Incollo di seguito un articolo uscito oggi (02.11.2013) su Repubblica Napoli sulla crisi dell’avvocatura manca però una considerazione: la consueta disapplicazione, nella stragrande maggioranza dei casi, delle tariffe forensi da parte dei magistrati, almeno nel foro napoletano e dintorni, a cui si aggiunge l’assoluta inadeguatezza dei compensi dovuti per le cause fino a 25.000 €.
Sempre più spesso mi capita di vedere e ricevere liquidazioni assurde, una causa complessa mettiamo: fase cautelare, esecuzione del provvedimento cautelare, reclamo, tre consulenze e giudizio di merito, il tutto durato 10 anni con una liquidazione che a tariffa sale a 80.000 €. Quanto avrà liquidato magistrato? non lo dico per pudore! poi c’è qualche magistrato, che pure mi è capitato, che dice: “vabbé avvocato faccia l’appello…”
Eppure per lo meno nel civile la condanna alle spese dovrebbe essere anche un’azione deflattiva del contenzioso.
Ad ogni buon conto non posso non constatare che se dovessi iniziare oggi da zero la professione come ho fatto oltre 15 anni fa è sicuro che non ce l’avrei fatta, anche per l’assoluta esosità dei contributi unificati che finiscono per pregiudicare i diritti dei più deboli.
L’ultima cosa e finisco: giudizio al TAR Campania per mancata assegnazione del sostegno ad un bambino in difficoltà controbuto unificato €. 650,00, riconoscimento del diritto dopo un anno di causa, condanna alle spese del ministero ad €. 1.000,00 oltre spese vive (manco quantificate): Risultato il ministero ha risparmiato 1 anno di stipendio all’insegnante di sostegno ed ha pagato alla fine circa 2.000 €. comprese tasse e cassa. Vince il banco sulla pelle dei cittadini!
Gennaro Esposito, avvocato del foro di napoli
Da Repubblica Napoli 02.11.2013
Avvocati sotto la toga c’è la crisi
Boom di iscritti e conti in rosso, sono sempre di più i legali in difficoltà
LA BORSA di pelle nella mano destra, la giacca giusto un po’ sgualcita. Il passo veloce di chi sta correndo in udienza. A metà giornata, la sosta accanto al bar e i capannelli nella piazza coperta. Un avvocato come tanti, nel Palazzo di Giustizia del Centro direzionale. Solo che non ha più un soldo. Un contenzioso andato male, i clienti che si contano sulle dita di una mano, qualche problema familiare. Così un professionista rischia di trasformarsi in un povero con la cravatta.
Stavolta non c’entra la disincantata filosofia di Vincenzo Malinconico, il penalista precario descritto dalla penna di Diego De Silva nel fortunatissimo romanzo “Non avevo capito niente”. Sotto la toga, l’avvocatura napoletana, una delle più prestigiose d’Italia, deve fare i conti con gli effetti della crisi economica. Lo confermano i dati del Consiglio dell’Ordine di Napoli, che un anno fa ha raddoppiato le somme stanziate per gli aiuti ai colleghi a titolo di solidarietà. Piccoli sussidi che una volta venivano erogati essenzialmente per ragioni di salute. Ora invecec’è chi ha ottenuto il contributo perché in gravi difficoltà finanziarie. È il caso di una toga che si è ritrovata sul lastrico, e senza più clienti, dopo aver avuto la peggio in una lite giudiziaria con una importante compagnia di assicurazioni. In questo periodo storico, il cappio della crisi stringe l’avvocatura napoletana soprattutto all’inizio e alla fine del percorso professionale. Se la passano spesso male i più giovani, costretti a lasciare i sogni in soffitta per barcamenarsi con enormi difficoltà, di solito intascando poche centinaia di euro. Ma anche avvocati con trent’anni di iscrizione all’albo sulle spalle, oggi, faticano a sbarcare il lunario. Chi frequenta il Palazzo di Giustizia li incontra tutte le mattine e può raccontare decine di storie, tutte uguali nella loro drammatica ordinarietà. Può capitare ad esempio di imbattersi in avvocati dai capelli bianchi che a bassa voce, con grande dignità e pudore, chiedono al collega non un consiglio su una legge appena introdotta, né la cortesia di sostituirli in udienza per un rinvio e neppure un’informazione sugli orari delle cancellerie, ma «qualche spicciolo, una moneta soltanto perché non ho i soldi per pagare le medicine».
Ma accade anche che un avvocato sulla quarantina, civilista, sia stato sorpreso mentre frugava nelle borse dei colleghi, non certo perché aveva dimenticato i codici a casa. O che nel corso di una perquisizione presso lo studio di un professionista di mezza età sia emerso che nell’armadio erano custodite le pratiche di appena sette (sette) clienti. Un quadro che nulla toglie alla qualità media del Foro napoletano,composto da professionisti di alto livello, apprezzati in tutta Italia. Sulla crisi influiscono piuttosto in maniera sensibile i numeri attuali dell’avvocatura: L’Ordine di Napoli conta 13.300 iscritti, ai quali si aggiungono 7 mila praticanti. Hanno 2 mila iscritti ciascuno gli Ordini di Nola e Torre Annunziata. Un esercito che deve confrontarsi con un tessuto economico messo a duraprova dalle difficoltà economiche in cui versano tutti i principali comparti produttivi del Paese. L’avvocatura soffre poi gli effetti di alcune riforme, come quella che ha abrogato i minimi tariffari, e di un’altra malattia cronica del nostro sistema: l’eccessiva durata dei processi che, soprattutto nel settore civile, ma ormai anche nel penale e nell’amministrativo, complica ilrapporto fra avvocato e cliente, dilatando a dismisura i tempi di pagamento delle prestazioni professionali.
In questo contesto e con queste cifre, inevitabilmente, si scatena una concorrenza spietata che non va solo a discapito della qualità del servizio ma finisce con il penalizzare alcuni professionisti, di fatto escludendoli da una fetta di mercato. «Perché lavita è fatta soprattutto di patteggiamenti. Di situazioni in cui – questa è la rivelazione che spiazza – ti scopri capace di una comprensione al ribasso che normalmente non ti spieghi, quando la riconosci negli altri. E capisci alcune cose», disserta nel libro di De Silva l’avvocato Malinconico, la cui vita cambia, sorprendentemente, dopo un incarico ricevuto, naturalmente, d’ufficio.Ma anche negli ascensori del Centro direzionale si possono ascoltare aforismi analoghi a quelli del personaggio ideato dallo scrittore napoletano. Come la battuta di un avvocato quarantenne, che alle lamentele del collega, trova il modo di scherzare: «Io tutta questa crisi non l’avverto. Perché è da quando ho iniziato, che sono in crisi».