera di mediazione delle contraddizioni e lontana da ogni tentazione autocratica o populistica, premesse, queste, di mistificazioni destinate a drammatici epiloghi.
    E’ evidente che ci troviamo in un vicolo cieco dal quale è difficile trovare una via di fuga. Qualcuno si illude di poter percorrere scorciatoie agevoli ed autoreferenziali, magari rievocando consunte strategie movimentiste o narcisistiche forme di lotta, che tuttavia non tengono conto della complessità del reale e della forza dei differenti attori sociali, non ultimo di quel convitato di pietra costituito dal crimine organizzato.
    Per uscire da una dimensione che rischia di scivolare in pericoloso vittimismo, si ripropone dunque il vecchio interrogativo : che fare ?
    Una prima risposta potrebbe essere data da un richiamo forte ad uno spirito di servizio nell’esercizio del proprio ruolo da parte di chi opera all’interno delle istituzioni, pubbliche o private che siano. Il lavoro come momento di solidarietà sociale. E’ un primo passo verso il nuovo, certamente non sufficiente, ma che, attraverso un effetto moltiplicatore, può, tuttavia , infondere linfa vitale in una comunità ormai stanca . Ma, appunto, non basta. E’ necessario affinare il proprio spirito critico al fine di individuare e stimolare quelle figure politiche, di cui non è possibile fare a meno, che sappiano scientificamente interpretare le dinamiche e le esigenze del generale, attraverso un progetto organico volto a raccogliere la sfida, apparentemente impopolare, di un recupero della legalità, del contenimento dei privilegi di casta, dello stimolo alla crescita della “ città reale “, che sappiano fare eco a quell’indignazione auspicata, ma che rischia di restare muta.
    In questa ottica il mondo della cultura, qualora uscisse dal limbo in cui si esprime con voce afona, potrebbe concorrere a fare massa critica, proprio perché fornito delle armi del sapere e della conoscenza , armi che sappiamo come ci possano rendere liberi. E’ ancora, la Scuola , residuo territorio ove è ancora possibile coltivare la speranza e l’ utopia creativa.
    Ci conforta il sapere che nella storia della Città, più volte l’ Intellighenzia cittadina ha fatto sentire la sua voce. Ricordiamo tutti il “ Manifesto per Napoli “ e “L’ assise di Palazzo Marigliano “, momenti di riflessione critica, aperta, propositiva e partecipativa. Di tutto questo abbiamo disperato bisogno, ma al momento è difficile individuare chi possa seguire, con altrettanta passione ed autorevolezza, quel prezioso esempio offerto alla Città dal Prof. Aldo Masullo .
    Certo, la tentazione di tirare i remi in barca e di mollare gli ormeggi, di lasciarci alle spalle il deserto, di andare lontano, può essere forte . Ma ancora una volta il vecchio Maestro ci induce a pensare : <>.

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