La Sanità allo Sbando e la Riduzione della Tutela dei Cittadini

cardarelliE’ evidente che la Sanità Campana sia una vera e propria spina nel fianco dei cittadini. Si sperava nelle capacità amministrative del Presidente De Luca, sennonché, dopo Caldoro anche il Sindaco/Governatore, sembra, speriamo di no, destinato a fallire, sia per gli scandali relativi alle nomine nella sanità, sia per i gravi disagi e disservizi che i cittadini continuano a subire. Possiamo dire, una vera e propria vergogna che ha fatto, in un certo qual modo, indignare l’opinione pubblica Nazionale, visto il risalto mediatico che hanno avuto i pazienti assistiti a terra all’Ospedale di Nola. Eppure, per mia esperienza basterebbe parlare, con i medici che sono in prima linea, per cogliere spunti che farebbero risparmiare  danaro pubblico, con netto miglioramento del servizio sanitario locale e conseguente miglioramento della vita dei pazienti. Basti pensare che ogni giorno di degenza in Campania costa circa 800,00 €. e che le degenze, si protraggono per decine di giorni per la mancanza di anestesisti, di modo che basterebbe spendere poche migliaia di euro, per assumere qualche anestesista in più e, quindi, risparmiare centinaia di migliaia di euro, con la riduzione dei giorni di degenza. Possibile che questa cosa così semplice non la si vuole capire, insistendo con il blocco delle assunzioni che, in questo caso, determina un vero e proprio spreco di danaro pubblico? Così anche per la vicenda degli ospedali, inspiegabilmente, privi di Pronto Soccorso, come il Policlinico Nuovo ed il Monaldi di cui si è in passato occupata, senza esito, la cronaca cittadina. Come se non bastasse, in Parlamento avanza una proposta di legge sulla responsabilità professionale dei medici (clikka) e delle strutture sanitarie (primo firmatario On.le Francesco B. Fucci del PDL di professione medico ginecologo), che è stata pubblicizzata come a favore dei cittadini, fondandola sulla cd. medicina difensiva, ovverosia la paura dei medici di intervenire sui pazienti per evitare guai giudiziari, con la quale, a fronte dello sfacelo della sanità pubblica, anziché imporre un miglioramento qualitativo del servizio sanitario e della professione medica, dispone una inconcepibile riduzione della tutela dei pazienti, trasformando di fatto la “responsabilità medica da contrattuale in extracontrattuale”, con conseguenze pesantissime, in ordine all’onere della prova (a carico del paziente), alla prescrizione (ridotta da 10 a 5 anni) ed all’accesso alla giustizia (con una pesante condizione di procedibilità) e disponendo, inoltre, che il medico possa rispondere dei reati di omicidio e lesioni colpose solo in ipotesi di colpa grave, quindi, sostanzialmente mai. Una curiosità che ovviamente mi ha fatto molto riflettere: tra i 33 Onorevoli proponenti ci sono ben nove medici, un infermiere ed una fisioterapista, appartenenti, in varia misura, al PDL, al M5S, a Scelta Civica ed al PD. Sarà sicuramente un caso.

Le Dimissioni della Sindaca di Quarto e le Vere Priorità

cardarelliSono giorni che si discute nel Paese delle dimissioni della Sindaca di Quarto, mentre ci siamo dimenticati quelle preannunciate del Governatore Crocetta del “va fatta fuori come il padre” riferito a Lucia Borsellino (clikka), eppure la questione credo sia di giovamento al m5s, tutti li attaccano sulla camorra, per carità argomento importante, ma ciò che chiedo e mi sembra anche assurdo, è che nessuno parla della ormai vera e propria emergenza della Sanità Campana documentata da numerosi articoli di giornali nella indifferenza del mondo politico resposnabile interamente nessuno escluso!

Oggi, infatti, ritorna il Mattino di Napoli con tre articoli che riguardano Il Collasso del Cardarelli (clikka)come e perché si rompono le TAC (clikka) e con l’arrivo del Commissario Polimeni nominato dalla Lorenzin (clikka).

La sanità Campana Commissariata da uno straniero (vista la incapacità dei nostri amministratori locali) e nessuno dice nulla, con Consiglieri Regionali non pervenuti compresi o nuovi sbarchi dei 7 consiglieri grillini.

Silenzio assoluto anche dopo la morte del giovane papà nella corsa tra due ospedali. Una vera e propria arma di distrazione di massa …

Forse non è un caso che le statistiche dicono che in Campania c’è l’aspettativa di vita più bassa d’Italia.

Mentre la politica studia il malato se ne muore: Caldoro dimettiti

cardarelliSono giorni che i giornali riportano articoli su ciò che è accaduto e sta accadendo nella sanità Campana. I gravi fatti successi al Cardarelli ed al San Giovanni Bosco con cittadini che hanno letteralmente aggredito personale medico e paramedico, con violenza anche sulle cose, dimostrano il grado di disperazione a cui le persone sono giunte. Ieri (19.01) c’erano ben tre articoli di giornale sul Loreto Mare (clikka) sul San Giovaanni Bosco (clikka) nonché una intervista ad Ernesto Esposito Manager dell’ASL (clikka) che descrive il completo fallimento della sanità campana. Oggi leggo della reazione della Regione che promette una cabina di regia (clikka), quando è da tempo che gli stessi medici che stanno in prima linea suggeriscono soluzioni assolutamente inascoltate. Ricordo, infatti, il grido di allarme di questa estate, della Dott.ssa Rossana Spatola (clikka) la quale segnalava chiaramente che mentre al Cardarelli ci si ammazza di lavoro al nuovo Policlinico ci si giravano i pollici (clikka). E’ inconcepibile per un paese normale che i malati siano ricoverati nelle sale operatorie che tra l’altro sono anche soggette ad infiltrazioni d’acqua piovana come al San Giovanni Bosco. E’ una cosa talmente assurda che fa quasi ridere, se non fosse che la cosa riguarda nostri concittadini ricoverati d’urgenza. Mi chiedo se gli assessori della giunta regionale, caldoro ed ogni consigliere regionale non provi vergogna per lo stato a loro, gioco forza addebitabile. Si a tutti i componenti dell’istituzione regionale senza esclusione perché non ho sentito nessuno indignarsi, nessuno mettere penna in carta e scrivere ad un giornale per far capire ai cittadini che non sono soli come è capitato a me quest’estate (clikka) perché indignato e lo sono ancora!

Con cognizione di causa posso dire che la politica ottusa dei tagli liniari di caldoro è un completo fallimento. Ho, infatti, toccato con mano che ad esempio la migliore organizzazione della rete dell’emergenza urgenza (clikka) oltre a dare un servizio efficace ed utile al cittadino determinerebbe anche una riduzione dei costi. Perché caldoro non fa nulla macchiandosi la faccia del sangue dei morti che non ricevono per tempo le cure.

La cosa che proprio non capisco e come si possa continuare a tollerare ancora questa politica che nessun consigliere abbia per dignità chiesto le dimissioni di caldoro.

Il dramma è che si parla di primarie di elezioni di accordi, ma è il caso di dire che mentre il politico studia il malato se ne muore! Una sola parola caldorodimettiti!

Ancora oggi (21.01.2015) su Il Mattino di Napoli il San Giovanni Bosco (clikka) come una groviera.

La sanità campana: Siamo cittadini di serie b

cardarelliIeri 30.09.2014 il Mattino di Napoli ha riportato una lunga intervista al Dott. Giuseppe Russo neurochirurgo del Cardarelli che ha chiaramente esposto quali sono i danni che derivano dalla disorganizzazione della rete dell’emergenza nella nostra Regione. La cosa che mi colpisce è che sono tutte cose assolutamente logiche che da anni, sono sicuro, sono state riferite ai politici che avrebbero dovuto intervenire e non sono intervenuti.

Ciò che registro è, infatti, la grande insensibilità da parte delle amministrazioni regionali che si sono succedute che, ovviamente, vanno tutte messe sul banco d’accusa per aver contribuito in un certo qual modo alla morte o all’aggravamento della salute di molti nostri concittadini campani.

La cosa che effettivamente fa rabbia è che il caso regione campania è assolutamente singolare poiché in tutte le altre regioni d’Italia i Policlinici Universitari sono stati inseriti nella rete dell’emergenza e sopratutto esiste una vera e propria rete delle emergenze. Non è un caso che fino ad ora sul ruolo del Policlinico non ci sia stata una parola degli addetti ai lavori, di modo che possiamo legittimamente pensare che avranno di che vergognarsi per non avere avuto neppure il coraggio di spiegare le loro ragioni come, invece, hanno fatto i manager del Monaldi che hanno dato la loro piena disponibilità alla rete delle emergenze.

Ad ogni buon conto a fine settembre organizzeremo un convegno invitando tutti coloro che sono stati chiamati in causa al fine di comprendere come effettivamente stanno le cose e cosa si potrebbe e dovrebbe fare per porre per fare in modo che i cittadini campani non siano considerati di serie b dalla politica locale.

MATTINO NAPOLI del 31-08-2014

Protestano anche i neurochirurghi «Ictus, manca una rete per i soccorsi»

Protestano anche i neurochirurghi «Ictus, manca una rete per i soccorsi» II caso L’allarme delle associazioni: in Campania mortalità record potrebbe essere dimezzata A Milano ce ne sono nove. A Torino cinque. Altrettante a Roma. A Genova tré e due a Palermo. A Napoli nessuna. Parliamo delle «stroke unit», le unità di urgenza ictus. Da Giuseppe Russo, neurochirurgo del Cardarelli, nonché presidente regionale di Alice, l’associazione nazionale per la lotta all’ictus cerebrale, parte la denuncia: «In Campania abbiamo l’indice nazionale più alto di incidenza per l’ictus ischemico e la più alta mortalità sia per l’ischemico che per l’emorragico. La causa? La mancanza di una rete di unità operative dedicate, di percorsi condivisi per la trombolisi, di centri di rifermento regionali per gli aneurismi cerebrali e le emorragie cerebrali. Tutte cose già definite con un decreto ad hoc e mai attuate» dice Russo. E aggiunge subito: «L’ictus è la prima causa di disabilità nell’adulto. Ed è gravato da una elevata mortalità sino all’ottanta per cento per l’emorragico. Una mortalità che può essere dimezzata con un sistema di emergenza efficiente. Hanno rilevato che con questa modalità gestionale si riducono statisticamente sia la mortalità sia il grado di invalidità di chi ha subito un ictus, indipendentemente dalla gravita e dall’età di chi è colpito. Essenziale è cercare di far arrivare la persona nella struttura specializzata quanto prima in modo che esegua subito gli esami, la Tac in particolare, per capire se l’ictus è stato determinato da un’ischemia o da un’emorragia. Nel primo caso, infatti, si può procedere alla trombolisi, una tecnica in grado di sciogliere il coagulo che impedisce al sangue di arrivare al cervello. La cosa importante, però, è agire entro le prime tre-quattro ore al massimo perché, dopo quest’arco di tempo può verificarsi un’emorragia in seguito al trattamento. Naturalmente, prima si interviene, più parti di cervello possono essere salvate. m.l.p. I dati A Milano nove «stroke unit» a Torino e a Roma cinque Nessuna a Napoli «II piano c’è ma è inattuato». Gli interventi Russo, presidente di Alice: tutti i pazienti al Cardarelli dove non è possibile un’assistenza adeguata Innanzitutto col trasporto immediato, «time is brain», come dicono gli americani. In secondo luogo il paziente deve essere assistito presso centri qualificati. Oggi nel migliore dei casi si fa quel che si dice «la corsa dell’asino». Il 118 trasporta, infatti, il paziente presso l’ospedale più vicino e poi verso il Cardarelli dove non esiste una struttura adeguata (unità ictus) e troppo spesso c’è personale stressato, non specificamente addestrato ne supportato da percorsi assistenziali dedicati». Per l’ictus, spiega ancora il neurochirurgo, il piano regionale per l’emergenza è già stato scritto da una commissione ad hoc presso il commissariato, e dichiara ancora il professionista del Cardarelli – «custodito nei cassetti da più di un anno». Intanto i pazienti che si rivolgono in strutture tipo Casoria, Pozzuoli e tutti gli altri ospedali minori, non trovano altro che essere trasferiti al Cardarelli con perdita di tempo talvolta fatale. Quelli che vi giungono in tempo ricevono assistenza inadeguata se non «incivile», su barelle nei corridoi, garantita da personale sotto stress e talvolta non specificamente competente. Le Unità Urgenza Ictus o Stroke unit sono composte da un team di professionisti di vario genere (sia medici sia infermieri) che conoscono il problema e sono in grado di trattarlo a perfezione.

MATTINO NAPOLI del 31-08-2014 La Penna Marisa

Pronto soccorso sì del Monaldi alla rete unica = Emergenza, il Monaldi apre al decreto Romano

Parla il direttore generale dell’Ospedale dei Colli che riunisce in una sola azienda il Monaldi, il Cotugno e il Cto. Il Monaldi, spiega Giordano, «è già nella rete territoriale di emergenza per quanto riguarda la cardiologia, la cardiologia interventistica, la chirurgia toracica, la cardiochirurgia pediatrica e per adulti e la chirurgia vascolare». > La sanità Emergenza, il Monaldi apre al decreto Romani II D.G. Giordano: «Già siamo integrati, ma i pazienti li distribuisce meglio l’azienda territoriale. «Per noi non cambia nulla. Siamo già nella rete dell’emergenza. Siamo sempre a disposizione delle esigenze regionali». Parla il direttore generale dell’Ospedale dei Colli che riunisce in una sola azienda il Monaldi, il Cotugno e il Cto. All’indomani dell’intervista rilasciata al Mattino da Ferdinando Romano, il capo di dipartimento Salute della Regione Campania, nella quale anticipa i contenuti di un decreto, già pronto, che sancirà il raccordo funzionale tra Cardarelli, Monaldi e Policlinico federiciano – vale a dire una rete polare al servizio dell’ospedale più grande del Mezzogiorno, un decreto, come ha ribadito lo stesso Romano «a cui nessuno potrà sottrarsi» – il direttore Antonio Giordano si dice, dunque, «assolutamente a disposizione». E aggiunge subito: «Siamo comunque da sempre nella rete. Tanto per fare un esempio proprio questa mattina (ieri ndr), personale medico e infermieri stico del Cotugno, ospedale che cura le malattie infettive è stato al porto ad accettare i migranti giunti in nave». «Ribadisco comunque che siamo da sempre a disposizione. Sicuramente saluto con grande interesse il decreto. Auspicando, così, un maggiore coordinamento delle attività dell’emergenza. Perché questo aiuta tutta l’assistenza nella regione Campania». «Poco cambia nel nostro modo di lavorare. Per il paziente si cercherà la migliore destinazione per la patologia di cui è affetto. In ogni caso è molto meglio se il coordinamento dell’emergenza venga svolto da un’azienda territoriale che può distribuire meglio i pazienti, a seconda delle disponibilità e delle discipline a disposizione di ogni singolo presidio». Il Monaldi, che rappresenta un’eccellenza in molte discipline, ricorda Giordano, «è già nella rete territoriale di emergenza per quanto riguarda la cardiologia, la cardiologia interventistica, la chirurgia toracica, la cardiochirurgia pediatrica e per adulti e la chirurgia vascolare». E conclude: «Inoltre abbiamo già un pronto soccorso operativo al Cotugno per le malattie infettive». Non vuole invece commentare il decreto il direttore generale del Policlinico, Giovanni Persico. Ma quali sono le novità del decreto? Innanzitutto Ferdinando Romano ha chiarito, una volta per tutte, che sarebbe inutile tenere tré pronto soccorso (al Cardarelli, al Monaldi e al Policlinico) nel raggio di un centinaio di metri quadrati. «Sarebbe scarsamente funzionale, è molto più logico, invece, mettere in campo efficaci sinergie» ha dichiarato ieri al Mattino. In quanto al decreto, «esso sancirai! raccordo funzionale tra il più grande ospedale del Mezzogiorno, il Monaldi e il policlinico dell’Università Federico л. Una rete polare, ha spiegato il capo dipartimento Salute della Regione Campania, al servizio del pronto soccorso del Cardarelli. Come abbiamo scritto nei giorni scorsi al pronto soccorso del Cardarelli si registrano mediamente trecento accessi al giorno. In alcuni casi si arriva anche a trecentocinquanta. Un lavoro improbo per i medici e di attese talvolta lunghe per l’utenza, che sempre più spesso sfocia in episodi di violenza ai danni dei sanitari da parte di familiari di degenti in attesa di essere visitati. Nel solo mese di agosto ben tre sanitari del pronto soccorso (di cui due infermieri) sono stati malmenati ed hanno dovuto a loro volta essere curati dai colleghi del reparto di emergenza.

Il Nuovo Policlinico ostaggio dei Baroni dell’Università

policlinicoGrazie alla campagna di informazione iniziata da La Repubblica Napoli e continuata da Il Mattino di Napoli oggi possiamo dire che abbiamo contezza di un fenomeno che lascia assolutamente esterefatti. Ebbene ciò che i giornalisti hanno portato alla luce in qualche settimana, dando voce a medici, infermieri e sindacati, era, dobbiamo assurdamente ritenere, sconosciuto alla politica!

E’ avvilente, infatti, che né il Governatore della Campania, che ha in mano le chiavi della sanità, né alcun consigliere regionale, si sia mai interessato, semmai anche solo denunciando, del fatto assolutamente assurdo che mentre all’Ospedale Cardarelli di Napoli ci si fa in quattro, al vicino Policlinico, che ci costa circa 200 milioni all’anno, si girano i pollici perché, almeno questo è ciò che si è scoperto, il Policlinico non è in rete con il sistema di emergenza dei pronti soccorsi poiché a ciò si oppongono i “Baroni” dell’Università Federico II che comandano la Clinica Universitaria Nuovo Policlinico. E’ avvilente, infatti, che caldoro in quattro anni non abbia fatto nulla per spezzare le catene dei “BARONI” del Policlinico così come hanno fatto in tutte le altre regioni italiane.

Il fatto è vieppiù grave poiché caldoro è sposato con la Dott.ssa Annamaria Colao, medico e professoressa ordinaria (clikka) proprio presso l’università Federico II di Napoli, quindi, si potrebbe addirittura pensare, ma credo sia una fantasia, che caldoro non abbia volutamente toccato i “Baroni” del policlinico anche perché la moglie potrebbe essa stessa essere una “baronessa”.

Ebbene, che vi possa essere un conflitto di interessi di caldoro non sarebbe la prima volta. Il Governatore della Campania, infatti, non molto tempo fa ebbe il buon gusto di nominare la moglie in un osservatorio sulla sanità campana (clikka) e solo dopo che il caso fu portato a conoscenza dell’opinione pubblica dal Corriere del Mezzogiorno, la nominata si dimise.

E’ chiaro che tutta questa situazione non contribuisce a dare autorevolezza alla classe politica di modo che il governatore della regione resta ostaggio dei baroni dell’università di medicina. Non ci resta che auguraci di stare in buona salute…

vedi anche: non taccia caldoro sui mali della sanità (clikka)

sanità campana il silenzio arrogante della politica (clikka)

Di seguito l’inchiesta de il Mattino di Napoli pubblicata oggi 28.08.2014

Nel deserto di viali e padiglioni, aperto il pronto soccorso ginecologico l`unica struttura che funziona a pieno regime e si fa pure la fila

Nel deserto di viali e padiglioni, aperto il pronto soccorso ginecologico l’unica struttura che funziona a pieno regime e si fa pure la fila «Questo mese abbiamo fissato appuntamenti, tra l’altro, in oculistica, odontoiatria e otorinolaringoiatria, tranne che a ridosso del Ferragosto – spiegano dal centro unico prenotazioni, dove di pomeriggio è in servizio un solo impiegato a fronte delle quattro scrivanie e degli altrettanti sportelli dell’ufficio – alcuni servizi funzionano ad un orario ridotto, altri non vengono garantiti per lavori. Ma ciò si spiega anche perché non facciamo parte della rete delle emergenze». Ecco, è proprio questo il punto. In quasi tutte le regioni italiane i Policlinici universitari hanno il pronto soccorso. A Napoli no. Ci hanno provato in tanti alla Regione a coinvolgerli (qualche anno fa Bassolino e oggi Caldoro), ma finora senza risultato. Eppure di soldi questa enorme città sanitaria, che si estende per 440mila metri quadrati e ha mille posti letto, ne riceve tanti: circa 200 milioni all’anno. Secondo i medici ospedalieri fin troppi. Perché, a fronte di questi finanziamenti, non assicura il supporto necessario quando si tratta di gestire casi gravi ed emergenze. Da qui l’affondo: «I colleghi che lavorano nelle strutture universitarie sono privilegiati perché non devono sopportare lo stress del pronto soccorso – osserva Antonio De Falco, segretario regionale del Cimo – è chiaro che allora nelle corsie dei reparti non si vedano barelle, anzi è capitato in passato che ci fossero pure molti posti letto vuoti». Eppure se senti medici e professori che lavorano al Policlinico cercheranno in tutti i modi di mostrarti l’altra faccia della medaglia. Che cioè da quasi dieci anni, a causa dei conti in rosso della sanità, è in vigore un blocco del turn over, per effetto del quale gli operatori che vanno in pensione o che lasciano il lavoro non vengono sostituiti. Dal 2006 ad oggi il nosocomio ha dovuto rinunciare a 1500 unità. Però questa situazione vale per tutti i presìdi della Campania, non solo per il Policlinico federiciano. Ma, numeri alla mano, quanti sono gli operatori in servizio nella città della salute della zona ospedaliera? Attualmente i dipendenti dell’azienda universitaria sono circa 2mila, di cui 800 medici e professori. Anche se è come se fossero molti di meno perché questi camici bianchi, per contratto, lavorano 26 ore alla settimana contro le 38 dei colleghi di un normale ospedale. I conti non tornano pure perché una parte dei medici si dedica esclusivamente all’insegnamento lasciando agli altri le attività di assistenza. Ad agosto, naturalmente, il quadro si aggrava. Secondo le stime dei sindacati, infatti, solo il 30 per cento dei dipendenti è in servizio in questo periodo. Gli altri, è ovvio, sono in vacanza, magari in barca o a spasso in chissà quale parte del mondo. Così si assiste talvolta ad un fenomeno che fa infuriare molti addetti ai lavori: a tappare le falle delle strutture universitarie sono, in virtù di accordi e convenzioni, anche gli stessi operatori sanitari ospedalieri. Già, perché mancano gli infermieri, mancano i portantini, scarseggiano persino tecnici e magazzinieri. Negli anni Settanta e Ottanta, i tempi d’oro, il Policlinico della Federico II poteva permettersi di utilizzare una squadra di dipendenti come fattorini. Ogni giorno raccoglievano i prelievi di sangue dai vari padiglioni per portarli al laboratorio centrale. Oggi, invece, quei dipendenti-fattorini non esistono più. E, sempre a causa del blocco del turn over, non sono stati rimpiazzati. Così per risolvere il problema si è fatto ricorso a una ditta esterna. Stesso copione per il magazzino e la farmacia. Le polemiche abbondano e i disagi si moltiplicano. Tuttavia si va avanti, si tira a campare, come si dice dalle nostre parti. Eppure la legge parla chiaro. Nel piano di razionalizzazione della rete ospedaliera e territoriale, approvato dopo un lungo iter dalla Regione nel 2010, è scritto espressamente che i prof devono rassegnarsi perché il Policlinico è destinato ad entrare nella rete delle emergenze. Da allora sono passati quattro anni ma questo obiettivo non è stato ancora centrato e la riorganizzazione immaginata a Palazzo Santa Lucia è rimasta nel cassetto. «Ci sono troppe differenze, se gli ospedali e le università continueranno ad essere considerati come due universi separati sarà davvero dura realizzare nuove sinergie» avverte Vittorio Russo, presidente regionale dell’Anpo, il sindacato dei primari. «Ma soprattutto – aggiunge Russo – non potrà esserci un sistema integrato del pronto soccorso senza il coordinamento della Regione, che nessuno è mai riuscito o ha mai voluto istituire». Due mondi diversi, insomma. Distanze siderali. Se ne accorgerebbe anche un alieno appena sbarcato da Marte. È sufficiente trascorrere qualche minuto nel pronto soccorso del Cardarelli e poi spostarsi al Policlinico. Persino ad agosto il nosocomio più grande del Mezzogiorno viene preso d’assalto dai pazienti e dai familiari inferociti. Nella struttura universitaria, al contrario, regna la quiete, e un silenzio surreale. Tant’è che qualcuno ha pensato pure di andare a farci jogging. Come dargli torto? Se per le visite bisogna aspettare il rientro dei medici vacanzieri, allora meglio tenersi in forma.

Policlinico, al lavoro tre medici su dieci = Policlinico, chiuso per ferie le emergenze restano fuori

Gerardo Ausiello

Corridoi deserti e reparti chiusi. I sindacati: qui letti vuoti, gli altri ospedali scoppiano. Viaggio tra i padiglioni della cittadella universitaria: vuoto e silenzio

I sindacati: qui letti vuoti, gli altri ospedali scoppiano. Trovare un medico al Policlinico della Federico II è quasi come vincere un terno secco sulla ruota di Napoli. Siamo a fine agosto ma è ancora chiuso per ferie. Spazi deserti, poche anime solitarie, qualche impavido parente che si avventura a caccia di informazioni. La cardiochirurgia è praticamente terra di nessuno. Precisamente dal 25 luglio, quando sono iniziati gli interventi urgenti di ristrutturazione del pavimento della terapia intensiva e di bonifica dell’intero reparto. L’unica struttura che somiglia vagamente ad un pronto soccorso è l’UTIC, l’unità terapia intensiva coronarica, anche se l’organico è ridotto all’osso. Ambulatori a scartamento ridotto e parcheggi chiusi. Ed è rimasto sulla carta il progetto di far rientrare il Policlinico nella rete delle emergenze. Cercansi medici disperatamente. Trovarne uno di questi tempi al Policlinico della Federico II è quasi come vincere un terno secco sulla ruota di Napoli. Di quelli che per azzeccarli, suggerisce Luciano De Crescenzo nelle vesti del professor Bellavista, devi solo rivolgerti ad assistiti o, peggio ancora, a monaci guardoni. Siamo a fine agosto ma il Policlinico è ancora chiuso per ferie. Te ne accorgi subito perché persino i servizi più elementari vengono spudoratamente negati. Il parcheggio, ad esempio: strada sbarrata e cartelli disseminati qua e là, in cui si dice senza giri di parole che dal primo al 31 agosto non ce n’è per nessuno. Un bell’inizio. Se poi percorri i lunghi viali che costeggiano i 21 padiglioni, la sensazione iniziale diventa certezza assoluta. E sembra di essere tornati indietro nel tempo, quando imbattersi in un’auto era come vivere un’esperienza mistica. Spazi deserti, poche anime solitarie, qualche impavido parente che si avventura a caccia di informazioni. D’accordo, si obietterà, siamo ad agosto ma i servizi sanitari, almeno quelli, saranno assicurati. E invece entrando nei padiglioni la musica non cambia. Anzi. La cardiochirurgia guidata da Carlo Vosa, quella finita nella bufera perché da un mese è chiusa per lavori, è praticamente terra di nessuno. Precisamente dal 25 luglio, quando sono iniziati gli interventi urgenti di ristrutturazione del pavimento della terapia intensiva e di bonifica dell’intero reparto. Nell’edificio 2, quello più lontano dall’ingresso principale, l’unica struttura che somiglia vagamente ad un pronto soccorso è l’Utic, l’unità terapia intensiva coronarica, anche se l’organico è ridotto all’osso. Per il resto ogni incombenza è rinviata a settembre. Basti pensare che sulle scale che portano all’ultimo piano, fino alle sale operatorie della cardiochirurgia, giacciono abbandonate sedie e poltroncine, dismesse senza pretese dalla sala di attesa che si trova poco distante. L’unico vero reparto che funziona come quello di un normale ospedale è il pronto soccorso ginecologico. Lì puoi arrivare a qualsiasi ora e ricevere assistenza, anche se ad agosto si va facilmente in affanno. In generale è essenziale che ci siano almeno due medici di mattina, uno off limits. Ambulatori a scartamento ridotto Parcheggi chiusi: «Ripassate il primo settembre di pomeriggio, uno di notte e un altro reperibile per qualsiasi urgenza. E chiaro, però, che in caso di superlavoro la situazione si fa difficile.

 Una struttura d`avanguardia nella ricerca, mille posti letto e nel 1980 divenne il rifugio antisismico dopo il 23 novembre

La storia: Una struttura d’avanguardia nella ricerca, mille posti letto e nel 1980 divenne il rifugio antisismico dopo il 23 novembre II Policlinico, meglio noto come cittadella universitaria, insiste nella zona collinare dal 1972, anno di apertura di quello che è ritenuto un centro d’eccellenza soprattutto per la ricerca, trasformatisi poi man mano negli anni anche in vero e proprio nosocomio. All’epoca del terremoto, siamo nel 1980, visto che i suoi edifici erano antisismici e all’epoca in città non ce ne erano moltissimi, furono tanti i napoletani che trascorsero quei giorni di paura in quelle strutture solide. La costruzione, progettata da Carlo Cocchia e iniziata nei primi anni sessanta terminò nel 1972. Nel 1995 diventa «Azienda Universitaria Policlinico”, e il Primo gennaio 2004 ha assunto l’attuale nome di Azienda Ospedaliera Universitaria in seguito a un protocollo d’intesa stipulato nel 2003 tra l’Università degli Studi di Napoli Federico II e la Regione Campania. La struttura ospedaliera si estende per un totale di 440mila metri quadrati di superficie con 21 edifici a destinazione assistenziale, per un totale di 1000 posti letto per ricoveri ordinati e 200 posti letto per day hospital. Il totale di impiegati, tra medici, infermieri, tecnici, ausiliari è di circa 2mila unità. Con i suoi edifici l’Azienda ospedaliera ha cambiato il volto di un pezzo di città, quello della zona collinare, quartiere che da allora è semplicemente definito dai napoletani la «zona ospedaliera». Infatti, li ci sono i maggiori ospedali della città quali il Cardarelli, Monaldi, Cotugno e il Pascale centro d’eccellenza per la cura dei tumori. Un quartiere dove gli ospedali danno lavoro a tanti residenti.

Paziente trasferito, verifiche sulle responsabilità del 118 = «Cardiochirurgie out, paziente a Salerno»

Cardiochirurgie out, paziente a Salerno. L’inchiesta della Regione: trovato il posto ma non a Potenza, ora verifiche. «Quel paziente cardiopatico a Potenza non è mai andato. Perché in extremis si è liberato un posto al Ruggi di Salemo ed è stato trasferito lì». Il duello tra Regione e 118 continua. Terreno dello scontro è sempre il clamoroso caso dell’uomo di Frattamaggiore che il 6 agosto ha riportato una grave dissecazione aortica del tratto discendente e necessitava dunque di un intervento chirurgico urgente. A Napoli, però, non ha trovato posto perché le cardiochirurgie del Monaldi e del Policlinico erano chiuse e stanno riaprendo i battenti solo in queste ore, rispettivamente dopo una settimana e un mese di stop. «L’unico via libera – ha raccontato Giuseppe Galano, presidente campano dell’Aar (Associazione anestesisti rianimatori) nonché direttore della centrale operativa regionale del 118 – è arrivato dall’ospedale di Potenza». Ma proprio questa circostanza viene contestata dalla Regione, che ha avviato un’indagine interna per fare luce sulla vicenda. Alla fine, dopo le informazioni e gli atti raccolti dal dipartimento Salute dell’ente e dagli uffici dell’Aran, a Palazzo Santa Lucia hanno tirato le somme. «In base agli accertamenti effettuati dagli uffici il giorno 6 agosto è pervenuta alla centrale operativa regionale del 118 la richiesta, da parte della centrale 118 di Napoli 2 Nord, di disponibilità di ricovero in cardiochirurgia per un paziente ricoverato in pronto soccorso all’ospedale di Frattamaggiore – si legge nel dossier messo a punto dagli esperti dell’ente – La centrale regionale ha effettuato la ricerca di posti letto presso le centrali operative provinciali e presso gli ospedali di Napoli ottenendo riscontro negativo». Subito dopo «la stessa centrale ha effettuato richiesta di disponibilità di reparto operatorio di cardiochirurgia agli stessi indirizzi ottenendo riscontro negativo». A questo punto è partita la ricerca fuori dai confini regionali ed è arrivato il primo via libera, dal nosocomio di Potenza. Fin qui le versioni del 118 e della Regione coincidono. Ma è questo anche il momento in cui la centrale regionale esce di scena perché il trasferimento non viene gestito dal 118 bensì direttamente dall’ospedale che ha in carico il paziente. Ebbene, secondo le informazioni raccolte dal dipartimento Salute e dagli uffici dell’Arsan, alla fine, grazie ad un contatto diretto tra l’ospedale di Frattamaggiore e quello di Salerno, il cardiopatico sarebbe stato «trasferito proprio nel nosocomio di Salerno»: «È stato visitato in cardiochirurgia, dove non è stato ritenuto necessario l’intervento chirurgico. Ricoverato in cardiologia, è stato dimesso il 13 agosto». «Da ulteriori informazioni assunte presso le basi di volo degli elisoccorsi di Napoli e Salerno è stato verificato che nel mese di agosto dalla base di Napoli non è stato effettuato alcun trasferimento extraregionale. Da Salerno sono stati effettuati, invece, due trasferimenti extraregionali» fanno sapere infine da Palazzo Santa Lucia. La vicenda, comunque, non si chiude qui. Perché la giunta Caldoro non esclude verifiche sull’operato del 118 per accertare se siano stati commessi errori e irregolarità o se dalla centrale operativa siano state fatte comunicazioni sbagliate. È questo solo l’ennesimo round di una battaglia che va avanti da tempo e che riguarda la riorganizzazione del sistema di soccorso: il governatore Stefano Caldoro vorrebbe affidarlo alle Asl, Galano spinge per mantenerlo in capo al Cardarelli e ha ottenuto una prima vittoria al TAR. Il problema, comunque, non è tanto quello dei trasferimenti, che si verificano quasi quotidianamente, quanto il fatto che la rete delle emergenze a Napoli è pericolosamente in affanno. In sofferenza sono soprattutto Cardarelli, Loreto Mare e San Giovanni Bosco, che devono fronteggiare ogni giorno l’afflusso record di pazienti provenienti non solo dalla città e dall’hinterland ma anche dalle altre province campane. E allora la via d’uscita principale resta quella di inserire i Policlinici, della Federico II e della Seconda Università di Napoli, nella rete delle emergenze. Ma la strada appare in salita soprattutto a causa delle resistenze dei docenti. Ora la giunta Caldoro punta ad accelerare su questo versante mentre lavora ad una più intensa sinergia tra Cardarelli, Monaldi e Policlinico. L’ultimo pezzo della strategia prevede il rafforzamento della rete territoriale (Asl e distretti) attraverso la creazione di 300 unità complesse di cure primarie: strutture in grado di fornire primi soccorsi ma che non sono costose e complesse come i pronto soccorso ospedalieri.

Sanità Campana: Il silenzio arrogante della politica

cardarelliNonostante Repubblica Napoli abbia riportato in più articoli i gravissimi fatti accaduti all’Ospedale Cardarelli e ciò che accade (anzi che non accade) al Policlinico Nuovo di Napli, caldoro insiste con il suo arrogante silenzio.

Ieri (26.07.2014) sempre Repubblica Napoli ha riportato nelle lettere una mia riflessione (clikka) proprio su questo tema che invito a leggere per chi non l’avesse già fatto.

Oggi (27.08.2014) su Il Mattino di Napoli compaiono tre articoli tutti incentrati sulla malasanità Campana. Sarà il caldo, saranno le ferie, ma registro un assoluto silenzio anche dei consiglieri regionali e di tutte le forze politiche.

E’, infatti, imbarazzante che si parli di Fonderia democratica e non si pongono in primo piano i veri problemi che affliggono i cittadini Campani e Napoletani!

Nell’ultimo articolo troverete enunciata l’ideaona del governatore che, dopo aver chiuso ospedali e reparti e costretto i cittadini campani ad andare a curarsi in emergenza a Potenza, si è inventata una accelerazione nell’ultimo anno di amministrazione mettendo sulla carta la istituzione delle cd. Unità Operative Complesse di Cure Primarie. Come dire, prima si chiudono i presidi e poi si creano 300 unità che forse serviranno a dare dei posti e delle indennità aggiuntive ad amici e parenti.

Poiché si avvicinano le elezioni regionali Vi consiglio una attenta lettura almeno per sapere con chi avremo a che fare in campagna elettorale non fosse altro per potere rintuzzare i candidati sui veri temi politici!

Da Il Mattino di Napoli di oggi (26.08.2014)

Gerardo Ausiello

Sanità, il caso dei reparti chiusi = Paziente trasferito a Potenza giallo sui posti letto esauriti

Cardiopatico trasferito a Potenza, giallo sugli otto no: caccia ai documenti sui posti letto non utilizzati Dagli ospedali campani otto no al ricovero, i dubbi della Regione.

Bufera sui servizi negati ad agosto. La Regione: anche i Policlinici nell’emergenza. Ma i docenti fanno resistenza; Sanità, il caso dei reparti chiusi Cardiopatico trasferito a Potenza, giallo sugli otto no: caccia ai documenti sui posti letto non utilizzi Gerardo Ausiello Una rete delle emergenze insufficiente, la mancanza di coordinamento tra gli ospedali, lo scarso personale in servizio (sia a causa delle ferie che del blocco del rum over). C’è tutto questo dietro il clamoroso caso del paziente cardiopatico che il 6 agosto è stato trasferito m elicottero da Napoli a Potenza. Paziente che necessitava di un intervento chirurgico urgente. E invece si è perso tempo prezioso alla disperata ricerca di un nosocomio che potesse accoglierlo. Le cardiochirurgie cittadine, del Monaldi e del Policlinico, erano infatti chiuse e stanno riaprendo i battenti solo in queste ore. La sfida della Regione: anche i Policlinici nell’emergenza. Ma i docenti universitari fanno resistenza. La sanità, il caso Paziente trasferito a Potenza giallo sui posti letto esauriti Dagli ospedali campani otto no al ricovero, i dubbi della Regione. Una rete delle emergenze insufficiente, la mancanza di coordinamento tra gli ospedali, lo scarso personale in servizio (sia a causa delle ferie che del blocco del turn over). C’è tutto questo dietro il clamoroso caso del paziente cardiopatico che il 6 agosto è stato trasferito in elicottero da Napoli fino a Potenza. È rio che emerge dalle prime indagini. Il paziente aveva riportato una grave dissecazione aortica del tratto discendente e necessitava di un intervento chirurgico urgente. E invece si è perso tempo prezioso alla disperata ricerca di un nosocomio che potesse accoglierlo. Le cardiochirurgie cittadine, del Monaldi e del Policlinico, erano infatti chiuse e stanno riaprendo i battenti solo in queste ore, rispettivamente dopo una settimana e un mese di stop. Alla fine L’unico via libera è arrivato da un ospedale che dista 150 chilometri da Frattamaggiore, dove l’uomo era stato ricoverato. Com’è possibile che in Campania non ci fosse neppure una struttura in grado di intervenire? E perché? Per dare una risposta a queste domande la Regione ha avviato nelle scorse ore un’indagine interna. Qualcosa, è evidente, non ha funzionato. Ma cosa è successo davvero quel giorno di inizio agosto? Una volta fatta la diagnosi, i medici del presidio di Frattamaggiore (che non ha la cardiochirurgia) hanno disposto il trasferimento urgente dell’ammalato nell’ospedale più vicino. Si è cosi messa in moto la macchina del 118, che ha incassato una lunga serie di dinieghi. Il primo è arrivato dal Monaldi, dove era in corso un intervento di bonifica (obbligatorio almeno due volte all’anno) che ha determinato la chiusura della cardiochirurgia per adulti, guidata da Gianantonio Nappi. L’assistenza è stata comunque assicurata utilizzando per le urgenze la cardiochirurgia pediatrica ma quel giorno, dicono dall’azienda dei Colli, i quattro posti letto in terapia intensiva pediatrica erano tutti occupati. Stessa risposta dal Policlinico della Federico II, e per motivi simili: nel re- parto, diretto da Carlo Vosa, erano in corso gli interventi di bonifica e i lavori di ristrutturazione del pavimento della terapia intensiva. Entrambe le cardiochirurgie, dunque, hanno chiuso i battenti contemporaneamente e senza coordinarsi. Subito dopo i sanitari hanno incassato l’indisponibilità della cllnica Mediterranea, convenzionata con il servizio sanitario regionale, che dispone della cardiochirurgia ma che non fa parte della rete delle emergenze: «Non abbiamo potuto accogliere quel paziente per mancanza di posti disponibili e ce ne rammarichiamo – spiega l’amministratore delegato Celeste Condorelli – tuttavia se la Regione coinvolgerà anche i privati nella rete delle emergenze, non ci tireremo indietro». A questo punto la centrale operativa del 118 si è rivolta alle altre province campane, che dispongono di cinque cardiochirurgie (presso gli ospedali di Caserta, Salem

o e Avellino, la casa di cura Pineta Grande di Castelvoltumo e la clinica Malzoni nel capoluogo irpino): «Tutte le centrali operative contattate hanno dichiarato la non disponibilità – ribadisce Giuseppe Galano, presidente regionale dell’Aaroi (Associazione anestesisti rianimatori) nonché direttore della centrale operativa regionale del 118 – per questo d siamo rivolti all’ospedale di Potenza». Complessivamente otto no, dunque. È su tale circostanza che si registra un giallo. Già, perché gli esperti della Regione avanzano dubbi sul fatto che tutti i reparti fossero effettivamente saturi, senza personale adeguato o impreparati ad effettuare l’intervento chirurgico. Da qui l’inchiesta, che punta a fare chiarezza sugli aspetti oscuri della vicenda. Sullo sfondo c’è il braccio di ferro giudiziario proprio tra Regione e 118 sulla riorganizzazione del sistema di soccorso: il governatore Stefano Caldoro vorrebbe affidarlo alle Asi, Galano spinge per mantenerlo in capo al Cardarelli e ha ottenuto una prima vittoria al TAR. Il problema, comunque, non è tanto quello dei trasferimenti, che si verificano quasi quotidiana mente. Proprio l’altro ieri un uomo coinvolto in un incidente stradale in Irpinia è stato portato in elicottero a San Giovanni Rotondo perché sia il trauma center del Cardarelli che quello dell’ospedale di Caserta erano pieni. Il punto è piuttosto che la rete delle emergenze a Napoli non riesce più a reggere e mostra preoccupanti falle. In difficoltà sono soprattutto Cardarelli, Loreto Mare e San Giovanni Bosco. Cosa fare, dunque? Molti operatori sanitari non hanno dubbi: la soluzione sarebbe coinvolgere i Policlinici nella rete delle emergenze.

Intervista a Antonio Mignone«Il Policlinico? I medici guadagnano di più ma ad agosto tutti in ferie»

«Il Policlinico? I medici guadagnano di più ma ad agosto tutti in ferie) L’intervista Mignone (Smi): nell’università si lavora quattro volte di meno rispetto agli ospedali Marisa La Penna Carichi di lavoro estremamente sbilanciati tra i medici che prestano servizio in ospedali con pronto soccorso e strutture che non hanno l’emergenza. Antonio Mignone, medico anestesista rianimatore, segretario regionale dello Smi, il sindacato dei medici italiani non usa giri di parole. «Nelle strutture universitarie – dice – si lavora la quarta parte rispetto agli ospedali con pronto soccorso». Due categorie di medici, dunque? «Assolutamente sì. Partiamo da quello di cui si parla tanto in questi giorni: il Cardarelli. Nell’ospedale più grande del Mezzogiorno si lavora in urgenza e si prende tutto. Nessun paziente viene respinto. Anche in sovraffollamento, anche se scoppia di barelle. U policlinico, per fare un esempio, tiene un carico di lavoro solo mattutino e non nel periodo estivo quando molte sale operatorie vengono fermate e molti reparti “accorpati”. Anche il blocco chirurgico viene accorpato. E così la struttura si svuota, il personale può fare ferie. La verità è che, a mio parere, i medici dovrebbero essere pagati in base ai carichi di lavoro e alla qualità di assistenza che offrono. La cosa paradossale è che gli universitari guadagnano addirittura di più». Da un lato posti letto vuoti e dall’altro inferno di barelle. Come mai? «Andiamo per ordine. Partiamo dal decreto 49 sul rapporto posti-letto paziente secondo cui il rapporto deve essere di tré ogni mille abitanti. Napoli ha un milione di persone. Stesso numero, più o meno, di Salemo e provincia. Ebbene, a Napoli al momento ci sono 7500 posti letto e a Salemo 2500. Quelli di Salemo sono tutti con pronto soccorso aperto. Mentre a Napoli i due policlinici e l’ospedale dei Colli che contano arca tremila posti letto e cinque ospedali del centro storico non hanno pronto soccorso. Ecco che finisce tutto al Cardarelli, al Loreto Mare e al San Giovanni Bosco». E allora? «E allora succede che siamo costretti a trasferire i pazienti fuori regione. Capita tutti i santi giorni. Nell’ultima settimana ho dovuto personalmente trasferire a Potenza due pazienti per la Neurochirurgia. C’è insomma una II presidio II Policlinico universitario; a destra Antonio Mignone dello Smi pessima distribuzione dei posti letto sul territorio regionale oltre che su Napoli. Molte strutture, nell’emergenza, non sono accessibili perché senza pronto soccorso. Qualcuna, addirittura, non si è resa disponibile per la rianimazione, pur avendo il posto disponibile. C’è infatti un’inchiesta della magistratura per valutare le responsabilità penali dell’accaduto. La polizia giudiziaria ha sequestrato le cartelle cliniche ed ha accertato che avevano mentito. Rifiutando di aiutare in tal modo un paziente morente. In alcuni policlinici non c’è, per esempio, un tasso di utilizzo dei posti letto secondi i parametri nazionali». L’accusa «Pessima la distribuzione delle degenze Costretti quotidianamente a far viaggiare gli ammalati»

 La sfida di Caldoro: i Policlinici nell’emergenza

Strutture universitarie a supporto dei pronto soccorso, ma i prof fanno resistenza.

Lo scenario. La sfida di Caldoro: i Policlinici nell’emergenza. Strutture universitarie a supporto dei pronto soccorso, ma i prof. fanno resistenza. Da un lato la riorganizzazione della rete delle emergenze con il nodo dei Policlinici, dall’altro il potenziamento delle strutture sanitarie territoriali, quelle cioè che fanno capo ad Asl e distretti. È un piano in due mosse quello studiato dalla Regione per far fronte ai gravi disagi dei pronto soccorso a Napoli, sovraffollati e incapaci di reggere l’assalto quotidiano dei pazienti dopo i tagli determinati dai conti in rosso. In sofferenza sono soprattutto Cardarelli, Loreto Mare e San Giovanni Bosco, che accolgono non solo ammalati dalla città ma anche dai comuni dell’hinterland e spesso dalle altre province. L’altra faccia della medaglia sono invece i Policlinici, della Federico II e della Seconda Università di Napoli, che non devono sopportare lo stress dei pronto soccorso e di conseguenza non hanno un problema quotidiano con le barelle. La soluzione, allora, sarebbe quella di coinvolgerli nella rete delle emergenze, anche perché i costi di mantenimento di tali strutture sono da sempre molto elevati. È un obiettivo, questo, che viene inseguito da tempo dalla Regione (prima con Bassolino e poi con Caldoro) ma finora senza risultato. Basti pensare che nel piano di razionalizzazione della rete ospedaliera e territoriale, approvato nel 2010 al termine di un lungo iter, si parla espressamente proprio di questa improcrastinabile esigenza. Uno dei scogli maggiori da affrontare è rappresentato dalle resistenze dei docenti universitari. La sinergia tra strutture di ricerca medica e cura già nel piano sanitario 2010 che i medici ospedalieri chiamano «baroni» per i loro privilegi. Ora la giunta Caldoro punta ad accelerare su questo versante mentre in parallelo lavora ad una più intensa sinergia tra il Cardarelli e il suo pronto soccorso da un lato, il Monaldi e lo stesso Policlinico federiciano dall’altro. Sul fronte dell’assistenza territoriale, invece, la rivoluzione (che scatterà nelle prossime settimane per poi entrare nel vivo entro fine anno) prevede l’istituzione di presidi oggi esistenti solo sulla carta: le Uccp, ovvero le unità complesse di cure primarie. Di cosa si tratta? Di strutture in grado di fornire primi soccorsi ma che non sono costose e complesse come i pronto soccorso ospedalieri. Saranno in funzione 7 giorni su 7, 24 ore su 24, e potranno disporre di medici di famiglia, pediatri di libera scelta, specialisti ambulatoriali, medici della continuità assistenziale (le guardie mediche) nonché di unità infermieristiche e di operatori che potranno muoversi sul territorio. Un cittadino che dovesse accusare un malore potrà allora rivolgersi a queste unità che effettueranno le prime diagnosi. In molti casi, secondo gli esperti, i problemi di salute sono infatti risolvibili senza particolari interventi o senza ricorrere alla chirurgia. Si pensi ai tantissimi codici bianchi ospedalieri, a fronte dei quali la Regione ha istituito un ticket aggiuntivo a quello statale (il costo totale della prestazione è 50 euro). D’accordo, ma perché un paziente dovrebbe rivolgersi ad un’unità complessa territoriale con il rischio di dover poi essere comunque trasferito in ospedale? L’idea I costi Investimenti nelle università per garantire la formazione ma obblighi assistenziali ridotti della Regione, che con il capo di partimento della Salute Ferdinando Romano sta lavorando senza sosta al progetto, è che sarà più conveniente per il cittadino farlo poiché le Uccp si troveranno in media a pochi chilometri da casa. In tutta la Campania ne dovrebbero sorgere oltre 300, così suddivise: nelle città più grandi ce ne sarà una per non più di 30mila abitanti; per quelle medie ogni 15mila abitanti; per quelle a bassa densità (si pensi al Cilento o alle aree interne, dall’Irpinia al Sannio) l’Uccp servirà un bacino di 5-l0 mila persone. Non solo. Un altro vantaggio sarà rappresentato dal raccordo telematico tra queste strutture e gli ospedali in una rete

della salute che provvederà a prendere in carico il paziente e ad accompagnarlo fino alla risoluzione del problema. L’istituzione di queste unità sarà propedeutica ad un altro obiettivo, altrettanto ambizioso: la telemedicina. Quando sarà realtà, un paziente cardiopatico potrà effettuare comodamente a casa un elettrocardiogramma e trasmetterlo in tempo reale ai medici di turno, che effettueranno la diagnosi e decideranno sul da farsi.

Il disastro del Cardarelli e l’inefficienza del Policlinico: Perché caldoro non risponde?

caldoroLe mie riflessioni pubblicate su Repubblica Napoli del 26.08.2014. Caldoro non Taccia sui mali della sanità: Gli articoli di Concita Sannino e le lettere pubblicate su Repubblica in questa estate agostana, su ciò che accade nei due complessi ospedalieri di primaria importanza per Napoli e la Campania, il Cardarelli ed il Nuovo Policlinico, ci hanno dato la possibilità di guardare da un angolo diverso un mondo con il quale ogni cittadino gioco forza deve fare i conti.

A parlare questa volta sono stati addetti al lavori, la Dott.ssa Rossana Spatola (clikka), anestesista del Cardarelli, il Manager dello stesso Ospedale Cardarelli, Giuseppe Del Bello, nonché i rappresentanti sindacali dell’Anaao, Verde, Orsini e Gragnano, tutti d’accordo sulla ricostruzione dei fatti. La questione è stata poi ripresa, con lo sfogo del manager del Cardarelli, sulla insufficienza di personale, nella occasione dei recenti gravissimi fatti legati al vero e proprio assalto di camorra che ha subito il Cardarelli.

A fronte di queste gravi, precise e circostanziate accuse ciò che colpisce è il silenzio assordante del Presidente Caldoro, titolare della delega alla Sanità e quella dei responsabili del Nuovo Policlinico la cui organizzazione (definita un potere baronale)  è stata, sostanzialmente messa sotto accusa, sia per la scarsa produttività, efficacia ed efficienza, almeno per quello che serve alla nostra città, sia per il singolare stratagemma di avere come pronto soccorso la sola ostetricia e ginecologia, con evidente allusione al fatto che così facendo i medici hanno la possibilità di assistere in Ospedale le loro “clienti”. Fatti, ad oggi, non smentiti dai diretti interessati, spero perché distratti dalle vacanze, ma su cui ogni cittadino ha diritto di avere conto e ragione.

Chi ha avuto la sfortuna di essere ricoverato o di avere ricoverato un prossimo congiunto nell’Ospedale Cardarelli di Napoli ha, infatti, toccato con mano la vera e propria indecenza e mortificazione di vedere il proprio anziano genitore, figlio, fratello o sorella sistemato su una barella in un corridoio della medicina di urgenza o in altro reparto con medici ed infermieri che, fortunatamente, mostrano essi stessi un senso di mortificazione ed indignazione per lo stato nel quale sono costretti ad operare.

Indignazione e mortificazione che si accrescono se gli stessi medici impegnati quotidianamente al Cardarelli, a ferragosto, denunciano che al vicino Nuovo Policlinico, pur essendoci strutture e posti letto i medici attendono le ferie girandosi i pollici!

Possibile che il nostro Governatore ed i responsabili del Policlinico non abbiano avuto il tempo di mettere penna in carta e dare spiegazioni ai cittadini napoletani che sfortunatamente si sono trovati e si trovano, in pieno agosto, ad avere a che fare con una sanità della quale ci si vanta solo di aver ridotto i costi, con tagli lineari, da ritenere, a questo punto, sulla carne viva dei campani e senza neppure aver tentato di razionalizzare ed efficiente la spesa sanitaria?  Spero che qualcuno ci dia una risposta degna dello status di cittadini e non di sudditi ….

Da Repubblica Napoli del 15.08.2014

Scandalo del Nuovo Policlinico Roccaforte dei Poteri Baronali

GIUSEPPE DEL BELLO

LADENUNCIA di ieri dell’anestesista Rossana Spatola sullo scandalo del Policlinico è destinata a rimanere anche stavolta senza conseguenze. Ennesimo appello inascoltato di uno dei tanti camici bianchi che lavorano in uno dei pronti soccorso più affollati d’Italia e a due passi dalla megastruttura accademica dove, invece, uno sparuto gruppo di colleghi è in attesa di ferie. Spesso occupando il tempo in turni di guardia in reparti semivuoti. In nessuna parte del mondo una contraddizione così offensiva resterebbe tale. A Napoli sì.

PUNTUALE, onesta e chiarissima, l’analisi della professionista mette il dito in una piaga antica, nella melmosa palude che caratterizza la nostrana politica sanitaria, una politica fatta (come in questo caso) di convenienze lobbystiche universitarie e, in generale, di calcoli elettorali dei singoli partiti. E alla fine, a farne le spese sono i pazienti, privati di un’assistenza dignitosa, e gli studenti considerati alla stregua di merce indispensabile per far andare avanti la baracca universitaria. Fanno amaramente sorridere le numerose proposte sullo spostamento di sede (l’ultima, in ordine di tempo, Scampia) del Nuovo Policlinico. La Cittadella universitaria di Cappella Cangiani nacque nei primi anni Settanta per soddisfare la sacrosanta necessità di avere un policlinico davvero idoneo all’assistenza e alla didattica. Gli obiettivi sono rimasti sulla carta: il Nuovo Policlinico, soprattutto dopo il terremoto dell’80, è diventato la roccaforte dei poteri baronali. Aprire un pronto soccorso sarebbe stato il doveroso e imprescindibile impegno della Federico II, in cambio dei cospicui finanziamenti ricevuti ogni anno dalla Regione. I vari protocolli d’intesa prevedevano l’erogazione di un’assistenza sul territorio che avrebbe dovuto integrarsi con quella delle Asl. E invece, no. I soldi da Santa Lucia sono stati distribuiti a entrambi i policlinici, mentre di assistenza se ne è sempre vista poca. O comunque in minima parte rispetto ai fondi ricevuti. Ma tant’è, in Campania e a Napoli, la strana commistione tra potere politico e autorevolezza accademica ha reso possibile lo scempio. Ora, discutere sulla futura localizzazione del Nuovo Policlinico appare un paradosso, ma il rischio che questo accada, che cioè tra vent’anni ci si trovi con un’altra struttura universitaria (non importa dove) c’è. E non bisogna essere profeti per intuire che avremo un’altra facoltà di medicina, mentre quella di Cappella Cangiani resterà così com’è. In questo modo saranno tutti contenti: i baroni che potranno sistemare tanti allievi (?) nelle nuove cattedre, i politici che avranno di che fertilizzare il terreno elettorale, gli imprenditori (e gli immancabili camorristi) impegnati nella realizzazione dell’opera. Il copione si ripete. Il Vecchio Policlinico aspetta da anni di essere chiuso e trasferito a Caserta. Lo promise Bassolino che voleva far emergere l’Acropoli partenopea nel centro storico. Ma è ancora lì, mentre a Caserta c’è ancora il cantiere. E per finire, un accenno all’Ospedale del Mare. Da un po’ di tempo se ne riparla. Siamo vicini all’apertura della struttura che disporrà di 500 posti letto. Doveva esser completata cinque anni fa, poi improvvisamente lo strano fallimento del project financing ha provocato il cambio delle carte in tavola: l’impresa costruttrice che avrebbe dovuto occuparsi della gestione dei servizi in cambio dell’appalto ricevuto si è defilata e ha passato la mano alla Asl Napoli 1. E, adesso, per far funzionare l’ospedale per il quale si sono già sfrenati gli appetiti di medici e amministratori (sarà ben più importante del Cardarelli), si potrà contare solo sull’azienda sanitaria metropolitana. Non sarà facile, viste le condizioni economiche in cui versa. Nel frattempo, il Nuovo Policlinico resta la torretta di osservazione. Di lì, in silenzio si vedono benissimo le barelle e le corsie del Cardarelli.

Da Repubblica Napoli Lettere del 17.08.2014

Assurdo che il Policlinico non abbia il pronto soccorso

Gabriele Mazzacca

mazzacca@unina.it

La considerevole sottoutilizzazione del Policlinico di Cappella dei Cangiani, denunciata su queste colonne dalla dottoressa Spatola qualche giorno fa e, poi, stigmatizzata duramente nel commento di Giuseppe Del Bello pubblicato sempre su queste pagine, viene da lontano. Non esiste al mondo un ospedale della ricettività di quel Policlinico che sia privo di pronto soccorso. Al Policlinico di Cappella dei Cangiani il pronto soccorso è limitato alla specialità ostetrico-ginecologica. Specialità per la quale, guarda caso, la mancanza di un pronto soccorso ricadrebbe negativamente sulla gestione da parte dei relativi docenti della loro “utenza” privata. La storia delle due “scuole” di medicina napoletane e dei loro insediamenti ospedalieri testimonia la latitanza del senso del dovere istituzionale in buona parte dei rispettivi corpi docenti. Nella completa, pluridecennale, indifferenza della Regione. A nulla è servito che più volte nel corso degli anni passati alcune voci responsabili del mondo accademico abbiano cercato di sensibilizzare al gravissimo problema la Regione. E anche questo non sorprende. Il personale medico e non medico dei Policlinici è in vario modo inquadrato in ruoli universitari. In altre parole essi Policlinici sfuggono alla competenza diretta dell’assessorato regionale alla Sanità quanto ad arruolamento di medici e non medici. Cioè non sono stati e non sono ambiti di inserimento delle clientele del ceto politico regionale. Sono ambiti, piuttosto, di attuazione del “familismo” accademico. Anche ora che sono formalmente “aziendalizzati”. Il formalmente va rimarcato. L’attuale direttore dell’Azienda Policlinico della Federico II è stato preside delle rispettiva facoltà medica, in profondo contrasto con il principio stesso della “aziendalizzazione” dei policlinici universitari, che mirava e mira a separare la gestione dell’ospedale dal corpo docente, nel pieno rispetto dei suoi doveri didattici, scientifici, ai quali l’attività clinico- assistenziale strettamente deve correlarsi.

È necessario che le competenze pregevoli e istituzionalmente responsabili presenti nelle due scuole di medicina facciano sentire la loro voce e chiedano che l’aziendalizzazione del Policlinico sia ciò che ha da essere. Vale la pena di ricordare che quando, negli anni ‘90, a una effettiva aziendalizzazione si riuscì ad approdare dopo asperrimi contrasti con settori della facoltà che ad essa si opponevano perché riducente notevolmente il loro strapotere, la spesa farmaceutica si ridusse del 20 per cento. Ancora: si solleciti una convenzione Università – Cardarelli, in virtù della quale per le afferenze cliniche al dipartimento di emergenza del Cardarelli ritenute bisognevoli di ospedalizzazione siano tenute in conto tanto la disponibilità di posti-letto nel Cardarelli quanto quella dei reparti del Policlinico. Si porrebbe, così, finalmente rimedio alla assenza di pronto soccorso del Policlinico. Una assenza tra l’altro gravemente incidente sulla effettiva formazione clinica degli studenti che a quel Policlinico afferiscono.

Da Repubblica Napoli del 20.08.2014

Troppo lavoro per il cardrelli

Franco Verde, Luigi Orsini, Eugenio Gragnano

segreteria Anaao – Napoli

La segreteria Anaao aziendale- medici dirigenti dell’ospedale Cardarelli è in piena sintonia con il contenuto della lettera della dottoressa Spatola e condivide il suo “grido di dolore” per un ospedale e i suoi operatori giunti ormai al limite. La sua precisa e puntuale denuncia, seguita dall’apprezzabile commento su “Repubblica” di Giuseppe Del Bello che faceva una minuziosa disamina delle non-scelte della politica sulla sanità campana, apre uno squarcio sulla realtà: alcuni ospedali sono in prima linea, altri come i Policlinici, non inseriti nella rete assistenziale di emergenza, in estate possono chiudere per ferie! La lettera della dottoressa Spatola, intrisa di passione, amarezza, senso di responsabilità verso i pazienti e la struttura ospedaliera dovrebbe pesare come un macigno sulla coscienza del presidente Caldoro per due motivi: 1) L’insostenibile carico di lavoro gravante sul Cardarelli per assenza di filtro territoriale e chiusura di T.S. ospedalieri insieme al mantenimento di sacche di privilegio non ha mai avuto un sostegno tangibile da parte della Regione innanzitutto sul versante delle risorse umane, per cui al Cardarelli oggi lavora un personale stremato e di numero insufficiente anche a causa del perdurante blocco del turnover.

2) La situazione dei Policlinici, descritta così puntualmente dalla dottoressa Spatola e che l’Anaao denuncia da tempo immemorabile, non è più difendibile.

Sarebbe bello se il presidente Caldoro trascorresse tre ore del suo tempo in questi giorni per visitare sia il Cardarelli che il Policlinico, ma egli si guarderà dal farlo.

 

Da Repubblica Napoli del 22.08.2014

Allarme del manager sembrava una strategia accerterò se c’erano dei complici interni

L’irruzione nel più grande presidio ospedaliero del Mezzogiorno ha destato impressione nell’opinione pubblica e preoccupa i dirigenti. Rocco Granata, manager dell’azienda, affida il suo sfogo a “Repubblica”: “Qui subiamo violenza quotidianamente. L’azione portata a segno nella notte tra lunedì e martedì è il frutto di questa condizione”. Granata descrive il raid: “Un gruppo di almeno 150 individui si è spinto fin nella Neurologia. Ovviamente, approfittando dell’assenza della guardia giurata accorsa in aiuto in corsia. E pensare che c’era anche il drappello di polizia, mentre è intervenuta una volante chiamata dal piantone”. Poi denuncia le carenze di personale: “Abbiamo perso ben 1200 dipendenti in tre anni. Oggi ne sono rimasti 2800. Nel dettaglio: all’appello mancano quindici primari di ruolo e centomedici. E per la vigilanza spendiamo tantissimo”

LA DENUNCIA

GIUSEPPE DEL BELLO

ILCADAVERE “rubato” nel reparto riaccende i riflettori sul Cardarelli. Stavolta più che mai il gigante della sanità metropolitana si è dimostrato fragile. E ha dovuto sventolare bandiera bianca di fronte alla folla di criminali che, tre giorni fa, ha messo sotto scacco l’intera struttura per riappropriarsi del “caro estinto” imparentato con un boss. Rocco Granata, da anni manager dell’azienda ospedaliera e in regime di proroga fino al 29 agosto, si sfoga. E denuncia la situazione di un presidio che ormai «si vede sotto assedio continuo».

Direttore, lei è al timone del più grande ospedale del sud, dovrebbe essere anche il più “sicuro” e

sorvegliato. Come è potuta accadere una cosa del genere?

«Qui, subiamo violenza quotidianamente. L’azione portata a segno nella notte tra lunedì e martedì è il frutto di questa condizione. Da quanto siamo riusciti a ricostruire è stato compiuto un intervento su due fronti, dall’esterno e dall’interno dell’ospedale. Un gruppo di persone, una trentina, si è intrufolato nel pronto soccorso, un altro foltissimo, almeno 150 individui, si è spinto fin nella Neurologia. Ovviamente, approfittando dell’assenza della guardia giurata accorsa in aiuto in corsia. E pensare che c’era anche il drappello di polizia, mentre è intervenuta una volante chiamata dal piantone. Insomma, è sembrata una vera e propria strategia. Ho avviato un’indagine interna per accertare l’eventuale responsabilità di qualche operatore del Cardarelli».

Stiamo parlando di eventuali connivenze di qualche operatore interno con gli autori dell’assedio?

«Non posso dirlo. Ma certo è mio dovere eliminare ogni dubbio su eventuali, dico eventuali, ipotesi di collegamenti con persone che lavorano all’interno».

Sarà difficile ricomporre il puzzle?

«Non credo. Ho fiducia negli inquirenti. Ora tutto il materiale è all’esame di polizia e magistrati».

Ma se possono verificarsi blitz come questo, significa che la vigilanza al Cardarelli è insufficiente?

«In senso generale devo dire no: perché questa non è una caserma. Abbiamo uno sbarramento di guardie giurate in pronto soccorso, fuori c’è un’altra unità, e per ogni piano, di notte, c’è almeno una guardia in servizio. Spendiamo tantissimo per la vigilanza, ma poi c’è un problema di cultura. È vero che ci sono operatori che lavorano in condizioni precarie, ma la violenza è un’altra cosa. Se poi ci riferiamo alle carenze di personale, allora ce n’è da dire».

In che senso?

«Un dato. Sa quante persone se ne sono andate senza essere sostituite? Ben 1200 dipendenti in 3 anni. Oggi ne sono rimasti 2800. Nel dettaglio: all’appello mancano 15 primari di ruolo e 100 medici. Andiamo avanti con personale sanitario precario che presta servizio con incarichi rinnovati di volta in volta, per ora, fino al 2016. Ma sono professionisti senza certezza di stabilità. Di infermieri siamo sotto di qualche centinaio di unità, mentre la grossa piaga è rappresentata dagli ausiliari».

Anche questi sono pochi?

«Ce ne vorrebbero 250, ma il problema annoso non è mai stato risolto dalla Regione, né prima, né ora con Caldoro. A suo tempo era stato finanziato con fondi europei un corso di formazione destinato a 13mila sociosanitari: persone formate sulla carta che poi avrebbero dovuto essere assunte. A noi è stato detto di fare i corsi, ma come li avremmo dovuti selezionare? Il meccanismo è perverso: trascorsi i sei mesi di incarico, non avrei come sostituirli ».

Nel frattempo, come ha risolto?

«Nel dubbio, non ho assunto nessuno, e il lavoro che sarebbe degli ausiliari viene svolto dagli infermieri, in straordinario».

Anche lei deve fare i conti col blocco del turn-over: non sente di ribellarsi a una situazione capestro?

«Certo, e infatti mi sono fatto sentire. Ho spedito lettere al ministro della Salute, prefetto e governatore. Ho fatto presente che Caldoro dovrebbe avere poteri straordinari e invece è in difficoltà perché tutto deve passare al vaglio del tavolo tecnico dei ministeri di Economia e Sanità».

Un’anestesista del suo ospedale, Spatola, ha denunciato a Repubblica lo scandalo del Policlinico che non fa emergenza…

«Ho letto e apprezzato. La verità è che quando si vuole organizzare un’attività di pronto soccorso non si chiede, si organizza assicurando il personale necessario. Si doveva completare il procedimento con l’integrazione della legge 517: nelle altre regioni è stato fatto. Mi devono spiegare perché i posti letto del Cardarelli non possono essere utilizzati per fare formazione. Gli specializzandi universitari li integrerei con i dipendenti in accompagnamento al medico strutturato. Così, invece di avere in turno 3 unità, ne lascerei 2, con un terzo, lo specializzando, che imparerebbe sul campo. E poi, mi spiegassero come mai i pronto soccorso ostetrici funzionano alla perfezione».

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