Sulle pagine dei giornali cittadini spesso si è parlato della “movida fracassona”, eppure, mentre in altre città si adottano delle misure per limitare il fenomeno, a Napoli al fracasso cittadino si contrappone il silenzio amministrativo. Invero, la questione viene lasciata incontrollata e trattata con sufficienza da parte di coloro che dovrebbero intervenire, senza considerare che qui non si contrappone chi vuole divertirsi e chi, invece, da “bachettone” vuole stare tranquillo quasi per una questione morale. Chi interpreta la vicenda in questo modo, dimostra di non aver compreso la reale portata e sofferenza di chi vive spesso quattro cinque notti insonni, disturbato da una musica martellante e da un fracasso provocato da migliaia di persone assiepate in stradine strettissime o in locali piccolissimi adibiti a vere e proprie discoteche, inadatti a contenere una folla ingovernata, peraltro, in perenne stato di pericolo anche per la mancanza di uscite di sicurezza dei locali. La questione, quindi, va presa sul serio così come viene presa sul serio, sia dalla legge italiana che da quella Comunitaria le quali trattano dell’inquinamento acustico al pari di ogni altro inquinamento perché lesivo della salute. Ebbene, da quanto ho potuto verificare, si può dire che i casi sono di due tipologie e riguardano o l’inquinamento diffuso provocato dalla concentrazione di locali in strade o piazze, come i casi di Piazza Bellini e dei baretti di Chiaia o i casi relativi a singoli esercizi che provocano un disturbo, “diciamo localizzato” ad un intero fabbricato. Orbene, l’amministrazione cittadina lascia assolutamente ingovernati sia il primo che il secondo caso limitandosi a degli interventi sporadici, seppure su quello connesso al singolo esercizio, sarebbe facilmente possibile un intervento mediante una semplice verifica tra la potenza delle apparecchiature di riproduzione possedute e la insufficiente insonorizzazione dei locali, spesso anche sprovvisti del nulla osta acustico. Insonorizzare a regola d’arte un locale, infatti, richiede un intervento costoso che spesso gli esercenti la movida non hanno alcuna intenzione di affrontare nella consapevolezza che per giungere alla chiusura occorrono anni di battaglie amministrative e legali. Peraltro, anche le modalità delle verifiche, da quello che ho potuto constatare, spesso sono assolutamente singolari ed il caso vuole troppo spesso che all’atto della visita dell’ASL o degli altri addetti al controllo “cali il silenzio” salvo poi riprendere la sera dopo. Da quando ho sollevato il problema in Consiglio Comunale, dopo l’assemblea pubblica, sul tema del disturbo alla quiete pubblica del 29 gennaio scorso, sono entrato in contatto con i tanti cittadini sottoposti a questo “speciale” trattamento notturno osservando che i malcapitati spesso riportano veri e propri disturbi psichici con l’assunzione di farmaci nei casi più gravi. Nel Consiglio Comunale del 16 marzo scorso, infatti, ho riportato il caso di Salvatore, nostro anziano concittadino di Bagnoli, che ha la sfortuna di abitare sopra uno studio di registrazione musicale subendo un disturbo protratto su sette giorni a settimana, negli orari più svariati, senza che né l’amministrazione né le forze dell’ordine, nonostante le numerose chiamate e richieste scritte, dopo due anni,, abbiano, fino ad oggi, fatto alcunché. Ebbene, in Salvatore come negli altri nostri concittadini che ho avuto modo di contattare non è difficile, anche per un profano della scienza medica, notare che il disturbo alla quiete pubblica determina un vero e proprio danno psicologico oltre che una completa sfiducia nelle istituzioni! Tutelare la salute pubblica non è da bacchettoni ma da buoni amministratori pubblici.