L’Italietta: Ecco perché non siamo un paese credibile

Uli-HoenessTre notizie contemporanee che fanno intendere come mai non siamo un paese credibile: 1) La notizia di Uli Hoeness, presidente del Bayern Monaco, che ha evaso il fisco tedesco per una ventina di milioni di euro e che dichiara di rispettare ed accettare la decisione di primo grado dei Giudici e di voler espiare la pena in carcere ammettendo di aver sbagliato, con l’ulteriore conseguenza che il parlamento tedesco per reprimere questo tipo di reati ha dichiarato di inasprire le pene; 2) La dichiarazione di silvio berlusconi, condannato per evasione fiscale con sentenza passata in giudicato perché ha evaso centinaia di milioni di euro (il reato per una parte è stato dichiarato prescritto), che dichiara di non accettare la decisione della cassazione e di volersi candidare alle europee; 3) l’increscioso fatto accaduto a napoli al presidente della VIII municipalità avvocato di Maradona che, ripreso dalle Iene, pare, ma non tanto, che  tenti di “imboscare” una operazione di 330.000 €. (il servizio delle Iene (clikka). Uli Hoeness for President in Italy.

Da Repubblica di oggi 15.03.2014

L’eroe del calcio venuto dal basso sedotto dal gioco folle del denaro

PETER SCHNEIDER

È UN uomo venuto dal basso, da origini umili, come Gerhard Schroeder, e un uomo dilaniato dalle contraddizioni, lo Uli Hoeness sedotto dal denaro e dall’evasione di cui voglio narrarvi.

E AL tempo stesso, è anche lui parte di questa Germania dove, molto più che in Italia o in diversi altri paesi, la gente è unita da un certo senso della responsabilità verso la legge e l’interesse collettivo.

Adesso, davanti alla gente, Uli Hoeness è un uomo bifronte. È da tempo noto per la sua generosità: ha donato molto denaro in beneficenza, ha aiutato le squadre dei poveri, e se un calciatore entrava in crisi o si trovava in difficoltà, era sempre al suo fianco. E d’altra parte è stato l’uomo che a lungo ha giocato d’azzardo con speculazioni in Svizzera, con enormi somme non dichiarate, fino ad accumulare un debito enorme con il fisco. Nessuno capisce cosa sia accaduto nel suo animo, nessuno comprende come un manager esperto come lui abbia potuto perdere il controllo diquei suoi affari. Dalle umili origini, alla carriera folgorante, alla caduta: è il dramma in cui lui, selfmade manbavarese, si è cacciato da solo. Uli Hoeness, come Gerhard Schroeder e in parte Joschka Fischer, è stato un volto di quei sottoproletari saliti al vertice dell’establishment.

È una realtà particolare, diversa da altri paesi, e segna una generazione, oggi tra i 60 e i 70 anni, che — forse con la parziale eccezione di Joschka Fischer — si è trovata psicologicamente impreparata ad affrontare un enorme successo e potere personale. Più ancora del denaro, l’enorme potere che si sono trovati in mano ha sconvolto in loro criteri e ordini di misura. Pensiamo a Schroeder, oggi obbediente servitore del padrone Putin. Nasce nell’animo un rapporto speciale col potere. Nel caso dell’ex cancelliere, affascina il mostruoso potere in mano a Putin. Nell’animo di Hoeness, il potere di giocare con quelle somme enormi lo ha spinto a un gioco folle. Ma la storia di Hoeness ha anche a che fare con la crisi finanziaria mondiale, e con le cifre gigantesche che oggi sembra normale pagare ai calciatori, o ai leader delle società calcistiche. Dobbiamo chiederci, guardando al dramma di Hoeness, anche che cosa sia diventato il calcio. Basta pensare a quanto le squadre pagano per comprare i calciatori per capire che la società intera ha perso senso di misura.

Hoeness non era un cinico, quando nei talk-show attaccava il capitalismo neo liberale privo di scrupoli: era ed è una personalità sdoppiata, un po’ Dr. Jekyll e Mr. Hyde. Non mi stupirebbe se adesso, quando avrà molto tempo, lancerà — magari scrivendo un libro — un j’accusecontro il sistema del denaro che ha sedotto lui stes-so, lui che provava sempre empatia per i poveri, gli sfortunati, e coesisteva con l’altro Hoeness che giocava d’azzardo con fondi neri in Svizzera. Evadeva, ma conservava un cuore per i poveri. Io non sono mai stato un suo fan, perché ho sempre visto nella politica del Bayern, l’acquisto dei migliori calciatori d’ogni altra squadra a ogni prezzo, la metamorfosi del calcio da sport autentico a competizione capitalista. Eppure, qualcosa in Germania funziona in modo diverso, per cui per la sua scelta di accettare la condanna in nome della dignità e della responsabilità merita rispetto. Quanto è diverso questo self-made man Uli Hoeness da un Berlusconi che si dichiara sempre innocente e insulta i giudici come una banda di comunisti. No: Hoeness si pone di fronte alle sue responsabilità, si piega a un sistema che accetta il potere della giustizia, in modo sconosciuto in Italia ma anche altrove.

Hoeness che chiede di andare in prigione è un cittadino della Germania dove molti ministri si sono dimessi “soltanto” perché accusati di aver copiato le tesi di dottorato. Quanti politici, secondo criteri del genere, dovrebbero sparire dai Parlamenti di altri paesi? È un esempio di accettazione del potere giudiziario, che in Italia e altrove sarebbe auspicabile. Da noi vige un consenso civico costitutivo: la maggioranza dei cittadini pensa che sia giusto pagare le tasse, anche perché lo Stato ti rende qualcosa. È terribile quando viene meno la fiducia nello Stato e pensi che chi ti tassa ti deruba. E quando, come in Italia o in Francia, si cerca sempre d’incolpare gli altri, o lo Stato, invece di chiedersi, come invitò a fare Kennedy, cosa puoi fare tu per lo Stato e la collettività.

Il consenso civico ha piegato anche Hoeness. Ha preso lui l’iniziativa di lasciare ogni incarico nel Bayern, e di rinunciare a ricorrere in appello. È un uomo d’azione, e sono certo che quando avrà scontato la pena come ha chiesto, tornerà alla ribalta ai vertici del Bayern. I bavaresi lo hanno già perdonato, e pur condannando la frode vedono in lui ancora un eroe. Proprio la sua disfatta in tribunale, per il modo in cui l’ha accettata, potrebbe trasformarsi in prologo di una sua riscossa.

berlusconi ineleggibile anche per il condominio

berlusconi-1La Riforma della disciplina del condominio negli edifici, entrata in vigore il 18 giugno 2013, introducendo l’art. 71-bis delle disp. att, c.c., ha stabilito che non possono svolgere l’incarico di amministratore di condominio coloro che siano stati condannati per delitti contro la PA, l’amministrazione della giustizia, la fede pubblica, il patrimonio ed ogni altro delitto non colposo punito con reclusione non inferiore nel minimo a due anni e nel massimo a cinque anni. La perdita in corso di incarico di questo requisito di incensuratezza comporta la cessazione dell’incarico. Alla luce di tutta la querelle che si è mossa sul caso berlusconi vorrei capire se gli stessi argomenti spesi dal fior fiore degli intellettuali di destra e da qualche malsanodimente intellettuale di sinistra valgono anche per gli amministratori di condominio che si dovessero trovare nella condizione di aver subito una condanna per fatti commessi prima della entrata in vigore della legge! Resta il fatto che è assolutamente ridicolo pensare che nelle condizioni attuali berlusconi non potrebbe neppure fare l’amministratore del condominio di “arcore” mentre pretenderebbe di continuare a fare l’amministratore del Paese!! Spero che si ponga presto fine a questa indegna situazione che è solo causa di discredito dell’Italia.

Per la legge berlusconi è politicamente finito!

berlusconi-1Una chiara ricostruzione normativa offerta dall’ex presidente della Consulta Capotosti che dimostra come per berlusconi non ci siano alterative deve lasciare i palazzi del potere e ritirarsi a vita privata.
Da Repubblica del 05.08.2013.
ROMA — Una folle corsa in cui il veicolo rischia di finire contro un muro. Si potrebbe usare questa metafora per descrivere i disperati tentativi del Pdl per salvare comunque Berlusconi dagli effetti della condanna a 4 anni per frode fiscale. Un accavallarsi drammatico tra un’agognata grazia, anche solo con corrispettivo pecuniario, e un’amnistia ad horas. Poi lo svuotamento della legge Severino sulla sopravvenuta non candidabilità e quindi decadenza da senatore. Ma sentenze della Cassazione (la 13.831 del 2008, prima sezione civile) e del Consiglio di Stato (6 febbraio 2013, n.695) mettono l’aspirazione nel nulla. Per chiudere con l’obiettivo, sfruttando cavilli legali, di rallentare la decisione della corte d’appello di Milano sull’interdizione dai pubblici uffici per agganciare ipotetiche elezioni nella primavera 2014.
Le pensano tutte quelli del Pdl, mettendo in imbarazzo il Colle, soprattutto con la vulgata che certe ipotesi sarebbero state, se non concordate, quanto meno discusse con il Quirinale. Come per la grazia e per un’assai ampia amnistia che dovrebbe seguire una riforma della giustizia varataper fornire la pezza “a colore” all’amnistia medesima. Ma sia la grazia che l’amnistia si rivelano subito del tutto non realistiche.
Sulla grazia l’argomento principe del Pdl è il paragone con il caso Sallusti, il direttore delGiornale cui Napolitano il 21 dicembre 2012 ha concesso il beneficio limitandosi però a commutare la pena di 14 mesi in 15.532 euro. Ma i due casi — una diffamazione, pur grave, di Sallusti e l’evasione fiscale di Berlusconi — non sono ovviamente paragonabili. Senza contare che il Cavaliere ha altri processi, e per reati gravi, sulle spalle. Quindi la grazia è un camminoimpossibile. Del pari lo è l’amnistia. Quando si pone il caso ai costituzionalisti reagiscono sorpresi. «Amni-stia?!? Ma non servono i due terzi? » dicono presidenti emeriti della Consulta di opposte tendenze come Piero Alberto Capotosti e Valerio Onida. In effetti l’impiccio è proprio qui. Per fare l’amnistia sarebbe determinante il voto del Pd sia alla Camera che al Senato. Alla Camera servono421 voti, se ne raggiungono 437 se votano assieme Pd, Pdl, Sc. Idem al Senato dove ne servono 212, ne raggiungono 219 gli stessi partiti. Non solo. Nelle tante amnistie fatte in Italia, ma soprattutto le ultime, non è mai stato raggiunto un tetto così alto di reati, che sarebbe necessario per coprire quelli contestati a Berlusconi, la frode fiscale punibile fino a 6 anni (fa testo la pena in astratto nonquella irrogata), la concussione per induzione fino a 8 anni.
Non va meglio il tentativo di bloccare al Senato la decadenza dell’ex premier per effetto della legge Severino. Si scalmanano fan come Giovanardi e Nitto Palma sostenendo che la norma si applica solo ai reati commessi dopo l’entrata in vigore della legge. Insistono sul fatto che l’indulto, riducendo la pena a un anno, farebbe cadere il tetto dei due anni imposto dalla legge. Dice l’ex presidente della Consulta Capotosti: «È assurdo, sono osservazioni del tutto infondate. Il criterio per l’applicabilità della legge è la sentenza sopravvenuta, emessa il primo agosto, in pieno vigore della norma. I fatti potrebbero anche essere di un secolo fa, ma l’importante è che ci sia la sentenza definitiva, in pieno imperio della nuova legge. Non c’è niente da dire, conta la sentenza, non i fatti. Se passasse il loro criterio non si applicherebbe più alcuna legge, soprattutto con i tempi lunghi della giustizia italiana».
Ma ci sono due sentenze che mettono le interpretazioni del Pdl nel cestino. La 13.831 del 2008 della prima sezione civile della Cassazione che, in tema di sopravvenuta ineleggibilità a proposito della precedente legge per gli amministratori locali di cui la Severino è una prosecuzione, dice che l’indulto non incide affatto, ai fini della possibilità di candidarsi conta la condanna e non la pena residua. Ma è dirimente la sentenza del Consiglio di Stato fresca del 6 febbraio 2013, n.695, laddove dice che l’applicazione della legge «non si pone in contrasto con il principio dell’irretroattività delle norme penali e, più ingenerale, delle disposizioni sanzionatorie ed afflittive». E ancora: «La condanna penale irrevocabile è presa in considerazione come mero presupposto oggettivo cui è ricollegato un giudizio di “indegnità morale” a ricoprire determinate cariche elettive: la condanna stessa viene configurata alla stregua di “requisito negativo” o “qualifica negativa” ai fini della capacità di partecipare alla competizione elettorale e di mantenere la carica». Alla giunta per le elezioni del Senato non resta che andare avanti in fretta. Berlusconi deve lasciare il Senato e non si può più ricandidare.

Quella piccola evasione di 360 milioni di silvio

berlusconi-1Una delle armi spuntate con la quale si difende berlusconi è quella di dire che li ha versato nell’anno incriminato 500 milioni di tasse allo stato l’evasione di soli 7 milioni è una cosa ridicola. Per capire invece bene cosa ha fatto riporto quanto descritto ne La Repubblica del 03.08.2013) in un articolo di PIERO COLAPRICO che ricostruisce bene la vicenda:
MILANO — «Con quello che pago di tasse, è ridicola l’accusa di aver evaso così poco», andava ripetendo Silvio Berlusconi, poco prima della batosta in Cassazione. È vero, l’ex presidente del consiglio è rimasto impigliato per un «pezzettino » di tasse non pagate: ma la realtà racconta una storia totalmente diversa. La contabilità gonfiata sulla compra-vendita dei diritti tv ha permesso la creazione almeno di 360 milioni di dollari di fondi neri: e se si è potuto procedere solo per i circa 6 milioni di euro sottratti al fisco nel 2002 e 2003, «vi è la piena prova, orale e documentale, che Berlusconi – questo si legge in sentenza definitiva – abbia direttamente gestito la fase iniziale dell’enorme evasione fiscale realizzata con le società off shore». Pochi fatti, nudi e crudi, bastano.
I PREZZI GONFIATI
«Picchia giù con i prezzi» si sentiva dire un’impiegata dell’ufficio contratti dal suo superiore. Per comprendere il senso della frase bisogna sapere che c’era un pugno di manager di provata fede berlusconiana. E questi adottavano per la compravendita dei diritti tv undoppio binario. C’era «un contratto originario, definito master», apparentemente a posto, e una serie di «cosiddetti subcontratti», carte fasulle. Il master veniva stilato a Milano, i sub contratti – è tutto documentato – in Svizzera. Era su questi sub contratti, destinati a girare estero su estero, che comparivano cifre irreali. Come? Uno dei fedelissimi ordinava alle impiegate: «“Questo mese, questo trimestre dobbiamo arrivare in termine di costo a cinque milioni di dollari, 20 milioni di dollari, eccetera”. Però il costo dei diritti era di meno, sensibilmente di meno», testimonia una «gonfiatrice dei prezzi».
IL GIOCO DELLE TRE NOCI
Teste incredibile? Affatto, perché trova un riscontro assoluto nella mail di un contabile della casa cinematografica Fox. Scrive -siamo nel dicembre 1994 – una frase lapidaria al suo superiore: «L’impero di Berlusconi funziona come un elaborato “shell game”». E cioè? «È un gioco – dice l’americano – che consiste nel prendere tre gusci di noci vuoti e nascondere sotto uno di essi il nocciolo di una ciliegia. Chi gioca deve indovinare dov’è il nocciolo nascosto con la finalità di evadere le tasse italiane».
LA “DUE DILIGENCE”.
Anche a lasciar perdere le tante società false, senza contabili, senza uffici, che «lavorano» nelle compravendite-truffa con Mediaset, un piccolo ma formidabile dettaglio che risale ai momenti della quotazione in Borsa di Mediaset e dimostra per tabulas la situazione reale. Nel mondo della finanza si usa (termine inglese: «due diligence») fare indagini e analisi sul valore di un’azienda prima di un investimento. E ilpubblico ministero Fabio De Pasquale ha trovato proprio un memorandum «Gruppo Mediaset: due diligence legale». È a cura della Grimaldi & Clifford Chance per «la riunione del 20 marzo 1996» sulla «Library di Mediaset», e cioè sul magazzino di film e telefilm. E qui l’indagine diventa difficilissima: «…né, per il momento, e nonostante le nostre insistenti richieste, Mediaset ha mostrato di voler fornire la documentazione necessaria (…)», si lamenta il detective- finanziario. Anzi, «per quanto riguarda il problema del valore, nei contratti di cessione finale che ci sono stati messi a disposizione (40 su 80 richiesti) puntualizza ancora – abbiamo notato che spesso i prezzi praticati a Reteitalia o a Mediaset dopo i vari passaggi tra le società estere del gruppo Finivest erano talora sensibilmente aumentati rispetto all’originale prezzo di acquisto dei diritti». Più chiaro di così?
IMMENSI CAPITALI NERI
Esiste un altro dato che va recuperato dal processo a carico dell’avvocato inglese David Mills. Dagli anni ’70-80 Mills è stato incaricato da Fininvest – parole sue – di «costituire un gruppo società offshore » utili a far sparire «milioni e milioni che non avrebbero dovuto figurare nel bilancio consolidato del gruppo». Sono quei soldi off shore che Berlusconi ha usato negli anni senza il minimo controllo di legalità. Sono i soldi off shore che ritroviamo nei molti processi con Berlusconi imputato.
Per esempio, quello sulle mazzette pagate da Cesare Previti ai giudici corrotti della sentenza Mondadori. O quello sui soldi che All Iberian – società della galassia off shore di Berlusconi – versa nel conto estero di Bettino Craxi. Vent’anni dopo, in fondo, si torna ancora a All Iberian, ai fantasmi del passato.
vedi anche:

La deriva sovversiva di berlusconi

CassazioneTrovo assolutamente sovversive le dichiarazioni di berlusconi rilasciate nel videomessaggio di oggi (01.08.2013). Questa persona è pericolosa per la stabilità dello Stato Italiano nel momento in cui mette in discussione un potere (quello Giurisdizionale) dello Stato stesso. L’Italia non può permettersi di avere in parlamento una persona che pronuncia simili affermazioni e men che meno a capo di un partito di governo. Spero che i moderati e la destra sappiano decidere da che parte stare: con l’Italia o contro l’Italia! Oggi occorre che le persone perbene capaci scendano in campo per contrastare la deriva morale alla quale stiamo assistendo ormai da anni. La condizione è la medesima del dopoguerra solo che alle macerie dei palazzi oggi si manifestano in tutta la loro pienezza le macerie morali e civili del Paese.

E’ compromesso l’impianto Costituzionale nel momento in cui una persona che è a capo di un partito di governo dichiara di voler riformare la giustizia. Dobbiamo essere consapevoli che questa persona non ha alcuna legittimazione né morale né politica né civile né legale per mettere le mani sulla nostra Costituzione.

In questi anni abbiamo assistito ad una vera e propria trasformazione del costume sociale e della morale con genitori che parlano al telefono con le loro giovani figlie per spingerle a darsi in pasto all’orco perché ricco e potente. E’ stato messo in discussione minandolo alla base il ruolo sociale e politico della donna stessa esportando il principio che per entrare in politica occorre prima entrare nel letto del padrone!

In questa condizione l’Italia non è fatta è da rifare!  Non posso credere che ci siano persone ancora infatuate di questa persona, perché di infatuazione si tratta, non posso credere che il Paese ancora oggi si possa permettere una presenza così ingombrante e moralmente indecente.

Non comprendo le persone di buona volontà che pensano ancora di stare a casa pensando al loro orticello, come se la falda inquinata non possa mettere in discussione il loro raccolto. Il distacco che ormai si registra tra la politica ed i cittadini deve essere colmato. Le migliori intelligenze del Paese devono essere convolte e l’inerzia dei partiti che oggi siedono in parlamento li rende responsabili. Non è questione di poltrona o di scranno, il Paese ha bisogno di credibilità internazionale, oggi assolutamente pregiudicata. Una persona che avesse avuto a cuore il bene del paese si sarebbe fatta da parte per l’interesse superiore del Paese ed, invece, assistiamo ad una reazione scomposta che è in grado di condizionare menti semplici.

Uno Stato che è stato costruito col sangue dei nostri partigiani, dei nostri padri, dei nostri nonni e con la fame e la mortificazione della guerra non può restare zitto a simili sovversive affermazioni. Non è più il tempo di stare a casa! Oggi è il tempo della partecipazione! Oggi è il tempo della discussione! Oggi è il tempo di parlare di politica per strada, nei bar, in famiglia con i nostri figli, nelle piazze, nelle scuole dappertutto in ogni angolo in cui c’è un nostro concittadino italiano o straniero che sia! Oggi è il tempo di ricostruire la coscienza civile dei Cittadini Italiani.

L’appello non è né di sinistra né di destra è un appello ai cittadini tutti, affinché capiscano che la politica è linfa vitale per la vita di un paese e non quella cosa sporca e moralmente discutibile che si pratica nei palazzi a porte chiuse da cui stare lontani.

Il disinteresse per la politica è causa dello sfascio del paese! Spero che queste mie preoccupazioni non siano fondate ma se ho sentito ciò che ho sentito credo ci sia poco da stare tranquilli: dentro le nostre case non c’è solo la crisi morale e politica che ci violenta ogni giorno con notizie raccapriccianti ma anche la più grave crisi economia del dopoguerra. Questo è il tempo dei Partigiani!

 

Ecco il link del videomessaggio di Berlusconi da cui ho tratto le mie considerazioni

Il videomessaggio di berlusconi (clikka)

Il verdetto:

Questa la dedico ai magistrati della Suprema Corte che hanno saputo mantenere la loro indipendenza onorando i loro predecessori: L’Idea che non muore (clikka)

Preti e Politica

don merolaNon discuto il ruolo di Don Luigi Merola spero che ci siano presto delle smentite o delle correzioni di rotta. Non credo si tratti di un nuovo Don Sturzo col quale, per l’aspetto politico, mi pare abbia in comune solo il nome Luigi. Spero si tenga fuori dall’impegno politico diretto, in questo momento, sarebbe un ulteriore vulnus alla chiarezza, finendo per essere strumentalizzato. Ce ne sarebbe da dire ma non voglio neppure entrare nell’argomento, sarebbe facile finire su sentieri scoscesi. Se sente questa spinta e passione politica allora deponga la toga!  Speriamo bene…. 

Da Repubblica Napoli 04.07.2013

“Io assolvo Berlusconi e Cosentino”

Don Merola: “Silvio perseguitato, Nicola non è un camorrista”

SARÀ prete anticamorra, ma i suoi strali non sono contro i boss. E come ospite alla trasmissione radio “La zanzara” su Radio 24 spara bombe. E non sono esplosioni a basso potenziale. Parla di Berlusconi e Cosentino, del magistrato Woodcock titolare di alcune delle inchieste sull’ex coordinatore del Pdl in Campania oggi in carcere, inquisito per i suoi rapporti con i Casalesi. Insomma, è proprio un exploit, quello di don Luigi Merola, ex parroco di San Giorgio ai Mannesi nei drammatici giorni della morte della quattordicenne Annalisa Durante e oggi, fondatore dell’associazione ‘A voce de criature, opinionista sui grandi casi di attualità. «Berlusconi? È un perseguitato — dice ai microfoni de “La zanzara” — I magistrati lo perseguitano tanto». Insiste: «Lo perseguitano come hanno fatto con Clemente Mastella. Alcuni magistrati sono politicizzati e ignoranti, devono leggere e studiare di più. Ci vuole la formazione permanente dopo il concorso. Berlusconi — aggiunge — è un peccatore come tanti altri. Sono stato a Roma tre anni per lavorare al ministero dell’Istruzione e dico che quello che fa Berlusconi lo fanno tutti, politici di sinistra e di destra, alti funzionari e magistrati. Tutta gente — svela il parroco anticamorra — che ha la seconda, la terza e la quarta amante da cui si fanno accompagnare con l’auto blu. Farò nomi e cognomi. Berlusconi lo assolvo per il fatto che fa mangiare ottantamila famiglie in Italia. Lo perdono con l’assoluzione per qualsiasi cosa abbia fatto».

Assoluzione senza confessione e pentimento. Meraviglia relativamente, visto il momento di forte feeling tra il Cavaliere e il parroco datato gennaio 2013. Vigilia delle politiche, il Pdl corteggia don Merola. Lo vuole in lista. E Merola sta per accettare, visto che per il diritto canonico potrebbe (e comunque dovrebbe) ottenere una dispensa da parte del vescovo della Diocesi di appartenenza. Dunque si tratta, si vocifera. Preme per quella candidatura anche il governatore Caldoro. Ma infine, colpo di scena, don Merola rifiuta. Motivo: in lista c’è il pluri- inquisito per camorra Nicola Cosentino. E il parroco si considera incompatibile. Fin qui tutto bene. Ma ieri, ai microfoni de “La Zanzara”, arriva il colpo di scena. «Leggendo gli atti che riguardano Cosentino — dice Merola — mi sono fatto l’idea che non ci sono le prove per direche è camorrista e per stare in carcere. È immorale e ingiusto che sia in prigione, non può inquinare le prove perché si è costituito e il procedimento è chiuso». Parole che appena sei mesi fa sarebbero suonate assurde. Poi il parroco attacca il pm di alcune delle inchieste contro Cosentino, Henry John Woodcock: «Lo considero di estrema sinistra, ho saputo che è diventato magistrato dopo due bocciature al concorso. Come prete vengo a sapere tante cose, Woodcock potrà essere preparato sullo sport ma sul diritto deve studiare un po’ di più».

Riforma della giustizia – L’idea che non muore

CassazioneNon occorre aggiungere altro! Dall’editoriale L’idea che non muore, in La Magistratura, 15 gennaio 1926: “L’Associazione dei Magistrati si è sciolta. Questo era il suo dovere dopo l’approvazione della legge sui sindacati alla Camera dei Deputati. Con questo numero. La Magistratura sospende le sue pubblicazioni. È un passo che compiamo con tristezza profonda: non si spendono 15 anni in un’opera di sacrificio, senza che questa divenga, alla fine, parte integrante della nostra persona e della nostra vita e si leghi a noi, fibra a fibra, in piena solidarietà di fortuna; non si vive anni ed anni in intima consuetudine di pensiero e di opere con tanti amici e collaboratori, senza avvertire, al distacco improvviso, lo strappo doloroso dei tessuti giovani e vitali, non logorati dal tempo e refrattari per prova a qualsiasi bacillo di dissoluzione. Noi siano dunque tristi, come, certo, tutti coloro che, non senza qualche sacrificio e qualche degna prova di coraggio, ci hanno seguiti nel faticoso cammino, perché noi tutti amammo l’Associazione nostra come si amano gli ideali in cui davvero si crede: per se stessa, per quello che essa rappresentava nel rinnovamento della giustizia italiana, al di sopra delle persone e dei loro interessi. La nostra tristezza è grande: ma serena. Non rancori, non rimpianti, non il morso di inquietitudine morale. È un placido tramonto primaverile che chiude una feconda giornata: l’operaio raccoglie con mano ancora vigorosa gli strumenti di lavoro, guarda tutt’intorno il suo campo, come ad accarezzare, nell’attimo del commiato, ogni fil d’erba germogliato dal suo sudore e, sulla via del ritorno, dimentica gli stenti e l’aspra fatica del giorno nella anticipata visione delle rigogliose messi che verranno. È questo il suo premio, questo il miracolo delle sue forze che ogni giorno si rinnovano, delle sue speranze che rinascono ad ogni colpo della delusione; della sua fede nella vittoria all’indomani stesso della sconfitta più disperante. Il lavoro è la sua croce e la sua gioia, la fede è la sua forza e tutto il suo premio. Quest’operaio è come il Giusto del Vangelo: sempre pronto al combattimento, come alla morte, eguale alle gioie ed al dolore, ai trionfi come alle sconfitte; perché, a rigore, sconfitte e trionfi non sono che l’apparenza, quando tutta la storia e tutto il progresso dell’umanità dimostrano che non una sola goccia di sudore cadde mai invano dalla fronte dell’uomo e che neppure una volta sola le opere della fede furono destinate alla sterilità ed alla morte. L’una cosa che davvero uccide è la grettezza morale ed il disonore; è l’egoismo degli uomini che profana la santità delle idee e prostituisce la fede nel compromesso. Ma noi non conoscemmo queste ombre di umanità crepuscolare: la nostra fine ne è il documento indiscutibile. Forse, con un po’ più di “comprensione” – come eufemisticamente suol dirsi – non ci sarebbe stato impossibile organizzarci una piccola vita senza gravi dilemmi e senza rischi: una piccola vita soffusa di tepide burette, al sicuro dalle intemperie e protetta dalla nobiltà di qualche satrapia. Forse si poteva  non morire, od anche vivacchiare non inutilmente come agenzia di collocamento per gli affamati di nuovi posti o come sanatorio per gli affetti da “onorite” cronica. Ma, per divenire eremita, persino il diavolo aspettò ad invecchiare: ci si consentirà che, per divenire diavoli, sia egualmente necessaria una certa dose di decrepitezza morale, e cioè un certo progressivo allenamento a giocare con la propria anima come si fa con le vesciche di majale aggrinzite: il che non è affare di un giorno, di un mese o di un anno. L’Associazione era troppo giovane, vegeta ed assetata di vita, per trasformarsi in un’agenzia o in un sanatorioLa mezzafede non è il nostro forte; la “vita a comando” è troppo complessa per spiriti semplici come i nostri. Ecco perché abbiamo preferito morire. Era la sola maniera per tramandare intatta l’eredità morale della nostra Associazione. Perché questa eredità c’è, è vistosissima e nessuno ha il potere di distruggerla. L’edificio edificato in quindici anni occupa nell’anima della giovane magistratura un posto infinitamente più largo ed importante di quello, per verità modestissimo, che la povertà dei nostri mezzi e l’avversità delle vicende consentirono di occupare esteriormente nella vita italiana. Questo edificio è racchiuso tutto in una parola: l’indipendenza della magistratura, come base d’indipendenza della giustizia. È di quelle parole semplici, che una volta penetrate nell’animo di un uomo o di un popolo, sono destinate a trasformarsi in una forza dominante ed incoercibile. Or noi non ci illudiamo di avere radicato nello spirito italiano l’esigenza di una giustizia indipendente; ma siamo sicuri che di questa esigenza vive ormai la giovane magistratura la quale fu sempre la forza vera del nostro sodalizio e tra noi educò una fierezza nuova nell’esercizio della funzione giudiziaria e diede, nonostante i tempi e gli ordinamenti, esempi indimenticabili di dirittura e di indipendenza. È un’esigenza, che nessuno potrebbe sradicare, tanto essa è legata fibra a fibra con tutte le aspirazioni, i propositi e gli studi vigorosi, che rendono feconda e bella la giovinezza: è tutta una vita, tutta una conquista. Nessuno ha il potere di addormentare mai più anime, su cui sia caduto il raggio di una tal luce. È come il biblico frutto proibito: “qui en a touchè, en touchera”. La nostra fine consacra questa grande eredità morale, nella quale è, per noi, tutta la consolazione e tutto il premio di quest’ora triste. L’Italia avrà giorni felici, come noi speriamo, o tristi: la giustizia italiana rifulgerà di nuova luce o decadrà nel politicantismo. Nessun può far prognostici. Ma una fede ferma ci sorregge in fondo all’animo: che tutto ciò che è saldamente edificato nel cuore degli uomini è inviolabile ed indistruttibile.

Regio decreto 16 dicembre 1926*

Vittorio Emanuele III

Re d’Italia

PER GRAZIA DI DIO E PER VOLONTÀ DELLA NAZIONE

Ritenuto che il Consigliere della Corte di Cassazione, Saverio Brigante, il Sostituto Procuratore Generale di Corte di Appello Roberto Cirillo, i giudici Occhiuto  Filippo Alfredo e Chieppa Vincenzo ed il Sostituto Procuratore del Re Macaluso Giovanni sono stati i principali e più attivi dirigenti dell’Associazione Generale tra i Magistrati Italiani; 

Ritenuto che ad opera di essi l’Associazione assunse un indirizzo antistatale, sovvertitore della disciplina e della dignità dell’Ordine giudiziario, che fu propagandato a mezzo del periodico di classe “La Magistratura” dai medesimi redatto e

pubblicato;

Ritenuto che tale indirizzo sostanzialmente venne mantenuto anche dopo l’avvento del Governo Nazionale, che essi avversarono criticandone astiosamente gli atti, nonché facendo insinuazioni ed affermazioni di pretese ingiustizie e persecuzioni personali tanto da incorrere in reiterate diffide ufficiali;

Ritenuto che solo per normale ossequio alla Legge sui sindacati essi deliberarono lo scioglimento dell’Associazione, la soppressione del periodico e la liquidazione della Cooperativa (a suo tempo creata per fornire stabile sede all’Associazione), ma in sostanza mantennero saldi i vincoli associativi mediante atti simulati continuando, tra l’altro: la pubblicazione del giornale sotto il nuovo titolo “La Giustizia Italiana” da essi ugualmente redatto, che si ostinò nell’avversione al Governo sino ad incorrere nel novembre scorso, dopo reiterate diffide, nella soppressione ordinata dall’autorità politica;

Ritenuto che per le manifestazioni compiute i magistrati suddetti non offrono garanzie di un fedele adempimento nei loro doveri di ufficio e si sono posti in

condizioni di incompatibilità con le generali direttive politiche del Governo;

Viste le giustificazioni presentate dagli interessati;

Visto l’art. I° della legge 24 dicembre 1925 n. 2300;

Sentito il Consiglio dei Ministri;

Sulla proposta del Nostro Guardasigilli Ministro Segretario di Stato per la Giustizia e gli Affari di Culto;

Abbiamo decretato e decretiamo

Chieppa Vincenzo – giudice – ed altri

sono dispensati dal servizio, a decorrere dal 31 dicembre 1926, ai sensi dell’art.

I° della Legge 24 dicembre 1925 n. 2300.

Il Nostro Guardasigilli Ministro anzidetto è incaricato dell’esecuzione del presente

Decreto.

Dato in Roma addì 16 dicembre 1926

F.to Vittorio Emanuele

Controfirmato: Mussolini

“ : Rocco

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