Lista dei Sindaci e Lista Arancione. Massimo Zedda

I Comuni hanno bisogno dei loro Sindaci per andare avanti. Ciò credo valga ancora di più per i Comuni nei quali c’è stata la “rivoluzione arancione”. Le politiche sono importanti, ma non dobbiamo perdere di vista il nostro obiettivo. Anch’io sono convinto che ci sarà bisogno di un contributo in termini di uomini in parlamento ma l’impegno deve essere dosato con la interlocuzione con quei soggetti, tra cui i partiti, che dimostreranno di volere veramente il cambiamento attraverso la sostituzione degli uomini che da decenni occupano il potere! Non ci potrà essere cambiamento senza il cd. cambio della guardia. Di seguito l’intervista di Zedda.

Da Il Manifesto del 4 agosto 2012 Giorgio Salvietti:

Massimo Zedda vuole continuare a fare il primo cittadino di Cagliari. Non crede in un partito dei sindaci che apra il centrosinistra alla cittadinanza attiva: «Sono di Sel e sostengo il mio partito» Che cos’è questa lista dei sindaci? Dopo l’accordo tra Bersani e Vendola si torna a parlare di un movimento che vede come protagonisti i primi cittadini della svolta arancione dello scorso anno, i quali scenderrebbero direttamente in campo con una loro lista per appoggiare il centrosinistra alle prossime elezioni. Sarebbe questa la via per coinvolgere la società civile, drenare la perdita di voti e di fiducia per la politica e arginare l’ascesa del Movimento Cinque Stelle. Il sindaco di Napoli, Luigi De Magistris, ci crede e si è candidato ad esserne il fondatore e il trascinatore. Si fanno i nomi anche del sindaco di Cagliari, Massimo Zedda, e del sindaco di Bari, Michele Emiliano, capeggiati non da De Magistris, ma da Giuliano Pisapia che avrebbe già dato la pro- pria disponibilità a Vendola e Bersani, e che sarebbe più gradito ai due leader. Pisapia però è in vacanza e nel suo staff più che di lista dei sin- daci si pensa a come aprire i partiti al contributo della cittadinanza attiva. Il Pd ieri ha negato l’esistenza di questa lista. E per Emiliano si tratta di un’ipotesi che non esiste «disegnata nel cielo». Ne parliamo con il sindaco di Cagliari, Massimo Zedda. Sindaco allora cos’è questa lista?

Io non ne so niente. E in ogni caso non ho nessuna intenzione di candidarmi. In questo momento di crisi voglio stare vicino ai cagliaritani e fare il sindaco della mia città. E poi penso che bisogna procedere secondo certe priorità. Prima dobbiamo dire che paese vogliamo, avere un programma di governo intorno al quale costruire la coalizione di centrosinistra, quindi, attraverso le primarie, bisogna permettere agli elettori di scegliere il nostro candida- to alla presidenza del consiglio, e poi allargarsi, aprirsi e chiedere il so- stegno di tanti cittadini. Non si può parlare di liste prima di svolgere questo percorso fino in fondo. Infine io sono di Sel e sostengo la mia lista, non altre.

De Magistris però sembra avere un’idea diversa.


Io parlo per me, ovviamente. Ognuno è libero di fare come meglio crede, se lui vuole fare una lista è libero di farla, ma per me è prematura, prima serve costruire un pro- getto per il paese.

Ma tra voi, sindaci arancioni, ne avrete pur parlato.


Abbiamo parlato di tante cose ma non di questa. Abbiamo ottimi rap- porti tra di noi, De Magistris mi ha anche invitato a Napoli per una bellissima iniziativa sui beni comuni.

Il modello «arancione», però, si basa proprio sull’apertura dei partiti alla cittadinanza attiva, su questo i sindaci saranno chiamati ad avere un ruolo?

Un conto è dire che i sindaci del centrosinistra siano chiamati a dare il loro contributo e sostengano i partiti della coalizione, questi partiti si devono aprire alla società e su questo fronte i sindaci hanno molto da dare, ben altra cosa è parlare di una lista dei sindaci.

Che cosa pensa del patto Bersani-Vendola?


Mi pare sia un bene che si parli di programmi per il futuro governo del centrosinistra.

Anche senza Idv e magari finendo al governo con l’Udc?

Con Di Pietro credo che Vendola stia facendo tutto il possibile per ricucire e penso che Italia dei valori sia a tutti gli effetti una forza del centrosinistra. Quanto a ritrovarsi al governo con l’Udc al momento mi sembra che questa ipotesi sia molto lontana.

Non tanto lontana, dopo l’apertura di Vendola.


Vendola ha già chiarito la questione. E poi non mi appassionano queste discussioni col bilancino che sommano algebricamente le forze politiche. Mancano di contenuto e non appassionano neppure i cittadini. Invece c’è bisogno di coinvolgere tutti quelli che si sono comprensibilmente allontanati dalla politica per gli atteggiamenti e i giochi di poteri di molti politici.

Ma appunto a questo servirebbe la lista dei sindaci, ad aprirsi alla società e a tutti i delusi dal centrosinistra che potrebbero votare Grillo, o sbaglio?

A Cagliari, come a Napoli e a Milano il centrosinistra è riuscito a coinvolgere i cittadini. Quel modello ha pagato. Abbiamo vinto. Ora si tratta di ripetere quell’esperienza a livello nazionale.

Il patto fra Sel-Pd e le aperture al – l’Udc non rischiano di frustrare questa voglia di partecipare? An – che molti sostenitori di Sel sono perplessi.

Infatti bisogna ragionare di altro, dei contenuti, di lavoro, occupazione, lotta alla precarietà. Su questi temi si riesce a dare entusiasmo e voglia di partecipare, e così si trasforma un’alleanza tra partiti in un progetto per il futuro del paese.

Le donne dell’Islam: Corri Tahmima Corri!!

La lettura di quest’articolo mi ha emozionato, non posso che dire anch’io: Corri Tahmima Corri!!

Da Il Manifesto del 4 agosto 2012 Matteo Patrono:

E’ durata poco più di un minuto la pri- ma volta di una donna saudita ai giochi ma ne è valsa la pena. Eccome. Ottandadue secondi per essere rovesciata sul tatami da un’avversaria molto più forte di lei, rialzarsi e confessare felice. «Ce l’ho fatta, che bello essere alle Olimpiadi». La partecipazione della judoka Wojdan Ali Seraj Abdulrahim Shahrkhani passerà alla storia come un momento altamente simbolico, non solo perché nel regno del Golfo le donne non possono lavorare, viaggiare, guidare, nemmeno andare all’ospedale senza il consenso di un parente maschile, figurarsi fare sport. Ma perché anche tutta la diatriba col Cio sullo hijab che la ragazza avrebbe dovuto indossare per volere del padre (pena il ritiro dai giochi), si è risolta alla fine con l’utilizzo di un copricapo elastico nero in tutto simile alle cuffie delle nuotatrici. Nessun velo insomma, quasi a rendere palese, volontariamente o meno, l’uguaglianza di tutte le donne dentro il recinto dei cinque cerchi. Fuori dal quale, la vita di Wojdan continuerà a essere piuttosto com- plicata, forse anche di più considerando il fastidio con cui gli oltranzisti religiosi del suo paese hanno accolto questa sfida. Ma il messaggio è passato e altre atlete saudite dopo di lei verranno, anzi sono già qui visto che assieme a Shahrkhani c’è anche Sa- rah Attar, una ottocentista che vive e si allena in America. E per la prima volta nella sto- ria dei giochi, ogni nazione ha almeno una rappresentante femminile in squadra. Oltreché simbolica, la partecipazione di Shahrkhani è stata anche totalmente plato- nica. Nel senso che per quanto robusta e ben piazzata, la judoka saudita è una cintu- ra blu alla sua prima gara internazionale e di fronte aveva invece una portoricana piut- tosto esperta, Melissa Mojica, 28 anni, cin- tura nera, numero 24 del mondo nella categoria 78 kg. Sull’età di Wojdan non v’è certezza: ufficialmente, per il Cio, ha 16 anni; il padre ha detto tra 17 e 18, per il sito della federazione saudita 19. A guardarla nel suo judogi di almeno un paio di misure più grande di lei, volto paffuto, sguardo spaesa- to, sembrava una ragazzina. Quando ieri mattina si è affacciata all’uscita del tunnel che immette nell’arena del judo all’ExCel Center, aveva alle spalle il fratello, un armadio compatto, che era lì per rassicurare la sorella, visibilmente emozionata. Un’aggiustata al copricapo, uno scambio di battute con la signorina del Cio e via verso il tatami, accolta dal saluto calo- roso del pubblico che sapeva che quello non era un incontro qualunque. Poi, giusto il tempo di sfiorare l’avversaria, rifilarle un calcetto, abbozzare invano una presa. Ap- pena quella l’ha acchiappata per il collo, Shahrkhani è stata messa ko dal più facile degli ippon. Il cronometro segnava 3.38 sui 5 minuti da combattere, lei si è alzata, ha ri- messo in ordine l’hijab, ha salutato giudi- ce, avversaria, pubblico ed è uscita di sce- na, presa per mano dall’addetta de per il braccio dal fratello.
Ovvio che ci fosse la ressa tra i media pertentare di avvicinarla prima del ritorno ne- gli spogliatoi. All’inizio ha sussurrato qual- che parola attraverso un dirigente della federazione saudita. «Sono orgogliosa di essere qui alle Olimpiadi a rappresentare il mio paese, grazie a tutti quelli che mi hanno sostenuta». Poi appena è arrivato il padre, si è sciolta un po’ di più. «Avevo molta paura, il pubblico per fortuna mi ha aiutato a supe- rarla. Queste sono occasioni che capitano una volta nella vita ed è un peccato non aver vinto la medaglia ma prima o poi ci riuscirò». Il padre Ali, un giudice di judo, era commosso. «Lo ammetto, ho pianto come un bambino. Non l’ho mai vista così sorri- dente, alla fine del match è venuta da me e mi ha detto: papà ce l’ho fatta». La ragazza allora ha mollato i freni. «Spero che questo possa essere l’inizio di una nuova era, mi piacerebbe diventare un punto di riferi- mento per le donne che vogliono fare sport». A quel punto il padre se l’è portata via, per evitare guai con Re Abdullah e non dover rispondere a domande sul velo della Discordia. «Lo hijab? Nessun problema», ha invece commentato l’avversaria portori- cana. «Era importante che la ragazza potesse gareggiare, indipendentemente dalla sua religione. Questo è il judo».Se le parole felici di Shahrkhani avranno mandato su tutte le furie chi a Riyad pensa sia un disonore per una donna combattere davanti a un pubblico maschile, quelle del- la velocista afghana Tahmina Kohistani devono aver fatto tremare i palazzi di Kabul e spiegano bene quanto sia ancora lunga la strada affinché l’Islam radicale accetti an- che solo l’idea di sport femminile. Kohistani, 23 anni, è l’unica atleta afghana presente a Londra e ieri, giorno d’esordio delle gare di atletica, è stata la più lenta nelle batte- rie dei 100. Eppure il suo tempo di 14.42 pare un trionfo se paragonato agli ostacoli che ha dovuto superare per venire ai giochi. «A casa mia c’è gente che fa di tutto per impedirmi di allenarmi. I tassisti si rifiutano di portarmi allo stadio, gli oltranzisti mi mole- stano mentre corro. Ma io sono qui e anche se so che non avrei mai potuto competere per una medaglia, è come se avessi vinto l’oro. Mi ero quasi dimenticata quanto sia bello correre davanti a tanta gente chef a il tifo per te». Pure lei ha corso con uno hijab sportivo, quasi un cappuccio che spuntava da sotto la maglia. «Mi spiace che il mio po- polo non apprezzi quello che faccio, lottare contro i pregiudizi è il modo migliore di rap- presentare l’Afghanistan. Le donne afghane che oggi non possono uscire di casa, un giorno saranno fiere di me e di avercela fat- ta anche loro. Io sto provando ad aprire la strada». Corri Tahmina, corri.

La sacralità del bene comune e dell’interesse pubblico

Pur nella convinzione di dire una ovvietà credo che nelle persone è diffusa una disaffezione per i beni comuni e per l’interesse pubblico. Ciò che mi sorprende è che accade a tutti i livelli. Ci sono, infatti, quelli che pensano che al di là dell’uscio della propria casa si possa fare di tutto buttare carte, lattine e bottiglie a terra, sputare, imbrattare i muri ed i monumenti, far fare i bisogni al proprio cane senza raccoglierli, spaccare panchine e fioriere e chi più ne ha più ne metta e, quelli che, invece, seppure, dotati di una superiore sensibilità sono comunque convinti che non c’è nulla da fare, quindi, tanto vale non impegnarsi neppure. Questi atteggiamenti credo siano legati sia alla scarsa sensibilità sia al cattivo esempio che spesso proviene proprio da coloro che, per un motivo o per un altro, dovrebbero avere a cuore e curare il bene e l’interesse pubblico.  Il bene pubblico, in quanto tale, è considerato per taluni, di nessuno, per altri un bene naturalmente soggetto al saccheggio.

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