Soluzione Europa

Sono convinto che la soluzione alla crisi economica di cui i paesi europei sono ostaggio, possa essere solo europea. In un mondo che vede potenze economiche transanazionali e blocchi di paesi che fanno politiche unitarie non c’è altra via che quella di un maggior peso politico degli organi della Comunità che ormai non può essere più solo economica. Trovo interessante l’articolo che ho letto ieri, di  Pietro Piovani su “Il Mattino” del 9 settembre 2012

Roma. Quasi la metà della popolazione europea vorrebbe la fine dell’euro, dicono i sondaggi. E se la domanda viene posta ai soli cittadini tedeschi, i nostalgici diventano la maggioranza: il 52%. È l’anti-europeismo lo spettro che oggi si aggira per l’Europa, e assume varie forme. I nazionalismi della destra neonazista, gli estremismi della sinistra radicale, i populismi dei nuovi movimenti antipolitici, o apolitici, o apartitici che spuntano come funghi in tutti i Paesi del continente.
Se ne vedono le tracce persino in Italia. Dopo i tedeschi, i più euroscettici siamo diventati noi: solo il 48% è ancora convinto che abbandonare l’euro e tornare alla lira sarebbe un errore. La sfiducia per l’Europa è innanzitutto sfiducia verso la sua economia. Gli storici fanno un paragone con quanto accadde dopo la crisi economica del 1929, l’unica confrontabile con quella attuale. Fu allora che nacquero il fascismo e il nazismo.
Due appuntamenti cruciali per il destino dell’Ue sono previsti nelle prossime settimane. Il primo è il voto in Olanda, in programma per mercoledì prossimo. La consultazione potrebbe in verità fugare una delle minacce più temute in questi anni nelle capitali continentali: la destra xenofoba e nazionalista ha perso molto del suo smalto e l’ipotesi di vedere il suo leader di Geert Wilders arrivare al governo non viene più presa in considerazione. I sondaggi fino a qualche tempo fa accreditavano un forte aumento di consensi alla sinistra radicale di Roemer, che ha assunto posizioni molto critiche verso le politiche di rigore finanziario richieste da Bruxelles. Nelle ultime settimane tuttavia sta guadagnando sempre più spazio un’altra forza di sinistra, più moderata, il Partito laburista dell’emergente Diederik Samsom. Nel suo programma c’è sì un allentamento dei tagli alle spese previsti dalla maggioranza uscente, ma sempre all’interno dei margini tracciati dall’Europa.
L’altro passaggio, ancora più delicato, è fissato per ottobre a Parigi. Il parlamento deciderà se ratificare quello che noi in Italia chiamiamo «fiscal compact» ma che i francesi più semplicemente definiscono trattato di bilancio. La ratifica dovrebbe arrivare senza troppe incertezze, vista la larga maggioranza su cui può contare il socialista François Hollande e il supporto che certamente daranno i deputati di centrodestra. Ma questo non toglie che tra le forze politiche transalpine esiste un diffuso malcontento verso il trattato che impegna la Francia a rispettare l’obbligo al pareggio di bilancio voluto soprattutto dalla Germania.
C’è poi il caso ben noto della Grecia, il Paese che più sta pagando le conseguenze della crisi. Il successo sfiorato alle ultime elezioni dalla sinistra radicale di Syriza, l’affermazione dei neonazisti di Alba Dorata, dimostrano come per i greci le parole «povertà» e «euro» sono diventate paradossalmente sinonimi.
Le difficoltà di convivenza si riconoscono anche nel dibattito politico dei Paesi nordici. In Finlandia il ministro delle Finanze Juytta Urpilainen, che è anche la segretaria del partito socialdemocratico finlandese, tre mesi fa ha rotto un tabù: per la prima volta nella storia dell’unione monetaria un esponente di governo ha ipotizzato a voce alta l’uscita del suo paese dall’euro. La dichiarazione, pur corretta, segnala la difficoltà di un esecutivo che deve difendere la scelta europea in un Nord sempre più stanco dei suoi spendaccioni vicini di casa meridionali.

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