Ieri abbiamo protestato per il degrado di Napoli, nella Galleria Umberto I di Napoli con le parole di Matilde Serao, ancora tremedamente attuali.
Da Il Ventre di Napoli
Alla baronessa Giulia de Rothachild
Pavillon de Pregny
GINEVRA
Mia signora e amica,
Voi avete amato e Voi seguitate ad amar Napoli, con cuore ardente, con mente illuminata e alta: e il desiderio di bene che Voi nutrite, per la città mirabile, è parte viva di tutto il bene, che è nel Vostro spirito.
Solo a Voi, dunque, io voglio dedicare questo libro di tenerezza, di pietà e di tristezza – per Napoli.
E Voi vogliate bene all’amica Vostra
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Questo libro è stato scritto in tre epoche diverse.
La prima parte, nel 1884, quando in un paese lontano, mi giungeva da Napoli tutto il senso di orrore, di terrore, di pietà, per il flagello che l’attraversava, seminando il morbo e la morte: e il dolore, l’ansia, l’affanno che dominano, in chi scrive, ogni cura, d’arte, dicano quanto dovette soffrire profondamente, allora, il mio cuore di napoletana.
La seconda parte, è scritta venti anni dopo, cioè solo due anni fa, e si riannoda alla prima, con un sentimento più tranquillo, ma, ahimè, più sfiduciato, più scettico che un miglior avvenire sociale e civile, possa esser mai assicurato al popolo napoletano, di cui chi scrive si onora e si gloria di esser fraterna emanazione.
La terza parte è di ieri, è di oggi: nè io debbo chiarirla, poichè essa è come le altre: espressione di un cuore sincero, di un’anima sincera: espressione tenera e dolente: espressione nostalgica e triste di un ideale di giustizia e di pietà, che discenda sovra il popolo napoletano e lo elevi o lo esalti!
Napoli, autunno 1905
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L’ATTUALE SACCHEGGIO DI NAPOLI
Un’altra cosa molto pittoresca, è il sequestro delle strade, fatto per opera dei piccoli bottegai o dei rivenditori ambulanti. Che quadri di colore acceso, vivo, cangiante, che bella e grande festa degli occhi, che descrizione potente e carnosa, potrebbero ispirare a uno dei moderni sperimentali, troppo preoccupati dell’ambiente! Per via Roma, la più importante strada della città, il tratto da San Nicola alla Carità, fino alle Chianche della Carità, vale a dire, due piazze, due lunghi marciapiedi, sino alle otto della mattina, è abbandonato ai rivenditori di frutta, di erbaggi, di legumi: un contrasto di fichi e di fave, di uva e di cicoria, di pomidori e di peperoni; e un buttar acqua, sempre, uno spruzzare, uno scartare la roba fradicia; dopo le otto, quel tratto è un campo di battaglia di acque fetenti, di buccie, di foglie di cavolo, di frutta marcite, di pomidori crepati, tanto che, come la mano fatale di lady Macbeth, che tutte le acque dell’Oceano non potevano lavare, quel tratto di strada, via Roma, malgrado le premure degli spazzini, non arriva mai a detergersi.
Intanto il grande mercato di Monteoliveto lì presso, resta semi-vuoto, con la malinconia dei grandi fabbricati inutili; quello di San Pasquale a Chiaia, è addirittura chiuso; il venditore napoletano non vuole andarci, vuol vendere nelle strade.
Tutto il quartiere della Pignasecca, dal largo della Carità, sino ai Ventaglieri, passando per Montesanto, è ostruito da un mercato continuo. Vi sono le botteghe, ma tutto si vende nella via; i marciapiedi sono scomparsi, chi li ha mai visti? I maccheroni, gli erbaggi, i generi coloniali, le frutta, i salami ed i formaggi, tutto, tutto nella strada, al sole, alle nuvole, alla pioggia; le casse, il banco, le bilancie, le vetrine, tutto, tutto nella via; vi si frigge, essendovi una famosa friggitrice; vi si vendono i melloni, essendovi un mellonaro famoso per dar la voce; vanno e vengono gli asini carichi di frutta; l’asino è il padrone tranquillo e potente della Pignasecca.
IL VERDE DI NAPOLI
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Mancano, è vero gli alberi, che formano la poesia di tutti i paesi civili del mondo, anche escludendo Parigi ove gli alberi sono la delizia e l’ammirazione dei cittadini: mancano gli alberi e vi sono, in cambio, a irrisione nostra, alcune pianticelle tisiche, mal piantate, non coltivate, non protette e, viceversa, esecrate, odiate, perseguitate dalle autorità istesse, dai cittadini e dai monelli: tanto che sarebbe meglio sradicarle, anzi che assistere a quella lenta agonia di cui nessuno ha pietà, non il sindaco, non l’assessore dei giardini, non i proprietarii delle case, non quelli dei magazzini, salvo la vana pietà di qualche malinconico viandante, che rammenta gli alberi, non di Parigi, per l’amor di Dio, ma quelli di Milano e di Torino, città a cui il Signore non dette il paesaggio ma a cui, gli uomini, si affrettarono a dare il verde e l’ombra dei begli alberi, riposo degli occhi, sogno vago dell’anima.
IL FALLIMENTO DELLA CLASSE DIRIGENTE
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Così, purtroppo, tutte le grandi idee dei grandi uomini, tutti i vasti progetti, a base di milioni, tutte le intraprese colossali, che volevano il risanamento igienico e morale di Napoli, bisogna dirlo hanno fatto fiasco. E non vi è rimedio, dunque? Non vi è altro da fare? Nulla, proprio, di fronte a tante tristezze, a tanti disastri, a tanti pericoli sociali? Chi sa! Vedremo!
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LA TURISTIFICAZIONE
Se io leggo giornali, opuscoli, libri che si occupino delle grandi questioni napoletane, se io seguo il movimento delle sue associazioni, se io noto i voti dei congressi, se io odo i lamenti degli albergatori, non veggo da tutto questo che una costante, nobile, ammirevole ed esclusiva preoccupazione di rendere gradito, sempre più, il soggiorno di Napoli, ai forestieri. Benissimo! Ottimamente! Tutti gli sforzi per attirarvi quì, oltre che per il fascino di un indescrivibile paesaggio, oltre che per la dolcezza di un clima soavissimo, per la civiltà e la grazia dell’ambiente, il grande mondo cosmopolita, che tante delizie trova, in inverno, al Cairo e a Nizza, tutti questi esemplari sforzi, fatti non solo per attirare, ma per trattenere quì, fra noi, la ricchissima ed elegantissima società internazionale, sono degni del più grande e profondo incoraggiamento. Sì, formiamo il rione della Beltà, ove, sulle sponde del mare, dal primo angolo di Santa Lucia Nova a Mergellina non sieno che belle case, floridi giardini, magnifici alberghi, botteghe di cose di arte: facciamo che queste vie sieno spazzate bene, due o tre volte al giorno, e che il lastricato non costituisca un pericolo per le ossa dei forestieri: otteniamo che le carrozzelle sieno meno sgangherate, i cocchieri meno laceri e meno sporchi e, sovra tutto, meno avidi e screanzati coi forestieri: compiamo il miracolo di fare sparire i mendicanti schifosi, i venditori ambulanti odiosi, i fiorai petulanti e tanti altri individui anche più bassi, anche più equivoci da questo rione della Beltà: e che i capitalisti costruiscano un kursaal a santa Lucia, aperto in inverno per gli stranieri e in estate per i provinciali: e altri capitalisti facciano un Palais de la jeteè alla rotonda di via Caracciolo, bello e ricco come quello di Nizza: e vi sieno altre attrattive più larghe e più possenti, i cui progetti noi lo sappiamo, fervono nella mente di coloro che amano Napoli: e, su tutto questo, si strombetti ai quattro venti della stampa dei due mondi, che la salubrità e la igiene di Napoli sono diventate di prim’ordine, il che è la verità, si strombetti che la sua mortalità è bassissima di fronte a quella di tante altre capitali europee e di Nizza e del Cairo, sovra tutto, il che è la santissima verità; si strombetti, poichè nessuno lo sa, all’estero, che la sua acqua di Serino è la migliore di tutte le acque europee, come è dichiarato in tutti i bollettini sanitari, con l’analisi alla mano e che non vi è bisogno, quindi, di ricorrere, per gli stranieri, a tutte, le acque minerali che bevono altrove, dalla Saint-Galmier all’Apollinaris, e che domandano anche qui, perchè ignorano il Serino: e in ogni maniera, in ogni forma, si raddoppi, si triplichi il movimento dei forestieri a Napoli, si renda loro il soggiorno così piacevole qui, da trattenerli giorni e settimane, da imprimere nel loro animo, partendo, una nostalgia invincibile, in modo che, lontani non potendo essi tornare, mandino da noi i loro parenti, i loro amici, le loro conoscenze. Questa è opera civile questa è opera bella, anche se confini troppo con la reclame industriale, anche se abbia troppo l’aria di una speculazione, anche se tenda a trasformare sempre più in un enorme Palace, tutta la Napoli che sale, laggiù, dal mare sino alle colline fiorite di Posillipo e del Vomero! Quel che si è fatto a Nizza e a Montecarlo, ha formato la fortuna di tutta la Cornice da Mentone a Hyéres quel che si è fatto al Cairo, ha formato la fortuna di tutto l’Egitto: sia, sia, questa opera buona, questa opera santa, e in questo paese così bello e così povero, così affascinante e così pieno di miseria, in questo paese così delizioso e dove si muore di fame, in questo paese dall’incanto indicibile, si dia alla industria del forestiero la forma larga, felice, fortunata, che porti, a Napoli, il solo modo di far vivere centinaia di migliaia di persone!
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Ma si permetta a un’anima solitaria e ardente di passione, pel suo paese, come è la mia, di chiedere una parte di tutto questo, una povera, piccola parte per migliorare le condizioni igieniche e morali del popolo napoletano. Non si chiedono milioni, poichè i milioni hanno fatto fiasco nell’opera del Risanamento, e nessuno, naturalmente, vuol dare più milioni, quando i primi sono stati spesi male o perduti, per fatalità quasi che una mano misteriosa perseguitasse questo buon popolo nostro.
Si chiedono, in nome di quel Dio giusto che volle fossero accolti tutti i poveri, nel suo nome, povero e vagabondo egli medesimo, sulla terra, che alla redenzione fisica e spirituale dei poveri un po’ di attenzione, un po’ di denaro, un po’ di cura sia dedicata da coloro che debbono e possono fare questo! Tutto deve esser fatto con modeste ma tenaci idee di bene, con semplici ma ostinati rimedii, con umili ma costanti intenzioni di giovare. Bando alla rettorica sociale, bando alla rettorica industriale, bando alla rettorica amministrativa, quella che viene dal Comune, la peggior rettorica perchè guasta quanto di pratico, di utile, di buono si potrebbe fare, dagli edili nostri. Perchè dunque non si obbligano la società dei nuovi quartieri al Vasto, all’Arenaccia, al Quartiere Orientale, di ridurre al minimo possibile le pigioni, in modo che le case fatte pel popolo siano abitate proprio da esso e non dalla piccola borghesia, in modo che ogni stanza non costi più di nove o dieci lire e non vi possano per regolamento stare più di due o tre persone, quando vi sono bimbi? Si tenti questo! E se ciò non basta, in tutte le nuove costruzioni sia nei quartieri popolari sia nei quartieri più aristocratici, perchè non si obbligano, con legge, con regolamento, ad avere un piano dei loro palazzi, l’ultimo, fatto in modo che la gente del popolo vi possa abitare, avendo delle stanze, delle soffitte, ciò che si chiama il suppenno che non costino, appunto, più di nove o dieci lire al mese ogni stanza? E se qualche società ancora, qui, vuol costruire sulle colline, o sulla spiaggia, verso la ferrovia o verso il mare, perchè non la si obbliga, per legge o per regolamento, se vuole tale concessione, a costruire al quarto o al quinto piano, tali stanze, a cui si accederebbe dalle scale di servizio? E nei conventi che il Municipio oramai possiede in gran numero, da cui sono state discacciate tante sventurate monache perchè albergano solo dei grandi elettori o dei servitori di consiglieri comunali? Perchè, poichè le povere monacelle furono buttate fuori alla strada, alla miseria e alla morte, non si fa una spesa, una santa spesa per pulire, per restaurare, questi numerosi monasteri e non si affittano, quelle stanze, diventate nette e salubri al popolo napoletano? Un poco di questo denaro che dovrebbe servire, per chiamar qui gente, dall’Europa e dalle Americhe, pochissimo di questo denaro dedicarlo, saviamente, mitemente ma costantemente, a creare delle modicissime, modestissime non case, ma stanze, stanze per il popolo!
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AI GOVERNANTI
Che chiedo io, infine, per i miei fratelli del popolo napoletano, che chiedo io come tutti quelli che hanno cuore, e anima, salvo che finisca l’oblio e l’abbandono? Che chiedo io, in nome dell’eguaglianza umana e cristiana, salvo che il popolo di laggiù sia trattato come tutti gli altri cittadini, abbia una casa, abbia della luce, nella notte, dell’acqua, della nettezza, della sorveglianza, sia guardato e protetto contro sè stesso e gli altri? Che chiedo, io, se non l’applicazione della legge umana e sociale, trattar quelli come si trattano gli altri, dar loro quel che spetta loro, come esseri viventi, come cittadini di una grande città? Faccia il suo dovere chiunque, non altro che il suo dovere, verso il popolo napoletano dei quattro grandi quartieri, faccia il suo dovere come lo fa altrove, lo faccia con scrupolo, lo faccia con coscienza e, ogni giorno, lentamente, costantemente, si andrà verso la soluzione del grande problema, senza milioni, senza società, senza intraprese, ogni giorno si andrà migliorando, fino a chè tutto sarà trasformato, miracolosamente, fra lo stupore di tutti, sol perchè, chi doveva si è scosso dalla mancanza, dalla trascuranza, dall’inerzia, dall’ignavia e ha fatto quel che doveva.
Napoli, primavera 1904
Matilde Serao