Bersani o Renzi: chi sceglie il PD Campano?

Umberto Ranieri avrebbe espresso la sua preferenza per Renzi. La vedo proprio male per il PD che in un momento così delicato non riesce a trovare l’unità, basterebbe solo che la nomenclatura facesse proprie le istanze riformiste e rinnovatrici, eppure il PD non trova la quadra.

Da il Mattino del 16 settembre 2012 Pietro Perone

Un sì condizionato a Matteo Renzi arriva da Umberto Ranieri, responsabile Pd del Mezzogiorno, favorevolmente colpito dall’esordio dal sindaco di Firenze nella corsa delle primarie ma «spero – incalza Ranieri – che il sindaco si cimenti anche con i problemi del Sud».

A cui Monti chiede un cambio di mentalità.
«Ce n’è bisogno. Obiettivo imprescindibile nella battaglia per il Sud è la lotta contro ogni forma di assistenzialismo e di clientelismo. Il Mezzogiorno non ha bisogno di trattamenti speciali, né servono rivendicazionismi deteriori spesso branditi dalle classi dirigenti meridionali come alibi per il loro fallimento. Servono più investimenti mirati al sostegno dell’istruzione, del lavoro, della ricerca e dell’innovazione».
Nel centrosinistra però la questione meridionale non sembra da tempo al centro del dibattito: disattenzione, ritardo culturale?
«Occorre tornare a parlare del Sud in una prospettiva nazionale ed europea. Credo che questo stiano facendo Monti e Barca, di qui il mio apprezzamento per il loro lavoro. Io parto da un convincimento: l’Italia non riprenderà la strada della crescita senza una svolta nello sviluppo del Sud: va smontata la tesi ingannevole diffusa a piene mani nel corso degli ultimi 15 anni e che non ha trovato una resistenza convinta da parte dello stesso centrosinistra al Nord, secondo cui lo sviluppo delle regioni settentrionali si sarebbe dispiegato al massimo se solo si fosse liberato dal peso frenante del Sud. Non è così: è il Paese nel suo insieme che ha perso terreno in questi 15 anni. Sud e Nord soffrono degli stessi problemi, particolarmente gravi nelle regioni meridionali. Illegalità, inefficienza dei servizi, stato della Pa, pressione fiscale eccessiva su lavoro e impresa. Insomma è un modello di sviluppo che nel suo complesso non ha retto alle pressioni della globalizzazione e della concorrenza. Ecco perché la responsabilità dei guai in cui si dibatte il Paese non va imputata al Sud ma alle mancate riforme di questo modello».
Colpa anche della classe dirigente meridionale a cui il Pd in questi anni ha fornito pattuglie di amministratori.
«È indubbio che una svolta nella politica per il Sud va avanti a condizione che la classe dirigente operi con rettitudine e dedizione, dimostri di saper utilizzare produttivamente fino all’ultimo centesimo le risorse disponibili, affermi principi di legalità e trasparenza nella amministrazione della cosa pubblica. Questo comporta un cambiamento nel modo di fare politica. Occorre nel Mezzogiorno una politica più orientata all’interesse generale; liberata da chi tenta di farne un luogo di privilegi. Vanno introdotti antidoti alla intermediazione impropria dei politici; sanzioni che innalzino i costi di comportamenti trasformistici; definite misure volte a rafforzare il controllo dei cittadini sui propri eletti».
Appoggia Renzi?
«A Verona ha fatto un buon discorso: non si è limitato a porre il problema dello svecchiamento del Pd e del suo gruppo dirigente ma ha indicato un indirizzo politico e programmatico. Spero che si cimenti anche con i problemi del Mezzogiorno e sappia rivolgersi agli elettori del centrosinistra meridionale e alle tante forze che nel Sud sono preda di sentimenti di rassegnazione e di ostilità verso la politica».
Il sindaco di Firenze si muove dunque nel solco della tradizione riformista?
«A me pare che Renzi mostri di non voler restare prigioniero di nodi politici e culturali che in questi anni hanno impedito la crescita e la maturazione del centrosinistra italiano e dello stesso Pd. Come è possibile, mi chiedo, non rendersi conto che ogni tentativo condotto negli ultimi 15 anni di intesa con forze massimalistiche finisca con il consegnare loro un surplus di peso politico e di condizionamento e comprometta l’azione di governo del centrosinistra? L’esperienza non insegna nulla? Renzi mi è apparso consapevole di ciò». 
Programma di governo vincolato all’agenda Monti?
«Coerenza con l’operato del governo non significa adesione acritica ad ogni scelta da esso compiuta, bensì riconoscersi in un indirizzo strategico e negli obiettivi di fondo che esso persegue: salvare l’euro portando più avanti il processo di integrazione economica e politica dell’eurozona, realizzare le riforme economiche e istituzionali di cui ha bisogno il nostro Paese. Dinanzi alla denuncia demagogica di chi è ossessionato dall’idea che il compito del Pd debba consistere essenzialmente nella correzione delle riforme delle pensioni e del mercato del lavoro, è il caso di ricordare che il tempo della responsabilità non è trascorso, che non bastano gli annunci della Bce per mettere la nostra economia al riparo da una tempesta di sfiducia sui mercati».

Manovre di assestamento per battere il populismo

PD-UDC La sinistra con il centro da un lato e le forze di sinistra radicale insieme (SEL-FED-IDV-Movimento Arancione). Questa sarebbe la soluzione per battere il populismo ed assicurarsi una maggioranza sia pure postelettorale utile per governare. Non saprei l’abbraccio PD-UDC potrebbe essere mortale se non supportato da un profondo rinnovamento dei dirigenti e nelle liste.

Da il Mattino del 16.09.2012 Mario Ajello
Orvieto.

Considerano il populismo il nemico da battere e dicono entrambi: «Basta fango sulla politica». Non nascondono le differenze che esistono ad esempio sulla legge elettorale – «Oggi i giornali diranno che stiamo in pace o che stiamo in guerra?», motteggiano entrando al convegno delle Acli – ma condividono l’urgenza di riprogettare l’Italia. Quindi Pier Luigi Bersani e Pier Ferdinando Casini torneranno al governo insieme, dopo le elezioni? Il leader del nuovo centro ragiona così: «Pier Luigi e io siamo due persone, due amici, che vengono da storie diverse e che hanno idee diverse. Se vogliamo annullare queste differenze, non facciamo un buon servizio. Da posizioni diverse, abbiamo fatto un’opposizione dura a Berlusconi che per quattro anni ha ripetuto slogan vuoti. Poi ci siamo uniti, per creare una svolta politica e per salvare l’Italia, con il governo Monti». Dopo di che – ed ecco l’apertura di Casini – «nella prossima legislatura le forze politiche devono arrivare con progetti chiari e fare alleanze su quei progetti. Creare coalizioni utili soltanto a presentarsi al voto e a vincere le elezioni, e incapaci poi di governare, sarebbe un danno per l’Italia». 
Parole che sono miele per la platea delle Acli, dove la prospettiva di un centro-sinistra («con il trattino», specifica il presidente Andrea Olivero) che provi a governare viene vista come una speranza o come l’ultima spiaggia. Infatti Olivero si spinge a chiedere a Bersani e a Casini, ma senza ottenere su questo risposta, di «stabilire subito le alleanze, in modo che i cittadini le conoscano prima delle elezioni». Sembra quasi che dal palco il presidente delle Acli stia celebrando, con troppo anticipo, le nozze tra il Pd e l’Udc: «Volete voi…? Siete disponibili a…?». Chissà poi come finirà questo gioco, molto serio ed estremamente magmatico, delle alleanze.
Intanto Bersani, prima di entrare nella sala del convegno, sta nel bar della stupenda Piazza del popolo di Orvieto e tra un caffè e una boccata di sigaro spiega ai presenti: «Pace, guerra, rottura, ricucitura tra me e Casini? Non bisogna stare appresso, come fanno i media, ai botta e risposta del giorno per giorno. Il tempo per arrivare alle elezioni è ancora lungo e occorre guardare in prospettiva. A me sembra che la collaborazione tra progressisti e moderati sia la strategia più credibile per il Paese». E dal palco: «Sul modo di intendere le istituzioni, sull’Europa e su altri terreni c’è un’unione di fondo tra progressisti e forze moderate e liberali. Questo porterà a doverci intendere, anche perché di là c’è altra roba: il grillismo, il populismo, l’illusionismo berlusconiano». A proposito di Berlusconi: «Ha appena detto che all’Italia serve una guida? Ecco, se vogliamo andare fuori strada, scegliamo lui». Oppure, su un Monti dopo Monti con dentro ancora il Pdl: «Una grande coalizione? De che!», dice Bersani con una battuta volutamente gergale: «Pensate davvero che, per fare uscire l’Italia dalla palude, vado a fare un accordo con Berlusconi? Non chiedetemi questo, piuttosto lascio io». 
L’anti-berlusconismo (che i due declinano ognuno alla sua maniera) può unirli, ma a dividere Casini da Bersani è ancora Vendola. Il leader dell’Udc continua a non credere nell’affidabilità della sinistra radicale in funzione di governo, ma critica anche «alcuni ministri dell’esecutivo Monti che fanno troppe promesse e troppi annunci». Quando poi Casini fa questo ragionamento («Nella società civile spesso i personalismi e i tatticismi sono superiori a quelli esistenti nel mondo politico»), in sala molti si chiedono: sta forse parlando di Montezemolo? Poi l’incontro finisce, il matrimonio tra Pd e Udc non si è celebrato ma quella di ieri non è stata certo, per Bersani e Casini, una giornata di guerra.

Scandalo alla Regione Lazio una buona occasione per fare pulizia!

L’ennesimo scandalo della politica nonostante la crisi ed il clima di austerità. Cosa dovrebbero fare i partiti? Non avere paura e buttare fuori i responsabili senza preoccuparsi né di aspettare la sentenza di condanna né dei voti che questi consiglieri portano al partito. E’ solo questa l’unica strada ammissibile se i partiti vogliono strappare lo scettro dalle mani di quella che chiamano antipolitica ma che rappresenta ormai una istanza pressante dei cittadini. Questo fatto credo sia una vera e propria occasione per i partiti che possono così dimostrare di voler cambiare. Lo faranno? E’ molto probabile che non lo faranno! Il vero problema è che in Italia manca il ricambio, i leader ed in vario modo i “politici di professione” non si sono mai preoccupati di preparare i “sostituti” per paura di essere scalzati. In Germania il ministro che copia la tesi di laurea viene fatto fuori perché nel partito c’è chi scalpita ed è pronto ad assumere la carica. In Italia ad arte i governanti hanno creato dietro di loro il vuoto pneumatico per assicurarsi il controllo del potere e questo sarà la loro fine … “il vecchio muore ed il nuovo non può nascere”

da il Corriere della Sera del 16.09.2012 Ernesto Manicucci

ROMA — Appuntamento vicino a piazza San Silvestro, nel cuore di Roma. Renata Polverini è lontana dalla Regione Lazio e lì, nello studio della sua fondazione «Città Nuove», si consuma un sabato di fuoco. La governatrice, furibonda per la vicenda dei fondi del Pdl transitati sui conti di Franco Fiorito e per le «spese pazze» del centrodestra prima e del Pd poi, convoca la maggioranza e annuncia: «Lunedì (domani, ndr), in consiglio, darò le mie dimissioni». I presenti impallidiscono, nessuno parla. Di fronte a lei, il presidente dell’assemblea Mario Abbruzzese, il capogruppo dell’Udc Francesco Carducci, quello de La Destra Francesco Storace e della Lista Polverini Mario Brozzi, ex medico della Roma calcio.
Alla riunione manca Francesco Battistoni, il rivale di Fiorito, che da fine luglio ne ha preso il posto e che ha scoperchiato il vaso di Pandora sui bonifici transitati dai conti del gruppo a quelli del «Batman» di Anagni: la Polverini non «riconosce» Battistoni e ne vuole la rimozione. Mentre i consiglieri a lui fedeli (sono nove) ribadiscono «la completa autonomia nelle scelte interne».
Il vertice
La presidente usa parole dure: «Non ce la faccio più a stare sulla graticola. Ho deciso di convocare il consiglio per lunedì (domani, ndr), devo fare comunicazioni urgenti. E le voglio fare in aula, nel luogo più solenne». Fa una pausa: «Dirò che mi dimetto. La questione è seria, grave. E riguarda tutti, maggioranza e opposizione. Non posso perdere la faccia». Quindi? «Serve un atto di responsabilità, misure drastiche per uscire da questo schifo». Ce l’ha col Pdl, la Polverini: «Da luglio ho chiesto un incontro ai vertici: non ho avuto risposte. Ora mi sono stancata». Mentre la riunione è in corso arriva la nota di Angelino Alfano: «Fiorito, per me, è fuori dal partito. Poco importa che emerga che “così facevan tutti”. I fatti del consiglio regionale sono inaccettabili».
La richiesta di epurazioni
L’autosospensione, o anche l’espulsione, di Fiorito, alla Polverini non basta più. Vuole che il Pdl faccia piazza pulita: via il neo capogruppo, dimissioni del presidente dell’assemblea Mario Abbruzzese. Al posto di Battistoni, in pole position c’è il reatino Antonio Cicchetti: «Se si pone la questione la valuterò», dice.
Ma per ritirare la minaccia di dimissioni, la presidente vuole anche si voti l’abolizione di tutti i privilegi: basta coi fondi erogati ai gruppi, con le ricevute che nessuno (ufficio di presidenza, segretariato del consiglio) controlla. Basta con le cene, lo champagne e le cravatte di Giancarlo Miele, le ostriche di Andrea Bernaudo, i fotoservizi di Veronica Cappellaro.
I veleni di Fiorito
Veleni che l’ex capogruppo ha sparso ad arte, trascinando con sé i suoi colleghi. Le ultime accuse sono verso Abbruzzese («che ha due auto blu», verso De Romanis («che organizzava i festini con gnocche»), contro Giorgia Meloni e Fabio Rampelli («i loro parenti lavorano al gruppo Pdl»). Fioccano le reazioni. Abbruzzese smentisce le due auto blu («il presidente ne ha una sola», dicono in Regione), Meloni e Rampelli reagiscono con rabbia. «Mia sorella è precaria da anni. Fiorito, come tutti i disonesti, vuole gettare fango su chi non ha scheletri nell’armadio», dice una. «Mia cognata è dipendente pubblica, in comando alla Regione. Sono deliranti confessioni di una menta malata», aggiunge l’altro. Anche De Romanis risponde: «Ma quali festini! Era un evento su Roma Antica, che non si è più tenuto».
Le possibili misure
e la tentazione politica
La Polverini vede due strade: applicare subito i tagli oppure acquisire le fatture dei gruppi e portarle alla Guardia di Finanza. C’è anche la terza strada: che la Polverini, provata dalla vicenda dei due tumori alla tiroide, nauseata dal livello delle dispute tra ciociari e viterbesi, molli tutto. In quel caso, si parla di un suo impegno in politica nazionale con l’Udc. Gianni Alemanno le esprime «solidarietà». Lorenzo Cesa (Udc) invita « i partiti ad una riflessione». Il centrosinistra incalza: «Basta bluff, Polverini si dimetta», dice il dipietrista Vincenzo Maruccio.
L’inchiesta
La Procura, intanto, va avanti. E non esclude che l’inchiesta si possa allargare anche ad altri partiti. A Fiorito è stata perquisita anche la casa di Anagni, sono state controllate cassaforti, computer, conti correnti. I magistrati sono insoddisfatti: pensavano di trovare più materiale.

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