Torino chiama Bagnoli! Chi risponde?

bagnoliQualche giorno fa commentavo ciò che i magistrati di Taranto hanno fatto con il sequestro dei beni alla famiglia Riva intitolando le mie riflessioni: Taranto chiama bagnoli! chi risponde? clikka. Oggi è il secondo giorno in cui si parla di Bagnoli in relazione alla sentenza della Corte di Appello di Torino. Ebbene, dopo l’attenta lettura del decreto di sequestro del Tribunale di Napoli delle aree di Bagnoli mi sarei aspettato tutta una serie di ulteriori attività conseguenti, anche urgenti viste le raccomandazioni contenute nel decreto. Oggi a chiamare Bagnoli c’è anche Torino. Risponderà mai qualcuno?

Da Repubblica Napoli di oggi 05.06.2013

STELLA CERVASIO: L’AMIANTO riconosciuto killer dalla Corte d’Appello di Torino riapre una strada anche per Bagnoli. Intervenuto al convegno “Salute e sicurezza in edilizia”, il procuratore aggiunto torinese Raffaele Guariniello ha fatto riferimento alla sentenza della Corte d’Appello di lunedì sul caso Eternit, che ha condannato a 18 anni di reclusione a uno dei due ad della multinazionale, lo svizzero Stephan Schmidheiny, dopo la morte dell’altro accusato, Louis de Cartier, morto il 21 maggio a 92 anni, per il quale la Corte ha deciso il non luogo a procedere.

«I reati contestati nel processo sono gli stessi per cui c’è stata la condanna e qui siamo già avanti in questa direzione – ha commentato il magistrato – perché sembra che anche in questa zona la Procura stia lavorando molto bene. La Corte d’Appello ha esteso il disastro ambientale anche a Bagnoli, mentre nella sentenza di primo grado lo avevano ritenuto non dimostrato. Nella zona ovest di Napoli c’è tutta la questione del disastro ambientale e credo che se ne stia occupando molto bene la Procura di Napoli. Noi – ha detto Guariniello – l’abbiamo affrontato dal punto di vista dell’Eternit, ma lì non c’è solo l’Eternit. Credo ci siano anche altre situazioni, però questo è già un primo importante risultato».
Al convegno dove il pm era relatore si sono presentati alcuni eredi delle vittime dell’amianto di Bagnoli, alle quali Guariniello ha espresso solidarietà. «Spero che questa sentenza – ha detto sia la strada che porti tutti a sperare che la giustizia non è solo un sogno. È un punto di arrivo per tutte le altre zone del nostro paese in cui si sono consumate queste tragedie». Ai parenti che hanno sollevato la questione del risarcimento, il pm ha detto che «chi ne ha diritto dovrà poi muoversi per ottenerlo». Ma non c’è stata solo quella fabbrica a produrre danni così gravi: «In giro per l’Italia – ha sottolineato Guariniello – si costituiscono associazioni di familiari che non riescono ad avere giustizia. L’ultimo caso di cui ho notizia è quello di uno stabilimento fra Salerno e Avellino dove si smontavano vagoni ferroviari pieni di amianto. Cominciano ad esservi numerosi decessi fra i lavoratori e nessuno apre un’indagine».
La sentenza torinese è un motivo in più per «attendere che sia fatta giustizia» anche per le vittime dello stabilimento ex Ilva di Bagnoli, purché si proceda con un «aggiornamento delle indagini e si celebrino urgentemente i processi per accertare le responsabilità »: è questo il pensiero del sostituto procuratore generale di Napoli Donato Ceglie, anche lui tra gli invitati al convegno. Le Procure campane, assicura il pm, «sono tutte impegnate nello svolgere puntuali e approfondite indagini in tema di crimini ambientali e violazione delle normative di sicurezza che, come ci dice la sentenza torinese, tutelano la salute di chiunque sia stato esposto, e non solo dei lavoratori ». Il problema è però «la qualitàdelle indagini e i tempi, perché il rischio peggiore è la prescrizione del reato e la vanificazione dei processi». Fondamentale, quindi, «celebrarli con urgenza». Un ritardo – afferma Ceglie – che rende «non scusabile l’istituzione diun registro dei tumori nella regione delle ecomafie e degli ecocrimini ». Non è competenza della magistratura farlo, dice ancora il pm, ma «se siamo in presenza di centinaia di morti per tumore connesse con lavorazioni pericolose svolte in violazione della normativa antinfortunistica o per smaltimento illecito dei rifiuti, la magistratura ha l’obbligo di procedere e non si tratta di una questione di sensibilità».

“Pensavamo che fosse una via impraticabile”
LUIGI Scotti, assessore alla Legalità della giunta di Rosa Russo Iervolino, scava nel passato per ritrovare le cause della mancata costituzione di Palazzo San Giacomo come parte civile al processo Eternit. Il Comune di Napoli, al contrario di altre amministrazioni, associazioni e sindacati non beneficerà dei risarcimenti stabiliti dalla Corte d’appello di Torino nella sentenza che ha condannato a 18 anni il magnate dell’amianto killer. «Non ricordo bene come è andata — confessa Scotti — probabilmente abbiamo ritenuto improbabile questa strada, di difficile legittimazione ». Eppure Scotti ricorda il contributo dato all’inchiesta: «La Iervolino è andata a testimoniare a Torino. Aiuti economici sono stati dati alle famiglie che volevano presenziare al processo. Abbiamo consegnato anche una medaglia d’oro al pm Raffaele Guariniello».
Singolare la mancata costituzione ingiudizio della Regione presente come parte civile in primo grado ma assente in appello. Assenza che sarebbe stata determinata dalla morte dell’avvocato: «La Regione non ha cambiato posizione sulla vicenda — si legge in una nota — si costituì regolarmente parte civile. A seguito dellaprematura scomparsa del legale incaricato di rappresentare l’ente nel processo penale, si ritenne di non affidare un ulteriore incarico nella stessa sede e di adire direttamente il giudice civile per una più adeguata e precisa valutazione del danno ». Posizione che non convince il consigliere Corrado Gabriele (Pse): «Chiederò alla Corte dei conti di valutare eventuali addebiti nei confronti della giunta». Duro Franco Tavella, segretario regionale della Cgil: «Gesto di sottovalutazione politica, che dimostra assoluta mancanza di sensibilità su una vicenda che ha coinvolto migliaia di lavoratori». Per il sindaco Luigi de Magistris «la costituzione di parte civile era una scelta che spettava alla precedente amministrazione che, sbagliando, optò per la non costituzione. Noi procederemo sulla strada dell’azione civile».
(antonio di costanzo)

Taranto chiama Bagnoli! Chi risponde?

bagnoliNoi tre consiglieri comunali di Ricostruzione Democratica su Bagnoli abbiano detto e fatto tutto quello che ci era possibile fare. Su questo Blog, ma anche su quelli di Simona Molisso e di Carlo Iannello, con una semplice ricerca si trovano molti interventi e proposte sul sito tanto disgraziato della nostra città. Eppure, non si può fare a meno di parlare ancora di Bagnoli per le evidenti contraddizioni e per l’evidente simile destino con l’ILVA di Taranto. E’, infatti, da qualche giorno che si sente parlare dell’azione della Procura di Taranto e del sequestro del patrimonio dei RIVA in ossequio al principio, che in tutti i modi stiamo cercando di portare avanti in Consiglio, “CHI INQUINA PAGA”. Ebbene, basta leggere il decreto di sequestro dell’area di Bagnoli emesso il mese scorso dal Tribunale di Napoli per capire che mentre a Taranto la Procura va avanti cercando di applicare questo principio, a Napoli la complessità è tale che forse il quadro non è ancora del tutto chiaro. Eppure nel decreto di sequestro che forse non molti hanno avuto modo di studiare, tra le tante cose interessanti si legge: “Da ultimo, per completezza di valutazione, al fine di evidenziare come risulti assolutamente Illogico prevedere un intervento stralcio che preveda lo bonifica dei litorali prima della rimozione delle principali cause di inquinamento, giova segnalare un particolare che, pur non avendo formato oggetto di attuali approfondimenti ed investigazioni, è agevolmente desumibile, in tutta lo sua gravità, dal verbale della conferenza di servizi decisoria del 5 luglio 2011. In particolare, compulsando con attenzione detto verbale si intende che il Ministero ebbe a valutare il progetto di bonifica dei terreni della CEMENTIR spa.
 Si tratta di una azienda, che per quello che è possibile comprendere da detto verbale, non risulta interessata dalle dismissioni industriali affidate alle Bagnoli futura, ma che pure insiste nell’area in esame e, in conseguenza del massivo inquinamento dei propri terreni, inquina lo falda sottostante, recapitando in mare robuste dosi di inquinanti. Orbene, giova ribadire che non è allo stato noto quale sia l’esito delle operazioni di bonifica prescritte alla Cementir. Pare però innegabile che al momento in cui fu progettato ed approvato il piano stralcio proposto dal Commissariato per lo emergenza bonifiche, le acque del mare (e quindi i relativi litorali) risultassero ampiamente contaminate anche da tale fonte di inquinamento….. Ebbene, oggi la Repubblica descrive con dovizia di particolari cosa hanno fatto i RIVA, per sfuggire al sequestro dei loro beni mettendo in piedi una serie di trust in paradisi fiscali. Mi chiedo cosa stiamo aspettando noi amministrazione comunale e cosa stia aspettando la Procura per verificare la percorribilità di una strada simile a quella intrapresa dalla coraggiosa Procura Tarantina. Cosa aspettiamo che sparisca la CEMENTIR come è accaduto per la FINTECNA e la CIMIMONTUBI? Non è possibile immaginarci una strada simile a quella di Taranto?
Noi, tre semplici consiglieri comunali, sul punto ci siamo anche pronunciati con un atto formale del quale il Consiglio Comunale non ha voluto parlare perché si ha paura di discutere di bagnoli (clikka).
Da La Repubblica Nazionale di oggi (26.05.2013)
Il Grande Inganno dei Riva così hanno fatto sparire 7 miliardi e preso in giro il governo Monti
I magistrati: sull’ambiente gravissime responsabilità

NELLE carte dei magistrati di Taranto e Milano c’è la storia di un Grande Inganno.

QUELLO che la famiglia Riva ha consumato per vent’anni ai danni del Paese e dei suoi governi, di una città intera, dei suoi operai, dell’ambiente. I proprietari dell’Ilva pompavano montagne di veleni nei cieli di Taranto e montagne di denaro oltre confine. Otto miliardi e 100 milioni di euro. Blandivano e assicuravano l’opinione pubblica, mentre i loro avvocati lavoravano per rendere impermeabili dall’aggressione della magistratura i trust off-shore che di quell’immensa ricchezza erano la cassaforte.
Questo denaro, in buona parte, è sparito. E ne è prova la frustrazione di chi, nelle ultime 36 ore lo è andato inseguendo con in mano un decreto di sequestro. «Abbiamo cercato in dodici città — racconta una fonte investigativa — Da Potenza a Milano. Abbiamo visitato 16 banche diverse, bloccato e aggredito depositi, titoli, partecipazioni societarie, immobili. Presto apriremo le cassette di sicurezza. Ma stiamo cercando di superare con grande fatica il miliardo». Dove sono finiti dunque gli altri 7 miliardi?
LA SVIZZERA E JERSEY
Conviene partire da quanto annota la Guardia di Finanza nell’indagine della Procura di Milano che, nei giorni scorsi, ha già portato al congelamento di un miliardoe 200 milioni di beni della famiglia Riva (gli atti di indagine sono arrivati ieri a Taranto). «L’Ilva — si legge — crea otto trust,Orion, Sirius, Antares, Venus, Lucam, Minerva, Paella e Felgma,nel paradiso fiscale di Jersey». E su questi trust convoglia la liquidità pompata dall’azienda dopo averla fatta transitare per la Svizzera. «Si tratta — documenta la Finanza — di un mero espediente giuridico, che ha lo scopo di occultare la titolarità del denaro e creare un diaframma che eluda le ragioni dei creditori, compreso l’Erario». Non a caso, nel marzo scorso, mentre Enrico Bondi viene presentato al Paese dai Riva come nuovo amministratoredelegato, epifania di una nuova stagione di “trasparenza e impegno”, la famiglia si preoccupa di mettere al riparo ciò che ha già fatto sparire. «C’è un tentativo — scrive il gip di Milano, Fabrizio D’Arcangelo — di modificare la giurisdizione dei trust per effetto delle iniziative dell’autorità giudiziaria di Taranto».
IL PATTO SEGRETO
La dissimulazione, del resto, appare il mantra dei Riva. E la Guardia di Finanza ne ha conferma quando scopre il “patto di famiglia” che governa i trust e individua nel vecchio Emilio il suodominus. «In ragione dell’accordo, il capitale sociale del gruppo Riva Fire Spa (la cassaforte del gruppo finita sotto sequestro, ndr)è detenuto da società che, sia direttamente che indirettamente (Carini Spa per il 25%, Stahlbridge srl per il 35,1% e Utia Sa per il 39,9%), sono controllate da Emilio Riva». Il Patriarca «può decidere in solitudine sullequestioni di maggior rilievo per le società». Perché «detiene la maggioranza di voto sulla nomina o revoca degli amministratori delle società del gruppo» e sulle «operazioni di particolare rilevanza (acquisto o vendita di partecipazioni o stabilimenti industriali) che, pur rientrando nei poteri degli amministratori delegati o dei consigli di amministrazione delle società del gruppo, venivano considerate di carattere strategico dai membri attivi del consiglio».
Il “patto” — documenta l’inchiesta — prevede che nel Sinedrio di famiglia siedano membri con diritto di voto (Fabio, Claudio, Nicola, Cesare ed Angelo), membri onorari con diritto di intervenire nella discussione (Emilio, Adriano e Laura Bottinelli) e un osservatore (Emilio Massimo) senza diritto di voto». Ma il patto stabilisce soprattutto che il voto di Emilio, «in particolare sulla politica dei dividendi e il piano di investimenti, valga 60 su 100».
OLTRAGGIO ALL’AMBIENTE
Nella saga di acciaio e veleni dell’Ilva, nulla di ciò che appare è vero. Vale per i profitti del Gruppo esportati illegalmente all’estero e dall’estero fatti in parte rientrare con lo scudo fiscale. Vale per l’ambiente. Accade dunque anche con la nomina di Bruno Ferrante. L’ex prefetto è la “garanzia di legalità” offerta a Taranto e alla magistratura. Quella che convince il governo Monti ad approvare la nuova Autorizzazione ambientale e concedere la ripresa della produzione. Ebbene, ecco cosa scrivono oggi di Ferrante i magistrati di Taranto che lo indagano: «Ha operato e non impedito, con continuità e piena consapevolezza, una massiva attività di sversamento nell’aria e nell’ambiente di sostanze nocive per la salute umana, animale e vegetale, diffondendo tali sostanze nelle aree interne allo stabilimento, nonché rurali ed urbane. In particolare, IPA, benzo (a) pirene, diossine, metalli ed altre polveri nocivedeterminando gravissimo pericolo e cagionando eventi di malattie e morte nella popolazione».
ACCORDI DI CARTAPESTA
Si capisce così perché anche il “cronoprogramma” di interventi che l’azienda si era impegnata a rispettare appena sei mesi fa diventi una burla. Annota l’Arpa Puglia il 13 febbraio scorso: «Allo stato attuale, la società Ilva non ha attuato, o comunque completato nei tempi prescritti, gli interventi relativi alla fermata delle batterie di cokefazione 3 e 4, al rifacimento dei refrattari a lotti della batteria 10, all’installazione dei sistemi di depolverazione e di chiusura edificio stock house delI’AFO/2, all’adeguamento dei sistemi di condensazione vapori di loppa AFO/4, alla realizzazione del sistema di aspirazione e desolforazione ghisa in siviera presso l’acciaieria ACC/1 e ACC/2, alla realizzazione di una nuova rete idranti per la bagnatura dei cumuli (attualmente in fase di progettazione), nonché all’adeguamento dei sistemi di monitoraggio in continuo per i camini delle aree a caldo ed alla realizzazione di sistemi di videosorveglianza e monitoraggio ambientale».

Si ha paura di discutere di Bagnoli !

italsiderDi seguito il mio intervento al Consiglio Comunale di oggi (18.04.2013) che si è concluso con un nulla di fatto, eppure i temi erano tanti ma evidentemente i “vecchi partiti” hanno avuto paura di entrare del merito e di pronunciarsi. Noi di Ricostruzione Democratica abbiamo votato contro il rinvio della discussione anche perché dalla lettura del Decreto di Sequestro (clikka),  emesso di recente dalla magistratura penale, emerge la necessità che siano adottati dei provvedimenti amministrativi e di controllo sulla società Bagnolifutura la cui gestione appare essere stata poco accorta quanto meno con riferimento ai controlli. Difatti, tra le ipotesi accusatorie c’è la falsità delle certificazioni di bonifica, oltre che il disastro ambientale causato dall’illecito interramento di 400 tonnellate di morchie oleose (sostanze altamente inquinati) nel parco dello sport e che secondo il Tribunale erano stati classificati come terreno da riporto. In proposito è “brillante” la soluzione che il vicesindaco dell’epoca, conscio dell’inquinamento, adottò e che è riportata nel decreto di sequestro dove si legge “A sua volta Santangelo con la nota 147 del 13 aprile 2010 invitò la Bagnolifutura ad adeguare le opere in corso nel parco dello Sport a quanto suggerito proprio dal Pulii con apposita nota prot. 360 emessa pari data con cui fu proposto di “realizzare delle barriere non valicabili delle aree verdi in modo da evitare del tutto il contatto dermico con il suolo che, dall’analisi di rischio a suo tempo effettuata, è l’unico veicolo di possibile migrazione dei residui degli Inquinanti una volta (??!) presenti nell’area“. E’ singolare poi l’esperienza raccontata da due cremonesi subappaltatori della De Vizia (società deputata alla bonifica) i quali verificarono che le analisi fatte fare da Bagnolifutura non corrispondevano a quelle che per scrupolo si facevano fare loro dai loro laboratori e che più si andava avanti con le bonifiche e più aumentava la percentuale degli inquinanti nei terreni ! Ancora c’è un’ulteriore cosa di cui si sarebbe potuto discutere la possibile provenienza di inquinamento da parte della CEMENTIR S.p.a. e della quale il consiglio non ha voluto discutere. Manco a dirlo noi per la CEMENTIR abbiamo depositato un Ordine del Giorno (clikka). Che avvilimento mi chiedo a cosa servano le assemblee elettive se poi ci si rifiuta di discutere! Con l’amaro in bocca mi chiedo se servirà a qualcosa quello che stiamo facendo? Per fortuna in aula ci sono Simona Molisso e Carlo Iannello con i quali ad un certo punto ho abbandonato l’aula in segno di protesta!

Bagnoli non aspetta!! Martedì 23.04.2013, alle h. 17,00, in Via Verdi, 35, nel palazzo del Consiglio Comunale, al IV piano, sala multimediale, assemblea pubblica per discutere di quello che i partito non hanno voluto discutere in Consiglio Comunale il 18 aprile scorso. Occorre essere uniti!  Sulla questione di Bagnoli iniziano i consigli degli amici che ci dicono a noi tre dei Ricostruzione Democratica che Bagnoli è una cosa grossa, state attenti non isolatevi in Consiglio, il fatto che non è mai andato nessuno in galera da venti anni a questa parte è indice che la cosa è grossa, molto grossa! Cosa fare stare a sentire gli amici, per evitare che poi arrivino i nemici, oppure insistere. A volte guardando la gente per strada che pensa, giustamente, ai propri problemi personali (pure grossi) o peggio guardando quelli che vanno contro per cultura quasi per una sorta di “dispetto civico” dico “chi me lo fa fare? c’è gente che non merita il nostro impegno!” … la risposta a questa domanda dipende solo da noi … solo quando saremo in grado di darci una risposta collettiva a questa domanda allora saremo in grado di andare avanti. A domani …

 

la posizione di Ricostruzione Democratica su Bagnolifutura

il mio intervento al 2:45:38

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