Una Cappella abusiva nel rione Traiano per Davide

cappelladavideLa vicenda del povero Davide ha delle caratteristiche che andrebbero studiate poiché rappresenta un forma mentis assolutamente radicata e diffusa sul territorio cittadino in alcune strade o quartieri.

Ci sono, infatti, gruppi di cittadini che si isolano dallo Stato inteso come collettività, manifestando chiaramente di non accettare né sopportare alcuna regola che non sia quella che, nel ristretto cerchio, gli stessi componenti del “clan” si sono dati. Regole non scritte che nascono dalla pervicace volontà di non riconoscere alcuna autorità e di sopportare quella diciamo costituita di mal grado. Una affermazione di forza che si manifesta in ogni momento, dalle bancarelle abusive di ogni cosa che nascono in occasioni di eventi, alla stabile occupazione di pezzi del territorio. Tanto che non molto tempo fa mi chiedevo quale fosse il rapporto tra i napoletani e l’ordine costituito (clikka).

Oggi leggo della realizzazione della cappella abusiva in favore del povero Davide in corso di realizzazione, ma a buon punto (come si vede dalla foto) ed oggi stesso, leggo anche la notizia dell’avvenuto sequestro del manufatto che, molto probabilmente sarà stato eseguito anche con denuncia contro ignoti.

Bene si potrebbe dire lo Stato c’è! Ma a riflettere, io sarei pronto a giocarmi tutto, che tutti i cittadini del quartiere sanno benissimo chi la stava realizzando, ma nessuno si è indignato né ha protestato né ha chiesto lumi ritenendo assolutamente normale il modo di agire. Probabilmente fra  qualche giorno sarà eliminato anche il nastro bianco e rosso, la scritta del sequestro e molto probabilmente anche la municipalità provvederà a dare il suo benestare perché sarà assediata da una massa di cittadini (minoritaria ma agguerrita) che pretendono di avere la cappella! Attenzione la mia non è una critica ma una constatazione che nei territori lo Stato non può intervenire solo con azioni repressive ma deve essere presente con programmi di sviluppo di solidarietà e sopratutto con la buona politica volta unicamente a far intendere ai cittadini con fatti concreti che se lo Stato esiste è meglio per tutti.

i cittadini del rione traiano abbandonati dalle istituzioni (clikka)

Davide una morte di Stato o della Politica (clikka)

Mario Messi (che non conosco) mi ha linkato questo suo video che mi ha fatto riflettere e che ringrazio:

Si nun tien sem nun può fa radici:

Da Repubblca Napoli di oggi 17.09.2014

Un Casotto di cemento tirato su in ventiquattr’ore “Ma il questore e il prefetto cosa dicono?”

ROBERTO FUCCILLO

«MA QUALCUNO l’ha autorizzata?». Domanda oziosa forse, ma è quella che si è posto ieri un sacerdote come don Aniello Manganiello, parroco a Scampia, di fronte alle immagini della minicappella che sta sorgendo al rione Traiano sul luogo dove è stato ucciso Davide Bifolco. Un casotto di cemento, eretto nei giardinetti lungo il viale, in quattro e quattr’otto come una qualsiasi palazzina abusiva. Non a caso Manganiello si chiede se l’opera «è stata autorizzata oppure ci troviamo dinanzi a un abuso». Di fatto i lavori sono iniziati l’altro ieri, con la gittata di un’ampia base di cemento armato, e sono proseguiti ieri con la elevazione di un muro, tre pareti a nicchia, destinato a far da ossatura alla “cappella” su cui campeggia per ora il megastriscione intitolato a Davide. La pietà per il ragazzo ucciso è fuori discussione. L’interrogativo è sul come possa essere tirato su un immobile di questo tipo, dichiaratamente destinato a non dimenticare la sorte la Davide, senza che nessuna autorità ne sappia nulla.

«QUEL tipo di cappelle ovviamente non dipendono dalla parrocchia — dice seccamente don Lorenzo Manca, il parroco del Rione che celebrò i funerali di Davide — se il Comune l’ha autorizzata, va bene». Il Comune però ne è all’oscuro. A Palazzo San Giacomo non risulta nulla, e gli uffici notano che la tipologia di intervento sarebbe di competenza della Municipalità.

«Non mi risulta sia pervenuta nessuna domanda — rimpalla il presidente di Municipalità Maurizio Lezzi — peraltro non ho mai saputo che sia compito della Municipalità rilasciare concessioni edilizie». D’altro canto Lezzi non esita a concludere che «se qualcuno ha fatto una simile costruzione, è chiauffici. ro che con tutta probabilità è abusiva. A me però non risulta nulla. Neanche i vigili mi hanno riferito nulla di rilevante, se non una parete, una specie di “murales” con una foto del ragazzo, nessuna cappella».

Risultato: l’autorità è ormai definitivamente espulsa da Rione Traiano. Costretta a chinare il cappello, poi a rinunciare alla divisa, infine a constatare che il governo del territorio da quelle parti risiede in altri «Se nessuno ha autorizzato quest’opera — nota Manganiello — e chi di dovere decide di non intervenire, allora davvero dobbiamo constatare con dolore che a Rione Traiano lo Stato e anche il minimo rispetto di qualsiasi forma di legalità sono definitivamente scomparsi. Oppure il questore e il prefetto per questa vicenda hanno deciso di dare un lasciapassare straordinario per cui tutto è consentito?». Polemica avvelenata. Alla quale si aggiunge la notazione del dirigente Verde Francesco Borrelli: «Gran parte di quelle lapidi contengono ritratti di morti ammazzati, di vittime di raid e di conflitti a fuoco compiuti durante le varie guerre di camorra a Napoli. Sono in prevalenza gestite e realizzate dalla camorra per presidiare e circoscrivere il territorio. Sono costruite abusivamente, ma nessuno ha il coraggio di abbatterle. Anche in questo modo la criminalità mostra la sua forza e il controllo di pezzi importanti della città».

Un modo insomma per impossessarsi della vecchia tradizione delle edicole votive dedicate a santi o immagini sacre, oggi spesso sostituite dagli “eroi” delle guerra di malavita. O, come nel caso di Davide, dal ragazzo di un quartiere che non riconosce più lo Stato.

I cittadini del Rione Traiano abbandonati dalle istituzioni

Traiano corteoDue articoli di oggi del Corriere del Mezzogiorno e de la Repubblica Napoli, uno riporta una intervista al Prefetto Musolino, il quale sostiene che nel Rione Traiano, dopo la tragedia è meglio avere un profilo basso, fino a quando non si siano calmate le acque, l’altro che nel Rione Traiano, of limits per le forze dell’ordine, lo spaccio è ritornato alla normalità e per di più indisturbato.

Non riesco a non pensare ai tanti cittadini del Rione Traiano che credono nelle istituzioni, lavorano, pagano le tasse e portano i bambini a scuola nella speranza che il loro futuro sia migliore.

Mi chiedo come si sentano queste persone? Sconfitte? demotivate? lasciate a loro stesse? prigioniere? Siamo sicuri che la scelta del Prefetto sia quella giusta? Per credere nelle istituzioni c’è bisogno che queste siano presenti proprio nei momenti difficili e dimostrino ai cittadini la loro capacità di saper incidere sul territorio ed, invece, assistiamo sempre più ad istituzioni che “trattano” non si capisce cosa e con quale capacità.

Non mi allontano molto nel ricordare la trattativa delle istituzioni con la malavita del parco verde di Caivano che, non più di qualche settimana fa, ha trafugato dall’Ospedale Cardarelli di Napoli, con una vera e propria azione di camorra, la salma del cognato del camorrista, altrimenti conosciuto come “zicarminuccio”.

Uno Stato debole risultato di una politica debole e non autorevole incapace di dare l’esempio e di fare da guida!

Davide una morte di Stato o della Politica (clikka)

Dal Corriere del Mezzogiorno di oggi 14.09.2014

Il prefetto: «Lo Stato non s’è arreso Rione Traiano, torneremo visibili»

Musolino: «Agenti in borghese per non dare un’impressione di prepotenza Dobbiamo rispetto ai familiari del giovane ucciso e alle forze dell’ordine»

NAPOLI — Francesco Musolino, prefetto di Napoli, l’uomo che presiede il comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica. Hanno ragione i poliziotti ad essere arrabbiati? Al rione Traiano lo Stato s’è davvero arreso?

«No. Non ci siamo mai ritirati, né da quel rione né da alcun quartiere di Napoli».

La strategia del basso profilo però è evidente.

«Guardi, purtroppo è avvenuto un evento doloroso, drammatico, tragico, per il quale bisogna avere tutta la considerazione del caso».

E di quest’evento — un ragazzo di 17 anni, Davide Bifolco, ucciso da un carabiniere — lei che idea s’è fatto?

«L’operazione bisognerà che la giudichi qualcuno, e per questo c’è l’autorità giudiziaria. Io credo che si debba avere grande rispetto nei confronti della famiglia, perché assistere alla fine di un ragazzo è sempre una tragedia. E mi sento di rinnovare anche un’altra forma di rispetto, quello nei confronti delle donne e degli uomini delle forze dell’ordine che lottano ogni giorno per noi. La mia fiducia nei carabinieri non è intaccata. Quanto all’episodio specifico, lo Stato è in grado di sanzionare un comportamento sbagliato se va sanzionato».

Quelle donne e quegli uomini delle forze dell’ordine, però, lamentano di essere stati costretti a nascondersi: nessuna divisa, nessuna volante all’interno del rione Traiano. Non significa abdicare?

«Assolutamente no. Lo Stato da quella zona non se n’è mai andato. Si è semplicemente reso meno visibile. Opportunamente, aggiungo. Ché in quel momento si doveva evitare di innescare il nervosismo».

Dice che gli uomini in uniforme avrebbero arroventato un clima già caldo?

«Dico che noi abbiamo la responsabilità della gestione dell’ordine pubblico, e credo che in questo caso lo si sia fatto bene. Tutta la vicenda è stata governata in maniera sensibile e delicata, mostrando il rispetto che dobbiamo portare ogni giorno ai cittadini».

I sindacati di polizia la leggono in maniera diversa, dicono che siete arretrati di fronte alla prepotenza.

«La gestione sensibile di una circostanza a me non sembra un arretramento. L’obiettivo era il mantenimento dell’ordine e della sicurezza pubblica, per questo andava disinnescata qualsiasi tensione. Abbiamo una piazza delicata dove è facile che si accendano nervosismi, la cosa fondamentale in questo momento era evitare sia le provocazioni che il ricorso alla forza. Poliziotti e carabinieri in questi giorni sono andati in giro in borghese per non dare l’impressione di essere aggressivi o, peggio, prepotenti».

E crede che alla fine questa tattica abbia pagato?

«La prevenzione è un elemento sempre difficile da valutare, perché di ciò che non accade non si ha la percezione. Però devo dire che, oggettivamente, non è si è registrato alcun episodio di tensione. Tutta la vicenda è stata governata con efficacia e sensibilità. E bisogna dare atto anche del comportamento degli abitanti del rione Traiano. Certo, la protesta c’è stata, hanno fatto manifestazioni, ma nei fatti hanno utilizzato toni che non hanno mai reso necessario l’intervento delle forze dell’ordine».

Quando rivedremo le divise al rione Traiano?

«Così come siamo stati capaci di renderci invisibili, così sapremo renderci di nuovo visibili. Lo faremo man mano che la nebbia si dirada. E mi sembra che si stia già diradando».

Da Repubblica Napoli di oggi 14.09.2014

Lo spaccio ritorna alla normalità nel rione di Davide

ANTONIO DI COSTANZO

IL DICIASSETTENNE ucciso da un carabiniere, indagato per omicidio colposo, nel corso di un inseguimento. Sul Rione Traiano risplende un caldo sole che quasi sembra voler stabilire un tregua, dopo dieci giorni di pioggia, lacrime e parole di odio versate. Nella “terra di nessuno”, senza divise di polizia, carabinieri e vigili urbani tutto sembra tornato alla normalità, se di normalità si può parlare in un quartiere che ha strappato a Scampia il primato nello spaccio di droga.

Quest’angolo della periferia occidentale da tempo è un supermarket di hashish e soprattutto della micidiale Amnèsia, la marijuana trattata con additivi o eroina che fa perdere la memoria e causa una veloce dipendenza.

«Più su la vendono a cinque euro a dose» spiega una persona che conosce queste strade come le sue tasche. Il “più sopra” sarebbe via Tertulliano che parte proprio dal viale Traiano, all’altezza del parco comunale, e sale fin su alla Loggetta «lì dove c’è cocaina a iosa».

Una delle serie tv americane più amata dal presidente degli stati uniti Barak Obama si chiama “The Wire” e racconta della lotta agli spacciatori ingaggiata a Baltimora da una squadra di poliziotti e di tutto il contorno, compreso politica e giornalismo, che ruota intorno al grande business dello spaccio.

Nella serie in alcune strade di un quartiere periferico che viene ribattezzato “Amsterdam”, la vendita della droga è praticamente libera e tollerata. Qualcosa di simile accade in questi giorni in via Tertulliano. Qui un esercito di giovanissimi spacciatori aspetta i clienti agli incroci o davanti agli androni dei fatiscenti palazzi. Accolgono i visitatori “dell’Amsterdam partenopea” con fischi, urlando o suonando ai clacson degli scooter. Tutto alla luce del sole. Senza alcun imbarazzo o paura. A pattugliare via Tertulliano, dopo la tragedia di Davide e le tensioni che sono seguite, non ci sono volanti della polizia o gazzella dei carabinieri, ma moto che seguono chi entra nel budello che attraversa i caseggiati popolari. Incuriosisce il fatto che alcuni motociclisti portino anche i caschi, una vera rarità in queste strade.

Far luce sulla morte di Davide e accertare tutte le eventuali responsabilità sarà compito della magistratura, ma intanto in questi giorni la camorra ha fatto affari d’oro indisturbata dopo la rivolta che ha allontanato, momentaneamente, le forze dell’ordine dal Rione. «Anche se erba e fumo vengono ceduti a prezzi stracciati», spiega un residente. Bassi sarebbero anche gli stipendi per vedette e pusher al dettaglio. Una vedetta o un piccolo spacciatore non si metterebbero in tasca più di 100-150 euro a settimana. Ma in un quartiere dove i tassi di disoccupazione superano il 50 per cento e dove la linea di demarcazione tra legalità e illegalità è sottilissima, è chiaro come la camorra non faccia alcuna fatica a trovare “manodopera”damandareal massacro per pochi spiccioli. Oltre alla droga nel quartiere non mancano le bancarelle con le sigarette di contrabbando e quelle che espongono pane cotto e venduto abusivamente.

In via Marco Anzio un uomo è in sella con due figli su uno scooter. Tutti e tre sono senza casco. Anche Davide Bifolco viaggiava così su uno scooter per giunta privo di assicurazione. «È normale — dice Marco Liuzzi — l’assicurazione e il casco costano, qui la gente non se lo può permettere. E non è vero che il casco non si usa per farsi riconoscere in faccia ed evitare rischi». Marco lavora nel bar di Agostino Basile, papà della fidanzata, che si trova in via Marco Aurelio, davanti alla chiesa di Maria Immacolata della Medaglia Miracolosa dove venerdì si sono svolti i funerali del 17enne. E proprio da questa strada si intravvede una speranza. «Con altri commercianti della zona — spiega Agostino — vogliamo promuovere una scuola di formazione professionale per i giovani e insegnare loro un mestiere. Così, possiamo dare un’opportunità a chi non vuole avere a che fare con storie di droga e criminalità ». A farsi carico di questa richiesta padre Lorenzo Manca che domani incontrerà il sindaco Luigi de Magistris. «Noi siamo pronti – spiega Basile – Ci devono dare solo una struttura dove organizzare e svolgere i corsi. C’è il vecchio palazzo Iacp in via- le Adriano che ospitava un supermercato, oggi chiuso. Potremmo utilizzare quello. Il Comune ci deve dare solo il via libera, noi siamo pronti. All’iniziativa vogliono partecipare anche la macelleria e la pizzeria della strada».

Agostino ricorda Davide: «Quando andava ancora a scuola veniva prima qui a fare colazione — racconta — a questi ragazzi dobbiamo dare una alternativa, un futuro in cui credere. Bisogna metterli nelle condizioni di svolgere un lavoro onesto». Il commerciante dice anche che poche ore prima in via Marco Aurelio è passata una gazzella dei carabinieri: «Sono passati e nessuno ha detto niente», aggiunge. E nel rione che fa parte del quartiere di Soccavo sono in molti ora a chiedere interventi concreti. Tra loro anche Bonito Costante, storico presidente del locale comitato assegnatari Gescal che ricorda un’altra tragedia avvenuta nella primavera del 1969: «Un ragazzo Enzo Coppola cadde in un vallone del viale Traiano e anche allora scoppiarono delle proteste che portarono alla sistemazione delle vallate e alla costruzione di cento appartamenti abitati tutt’oggi da altrettante famiglie».

Davide: Una morte di Stato o della politica

Traiano corteoLa morte di un ragazzo di appena 17 anni è una tragedia e non oso neppure immaginare cosa stiano provando i genitori, i parenti e gli amici ma ciò che sta accadendo nel Rione Traiano mi indigna come cittadino! Una folla suggestionata che pensa che lo Stato sia da combattere, da respingere da tenere lontano.

Le Forze dell’ordine additate come responsabili indistintamente, per un giovane carabiniere che spara in preda alla paura e non all’altezza di fronteggiare la particolare situazione di un motorino con tre persone a bordo che, senza casco, non si ferma all’ALT in un quartiere di camorra!

Un quartiere difficile che viene saccheggiato dalla camorra ritenuta oggi addirittura “benigna” che da’ posti di lavoro a guardia delle piazza di spaccio a fronte di uno Stato che non è in grado di creare sviluppo per sottrarre le forze alla camorra!

Mi indigno e penso che forse Davide a quest’ora non sarebbe morto se nella vicina Bagnoli, in questi 30 anni, si fosse creato sviluppo e posti di lavoro. Forse il papà di Davide o il fratello o Davide stesso, a quest’ora potevano essere impiegati in una qualche attività turistica o terziaria che si sarebbe potuta sviluppare nell’area dell’ex italsider e, quindi, avrebbe potuto pagare la maledetta assicurazione del motorino o forse non si sarebbe trovato nel posto sbagliato perché stanco dal lavoro o perché l’indomani sarebbe dovuto andare al lavoro.

Forse in trent’anni Davide o qualche suo familiare avrebbe potuto trovare lavoro in una qualche attività che si sarebbe potuta sviluppare a Napoli Est, per esempio nel solo immaginato polo di Porto Fiorito, altro progetto fallito, oppure avrebbe potuto trovare lavoro in un’area sviluppata del porto o al Parco della Marinella, nelle vicinanze del Mercato del Pesce, inserito in un polo della ristorazione del seefood.

Ecco Davide, due sere fa, poteva non essere a bordo di quel motorino, oppure, poteva tranquillamente fermarsi all’ALT dei carabinieri perché aveva tutto in regola, non avremmo, così, regalato nulla alla camorra matrigna, se solo chi aveva – ed ha – l’obbligo di immaginare e programmare nelle istituzioni avesse fatto il suo dovere con competenza e lungimiranza! La politica sembra distante da noi ma è l’unica responsabile nel bene e nel male di ciò che ci accade!

Da Repubblica Napoli di oggi (06.09.2014)

Tutte Bugie è stato un omicidio e nel rione c’è chi inneggia alla camorra

CONCHITA SANNINO

Voleva essere un felino, ma non ce l’ha fatta a scappare da se stesso e dalla gabbia del suo destino, dalle notti passate in giro a «16 anni, quasi 17», dagli amici pericolosi o solo nullafacenti, mentre qualcuno gli aveva persino assicurato una promettente carriera di calciatore, «attaccante, però a patto che studi, ti concentri e smetti di fumare».

Ma Davide non era stato formato alla disciplina, o all’esercizio della sopravvivenza o al calcolo che ti fa svoltare. «Come un leone affronto la vita, supererò ogni salita», scriveva sul suo profilo Facebook e invece è finito bruciato mentre scappava chissà da cosa, ucciso da un proiettile sparato dal suo inseguitore, ammazzato mentre voltava le spalle al carabiniere che in una notte d’afa si è trasformato nel suo cacciatore. Davide Bifolco era questo, e forse non avrebbe mai immaginato che lo Stato, un giorno, dovesse rendergli giustizia.

Un ragazzo in bilico, come il suo Rione Traiano fatto di case popolari — da quartiere operaio scivolato verso il ghetto lungo la fascia di Napoli ovest — una distesa di palazzoni senza colore, famiglie eternamente in bolletta, alleanze tra clan sventate e di nuovo ricomposte, famiglie oneste che si chiudono in casa e aiuole che nessuno cura e che a nessun cittadino sembrano appartenere. Terreno ricco solo di espedienti facili, aspiranti ladruncoli e scippatori, piazze di spaccio ed economia di camorra, unico ufficio di collocamento aperto sul territorio.

Un rione che è stato tutto il perimetro della sua giovane vita, dove adesso, in una piovosa mattina di lutto, tanti altri Davide piangono, si disperano, accusano «i bastardi» delle forze dell’ordine, e si fanno intervistare e sfogano dolore e angoscia, per «tutte le bugie che vi stanno raccontando», per «tutte le infamità che ora ci rovesciano addosso pur di non pagare il prezzo di una morte innocente». «Non le scrivete le cazzate, ora stanno dicendo alla tivvù che hanno trovato una pistola giocattolo a quaranta metri da qui? Non vi macchiate la coscienza, pure voi», implora e insieme grida una zia di Davide.

E allora com’è andata, tra le 2.30 e le 3 di notte, lì a viale Traiano? Cos’è successo nello spazio che separa il prima e il dopo della tragedia? La voce di Davide spavalda che rientra un attimo in casa, per svegliare la madre con un sorriso, «Ma’ senti: mi prendo un cappellino e il giubbotto, c’ho freddo sul motorino, non ti preoccupare, mo’ torno, sto con gli amici». Fino a quelle sirene metalliche che annunciano la tragedia e portano il tam tam alla porta: «Prenda i documenti di suo figlio, Davide è ferito, un brutto incidente».

«È andata che lo hanno ammazzato». Salvatore Triunfo, 18 anni, qualche precedente alle spalle, il ragazzo proprietario di quello scooter Sh 300 che li ha portati dritti all’inferno, accusa e trema ancora: «Sì, è vero, c’ero io su quel motorino. Sono stato in caserma tutta la notte, mo’ mi hanno rilasciato. Non è vero che è stato un incidente. E non è vero che con noi c’era un latitante. Perché non ci siamo fermati? Perché eravamo senza casco, senza assicurazione. Siamo fuggiti e i carabinieri ci sono venuti addosso, ci hanno buttato per aria, siamo finiti in un’aiuola. Davide stava per alzarsi quando il ca- rabiniere che stava vicino a noi gli ha sparato. Poi gli ha messo le manette».

Arriva Enzo, un altro di neanche vent’anni, un altro che dice di aver visto tutto, che sostiene di essere lui il terzo su quel dannato scooter diretto all’inferno. Piange. Più che parlare, singhiozza, si copre gli occhi con le mani. «Siamo scappati perché non volevamo avere problemi, ma noi, noi non potevamo immaginare». Si ferma, lo incoraggiano: «Parla, ché solo così avremo giustizia, respira e parla». Enzo continua: «Ci hanno sparato alle spalle, abbiamo sentito un colpo e ha preso al petto Davide. Poi lo hanno subito portato in un’ambulanza, secondo me lo sapevano che era morto, ma hanno spostato il nostro Sh, hanno spostato la loro auto, lo sapevano che stava per succedere la guerra ».

La guerra, cioè seicento persone che calano giù da mezzo Rione Traiano, che sputano, lanciano pietre e inveiscono contro i carabinieri e la polizia che intanto è venuta a placare la rivolta, smontano le targhe da volanti e gazzelle, sull’onda dello sgomento minacciano di morte uomini e donne in divisa. Scene che avvengono quando a sparare è un carabiniere. Ma non, come avvenne nel 1991, fu la camorra a uccidere per sbaglio Fabio de Pandi, ragazzino di 11 anni.

Mentre ora le voci che si alimentano, la sete di vendetta montano sotto gli scrosci d’acqua violenti. Parenti, amici, familiari vanno prima in ospedale, poi in caserma: urlano, battono la testa, non ci vogliono credere che Davide è morto così. Sei ore dopo, quando la pioggia sembra sedata e goccioline della tempesta scivolano sopra le facce immobili di un centinaio di ragazzi, mentre il corpo del 17enne è ormai al Policlinico in attesa solo di un’autopsia rivelatrice, arriva il padre di Davide da un comune dell’hinterland dov’era andato a fare l’ambulante. E la sua minaccia strazia. «Dove sta il carabiniere? Gli devo uccidere il figlio. Adesso io che ci campo a fare?». Un’anziana zia dice secca, come una profezia: «La verità è una: la camorra ci protegge, e lo Stato ci uccide i figli».

Un zio di Davide, Felice, con gli occhi gonfi e rassegnati, sembra più lucido. «È stata un’ingiustizia e lo Stato deve pagare. Però questi ragazzi sono condannati, fanno cose pericolose. Le famiglie qui non possono seguire niente: troppi guai, troppi debiti, troppa povertà. Io e il padre di Davide avevamo un negozietto: siamo andati sotto e sopra, con le tasse non ce la facevamo, abbiamo venduto e siamo ambulanti. Qualcuno di noi ha fatto errori. Pensare che Davide un futuro ce l’aveva, era un bravo attaccante, piaceva tanto a Pasquale Foggia, lo sapete no, il calciatore della Salernitana. Ma poi il ragazzo non ci è andato più, voleva stare dietro alla fidanzatina, voleva la sua vita». Interviene un operaio della zona. «Lo sport è un lusso, se c’hai i genitori che ti seguono o hanno i soldi, vai ai tornei e cresci, sennò resti indietro ».

A sera cala una calma apparente sul rione in rivolta. Lo Stato resta nemico. Gli altri, capipiazza, spacciatori, rapinatori o perditempo, ci marciano, e soffiano disprezzo verso le “guardie”.

Il mio povero Davide meglio in carcere che così al cimitero

LOPOTEVA picchiare, me lo poteva mandare in ospedale. Perché me l’ha ucciso?».

Flora, 48 anni, è madre di Davide e già nonna. Piange e brucia Marlboro. La testa è sorretta dalle mani di una delle tante vicine che popolano il cortile di casa, lei alterna l’ira allo shock, scossa dalle lacrime e dalla tosse da fumatrice.

Signora, lei come pensa che sia andata?

«Hanno parlato della pistola trovata qui vicino, della pallottola che è partita per errore. Ma quale incidente? I ragazzi che erano con mio figlio mi hanno detto che Davide stava a faccia a terra nell’aiuola e si stava rialzando, quando il carabiniere me l’ha ucciso ».

Perché era in giro di notte? Le aveva detto con chi era uscito?

«Con i compagni suoi: niente di strano. Mio figlio non faceva nulla di male. È estate, Davide non lavorava ancora, era un bambino, la sera uscivano e stavano qui intorno. Mio figlio grande Tommaso (detenuto ai domiciliari, anche se è in strada con gli altri, ndr), gli aveva detto che quando risolveva le sue cose se lo portava a lavorare, manutenzione degli ascensori. Invece ci hanno distrutto. Era meglio che lo “imparavo” delinquente, almeno sparava lui. Almeno Davide si difendeva».

A 17 anni?

«Ma almeno lo andavo a trovare in carcere. Non al cimitero. Invece chi nasce qui, o è buono o è cattivo, sempre è condannato. Sia che stai su un motorino senza l’assicurazione, sia che sei un criminale, sempre nella tomba vai a finire. Vi sembra giusto?»

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