La Voce che Non C’è

È quando c’è fermento che occorre una maggiore partecipazione democratica, per evitare che sull’altare delle scelte economiche siano sacrificati i diritti dei cittadini e dei lavoratori. Proprio in questi momenti il “regolatore pubblico”, le Istituzioni, devono intervenire per evitare che l’economia diventi esclusivamente speculativa, priva di visione e di responsabilità sociale.

Si approssimano le elezioni regionali, eppure sento e percepisco la sfiducia crescere man mano che passano i giorni, proprio in chi ha sempre discusso, riflettuto, creduto nella politica come strumento di riscatto e di trasformazione sociale. Una contraddizione bruciante, in un momento in cui Napoli e la Campania celebrano successi sportivi e turistici e si percepisce una spinta economica apparentemente forte, ma che rischia di essere effimera se non accompagnata da una visione inclusiva e partecipata.

Si parla dell’America’s Cup, dello Stadio Maradona, di Bagnoli, di Napoli Est. Ma dov’è la voce dei cittadini? Dove sono gli spazi del confronto pubblico?

Manca la cultura democratica e del confronto, sempre più spesso, le decisioni che riguardano il futuro della città vengono affidate a commissari straordinari, in nome dell’efficienza e della rapidità. Il Consiglio Comunale, e più in generale gli organi democratici, vengono relegati a un ruolo notarile, chiamati solo a ratificare decisioni prese altrove. Si consolida così una logica tecnocratica che svuota la democrazia, rimuovendo i cittadini dal processo decisionale e spegnendo ogni possibilità di reale partecipazione. Il vero leader non è colui che colleziona commissariamenti, all’esito di mediazioni tra poteri, ma chi sa alimentare il confronto democratico, arricchendo il dibattito politico e convincendo con la forza delle idee, restando sempre disposto a rimettere in discussione le proprie posizioni, riconoscendo il valore del suo interlocutore.

Nel frattempo, Napoli vive una profonda trasformazione urbana dettata da logiche turistico-commerciali che, invece di generare benessere diffuso, stanno compromettendo la vivibilità quotidiana. Interi quartieri vengono svuotati dei propri abitanti, spinti fuori da dinamiche speculative ed invivibilità; il tessuto sociale si sgretola sotto la pressione di interessi economici che non conoscono vincoli, limiti e controlli.

A tutto questo si aggiunge il paradosso di una politica incapace di garantire i diritti costituzionali basilari. Oggi, per vedere riconosciuti il diritto alla salute, all’ambiente salubre, alla mobilità, i cittadini sono costretti a rivolgersi alla magistratura che non sempre risponde adeguatamente. Una politica che abdica alla sua funzione più alta — quella di tutela dell’interesse collettivo — delega sistematicamente alla giustizia ciò che dovrebbe essere garantito dalle istituzioni. È il segno più evidente del fallimento di un sistema amministrativo e politico che ha smarrito la sua direzione.

La sanità pubblica si sta trasformando in un sistema di accesso a pagamento: chi vuole essere curato in tempi ragionevoli è spesso costretto a rivolgersi al privato, mentre le fasce più fragili restano indietro, schiacciate da liste d’attesa infinite e servizi inadeguati. I trasporti regionali e cittadini non reggono il peso della domanda, mostrando il volto logoro di una città che non riesce a rispondere alle esigenze dei suoi abitanti. Il mare, bene comune per eccellenza, è stato privatizzato e recintato, negato a chi non può permettersi un ingresso a pagamento.

Eppure, su questi temi, la politica tace. Il dibattito si riduce a un confronto tra nomi e cordate, tra candidati preconfezionati e coalizioni logorate, senza che si discuta seriamente del modello di sviluppo da perseguire, del ruolo delle istituzioni, della dignità delle persone.

E così cresce l’astensione. Non per apatia, ma per esclusione. Perché la voce dei cittadini è stata silenziata, relegata ai margini, sostituita da decisioni calate dall’alto. Ma senza partecipazione, la democrazia è solo un involucro formale. Senza confronto, non c’è legittimità. Senza cittadinanza attiva, ogni progresso è una finzione.

È tempo di rimettere al centro il diritto alla città, il diritto alla cura, alla casa, all’ambiente, alla parola pubblica. Di ridare significato alla politica come strumento di trasformazione e non di gestione. Perché la voce che non c’è non è scomparsa: è stata messa a tacere. Ma può e deve tornare a farsi sentire.

Gennaro Esposito

Presidente Comitato Vivibilità Cittadina e Consigliere Comunale di Napoli

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