Scuola: L’effetto INVALSI

invalsiIl tema degli INVALSI è dibattuto tra gli stessi operatori del mondo della scuola. Qualche tempo fa mostrai tutte le mie perplessità verso questo modo di valutazione dei nostri ragazzi essendomi preso la briga di vedere a cosa servono i test negli Stati Uniti e nel Regno Unito. I miei dubbi erano suscitati anche sulla mia scarsa considerazione della “ministressa” gelmini, con un trascorso di amministratrice locale e di avvocato diciamo non troppo brillante. Ad ogni buon conto oggi leggo su Repubblica che il primo effetto italiano sarà quello di corsi obbligatori non retribuiti per gli insegnanti di quelle scuole dove si sono avuti i punteggi più bassi. Giusto per ricordare in una trasmissione della Gabanelli di qualche tempo fa capii che nel Regno Unito gli INVALSI finiscono per orientare le iscrizioni con l’effetto che le scuole diciamo “peggiori” prima perdono gli alunni e poi vengono chiuse con perdita di posti di lavoro. Negli Stati Uniti, invece, per mantenere alto il livello sono le stesse scuole a predisporre dei test di ingresso (anche nelle materne) con l’effetto di determinare i genitori a far frequentare agli aspiranti alunni corsi a pagamento (vedi il mercato dei test negli Stati Uniti clikka e nel Regno Unito clikka). Da noi già si vedono libri di testo ovvero dei tutorial per gli INVALSI, che significa un altro libro da acquistare per le famiglie, col rischio di orientare la formazione più verso una istruzione nozionistica a quiz che concettuale e critica. Non voglio in ogni caso essere contro, ma se l’effetto degli INVALSI si riduce a far fare dei corsi agli insegnanti, non so proprio dove andremo a finire, primo, perché si è già finito per dare un giudizio sugli insegnanti, secondo, perché si potrebbe finire per ritenere risolta la questione solo con questa soluzione senza interrogarsi sulle cause sociali del disagio che le scuole finiscono per accogliere. Alla fine gli insegnanti che si trovano in platee difficili finiscono per fare il doppio della fatica dovendosi misurare sia con genitori ed alunni diciamo particolari, ma  anche dedicare altro tempo, gratuitamente, per “formarsi” ulteriormente. Il principe della risata in questo caso direbbe sicuramente un bel “ma mi faccia il piacere!!!!”. Per finire, in questo periodo, mi ritorna il pensiero agli operai che non hanno diritto a buono libro con retribuzione che vanno dai 900 a 1.200,00 €. In questo periodo si trovano a dover sottrarre dal loro stipendio dai 150,00 ai 300,00 €. per la scuola, chiedo solo ai professori, per lo meno, di non rompere l’anima con la questione dei libri nuovi. Quando ero studente figlio di operaio, infatti, questa era una delle cose che mi faceva vergognare e, quindi, odiare la scuola e gli insegnanti!
Da Repubblica Nazionale del 14.09.2013
Alunni somari? L’insegnante torna tra i banchi
Scuola, corsi obbligatori se gli studenti hanno pessimi test Invalsi
SALVO INTRAVAIA
LA SOSTANZA della norma è che in quelle scuole dove i risultati dei test Invalsi sono “meno soddisfacenti”, cioè inferiori alla media nazionale, gli insegnanti si devono sottoporre a un programma di formazione obbligatoria che avrà il compito di aumentare le conoscenze e le competenze degli alunni, ma anche di incrementare le competenze di gestione, di programmazione e informatiche dei docenti. Soprattutto quelli che lavorano in particolari contesti come le zone a rischio o a forte concentrazione di immigrati. Il tutto, probabilmente, senza un soldo di retribuzione e non si sa neppure per quante ore pomeridiane di lavoro aggiuntivo. L’unica cosa che si sa è che il governo ha stanziato 10 milioni di euro per il 2014.
Ma dov’è che i risultati dei test Invalsi sono più deludenti? Basta dare un’occhiata al report dell’istituto di Frascati pubblicato pochi mesi fa per rendersi conto che è nel meridione d’Italia che scolari e studenti arrancano maggiormente. Ogni anno, il test Invalsi misura le competenze in Italiano e Matematica degli alunni di seconda e quinta elementare, prima e terza media e secondo anno delle superiori. I due fascicoli proposti agli alunni italiani contengono domande a risposta multipla o aperta, grafici da interpretare, frasi da completare e altri quesiti per saggiare il livello raggiunto dagli alunni e fare dei confronti tra le diverse aree del Paese. In Sicilia, con una media nazionale a 200 punti, gli studenti di terza media racimolano in Italiano soltanto 186 punti. Punti che diventano addirittura 181 in Matematica per i ragazzini che frequentano le scuole della Calabria. Ma è al secondo anno delle superiori che il divario Nord-Sud diventa evidente. Tra i 183 punti in Italiano degli adolescenti siciliani e i 214 dei compagni lombardi ci sono ben 31 punti di differenza che salgono ancora se si passa alle competenze in Matematica, dove gli studenti della provincia di Trento riescono ad accumulare ben 226 punti che precipitano a 178 se si prendono in considerazione i quindicenni sardi: ben 48 punti di differenza. Un gap fra regioni settentrionali e meridionali che permane anche nelle altre classi del monitoraggio. E che riguarda anche gli alunni delle periferie delle grandi città: Roma, Milano, Napoli, Palermo. Ma che secondo i sindacati non dipende dalla preparazione dei docenti. «Sgombriamo subito il terreno — dichiara Francesco Scrima, leader della Cisl Scuola — da possibili equivoci: non sta né in cielo né in terra che si possa scaricare sugli insegnanti ogni colpaper risultati scolastici insoddisfacenti, quando è fin troppo evidente che il peso determinante è delle condizioni di contesto. Chi spende il suo lavoro nelle aree di più acuta emergenza sociale non meritadi essere fatto oggetto di banalizzazioni di questa portata». Addirittura incredulo il commento di Massimo Di Menna, a capo della Uil scuola: «Una formazione obbligatoria, decisa per decreto, senza specificare le modalità, legata agli esiti delle prove Invalsi: ma stiamo scherzando?». «E poi — continua Di Menna — per quante ore? 20, 40, 200. E chi decide? In ogni caso, ricordiamo al governo che decidere inmateria di lavoro per decreto, e non per contratto, non porta lontano». Giorgio Rembado, presidente dell’Associazione nazionale presidi, vede invece di buon occhio il provvedimento: «Sono convinto chel’amministrazione debba farsi carico delle situazioni di disagio e minore successo scolastico e i finanziamenti per la formazione dei docenti vanno proprio in questa direzione».

Ognuno deve fare la sua parte

boccassiniL’argomento è sempre attuale e delicato e sul punto ho già scritto un post (magistrati e politica clikka) ma credo che sia sempre bene leggere il pensiero di coloro che riflettono profondamente sull’argomento stando in prima linea. E’ chiaro che in questi anni il potere giurisdizionale sta svolgendo un ruolo di supplente al sistema paese che non ha una classe politica degna di questo nome. Ciò è dimostrato dal fatto che è altamente probabile che sulla legge elettorale se non interviene la Consulta i politici non interveranno mai! Occorre pertanto riflettere come cittadini affinché si sappia scegliere in tutta coscienza quando sarà il momento valutando caso per caso, persona per persona.
Da Repubblica Nazionale del 14.09.2013
Boccassini chiede un’autocritica alle toghe “Certi pm usano la giustizia per altri scopi”
MILANO — Dibattito affollato per un libro contro-corrente. E con un’Ilda Boccassini che fa salutare con un applauso l’ex collega Gherardo Colombo, nascosto tra il pubblico, ma ripete, con qualche elaborazione in più quel concetto che, appena dopo la strage in cui morì Giovanni Falcone, li divise. E divise la magistratura: «Ognuno deve fare la sua parte, anche i politici, anche i giornalisti, ma in questi vent’anni lo sbaglio di noi magistrati è di non aver mai fatto un’autocritica o una riflessione». Perché, aveva detto poco prima, «si è verificato ed è inaccettabile che alcune indagini sono servite ad altro» per gli stessi magistrati, per carriere, per entrare in politica.
Alcuni suoi colleghi si sono sentiti portatori di verità assolute per le loro indagini grazie al «consenso sociale», cosa sbagliatissima, una «patologia», sia per lei, sia per Giuseppe Pignatone, procuratore capo di Roma, seduto al suo fianco. «Io — racconta Boccassini, che dopo trent’anni ha cambiato colore e taglio di capelli, è diventata bionda — durante Tangentopoli, stavo in Sicilia. Noi vivevano in hotel “bunkerizzati”, con i sacchi di sabbia, intorno era guerra. E quando arrivavo a Milano, per salutare i colleghi, vedevo le manifestazioni a loro favore, “Forza mani pulite”».E non le piaceva, anzi «ho provato una cosa terribile» quando la folla scandiva i nomi dei magi-strati, perché a muoverli «non dev’essere l’approvazione».
E’ stato presentato ieri a Milano «L’onere della Toga», di Lionello Mancini (Bur, 11 euro). Un libro che racconta, con molte virgolette, ma anche con le riflessioni dell’autore, la vita di cinque pubblici ministeri normali, tenendo però sullo sfondo alcune domande sulla giustizia e sulle sue disfunzioni. E anche di questo, presentati da Ferruccio De Bortoli, hanno parlato i due magistrati. Silvio Berlusconi è stato citato en passant, ma dello «scontro tra mass media, magistratura e politica» s’è parlato. Anzi sarebbe stata questa «conflittualità talmente alta» a impedire la «riflessione» nella magistratura che il procuratore aggiunto antimafia di Milano definisce «un corpo sano» in un paese a basso tasso di legalità: «Sì, in Lombardia abbiamo molti incendi dolosi, e nessuna vittima fa denuncia, o dice di aver avuto minacce. Quando scopriamo imprenditori che hanno negato l’evidenza, chiediamo l’arresto per favoreggiamento aggravato, perché o si sta con lo Stato o no. E in più, il vittimismo di alcuni nasconde un do ut des, anche l’imprenditore lombardo si fa aiutare dal criminale e ne trae vantaggi ».
Come ha sottolineato Giuseppe Pignatone, una riflessione dovrebbe nascere in seguito al processo Borsellino: ci sono stati dei condannati sino alla cassazione,ma poi le confessioni di un collaboratore di giustizia hanno raccontato che la verità era un’altra: «Chi ha sbagliato in buona fede deve dirlo», perché i magistrati dell’accusa devono muoversi sempre sulle prove certe, invece, a volte, ripete Pignatone, «quando le prove non ci sono, alcune notizie vengono fatte uscire sui giornali, per una carica moralistica che non deve appartenere alla magistratura». Anzi, è il contrario. La parola che Pignatone usa di più è «equilibrio», sia per fermarsi, per evitare che persone finiscano nei guai senza prove, sia «per partire e andare sino in fondo quando le prove ci sono». Tutti e due hanno collaborato a lungo nelle inchieste che hanno decimato alcune tra le cosche più potenti della ‘ndrangheta. Sono entrambi — e lo dicono — in prima pagina dieci volte di più dei colleghi citati nel libro di Mancini, ma conoscono la «nausea» comune a chiunque debba fare un mestiere difficile, che ha a che fare con la vita, la morte, il dolore. E per questo, «se un giornalista ha una notizia che mette in pericolo la vita di una persona, non la deve dare», dice Boccassini, Pignatone concorda, De Bortoli e Mancini alzano gli occhi al cielo.

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