L’antipolitica dei politici

L’articolo di Rizzo sul corsera di oggi (07.11.2012) riapre una discussione che per me non è mai finita: le nomine dei politici che spesso sono dettate da ragioni di partito o con l’attuale sistema elettorale maggioritario, da simpatie del “vincitore”, senza che vi sia la preoccupazione di nominare la donna o l’uomo giusto al posto giusto. Io al Comune di Napoli nella mia qualità di consigliere ho proposto un regolamento sulle nomine il 3 giugno 2012 che giace nei cassetti e pare che non sia di interesse per nessuno (per visualizzarlo clikka).

Sono poi tornato sul punto con altri miei interventi che è facile rinvenire anche su questo blog ed oggi che ci avviamo ad un cambio epocale della politica non so se positivo o negativo (più la seconda che ho detto) nessuno ci pensa. Tutti dicono che Grillo è l’antipolitica ma forse sarebbe il caso di dire che noi in parlamento e nelle istituzioni amministrate nel modo “classico”, in barba ad ogni forma di partecipazione e di condivisione del potere abbiamo l’antipolitica della antipolitica di Grillo. Se da un lato infatti c’è Grillo accusato di antipolitica perché il suo obiettivo è demolire il sistema politico, dall’altro ci sono i politici che siedono sulle grasse sedie delle istituzioni che amministrano che sono anch’essi rappresentanti dell’antipolitica perché hanno una concezione assolutamente individualistica del potere e che merge immediatamente nel momento in cui si deve fare una nomina: non il più bravo ma quello che sta dalla mia parte ed accresce il mio potere personale, alla faccia della condivisione del potere!!!

dal corsera del 7 novembre 2012 Sergio Rizzo:

Nel nostro magnifico Paese dei Paradossi accade che una legge fatta per punire gli amministratori responsabili di aver causato un dissesto finisca per caricare sulle spalle di tutti i cittadini italiani, indifferentemente, il peso di quei dissesti.
Siamo certi che qualcuno, purtroppo, si dovrà far carico di mettere rimedio a situazioni come quelle di Napoli o Alessandria. Toccherà ai napoletani e agli alessandrini, direte. Ma non sappiamo nemmeno se sia giusto che debbano pagare tutti i napoletani o tutti gli alessandrini. Così come non sarebbe probabilmente corretto addossare esclusivamente agli abitanti delle Regioni nei guai con la sanità il costo del risanamento: costretti a pagare molto più cari servizi molto più scadenti. Ma se sia ragionevole mettere sul conto di ogni contribuente gli effetti di clamorosi errori (nella migliore delle ipotesi) di sciagurate scelte politiche, è una domanda assolutamente fondata. E non è l’unico interrogativo, questo, che ci tormenta da un bel pezzo.
Quanto si potrà andare avanti ancora nell’affidare compiti gestionali delicati in amministrazioni locali o aziende pubbliche a persone incapaci (quando non disoneste) soltanto per ragioni di equilibri politici o di partito, se non addirittura di interessi personali? Salvo poi lasciare in eredità ai successori, e soprattutto ai cittadini, immani disastri?
Questo è il punto: gestire i conti di una città, piccola o grande che sia, è difficile. È necessario che chi ha questo compito venga scelto sulla base delle capacità e della rettitudine morale. Ricorrendo magari per determinati incarichi a selezioni pubbliche e trasparenti. Si assiste invece alla nomina di assessori incompetenti ma potentissimi nel loro partito o nella loro corrente, di direttori delle aziende sanitarie impreparati ma fedelissimi al boss politico locale, di amministratori delegati privi di alcuna esperienza ma affidabilissimi quando si tratta di piazzare amici e parenti di sindaci e sindacalisti. Né risulta che un solo amministratore abbia subito una sanzione commisurata al grave dissesto causato. Il contrario: il responsabile è stato quasi sempre premiato politicamente. Magari spedito in Senato, dopo aver lasciato al municipio un buco da centinaia di milioni che tutti gli italiani hanno poi dovuto pagare. Anche questo è successo.

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